Fratelli, che ci sia qualcosa di inalienabile dentro di noi che in qualche modo ci colleghi con il tutto cosmico credo che l’abbiamo intuito più o meno profondamente tutti, anche se qualche volta ce lo dimentichiamo. Qualche cosa che anche quando meno ce lo aspettiamo, ci richiama prepotentemente all’ordine naturale delle cose. Cercando di traspondere l’intuizione in quell’universo estremo che vive “oltre il cancello” v’è un aspetto singolare sul quale vorrei invitarvi a riflettere. “Oltre il cancello” vivono membri della medesima specie, tutti in una forma di prigionia che per alcuni è diciamo volontaria, per quanto inconsapevole.
Mi spiego meglio: All’interno della comunità formata da membri della stessa specie che vivono nelle carceri, vi sono soggetti che in prigione ci vanno volontariamente ogni giorno, per tutta la durata della loro carriera ed altri che invece, pur cercando di evitarlo , entrano in prigione contro la loro volontà. Tralasciando per una volta l’aspetto morale e sociale dell’espiazione della pena, vorrei soffermarmi sull’aspetto umano della questione e cioè: che effetti può generare sull’inconscio dei carcerieri, il dover chiudere per tutti gli anni in cui svolgono il loro compito, membri della stessa specie, in una gabbia sovraffollata di 2m X 4 i loro simili? Seppure sia comprensibilmente poco divulgato, il dato che palesa il tasso di suicidi tra gli agenti penitenziari è tutt’altro che trascurabile, cosi come pure l’abuso da parte degli stessi di bevande alcoliche e di psicofarmaci. Mi domando e chiedo: c’è qualche relazione tra il disagio che origina questi comportamenti e il contrasto tra ciò che fanno e le regole non scritte, ma non per questo ignorabili, che legano i membri di una stessa specie? La risposta mi appare scontata.
Quando durante l’ora d’aria i prigionieri possono passeggiare in cortili di cemento angusti e cintati, alcuni di loro giocano a carte, altri fanno ginnastica, altri ancora camminano avanti e indietro parlando , quasi sempre di avvocato, permesso, istanza, etc. Uno solo tra questi esseri umani è emarginato dalla micro collettività del momento; la guardia! A costui viene raramente rivolta la parola, se non strettamente necessario dagli altri. Nonostante il soggetto in questione venga preparato e direi programmato per reggere una situazione come minimo antipatica, è possibile che nel profondo del suo animo, qualche indecodificabile dubbio non gli emerga? Che sia proprio questo dubbio all’origine di un disagio che per alcuni ha effetti dirompenti? Personalmente credo di si e ritengo che chi chiude le porte a chiave, provenga dal medesimo materiale umano dal quale provengono coloro che son reclusi e sono altrettanto convinto che in una sorta di compensazione prepotente di queste regole non scritte che in tutti noi albergano, vi sia un imposizione da parte della natura umana al rifiuto di aberrazioni che se sono socialmente accettate, non per questo riescono a bypassare l’inconscio vero e puro della parte che di noi non può essere ignorata. Fratelli, resto abolizionista, in linea con l’animo umano e la natura cosmica. Alla prossima
Jazzon
Pubblicato su Dolce Vita n°31 – Novembre/Dicembre 2010