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Discussione: In via d'estinzione

  1. #11
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    Studio prevede riduzione territorio del 40% entro fine secolo

    Roma, 17 lug. (TMNews) - Il leopardo delle nevi, di cui sarebbero rimasti circa 500 esemplari allo stato brado, è minacciato dall'aumento delle temperature sull'Himalaya che riducono il suo habitat naturale. I cambiamenti climatici spingono infatti le foreste dentro il territorio dei leopardi, i quali potrebbero perdere fino al 40% delle loro aree di caccia per la fine del secolo, secondo l'allarme lanciato dal Wwf. "La perdita dell'habitat alpino, non significa solo meno spazio per i leopardi delle nevi, ma anche il potenziale avvicinamento alle attività umane, come i pascoli di bestiame", ha spiegato l'esperto e co-autore dello studio Rinjan Shresthta. "Mentre i pascoli aumentano e le prede naturali dei leopardi diminuiscono, i felini potrebbero cominciare a dare la caccia al bestiame, con il rischio di uccisioni per vendetta", ha aggiunto. Secondo gli esperti, sono appena 500 gli esemplari adulti di leopardo delle nevi che sopravvivono sull'Himalaya. Questi animali vivono nelle zone montuose elevate e in quella dei prati alpini asiatici, al di sopra del limite degli alberi, solitamente sotto i 5mila metri. Gli scienziati hanno utilizzato dei modelli informatici per analizzare i cambiamenti e hanno seguito i movimenti dei felini e degli altri abitanti sul terreno in Nepal: il peggiore scenario possibile vede il territorio di 20mila metri quadri del leopardo delle nevi ridursi a 11.700 mq entro la fine del secolo.



    http://www3.lastampa.it/ambiente/sez...o/lstp/462756/
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    "Rammentiamoci sempre che ogni qualvolta lasciamo scritto qualcosa,si lascia solo delle parole messe li,ognuno poi le interpreta come vuole,non é la stessa conversazione fatta faccia a faccia .." cit. Dantep

  2. #12
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    “Ci sono pescatori che se li bendi e li porti in alto mare, dove non si vede la costa, ti sanno dire esattamente dove sono e quanto è profondo il mare in quel punto”. Bastano poche parole dello storico della marineria Augusto Aliffi per dare l’idea di quel mondo antico e affascinante in cui si muovono, o sarebbe meglio dire si muovevano, i pescatori di Siracusa. Un mondo che sta scomparendo e che, in parte, rivive in Thalassa. Uomini e mare, documentario prodotto da MySiracusae, opera prima di Gianluca Agati, promettente documentarista siracusano. E il mensile on line lo ha intervistato.

    Il documentario dura 26 minuti, non è molto lungo ma è piuttosto denso. Hai messo molta carne al fuoco. Si parte dalla scomparsa di un mestiere e di un mondo più in generale per poi, indagandone le cause, arrivare a parlare di problemi che hanno un’altra dimensione, come la scomparsa del tonno rosso e le devastazioni ambientali inferte al Mediterraneo.

    Si è vero, in Thalassa ho toccato almeno quattro temi ciascuno dei quali avrebbe meritato un intero documentario da solo. Qui non si parla solo di marineria siracusana, ma anche di alimentazione, della necessità di promuovere il consumo di certe specie piuttosto che di altre, di economia e di ambiente.

    E allora procediamo con ordine. In Thalassa come prima cosa racconti la scomparsa di mestieri, quelli legati alla pesca, e la scomparsa di un mondo.

    Certi mestieri hanno cominciato a scomparire molti anni fa, negli anni Quaranta, più o meno, con l’arrivo dell’industria chimica, quando, molto prima dei russi di adesso, arrivarono i Moratti, che fecero i primi investimenti ad Augusta, per la grande gioia dei primi governi democristiani locali ma anche della popolazione. Questo ha avuto un profondo impatto sociale, perché in molti preferirono alla fatica nel cantiere navale o a una vita da pescatore, senza la certezza di un guadagno, la sicurezza di una vita da impiegato, con tredicesima, servizio mensa, e tutto ciò che comportava, come maggiori possibilità di accendere un mutuo, comprare casa. Sia chiaro, la mia non è una critica. Ma questo, a lungo andare, dopo quaranta, cinquant’anni, oltre ai danni ambientali che ha procurato, ha trasformato il tessuto della città. Adesso si parla di Erg, di rigassificatori, di raffinazione di benzina, non si parla più di pesca tradizionale. La città non ha più la stessa anima.

    Rimanendo alla questione sociale, prima di affrontare quella ambientale, quali sono i danni prodotti da questa trasformazione? Cosa si è perso con questi pescatori, che nel documentario emergono come personaggi meravigliosi?

    Sono gli ultimi, considera che tra le nuove generazioni di pescatori non ci sono più italiani. Se fai un giro, scoprirai che sono tutti nordafricani. Tra Siracusa e Bengasi ci sono sempre stati traffici. Un sacco di siracusani hanno lavorato giù con la pesca, e ora c’è un sacco di gente che ha effettuato il percorso inverso. Però adesso non trovi più il ragazzetto ma nemmeno il trentenne italiano, siciliano che pesca. A Siracusa non ne trovi, a sud verso Marzameli c’è ancora qualcosa. La maggior parte sono stranieri. I vecchi sono gli ultimi e sono loro che parlano nel documentario. Quindi direi che si è perso un patrimonio culturale. Però, ripeto, capisco perfettamente le ragioni per le quali sono stati abbandonati certi mestieri, perché, oltre che molto faticosi, da un punto di vista economico non offrivano nemmeno troppe sicurezze. Quello che pesca con le nasse nel video dice che se la battuta di pesca andava male, magari per il maltempo, loro a casa dovevano stringere la cinghia, perché si tornava con poca roba.

    Guardando il documentario però viene il sospetto che non tutto sia imputabile all’industria.

    No, infatti, c’è da fare un discorso più ampio, ed è poi questa la ragione che mi ha spinto a farmi dare da Greenpeace l’autorizzazione ad usare alcuni suoi video. Se tu abiti in un paesino che vive della tonnara ma a un certo punto di tonni non ne vedi più, perché c’è qualcun altro che ha molti più soldi, barche gigantesche, elicotteri, che si apposta a Gibilterra, nel punto in cui passano i tonni, e li prende tutti, il paesino muore, è costretto a reimpostare la sua economia.

    In concreto cosa è successo?

    Le cose sono cambiate quando il Giappone ha fatto degli investimenti mostruosi con l’avallo di tutti i Paesi del Mediterraneo, i cui pescatori pescano per i giapponesi. Gli stessi siciliani che vanno a pescare il tonno di frodo, o non rispettando le quote stabilite dall’Iccat (International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna, ndr), subito dopo lo rivendono ai giapponesi. In questo modo le tonnare fisse non hanno più motivo di esistere. E così un altro pezzo di storia scompare. Con le battute di pesca tradizionali, se il banco di tonni conta – supponiamo – cinquecento esemplari, ne puoi prendere duecento, trecento, quattrocento se sei davvero fortunato, ma comunque cento non li prendi. Con la tecnologia messa in campo dai giapponesi invece non c’è possibilità di errore: hanno radar, usano elicotteri per l’avvistamento dall’alto del banco, che viene così accerchiato e preso in blocco. Non si salva mai nessun esemplare. In questo modo prima o poi i tonni finiranno.

    Da quanto tempo sono presenti i giapponesi nel Mediterraneo?

    Da quel che mi risulta, dai primi anni anni Novanta. Il pesce viene pescato nel modo che ho descritto prima e poi può essere lavorato subito sulle navi fattoria: allora viene ucciso, dissanguato, trasformato, inscatolato e spedito subito. Quando però la pezzatura è sottodimensionata, il pesce viene trasferito in uno degli allevamenti. Nell’Adriatico ce ne sono una quantità incredibile. La più alta concentrazione ce l’ha Malta. Mi dispiace non aver potuto inserire nel documentario, perché troppo sgranate, le immagini girate sott’acqua che mostrano cosa rimane sul fondale dopo che concentri diecimila tonni all’interno di un cerchio e dai loro da mangiare tonnellate di pezzame, mangime, acciughe, medicine e porcherie varie. I danni ambientali, gravi, si vedono chiaramente: su quei fondali sembra che siano passati gli alieni.

    Eppure il tema non è molto noto né dibattuto.

    Purtroppo in materia non ci sono politiche efficaci a livello comunitario, anche perché tutti i Paesi del Mediterraneo hanno da guadagnarci. Inoltre qui non parliamo di imprese di piccole dimensioni. I giapponesi sono presenti con veri e propri colossi. Il più grande si chiama Mitsubishi ed è proprio quello che costruisce le macchine e che avendo la possibilità di contare su impianti di stoccaggio, ha creato delle riserve di tonno, cosa che le permette di controllare il prezzo mondiale del prodotto. Più il tonno comincia a scarseggiare nei mari, più Mitsubishi acquista potere e riesce a condizionare il prezzo.

    Prima dei titoli di coda, compaiono le cifre, sconcertanti, che raccontano il disastro in corso. Tra il 1957 e il 2007 la presenza del tonno nel Mediterraneo è diminuita del 74,2 per cento. Continuando così, nel 2015 nove tonni su dieci saranno scomparsi.

    Si, e considera che sono dati vecchi di due anni.

    http://www.eilmensile.it/2012/07/21/...-non-si-parla/

    Che tristezza...
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    "Rammentiamoci sempre che ogni qualvolta lasciamo scritto qualcosa,si lascia solo delle parole messe li,ognuno poi le interpreta come vuole,non é la stessa conversazione fatta faccia a faccia .." cit. Dantep

  3. #13
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    e pensare che fino a qualche anno fa c'era le foche monache in sardegna, ora sono solo un ricordo...
    per quanto riguarda il legno ci sono varie alternative, una delle migliori è il bambù visto che in pochissimo tempo ricresce, ci sono poi coltivazioni certificate FSC che producono legno proveniente solo da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
    io lavoro in una struttura ECO e abbiamo tutti questi tipi di legno per mobili o parquette...
    Coltivare erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data allora vuoi dire che anche Dio non è legale?
    (Bob Marley)

  4. #14
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    Le nostre generazioni, dovranno vedere l'estinzione di questo stupendo animale? La crisi non aiuta sicuramente, vedo già gli speculanti avvoltoi sui parchi naturali spagnoli, ultimo rifugio della Lince.. Mi vengono le lacrime, noi dovremmo estinguerci

    Lynx pardinus


    Stato di conservazione
    Critico

    Areale della specie nel 1980 e nel 2003
    La lince pardina, Lynx pardinus (Temminck, 1827), è una specie in pericolo critico originaria della penisola iberica, in Europa meridionale. È il felino più minacciato del mondo[3]. Secondo il gruppo di conservazione SOS Lynx, se questa specie si estinguesse si tratterebbe della prima estinzione di felino dai tempi della scomparsa dello Smilodon 10.000 anni fa[4]. In passato gli studiosi erano soliti considerarla una sottospecie della lince comune (Lynx lynx), ma ora la ritengono una specie separata. Entrambe le specie erano diffuse in Europa centrale durante il Pleistocene, non entrando mai in competizione tra loro vivendo in habitat differenti[5]. Si ritiene che la lince pardina si sia evoluta da Lynx issiodorensis.

    Sotto molti aspetti la lince pardina ricorda altre specie di linci, con la coda corta, i pennacchi sulle orecchie e i ciuffi di pelo al di sotto del mento. Mentre la lince comune è ricoperta da chiazze piuttosto pallide, quella pardina presenta una serie di caratteristiche macchie, simili a quelle del leopardo, che spiccano sul pelo color grigio chiaro o bruno-giallastro chiaro. Anche la pelliccia è molto più corta di quella delle altre linci, adattatesi generalmente a vivere in ambienti più freddi[7]. Alcune popolazioni occidentali erano prive di macchie, ma si sono estinte recentemente.
    La lunghezza testa-corpo è di 85 - 110 cm, mentre quella della coda, piuttosto corta, è di 12 - 30 cm; l'altezza al garrese si aggira sui 60 - 70 cm. I maschi, più grandi delle femmine, pesano circa 12,9 kg, sebbene alcuni esemplari abbiano raggiunto i 26,8 kg; le femmine, invece, raramente superano i 9,4 kg; le dimensioni della specie, quindi, sono solo la metà di quelle della lince comune[5][8][9].
    Come tutti i felini, la lince pardina ha quattro gruppi di vibrisse: due sulle orecchie e due sul mento. Esse vengono utilizzate per individuare le prede. I ciuffi di pelo sulle orecchie consentono alla lince di percepire meglio le fonti sonore; se privata di esse, il suo senso dell'udito diminuisce enormemente. I margini dei piedi sono ricoperti da peli molto lunghi che le permettono di muoversi silenziosamente sulla neve.

    Ecologia
    La lince pardina è più piccola delle sue parenti settentrionali e generalmente caccia animali di dimensioni inferiori, solitamente non più grandi di una lepre. Anche l'habitat in cui vive è differente: abita infatti nelle macchie aperte e non nelle foreste come la lince comune[5].
    Al crepuscolo va a caccia di mammiferi (compresi roditori e insettivori), uccelli, rettili e anfibi. La sua preda principale è costituita dal coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus; 79,5 - 86,7% del totale); lepri (Lepus granatensis; 5,9%) e roditori (3,2%) sono meno comuni[5]. Un maschio necessita di almeno un coniglio al giorno, mentre una femmina con i piccoli ne deve catturare almeno tre[10].
    Dal momento che in Spagna e Portogallo le popolazioni di conigli sono molto diminuite, la lince pardina è spesso costretta ad attaccare giovani daini, caprioli, mufloni ed anatre. Compete per le prede con la volpe rossa, il meloncillo (Herpestes ichneumon) ed il gatto selvatico. È un animale solitario e va a caccia da sola; insegue le sue prede o attende per ore dietro un cespuglio o una roccia che le passino sufficientemente vicino per balzarle addosso in pochi passi.
    Questo animale, soprattutto se in compagnia di esemplari più giovani, si sposta molto e può compiere spostamenti che superano i 100 km. Il territorio (di circa 10 - 20 km2) dipende strettamente dalla disponibilità di cibo[10]. Tuttavia, una volta stabilitone i confini, spesso costituiti da strade e sentieri costruiti dall'uomo, il territorio tende a mantenere le stesse dimensioni per molti anni. La lince lo marca con l'urina, con mucchi di escrementi deposti tra la vegetazione o con vistosi graffi sulla corteccia degli alberi[7].

    Riproduzione
    Un esemplare nel Parco Nazionale di Doñana
    Durante la stagione degli amori la femmina lascia il proprio territorio alla ricerca di un maschio. Il periodo di gestazione dura di norma circa due mesi; i piccoli nascono tra marzo e settembre, con un picco delle nascite in marzo ed aprile. La cucciolata tipica comprende due o tre piccoli (più raramente uno, quattro o cinque) che pesano 200 - 250 g.
    Essi diventano indipendenti a 7 - 10 mesi d'età, ma rimangono con la madre fino a 20 mesi. La loro sopravvivenza dipende in gran parte dalla disponibilità di prede. In natura sia i maschi che le femmine raggiungono la maturità sessuale a un anno d'età, sebbene in pratica è raro che si riproducano fino a quando non si sono stabiliti in un proprio territorio; è noto il caso di una femmina che non si riprodusse fino a quando non morì sua madre, quando ormai aveva già cinque anni. La longevità massima in natura è di 13 anni[5][9].
    I fratelli diventano sempre più violenti gli uni con gli altri tra i 30 e i 60 giorni d'età, raggiungendo un massimo di aggressività intorno ai 45 giorni. Non è raro che un unico piccolo uccida tutti gli altri fratelli in questi combattimenti brutali. Il motivo di questi scoppi di aggressività non è ben chiaro, ma molti studiosi ritengono che vada collegato ad un cambiamento ormonale che avviene quando i piccoli smettono di succhiare il latte della madre per iniziare a nutrirsi di carne. Altri ritengono che vada interpretato come una forma di gerarchia e di «sopravvivenza del più forte». Non sapendosi spiegare il perché, i conservazionisti devono tenere separati tra loro i piccoli fino a quando non hanno raggiunto i 60 giorni d'età.

    Habitat
    Fino alla metà del XIX secolo questa lince era diffusa in tutta la penisola iberica, ma ora il suo areale è ristretto ad alcune aree molto piccole e si riproduce in due sole zone dell'Andalusia, nella Spagna meridionale. La lince pardina predilige ambienti eterogenei costituiti da distese erbose aperte miste a macchie più fitte di corbezzolo, lentisco, ginepro e di alberi di leccio e di sughera. Al giorno d'oggi quasi tutti gli esemplari sopravvissuti si sono ritirati in zone montane, e nelle foreste di pianura o nella fitta macchia mediterranea si incontrano ormai solo pochi sparuti gruppi.

    Popolazione
    La lince pardina è una specie in pericolo critico[2]. È il felino più minacciato del mondo ed il carnivoro più minacciato d'Europa[11].
    Studi effettuati nel marzo del 2005 hanno stimato una popolazione inferiore ai 100 esemplari, rispetto ai circa 400 del 2000[12] ed ai 4000 del 1960[13]. Se la lince pardina si estinguesse si tratterebbe della prima specie di grande felino a scomparire dai tempi dell'estinzione dello Smilodon 10.000 anni fa.
    Le uniche popolazioni riproduttive vivono in Spagna e si ritiene che sopravvivano soltanto nel Parco Nazionale di Doñana e sulla Sierra di Andújar (Provincia di Jaén). Tuttavia, nel 2007, le autorità spagnole hanno annunciato la scoperta di una popolazione rimasta sconosciuta nel territorio di Castiglia-La Mancia (Spagna centrale)[14]. Successivamente tale popolazione è stata stimata a 15 esemplari[15].
    La lince pardina e gli habitat in cui vive godono della più completa protezione e anche la caccia legale è ormai vietata da lungo tempo. Le minacce che più gravano su di lei sono la distruzione dell'habitat, l'avvelenamento, gli incidenti stradali, i cani rinselvatichiti ed il bracconaggio. La distruzione dell'habitat è dovuta soprattutto all'aumento delle infrastrutture e allo sviluppo di centri urbani e di villeggiatura, nonché di monocolture, i quali vengono sempre più a frammentare l'areale della lince. Inoltre, va ricordato anche che le popolazioni di conigli, prede fondamentali della lince, sono notevolmente diminuite in seguito a malattie come la mixomatosi e la polmonite emorragica[16].

    Recupero
    Il 29 marzo del 2005, Saliega, la prima lince pardina ad essersi riprodotta in cattività, dette alla luce tre piccoli in piena salute al Centro di Riproduzione di Acebuche E1, nel Parco Nazionale di Doñana (Provincia di Huelva, Spagna)[17]. Sempre nello stesso luogo, ne partorì altri tre il 2 marzo del 2008. Questi piccoli nacquero dopo una gestazione di 64 giorni. Uno di loro venne rifiutato dalla madre e la Giunta del Dipartimento dell'Ambiente dell'Andalusia annunciò il 24 marzo che il piccolo era morto[18].
    Nell'area della Sierra Morena appena a nord di Andújar, in Andalusia, nel 2008 vennero individuati 150 esemplari, rispetto ai 60 del 2002. Con il risultato di questo incremento numerico, la zona di Andújar-Cardeña ha probabilmente raggiunto la sua capacità portante e così potrebbe venire utilizzata in futuro come serbatoio per prelevare esemplari da reintrodurre altrove. Oltre a questi successi di conservazione in situ sulla Sierra Morena, se ne sono avuti altri dovuti al buon andamento del programma di riproduzione ex situ, con la nascita di 52 esemplari, 24 dei quali a sua volta riprodottisi in cattività. La popolazione ex situ fornirà 20 - 40 esemplari ogni anno che verranno utilizzati per un programma di reintroduzione in natura che inizierà nel 2010. In ultimo, nel Parco Nazionale di Doñana, la popolazione di linci sembra essere rimasta stabile negli ultimi anni: tra il 2002 ed il 2008, infatti, ogni anno sono stati censiti intorno ai 50 esemplari. Il 20 marzo del 2009 è stata annunciata la nascita di altri tre piccoli nel Centro di Riproduzione del Parco[19]. I progetti di reitroduzione della lince pardina sono già iniziati nel 2009 nel Guadalmellato, ed altri nel Guarrizas sono già in programma per il 2010 - 11[3].
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    "Rammentiamoci sempre che ogni qualvolta lasciamo scritto qualcosa,si lascia solo delle parole messe li,ognuno poi le interpreta come vuole,non é la stessa conversazione fatta faccia a faccia .." cit. Dantep

  5. #15
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    La prima volta che ho visto Sharkwater, il finale in particolare, stavo per mettermi a piangere..è tristissimo quello che l'uomo riesce a fare agli altri esseri viventi

  6. #16
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    invece nelle mie zone, dopo anni di assenza, si sta ripopolando di linci!
    Coltivare erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data allora vuoi dire che anche Dio non è legale?
    (Bob Marley)

  7. #17
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    Non so da voi, ma da me è da anni che sono scomparse le coccinelle.. C'entra poco con l'estinzione perché non credo siano in pericolo, ma dovrebbe quanto meno farci riflettere il fatto che degli animali che abbiamo sempre avuto intorno pian piano tendono a scomparire

  8. #18
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    Non so da voi, ma da me è da anni che sono scomparse le coccinelle.. C'entra poco con l'estinzione perché non credo siano in pericolo, ma dovrebbe quanto meno farci riflettere il fatto che degli animali che abbiamo sempre avuto intorno pian piano tendono a scomparire
    Se x quello dalle mie parti sono decisamente calate farfalle e lucciole
    Chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola

  9. #19
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    Vedi sono cose a cui uno non ci fa caso o lo fa a malapena, ma minchia dovrebbe far riflettere.. Vedere il mondo intorno che cambia dovrebbe indurre quanto meno a farsi delle domande, invece sembra non fregare un cazzo di niente a nessuno,.. Basta avere l iphone in mano, Poi se nel frattempo il mondo intorno sta morendo pazienza..

  10. #20
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    Vedi sono cose a cui uno non ci fa caso o lo fa a malapena, ma minchia dovrebbe far riflettere.. Vedere il mondo intorno che cambia dovrebbe indurre quanto meno a farsi delle domande, invece sembra non fregare un cazzo di niente a nessuno,.. Basta avere l iphone in mano, Poi se nel frattempo il mondo intorno sta morendo pazienza..
    Brutto da dire,ma purtroppo è così
    Chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola

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