Un po’ l’agitazione, un po’ l’inesperienza, un po’ i vizi, l’avevano messo nei guai. Ma il giovanissimo automobilista finito ieri mattina a processo con l’accusa di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, se l’è cavata bene. Assolto con formula piena. Perché? Perché non basta che la droga sia nelle urine (come in questo caso). Dev’essere nel sangue, per dimostrare l’alterazione del sistema nervoso.
Ma andando con ordine. Il ragazzo, all’epoca nemmeno ventenne, venne fermato il 25 marzo scorso a Mori per un normale controllo. Negativo all’alcoltest, il giovane si agitò. E quando i carabinieri gli chiesero se si fosse drogato, rispose, candidamente: «Ho fumato una canna». Questo bastò per dare il via alla perquisizione dell’auto, su cui venne trovata una minima quantità di marijuana. A quel punto il giovane venne portato in caserma e poi, rifiutandosi lui di fare il test, venne accompagnato in ospedale, dove venne sottoposto a prelievo del sangue, analisi delle urine e visita. Riscontrata la presenza di derivati dalla cannabis nelle urine, finì a processo. Ma ieri si è difeso.
Perché – hanno sostenuto i suoi consulenti – per essere alterati dalle sostanze stupefacenti, queste devono essere in circolo nel sangue. Cosa che accade, una volta assunta della marijuana, fino a sei ore dopo il consumo. Se le tracce di droga sono nelle urine significa che sono già in fase d’espulsione. Ma lì possono stare per giorni interi. Ergo: l’analisi delle urine non prova lo stato d’alterazione al momento della guida, prova solo che si è fumato, chissà poi quanto tempo prima. Questa la tesi della difesa, rappresentata dall’avvocato Franco Giampà, accolta dal giudice Corrado Pascucci: il giovane è stato assolto
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