Non so molto di satanismo e satanisti e sinceramente l’argomento non mi attira più di tanto, ma Nicola Sapone lo ricordo nell’infermeria del carcere di Cremona e aver letto che sia stato di recente oggetto di un pestaggio nel penitenziario di Opera mi dà il pretesto per parlarvi di un argomento ruvido: quello del tanto sbandierato “Codice d’onore” che vige all’interno delle carceri.
Ogni penitenziario ha un reparto “protetti” dove vengono tenuti quei detenuti che hanno problemi di convivenza con il resto della popolazione carceraria; qui vi si trovano i collaboratori di giustizia, che si chiamano in gergo “infami”; i pedofili; i transessuali (questi ultimi tenuti isolati per altre ragioni); i rapitori di bambini; quelli che picchiano e violentano le donne. Questi detenuti, oggi in numero considerevole per l’aumento esponenziale dei “pentimenti postumi”, non entrano mai in contatto con il resto dei carcerati; hanno giorni differenti per i colloqui settimanali con i familiari; uno spazio dove usufruire dell’ora d’aria solo per loro; vengono sempre accompagnati dalle guardie ogni volta che hanno bisogno di essere visitati nell’infermeria, o che devono andare a colloquio con gli educatori o gli psicologi.
La sezione dei protetti è detta in gergo “reparto schiaffi” poiché se a volte capita che dal fascicolo che accompagna ogni detenuto emerga che, durante le fasi dell’interrogatorio il detenuto abbia fatto dichiarazioni che possono aver mandato in carcere altre persone, oppure si sia macchiato di un delitto infamante come quelli che ho citato prima, gli stessi compagni di cella provvedono a spiegargli di quanto sia opportuna una richiesta per essere trasferito nella sezione dei protetti e il trasferimento avviene di solito con decorso immediato dopo il “massaggio” di rito. Può anche succedere che arrivino informazioni da altre sezioni, o addirittura da altri carceri riguardo al tal detenuto, che magari in passato ha fatto arrestare qualcuno con le proprie dichiarazioni. Queste informazioni, che si chiamano in gergo “ambasciate” assumono concretezza maggiore se accompagnate dalle “carte”, cioè le fotocopie delle dichiarazioni infami. A volte sono gli stessi agenti di polizia penitenziaria ad informare i detenuti che è stato messo un infame o un pedofilo in sezione, questi stessi agenti fanno poi in modo di “distrarsi” per il tempo necessario a permettere che l’infame in questione riceva la “gratitudine” dai propri compagni, e venga in seguito trasferito nel “reparto schiaffi”.
Anni fa tutto questo era decisamente più marcato; oggi le cose sono differenti, credo a causa del dilagare di una “cultura dell’infamia” che ha reso le confessioni di convenienza quasi tollerate, tuttavia resiste, in particolar modo nelle sezioni di Alta Sicurezza, una sorta di codice non scritto in base al quale è sconsigliabile rimanere in sezione se il nostro curriculum non risponde a determinati criteri. Non voglio esprimere giudizi personali su quanto vi ho appena descritto, ma permettete un paio di considerazioni: come si sente secondo voi uno che si è beccato 3, 4, 5, o più anni di galera perchè qualcun’ altro gli ha scaricato addosso anche le sue responsabilità? Come pensate che venga vissuto l’amore per la propria compagna, (trasformata in vedova di stato) o per la propria sorella durante gli anni in cui potete vederla, se siete fortunati, una volta a settimana? come vi sentireste se intanto che siete in galera qualcuno insidiasse i vostri affetti, magari violentandovi il figlio?
Ma soprattutto : SIETE PROPRIO CONVINTI CHE QUELLO DELLA DETENZIONE SIA IL SISTEMA MIGLIORE PER COMBATTERE IL CRIMINE E RECUPERARE I “SERVI DISOBBEDIENTI ALLE LEGGI DEL BRANCO”?
Jazzon
Pubblicato su Dolce Vita n° 4 – Aprile/Maggio 2006