Mkb
07-06-11, 14:36
La politica dello struzzo!
Di seguito le dichiarazioni del DPA (in corsivo) sulla conferenza della Global Commission (in neretto le nostre osservazioni)
In risposta alle dichiarazioni in merito alle proposte di legalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti, in aperta opposizione con le attuali politiche antidroga portate avanti da tutte le Nazioni Unite, lanciate da una altisonante quando sedicente “commissione globale sulle politiche sulla droga”, composta da persone particolarmente note quali intellettuali, attori, cantanti, ex-funzionari dell’ONU ed ex-presidenti di Stato,
Ci risultano oltremodo scandalosi, il termine “sedicente” riferito ad una Commissione Internazionale, il senso denigratorio che viene attribuito in questo caso ad artisti di fama mondiale e ai ripetuti “ex” volgarmente usati per evidenziare la loro incapacità decisionale!
Vorremmo dialogare con persone meno faziose e degne del ruolo pubblico che ricoprono!
il Dipartimento così interviene:
1. Non può essere minimamente condivisa la proposta della legalizzazione del commercio e dell’uso delle droghe (a partire dalla cannabis) quale principale soluzione alla diffusione della droga nel mondo.
50 anni di proibizionismo non hanno minimamente scalfito il mercato della droga che, anzi, è aumentato secondo le stime della Commissione di svariati milioni di consumatori in tutto il mondo, quindi serve trovare una strategia diversa che realmente voglia contrastare la diffusione e il mercato criminale che ne detiene il monopolio.
2. La posizione ufficiale del nostro governo relativamente alle politiche antidroga, ben espressa nel Piano di Azione Nazionale approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ottobre 2010, riconosce prima di tutto che la tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile. Pertanto, tutte le politiche e le strategie sono impostate a riconoscere che tale condizione costituisce, oltre un problema sociale e di sicurezza, anche un serio problema di sanità pubblica che riguarda non solo la salute delle persone dipendenti dalle droghe, ma anche terze persone che possono venire danneggiate dai loro comportamenti a rischio mediante, per esempio, la guida di autoveicoli o lo svolgimento di lavori che comportino rischi per terzi. L’assumere sostanze stupefacenti non può essere considerato come facente parte dei diritti individuali della persona, proprio per le conseguenze che questo comportamento può avere anche sui diritti degli altri.
Continuiamo ad affermare, supportati da ricercatori illustri come il prof. Gessa e il prof. Grassi, che la cannabis non crea alcun problema di tossicodipendenza.
Come difensori dei diritti civili ribadiamo che in ambito privato ognuno ha il diritto di comportarsi come vuole, senza ledere chiaramente la sicurezza e il senso etico e che coltivare e consumare cannabis in proprio dovrebbe essere lecito come lo è detenere quantità di alcool o tabacco e usarlo responsabilmente e consapevolmente.
Per quanto riguarda gli alcolisti, o dipendenti da eroina o cocaina, possiamo solo esprimere la nostra opinione che è simile a quella della Global Commission: “qualsiasi problema legato alla tossicodipendenza va trattato in ambito sanitario e non legale”.
3. Contemporaneamente, azioni illegali quali la produzione, il commercio e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, costituiscono un rilevante problema di sicurezza pubblica a cui è necessario dare risposte concrete e permanenti in termini di prevenzione e contrasto, senza criminalizzazione delle persone tossicodipendenti per il loro uso di sostanze (così come specificatamente già previsto dalla normativa italiana in materia).
Abbiamo già presentato in precedenza un’ampia documentazione di come quanto affermato dal DPA non corrisponda alla verità.
Ogni anno vengono sottoposti a procedura penale migliaia di cittadini rei di coltivare poche piante per uso personale o piccoli consumatori costretti a servirsi del mercato illegale.
Specialmente i consumatori e i coltivatori in proprio di cannabis (dai 5 ai 10 arresti al giorno) non creano di fatto alcun rilevante problema di sicurezza pubblica eppure vengono criminalizzati, perseguiti e processati nonostante quanto previsto dalla “normativa italiana in materia”
4. I tossicodipendenti, in quanto tali, non vengono e non devono essere quindi trattati come criminali ma come malati bisognosi di cure a cui lo Stato italiano e le Regioni garantiscono gratuitamente un’ampia gamma di offerte terapeutiche sia in regime di libertà che all’interno delle carceri, nel caso queste persone vi si trovino per aver commesso dei reati (tra i quali nel nostro paese non è contemplato l’uso di sostanze). La legislazione italiana prevede espressamente che i tossicodipendenti in carcere possano e debbano essere curati (su adesione volontaria) in carcere e possano anche uscire dal carcere per curarsi presso strutture socio-sanitarie esterne in alternativa alla pena.
Non esiste nessun caso, se non nei pochi di accettazione volontaria e quindi di predisposizione, in cui si possano registrare soddisfacenti risultati nei confronti della tossicodipendenza da parte di tossicodipendenti costretti a subire trattamenti terapeutici nelle carceri o nei centri di riabilitazione dove pur sussiste una condizione coatta.
La prevenzione e la cura avvengono non nella somministrazione di psicofarmaci, ma attraverso un’opera di educazione sociale sull’uso e l’abuso come è avvenuto per l’alcol nel nostro Paese.
5. Il Dipartimento ritiene inoltre che tutte le cure debbano essere fortemente orientate al recupero integrale della persona e che debbano sempre essere associate alla prevenzione delle patologie correlate quali l’infezione da HIV, le epatiti, la TBC e le overdose. Queste azioni devono essere considerate atti dovuti dai sistemi sanitari per la tutela della salute, non solo delle persone tossicodipendenti ma dell’intera comunità. La politica di “harm reduction” (riduzione del danno), se applicata da sola e al di fuori di un contesto sanitario orientato alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento delle persone, risulta, nel lungo termine, fallimentare e di scarso effetto preventivo, oltre al fatto che è in grado di cronicizzare lo stato di tossicodipendenza.
Le attuali cure basate sull’uso di psicofarmaci o palliativi delle droghe come il metadone, associate allo stato di detenzione o semidetenzione nelle comunità terapeutiche, sono assolutamente anacronistiche e controproducenti,
La reazione psicologica delle persone in cura contro la propria volontà e costretta ad uno stato detentivo acutizza di fatto il bisogno di evasione psichica, con il risultato di
o cronicizzare la terapia o renderla inefficace a detenzione scontata.
6. Va chiaramente evidenziato che le vere misure che si sono dimostrate realmente efficaci nel medio e lungo termine per la riduzione del rischio infettivo (HIV, Epatiti, TBC, ecc.) e delle overdose, sono le terapie per la dipendenza e quelle antiretrovirali che devono quindi essere offerte quanto più precocemente possibile anche attivando un contatto attivo e precoce con le persone che fanno uso di droghe.
Le problematiche riportate in questo punto non possono riguardare gli assuntori di cannabis, non sussistendo alcuna relazione tra l’uso partecipato ed il diffondersi di patologie gravi quali HIV, epatiti o TBC, per non parlare dell’inesistenza di casi di overdose.
7. L’uso di sostanze stupefacenti, soprattutto nei giovani e sulla base delle evidenze scientifiche sempre più numerose anche nel campo delle neuroscienze, deve essere considerato, da un punto di vista sanitario, un comportamento ad alto rischio per la salute e quindi assolutamente da evitare creando e mantenendo campagne di prevenzione, di sostegno alla famiglia e alla scuola, ma contemporaneamente anche deterrenti sociali, legali e movimenti culturali antidroga positivi, affinché si realizzi e si mantenga un alto grado di disapprovazione sociale di tale consumo. Questo importante fattore è effettivamente in grado di produrre una riduzione dei consumi, soprattutto di marijuana (spesso droga di iniziazione verso l’uso di altre droghe quali cocaina ed eroina), tra gli adolescenti, come è stato scientificamente dimostrato da studi trentennali.
Checché ne dica il DPA il consumo di droghe, compresa la cannabis che stentiamo a definire tale, è in continuo aumento e l’unico metodo da applicare affinché le giovani generazioni sappiano comprendere e discernere, è riportare la cannabis nella tabella delle “droghe leggere” e regolamentare la piccola coltivazione domestica.
In questo modo non esisterebbe più l’accostamento con il mercato criminale e verrebbe meno la possibilità di reperire allo stesso mercato anche droghe reali e letali, come è stato statisticamente dimostrato da studi cinquantennali.
(http://www.legalizziamolacanapa.org/?p=2194)
Di seguito le dichiarazioni del DPA (in corsivo) sulla conferenza della Global Commission (in neretto le nostre osservazioni)
In risposta alle dichiarazioni in merito alle proposte di legalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti, in aperta opposizione con le attuali politiche antidroga portate avanti da tutte le Nazioni Unite, lanciate da una altisonante quando sedicente “commissione globale sulle politiche sulla droga”, composta da persone particolarmente note quali intellettuali, attori, cantanti, ex-funzionari dell’ONU ed ex-presidenti di Stato,
Ci risultano oltremodo scandalosi, il termine “sedicente” riferito ad una Commissione Internazionale, il senso denigratorio che viene attribuito in questo caso ad artisti di fama mondiale e ai ripetuti “ex” volgarmente usati per evidenziare la loro incapacità decisionale!
Vorremmo dialogare con persone meno faziose e degne del ruolo pubblico che ricoprono!
il Dipartimento così interviene:
1. Non può essere minimamente condivisa la proposta della legalizzazione del commercio e dell’uso delle droghe (a partire dalla cannabis) quale principale soluzione alla diffusione della droga nel mondo.
50 anni di proibizionismo non hanno minimamente scalfito il mercato della droga che, anzi, è aumentato secondo le stime della Commissione di svariati milioni di consumatori in tutto il mondo, quindi serve trovare una strategia diversa che realmente voglia contrastare la diffusione e il mercato criminale che ne detiene il monopolio.
2. La posizione ufficiale del nostro governo relativamente alle politiche antidroga, ben espressa nel Piano di Azione Nazionale approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ottobre 2010, riconosce prima di tutto che la tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile. Pertanto, tutte le politiche e le strategie sono impostate a riconoscere che tale condizione costituisce, oltre un problema sociale e di sicurezza, anche un serio problema di sanità pubblica che riguarda non solo la salute delle persone dipendenti dalle droghe, ma anche terze persone che possono venire danneggiate dai loro comportamenti a rischio mediante, per esempio, la guida di autoveicoli o lo svolgimento di lavori che comportino rischi per terzi. L’assumere sostanze stupefacenti non può essere considerato come facente parte dei diritti individuali della persona, proprio per le conseguenze che questo comportamento può avere anche sui diritti degli altri.
Continuiamo ad affermare, supportati da ricercatori illustri come il prof. Gessa e il prof. Grassi, che la cannabis non crea alcun problema di tossicodipendenza.
Come difensori dei diritti civili ribadiamo che in ambito privato ognuno ha il diritto di comportarsi come vuole, senza ledere chiaramente la sicurezza e il senso etico e che coltivare e consumare cannabis in proprio dovrebbe essere lecito come lo è detenere quantità di alcool o tabacco e usarlo responsabilmente e consapevolmente.
Per quanto riguarda gli alcolisti, o dipendenti da eroina o cocaina, possiamo solo esprimere la nostra opinione che è simile a quella della Global Commission: “qualsiasi problema legato alla tossicodipendenza va trattato in ambito sanitario e non legale”.
3. Contemporaneamente, azioni illegali quali la produzione, il commercio e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, costituiscono un rilevante problema di sicurezza pubblica a cui è necessario dare risposte concrete e permanenti in termini di prevenzione e contrasto, senza criminalizzazione delle persone tossicodipendenti per il loro uso di sostanze (così come specificatamente già previsto dalla normativa italiana in materia).
Abbiamo già presentato in precedenza un’ampia documentazione di come quanto affermato dal DPA non corrisponda alla verità.
Ogni anno vengono sottoposti a procedura penale migliaia di cittadini rei di coltivare poche piante per uso personale o piccoli consumatori costretti a servirsi del mercato illegale.
Specialmente i consumatori e i coltivatori in proprio di cannabis (dai 5 ai 10 arresti al giorno) non creano di fatto alcun rilevante problema di sicurezza pubblica eppure vengono criminalizzati, perseguiti e processati nonostante quanto previsto dalla “normativa italiana in materia”
4. I tossicodipendenti, in quanto tali, non vengono e non devono essere quindi trattati come criminali ma come malati bisognosi di cure a cui lo Stato italiano e le Regioni garantiscono gratuitamente un’ampia gamma di offerte terapeutiche sia in regime di libertà che all’interno delle carceri, nel caso queste persone vi si trovino per aver commesso dei reati (tra i quali nel nostro paese non è contemplato l’uso di sostanze). La legislazione italiana prevede espressamente che i tossicodipendenti in carcere possano e debbano essere curati (su adesione volontaria) in carcere e possano anche uscire dal carcere per curarsi presso strutture socio-sanitarie esterne in alternativa alla pena.
Non esiste nessun caso, se non nei pochi di accettazione volontaria e quindi di predisposizione, in cui si possano registrare soddisfacenti risultati nei confronti della tossicodipendenza da parte di tossicodipendenti costretti a subire trattamenti terapeutici nelle carceri o nei centri di riabilitazione dove pur sussiste una condizione coatta.
La prevenzione e la cura avvengono non nella somministrazione di psicofarmaci, ma attraverso un’opera di educazione sociale sull’uso e l’abuso come è avvenuto per l’alcol nel nostro Paese.
5. Il Dipartimento ritiene inoltre che tutte le cure debbano essere fortemente orientate al recupero integrale della persona e che debbano sempre essere associate alla prevenzione delle patologie correlate quali l’infezione da HIV, le epatiti, la TBC e le overdose. Queste azioni devono essere considerate atti dovuti dai sistemi sanitari per la tutela della salute, non solo delle persone tossicodipendenti ma dell’intera comunità. La politica di “harm reduction” (riduzione del danno), se applicata da sola e al di fuori di un contesto sanitario orientato alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento delle persone, risulta, nel lungo termine, fallimentare e di scarso effetto preventivo, oltre al fatto che è in grado di cronicizzare lo stato di tossicodipendenza.
Le attuali cure basate sull’uso di psicofarmaci o palliativi delle droghe come il metadone, associate allo stato di detenzione o semidetenzione nelle comunità terapeutiche, sono assolutamente anacronistiche e controproducenti,
La reazione psicologica delle persone in cura contro la propria volontà e costretta ad uno stato detentivo acutizza di fatto il bisogno di evasione psichica, con il risultato di
o cronicizzare la terapia o renderla inefficace a detenzione scontata.
6. Va chiaramente evidenziato che le vere misure che si sono dimostrate realmente efficaci nel medio e lungo termine per la riduzione del rischio infettivo (HIV, Epatiti, TBC, ecc.) e delle overdose, sono le terapie per la dipendenza e quelle antiretrovirali che devono quindi essere offerte quanto più precocemente possibile anche attivando un contatto attivo e precoce con le persone che fanno uso di droghe.
Le problematiche riportate in questo punto non possono riguardare gli assuntori di cannabis, non sussistendo alcuna relazione tra l’uso partecipato ed il diffondersi di patologie gravi quali HIV, epatiti o TBC, per non parlare dell’inesistenza di casi di overdose.
7. L’uso di sostanze stupefacenti, soprattutto nei giovani e sulla base delle evidenze scientifiche sempre più numerose anche nel campo delle neuroscienze, deve essere considerato, da un punto di vista sanitario, un comportamento ad alto rischio per la salute e quindi assolutamente da evitare creando e mantenendo campagne di prevenzione, di sostegno alla famiglia e alla scuola, ma contemporaneamente anche deterrenti sociali, legali e movimenti culturali antidroga positivi, affinché si realizzi e si mantenga un alto grado di disapprovazione sociale di tale consumo. Questo importante fattore è effettivamente in grado di produrre una riduzione dei consumi, soprattutto di marijuana (spesso droga di iniziazione verso l’uso di altre droghe quali cocaina ed eroina), tra gli adolescenti, come è stato scientificamente dimostrato da studi trentennali.
Checché ne dica il DPA il consumo di droghe, compresa la cannabis che stentiamo a definire tale, è in continuo aumento e l’unico metodo da applicare affinché le giovani generazioni sappiano comprendere e discernere, è riportare la cannabis nella tabella delle “droghe leggere” e regolamentare la piccola coltivazione domestica.
In questo modo non esisterebbe più l’accostamento con il mercato criminale e verrebbe meno la possibilità di reperire allo stesso mercato anche droghe reali e letali, come è stato statisticamente dimostrato da studi cinquantennali.
(http://www.legalizziamolacanapa.org/?p=2194)