Ormai da diversi anni si discute sul possibile uso dei derivati della canapa indiana ai fini terapeutici in diverse patologie neurodegenerative come, ad esempio la sclerosi multipla e i traumi cranici e del midollo spinale. La letteratura a favore è molto vasta e istituti come l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti e la British Medical Association, così come il comitato per la scienza e la tecnologia della Camera dei Lord inglese, si sono schierati a favore dell’uso terapeutico della cannabis.
Sull’argomento è intervenuto di recente anche Diego Centone, laureato in Medicina e specialista in Neurologia e Psichiatria, in un’intervista per il Corriere della Sera. Rientrato in Italia nel 1999, Centone si è occupato dello studio dei correlati sinaptici di malattie neurodegenerative quali la malattia di Parkinson e la malattia di Huntington. Recentemente, questa esperienza lo ha portato a studiare come la trasmissione sinaptica venga modificata dal processo infiammatorio tipico della sclerosi multipla, evidenziando il legame esistente tra specifiche citochine infiammatorie e il danno neurodegenerativo.
Attualmente è responsabile del Centro di riferimento regionale per la sclerosi multipla al Policlinico Universitario di tor Vergata di Roma e coordina, insieme al professor Marco Solvetti, il Centro inter-universitario per le terapie neurologiche sperimentali (CENTERS). È ricercatore dell’Associazione italiana sclerosi multipla.
“Le indicazioni riconosciute o comunque prese in considerazione quando si parla di farmaci cannabinoidi, sono moltissime: vanno dalla spasticità al dolore, al controllo del glaucoma e all’inappetenza o al vomito neoplastico e a tante altre. Senz’altro le sperimentazioni sono molto convincenti e hanno raggiunto dei livelli di evidenza scientifica ormai solida, soprattutto per quello che riguarda il controllo del dolore e della spasticità nella sclerosi multipla”
L’utilizzo potenziale di farmaci cannabinoidi non si limita a questo: “Forse per altre tre patologie i dati non sono così forti e convincenti con studi clinici randomizzati, ma mi sembra ci siano pochi dubbi sul fatto che i cannabinoidi possano rappresentare una risorsa, nel controllo ad esempio dell’iperattività vescicale sempre nella sclerosi”.
Centone rivela di avere un’esperienza diretta di terapie con cannabinoidi di lunga data, con risultati spesso confortanti: “sono convinto che non siano la risposta definitiva a tanti problemi, neanche alla spasticità o al dolore, però comunque in uno scenario in cui davvero strumenti terapeutici efficaci e risolutivi non ce ne sono, i cannabinoidi possono essere considerati una risorsa interessante visto che hanno anche un profilo di sicurezza molto alto e un profilo di tossicità molto basso o inesistente”.
Anche in merito al dibattito tra le diverse fazioni che ha accompagnato la proposta toscana, Centone spiega che nella comunità scientifica, in particolare tra chi si occupa di sclerosi multipla, c’è accordo: “Già sappiamo ad esempio che i cannabinoidi nella sclerosi multipla funzionano solo nel 50 percento della popolazione che ne fa uso, quindi c’è una percentuale molto alta di pazienti, 1 su 2, che non trae alcun beneficio, ma non essendoci modo di predire in anticipo è evidente che c’è necessità certo di un controllo medico continuo per poter verificare se il cannabinoide può autenticamente rappresentare una risorsa terapeutica per una paziente oppure no, visto comunque che molti pazienti non rispondono clinicamente”.
Risulta evidente, quindi, la necessità di un continuo monitoraggio clinico e verifica dell’efficacia, “quindi è giusto che il medico sia coinvolto in questo e non si affidi solo al paziente la responsabilità e l’onere di autodosarsi e di autoprescriversi la terapia. Detto questo, credo che un’apertura verso questa classe farmacologia si debba fare”.
Un’altra espressione che spesso viene associata ai farmaci cannabinoidi è quella di “sostanze a rischio”. Centone, in merito, rivela che esiste un reale rischio di sovradosaggio o sottodosaggio a seconda che per la preparazione dei farmaci vengano usate piante cresciute in un Paese piuttosto che in un altro. “Questo è un aspetto sicuramente problematico, ma mi sembra il minore dei problemi in un momento in cui chi voglia avere accesso a questi farmaci riesce ad averlo, se se lo può permettere e se corre dei rischi. C’è davvero una fetta molto grossa di pazienti che trarrebbe beneficio da questi farmaci, perché non esistono alternative terapeutiche ancora e quindi davvero fermarsi soltanto perché possono esserci problemi o la difficoltà di stimare il quantitativo di farmaci in alcune preparazioni ed eventualmente avere dei sovradosaggi mi sembra eccessivo. A mia memoria, non è mai morto nessuno di sovradosaggio di cannabis”.
La ricerca sulla sclerosi multipla è da tempo impegnata in questo settore: le prime esperienze di beneficio su spasticità e dolore sono nate all’interno della comunità dei pazienti, a cui sono seguiti trial clinici randomizzati con risultati significativi. Ormai la fase di sperimentazione è alle spalle: “In Spagna, da qualche mese, e in Canada, da più tempo, è stato approvato un farmaco per la spasticità che è una combinazione di THC e cannabidiolo e presto approderà anche in Italia. La strada da seguire è questa: non si può dare un qualunque preparato di cannabinoide a chiunque lo chieda, ma solo un preparato specifico che abbia superato i trial clinici necessari per documentarne l’efficacia, con l’indicazione specifica di una specifica malattia”.
di Valerio Timi
Fonte: CorriereWeb.net