Disinformazione e sprechi economici: il faticoso percorso dei farmaci cannabinoidi.
In un’intervista rilasciata alla trasmissione di Radio Radicale “Il Maratoneta”, Francesco Crestani, Presidente del Consiglio direttivo dell’Associazione Cannabis Terapeutica, fa il punto sulle terapie del dolore in Italia e il difficile iter del ddl sulle cure palliative.
A che punto siamo riguardo al tema delle terapie del dolore e delle cure palliative?
Premetto che come medico non mi interessa il problema dell’antiproibizionismo, io sono un anestesista che ogni giorno usa la morfina e non è che ogni volta che impiego la morfina mi pongo il problema tra antiproibizionismo o meno. La stessa cosa vale per la cannabis: a me interessa avere una sostanza che sia farmacologicamente attiva e che possa dare una risposta ai miei pazienti. Esiste un sistema endocannabinoide e questo lo si sa da relativamente poco tempo, da circa 18 anni. Il nostro corpo produce delle sostanze che svolgono un’azione simile a quelle contenute nella cannabis e queste hanno una serie di reazione fisiologiche nell’intervento di vari tipi di patologie. È intuitivo che modulando questo effetto cannabinoide con altre sostanze si può intervenire su alcune patologie, una di queste è la patologia del dolore che interessa vari campi della medicina e delle cure palliative ed è dimostrato che i cannabinoidi hanno una via specifica di cura del dolore. Io l’ho voluto riassumere in questo articolo che è uscito di recente e che è stato inviato a tutti i soci della Società italiana delle cure palliative, il che è un notevole passo avanti per l’informazione della classe medica. I cannabinoidi possono essere: naturali, cioè derivati dalle infiorescenze della canapa; sintetici come ad esempio il nabilone – che è un principio attivo registrato in tabella dal decreto ministeriale del 2007- e poi esistono gli endocannabinoidi, prodotti dal nostro stesso corpo, di cui il principale è la nandamide. Con il decreto ministeriale del 18 aprile vediamo inseriti nella tabella 2 sezione b due principi attivi della cannabis uno naturale e uno sintetico, per cui l’affermazione contenuta nel sito del Ministero della Salute dice che i cannabinoidi inseriti nella tabella 2 possono essere utilizzati nella terapia farmacologica. Purtroppo questo non è vero. Sulla carta lo è, ma molto dipende dalla zona di residenza. Ad esempio a Bolzano è stato attivato da diversi anni un protocollo di sperimentazione per il sativex, a Roma è possibile riceverlo nelle Usl e nelle farmacie come prodotto galenico, mentre in altre parti è difficile ottenerlo, addirittura è complicato farsi fare la ricetta, a volte i medici non sanno neanche cosa sia. Sembra che manchi, quindi, l’informazione.
Cosa si può fare secondo lei, dal punto di vista di un medico, per rendere più efficace la legislazione e l’inserimento nella tabella di queste sostanze terapeutiche?
In primis, bisogna divulgare a medici, terapisti del dolore, anestesisti queste conoscenze che ormai sono acquisite e che si stanno dimostrando sempre più importanti. Si è appena concluso un congresso a Padova ed una sessione era proprio sugli endocannabinoidi, ma si fa fatica forse per la difficoltà di ottenere il farmaco e quindi i medici preferiscono rivolgersi verso qualcosa di più semplice.
In cosa consiste questa difficoltà? Cosa deve fare il paziente e cosa deve fare il medico?
La procedura è un po’ complessa. Questi farmaci devono essere importati dall’estero. Una procedura complicata e burocratica. Alcuni pazienti possono ottenere il farmaco gratuitamente altri invece, anche se affetti da malattie invalidanti, sono costretti a pagare diverse centinaia di euro solo per le spese di importazione.
Quali sono le patologie per cui è più semplice richiedere il farmaco?
Ci sono patologie per cui all’estero questi farmaci sono già registrati: sclerosi multipla, epilessia e terapie del dolore, poi la sindrome da deperimento nell’ Aids, nausea e vomito dopo la chemioterapia e poi c’è il dolore neuropatico e da cancro.
Dal punto dei vista dei costi rispetto alle medicine omologhe utilizzate per lenire le sofferenze, comunque potrebbe essere un risparmio per lo Stato se si cominciasse a produrlo direttamente in Italia?
Di sicuro. La materia prima ha un costo esiguo. Quello che incide sul costo del farmaco sono le spese di importazione, più che il farmaco stesso.
Si potrebbe in futuro, anche con la collaborazione con l’Associazione Coscioni, di individuare per ciascuna regione medici che sanno utilizzare questi farmaci e sappiano come reperirli?
È ovvio che ci sono personaggi che sono più pratici e che hanno già studiato le modalità, però c’è il rischio di creare una figura di medico che curi con la cannabis. L’ideale sarebbe far sì che ogni medico di neurologia faccia riferimento a questo tipo di problematico e procedere a seconda del paziente con questo tipo di terapie.
Quindi secondo te forse è più utile reperire delle strutture specializzate…
Cosa dobbiamo aspettarci riguardo al ddl sulle cure palliative? Come organizzeresti il fronte di lotta e di diffusione scientifica?
Il progetto che sta andando avanti nel suo iter prevede un paragrafo sui farmaci cannabinoidi che semplificherebbe un po’ l’impostazione. Questo paragrafo è stato inserito in seguito ad un’operazione di lobbying , da anni cerchiamo di rivolgerci alla classe politica affinché i farmaci siano più usufruibili. E questo è già un passo avanti. Speriamo che il ddl vada avanti.