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Discussione: nei dispensari di Denver

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    Mino Pausa

    -"la Nasa spende un sacco di soldi per andare sulla luna...io con 2 tiri vado e torno..."

    Jim Morrison

    -"Lascia che ti esca dal cuore la musica. E' da lì che viene”

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    Fatturati record dopo la legalizzazione dell’erba a scopo ricreativo. Ma il salto economico del Colorado è ancora frenato dai pregiudizi

    Chris e David nel loro negozio di cannabis a Denver. I dispensari offrono una scelta enorme di tipi di «erba» con effetti molto diversi tra loro


    19/08/2015
    FRANCESCO GUERRERA
    DENVER (COLORADO)
    La marijuana ha effetti imprevedibili. E non solo sulle persone. In Colorado - il bellissimo Stato delle montagne rocciose - la droga sta stimolando l’economia, creando una nuova industria e suscitando un dibattito sociale e culturale le cui conseguenze andranno ben al di là dei picchi che circondano Denver.

    Ho sfidato la noia delle praterie del Kansas, guidando ore e ore tra campi di grano senza segni di vita umana per piombare in un Colorado che di vita ne ha da vendere. Volevo capire se un’economia può veramente essere aiutata da una mossa radicale contro il proibizionismo. Ed essere testimone di un esperimento che ha già ispirato altri Stati e che potrebbe portare a cambiamenti profondi nel modo in cui gli Usa trattano le droghe leggere.

    REPORTAGE A PUNTATE - Gli Usa sulla strada della ripresa (di F. Guerrera)

    Legge ricreativa

    FOTOSEDE
    (Coltivare marijuana ha regole severe e procedimenti molto complicati: sono completamente banditi pesticidi e altre sostanze chimiche)

    La miccia di questa dinamite socio-economica fu accesa tre anni fa quando il Colorado, in un referendum, divenne il primo Stato degli Usa a legalizzare la marijuana per uso ricreativo, e non semplicemente medicinale, dal primo gennaio del 2014. Fu una decisione che fece scalpore a livello internazionale e provocò reazioni molto forti sia tra i fautori che tra gli avversari.

    Persino il governatore del Colorado John Hicknelooper, un democratico, si oppose. «Se avessi avuto una bacchetta magica, avrei cancellato il risultato» e dichiarò: «Non è una buona idea», ammiccando alle zone rurali e conservatrici del suo Stato.

    Ma attivisti come Rachel Gillette, uno dei pochi avvocati che aiutano il nuovo settore, considerano la vittoria nel referendum solo un piccolo passo verso il Sacro Graal: la liberalizzazione della marijuana a livello federale, per tutti gli americani. «È inevitabile che un giorno questa sostanza verrà trattata come l’alcol o il tabacco», mi ha detto.

    La tensione è comprensibile: la regolarizzazione di una sostanza stupefacente non è più una storia lontana, da raccontare dopo un viaggio in Olanda o una teoria da discutere dopo cena, ma una realtà che si può toccare, annusare, inalare. Dall’anno scorso, basta avere 21 anni per andare in uno dei tanti negozi del Colorado e comprare fino a un oncia di erba pura, di «sigarette» al vapore o di caramelle piene di marijuana. I «turisti del fumo» che hanno voglia di uno spinello devono solo prenotare l’aereo per Denver. E chi in Colorado ci vive, può persino coltivare le proprie piante, per quei giorni uggiosi quando proprio non ti va di andare al negozio.

    Un mondo che è stato sempre nel buio, agli angoli delle strade, tra sguardi furtivi e fasci di banconote, è diventato parte dell’ economia ufficiale, con regole, tasse e punti vendita accanto a lavanderie, fast food e meccanici.

    Business di successo

    FOTOSEDE
    (Nei negozi del Colorado la marijuana si può consumare sotto varie forme, non ultima quella dei dolcetti nazionali, i «brownies»impastati con piccole quantità di cannabis)

    Dopo meno di due anni, i numeri sono incoraggianti per il Colorado e gli altri tre Stati, più il distretto federale di Washington, che lo hanno seguito nella liberalizzazione totale (24 Stati più il distretto di Washington hanno liberalizzato la marijuana per uso medico).

    L’industria della marijuana del Colorado ha avuto un fatturato diretto – senza contare i benefici del turismo, i ristoranti ecc., di circa 700 milioni di dollari nel 2014, stando alle stime ufficiali. L’anno prossimo dovrebbe superare il miliardo di dollari. Non è tantissimo quando si considera che il prodotto interno lordo dello Stato è circa 300 miliardi di dollari, ma le tasse sulla marijuana, che in certi casi arrivano fino al 40% e che vanno a costruire scuole e altri progetti sociali, hanno già portato circa 80 milioni nelle casse dello Stato. La statistica forse più interessante, perché dà un’idea della domanda per il prodotto, è che il numero di negozi è raddoppiato da 156 a più di 300 nello spazio di dodici mesi.

    Dietro al bancone

    FOTOSEDE
    (Una vetrina di un negozio a Denver: nonostante il referendum pro legalizzazione in Colorado sono ancora molti gli oppositori alla legge)

    Ed è da lì che comincio. Da una casetta di legno di Boulder, la cittadina linda e pinta famosa per le fantastiche passeggiate di montagna e una mezza maratona che attrae concorrenti da tutto il mondo.

    Il piccolo edificio è un «dispensario», parola che è un retaggio del passato, quando la marijuana si poteva vendere solo a chi aveva la ricetta medica. Oggi è un mini-supermercato del fumo.

    Il proprietario mi chiede di non rivelare il nome perché le autorità del settore non amano gli articoli sui giornali. Annuisco, un po’ sorpreso da questa pignoleria per le regole in un settore che è tradizionalmente «contro». Ma è solo l’inizio.

    La signorina al bancone sembra una nipote dei fiori, con i capelli lunghi, gli stivaletti e il vestito con le margherite arancioni, ma è più fiscale di un arbitro di calcio. Mi chiede il documento due volte e si inventa pure una nuova regola che «per gli stranieri devo anche vedere il passaporto». Benvenuti nella nuova era della marijuana «libera»: dove una volta c’era il «free love», Woodstock e le canzoni di Joan Baez, ora c’è il controllo del passaporto.

    Dopo un po’, si apre un’altra porta e sono assalito da un odore pungente. Non quello tipico degli spinelli – nei dispensari, come in tutti i luoghi pubblici, non si può fumare. È più un effluvio di erbe misto a zolfo, come se qualcuno avesse versato troppa candeggina sul pavimento. Proviene dai tanti barattoli di vetro che mi circondano. Sono i contenitori dei «boccioli» di marijuana, pezzetti di pianta che somigliano a cavolfiori in miniatura.

    Mi viene presentato Charles, il mio «budtender» o «droghista», un barista della marijuana che mi può consigliare su cosa sia buono oggi. Charles ha una ventina d’anni, faceva il contadino in Georgia e, mi dice, aveva sempre avuto «la passione e l’interesse per il fumo». Ci credo, e non solo perché Charles non sbatte mai le palpebre. Il ragazzo è un’enciclopedia della cannabis. Mi spiega che il sistema è simile a quello della frutta e della verdura: dal coltivatore al negozio all’utente. «La differenza è che le regole su come far crescere la marijuana sono più toste. Non possiamo usare pesticidi o altre sostanze chimiche», dice come se stesse descrivendo una pesca.

    Mi chiede che cosa mi piaccia e quando gli rispondo che sono un novellino in questo campo, non si scompone. Mi elenca tutti i possibili effetti dei vari boccioli. «Questo ti tira su, ma riesci anche ad andare al lavoro, e nessuno dei tuoi colleghi se ne dovrebbe accorgere», dice usando le pinzette per mostrarmi un germoglio che si chiama «Flo». «Questo è forte, ti dà le palpitazioni e va usato solo quando vai a una festa», dice di un altro con un nome un po’ più minaccioso: «La nebbia del treno fantasma».

    Scelgo di non salire a bordo di quel treno ed esco senza aggiungere niente al fatturato dell’industria della marijuana. Più del fumo, mi interessano le storie di chi ha deciso di lasciare quello che stava facendo e prendere un rischio su un settore che rimane nella penombra tra il lecito e l’illecito. I percorsi dei tre o quattro padroni dei dispensari con cui ho parlato non sono tanto diversi da quelli dei piccoli imprenditori nel campo del cibo, del metano e della tecnologia che ho incontrato in altre puntate di questo viaggio: la voglia di lavorare per se stessi, la passione per il prodotto, il desiderio di fare qualche soldo.

    Lo stigma sociale
    Ciò che è diverso in questo caso è che, nonostante le leggi e i benefici economici, il «prodotto» è spesso stigmatizzato a livello sociale. Tom, il proprietario di un negozio di marijuana al centro di Denver, faceva il pizzaiolo ma non guadagnava abbastanza e aveva voglia di fare qualcosa «di più utile alla gente». Purtroppo per lui, non tutti erano della stessa opinione. Mi racconta che all’inizio le banche si rifiutavano di fargli credito, che è stato costretto a finanziare tutto con i suoi soldi e che i clienti potevano solo pagare in contanti. «Era come se fossimo ancora nel mercato nero. Che senso ha?» esclama con malcelata esasperazione.

    Rachel, la legale che prima si era specializzata nelle tasse, mi racconta che all’inizio c’erano solo cinque avvocati in tutto lo Stato disposti ad aiutare il business della marijuana con le 700 pagine di nuove leggi sulla marijuana. «Anche noi facevamo una cosa tecnicamente illegale perché la deontologia professionale non ci permette di lavorare su casi che violano la legge federale». Da allora, la dottrina è stata chiarificata, tanto che ora Rachel insegna in un corso universitario in giurisprudenza della marijuana alla University of Colorado.

    Ma Rachel e gli altri professionisti della marijuana sanno che cambiare la legge non significa cambiare la mentalità, i luoghi comuni e le paure della gente. L’esperimento economico del Colorado – e di tutti gli altri Stati e Paesi che lo vogliono seguire – può funzionare solo se la marijuana «libera» viene accettata a livello sociale.

    Le regole severe in questo caso aiutano. Fumare erba in Colorado è praticamente impossibile al di fuori delle case private. Gli hotel – a parte qualche «Bed & Breakfast» ribattezzato «Bud & Breakfast», bocciolo e colazione, non lo permettono, i bar meno che meno e nei parchi pubblici è assolutamente vietato. («I turisti di solito trovano un angoletto tranquillo o vanno sulle montagne», dice Tom). I negozi non possono essere vicini a scuole e altri edifici con bambini, e guidare quando si è «fatti» è punito molto duramente.

    Ma la situazione non è perfetta. Gli Stati limitrofi si lamentato degli influssi di marijuana «importata» dal Colorado. Gruppi religiosi e di genitori in altri Stati stanno facendo grandi campagne per evitare referendum simili a quello del 2012, mettendo in luce gli effetti nefasti della cannabis su ragazzi e adulti.

    Persino a Denver, dove non ero stato da quattro anni, c’è stato un notevole aumento nel numero dei senzatetto – gente che gira per strada chiedendo soldi e che di notte si accalca in tendopoli fatiscenti non lontane da ristoranti e bar chic. Ho provato a chiedere ad alcuni di loro se fossero venuti a Denver per la droga, come dicono gli avversari della marijuana, ma non ho ricevuto risposte coerenti. Fautori come Rachel Gillette dicono che è un’accusa assurda, che i poveracci hanno sempre trovato il modo di procurarsi la droga e che non possono comprarla senza carta d’identità.

    «Tutto il contrario. L’esperienza del Colorado ha fatto moltissimo per contraddire lo stereotipo del “fattone” che sta sul divano a non fare niente», mi dice. «Io fumo due, tre volte a settimana. I miei amici fumano a cena, a casa dopo il lavoro e quando siamo insieme e abbiamo tutti vite normali, pure noiose».

    Noiosa normalità
    Forse ha ragione. Forse dopo decenni di proibizionismo, l’America è pronta a considerare la marijuana normale e noiosa. A prendersi la responsabilità per le proprie azioni, a credere ai medici che dicono che l’alcol è una droga peggiore e a scommettere su un nuovo settore economico. Ma non è certo. È vero che l’ultimo sondaggio, del prestigioso Pew Institute, dice che il 53% degli americani è a favore della legalizzazione ma è anche vero che quella cifra non è cambiata dal 2013, un segno che, per ora, la rivoluzione dello spinello non la vuole fare nessuno.

    E anche il futuro non è chiaro. La gran maggioranza dei giovani – la generazione dei «millennial», quelli nati dalla fine degli Anni 80 - non avrebbe problemi a legalizzare la cannabis, ma meno della metà degli ispanici – il gruppo demografico che sta crescendo più velocemente negli Usa – sono d’accordo, forse per via della loro fede cattolica.

    Per ora, la marijuana non può essere considerata un settore economico stabile o con delle prospettive fantastiche. Siamo agli albori di un cambiamento e i primi passi sono sempre lenti, difficili e non sempre nella stessa direzione.

    Ma l’esperienza del Colorado, il miliardo di dollari in fatturato, il lavoro di Rachel, Tom, Charles non sono uno spreco, anche se la cannabis è destinata a rimanere una curiosità per pochi, e un’aberrazione per tutti gli altri. L’America ci insegna: i pionieri sono sempre utili, anche quando viaggiano in mezzo alla nebbia del treno fantasma.
    -fumo troppi joints...pensavo di smettere...poi ho pensato di smettere di pensare di smettere...e di fumarci su...

    -"Pietro, prima che il gallo canti...fai partire la base!"

    Mino Pausa

    -"la Nasa spende un sacco di soldi per andare sulla luna...io con 2 tiri vado e torno..."

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