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Discussione: C'era una volta "Psiconautica"

  1. #1
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    C'era una volta psiconautica.in ovvero "Psiconautica - Il Portale degli Stati Altri di Coscienza"...
    Chi se lo ricorda?

    Era un sito davvero immaginifico di approfondimento su sostanze, psichedelia, enteogeni ecc. ricco di articoli davvero preziosi, brani di testi di vario tipo.

    Dico era perché sembra essere sparito dai radar. Non ricordo nemmeno chi fosse l'autore.

    Non mi ricordo come l'avevo scoperto, ma finì subito tra i miei preferiti perché mi appassionarono subito quelle letture, quell'atmosfera di piccolo posto segreto traboccante tesori e foriero di grandi viaggioni.

    Non so come , e a questo punto direi che ho fatto bene, decisi di salvarmi un po' di articoli che mi interessarono e mi è venuta l'idea di condividerli periodicamente qui sopra.
    Già su Enjoint avevo pubblicato "Relazioni di alcuni effetti dell'haschisch" e "Quando il vino venne a mancare".

    L'Home page di questo straordinario portale si apriva con Il tramonto dell'invisibile di Ugo Leonzio dal suo libro "Il volo magico"




    E’ stato nel Pleistocene? Nel buio delle caverne, osservando le ombre dei falò così simili ai fuochi danzanti che esplodevano nel cielo? C’è stato un mese, un giorno, un’ora in cui qualcuno scoprì il segreto che legava le piante al cosmo e i ritmi clorofilliani alla Via Lattea…?
    E che scoperta era mai questa se non l’eterno invisibile che conduceva con sé gli Dèi, i defunti, gli eroi, i paradisi, gli inferni e l’eternità? Funghi, erbe, cactus non nutrivano più ma medicavano le angosce dello spirito, rovesciavano l’esterno e l’interno permettendo alla mente di entrare nel regno sterminato della sua stessa natura.
    Nessuna intuizione, nessuna scoperta, nessuna poesia, nessuna meditazione ha più eguagliato l’attimo in cui le porte della percezione si sono spalancate su questo strano mondo. Certo, il visibile, la “realtà” come ci si ostinava a chiamarla, non perdeva il suo primato ma solo per un motivo: il visibile e l’invisibile non erano separati. Al contrario si nutrivano l’uno dell’altro finchè l’uno non diventava l’altro e tutto il visibile finiva per contenere l’essenza dell’invisibile. Così i ritmi dei cloroplasti e dei mitocondri potevano essere adorati allo stesso modo in cui si adoravano i nomadi sciami di stelle. Il sole, la luna, i buchi neri, le supernove…
    Naturalmente nessuno allora avrebbe chiamato droga questo inaspettato ponte tra lo spazio e la natura, tra l’io e le cose. Un ponte che attraversando quattro miliardi di anni ci mostra il nostro vero volto di microrganismi unicellulari, procarioti, eucarioti, archaea, ceduti sulla terra a bordo di qualche oggetto celeste.
    Per un tempo infinito queste divine sostanze non hanno avuto confini, superavano lo spazio-tempo rivelando abissi d’immaginazione che l’uomo non sapeva di possedere. Una e cento volte inducevano noi pellegrini e nomadi dell’infinita carovana delle morti e delle rinascite a immergerci in ciò che forse è il sogno segreto della realtà, come una giornata d’estate nel cuore di un profondo inverno; svelare l’invisibile, mescolarvisi fino a diventare un’unica inafferrabile sostanza. Essere ogni forma, essere senza forma. Nulla, vuoto, infinito.
    L’invisibile è sempre stato il regno delle sostanze psichedeliche e delle droghe in generale, ciascuna con il suo universo estensibile, con i suoi dèi e con le sue promesse.
    Fra tutte le cause di questa splendida immaginazione che le droghe (come chiamarle ormai?) hanno prodotto, la principale è la lingua che esse vorrebbero parlare.
    Non potremo mai apprezzare fino in fondo il senso di una parola che si esprimi solo attraverso il volo delle immagini e che si sostituisce a noi finchè noi stessi non diventiamo la parola segreta di una lingua ignota, il logos primigenio nascosto tra i ritmi dei mitocondri e dei cloroplasti. Se la nostra mente è aperta allora questo, invece di precipitarci nello sgomento, ci fa assaporare il senso vertiginoso della libertà.
    Possiamo sentirla, ora dissonante ora armoniosa, tracciare di riga in riga la complicata linea della sua melodia attraverso pagine che assumono finalmente l’aspetto di un bellissimo orizzonte d’oro, che sono un orizzonte d’oro.
    Non era dunque la lingua a tenerci prigionieri, a richiamarci perpetuamente verso i nomi e le forme trasformando ogni verità in una prigione?
    La lingua delle sostanze psicotrope è all’inizio quella dell’inconscio, ci fa trascinare lungo cunicoli pieni di inganni ma poi comincia a tornare indietro, molto indietro verso inimmaginabili confini, facendoci traversare mirabili deserti sui cammelli profumati di spezie e di neve. Questi spazi sono infiniti perché sprofondano nel tempo della memoria. Poi anche la memoria finisce e resta il vuoto lucente e onnipotente di cui l’invisibile era il più umile dei messaggeri.
    Se le droghe appartengono all’invisibile, l’invisibile appartiene al sacro e questo spiega il motivo per cui tutte e tre sono ormai scomparse dal mondo: un eccesso di visibilità. A niente oggi è concesso rimanere nella riposante luminosità dell’invisibile. Tutto deve essere illuminato, nominato e disposto in uno spazio tanto artificiale quanto previsto e prevedibile.
    Così, divenuta la sontuosa fragilità delle scoperte di quei primi uomini del Pleistocene una memoria inutile, il viaggio nel mondo delle sostanze psicotrope deve per forza procedere a ritroso, come la ricerca di un’antica astronave persa su pianeti senza nome. Da dove provengono, se non da uno spazio irraggiungibile, le voci degli ultimi viaggiatori psichedelici? In quali scaffali polverosi sono finiti come angeli dalle ali ripiegate le ricerche di Gordon Wasson, di Robert Graves, di Alan Watts, di Timothy Leary o di Bergson, sacerdoti di un rito sconosciuto che metteva in relazione il magico volo degli Aborigeni, dei Greci, dei grandi Rishi vedici verso una religione dinamica, con l’estasi prodotta da sostanze inebrianti? Su quali strade si sono persi tutti i diari indiani e i vagabondi del Dharma e i maestri illuminati dal bhang, dalla cannabis e dalla resina infuocata del papavero bianco?
    Se l’ossessione del visibile, la sua voracità che occlude gli occhi alle sacre illusioni per seminare l’ombra, ha cancellato ogni traccia dei loro passi nella religione dell’invisibile, possiamo continuare a seguirne le piste in quei deserti inesplorati così come si guarda un’antica carta o si osservano gloriose vestigia.




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    adesso li facciamo ballare con un'altra musica, la nostra, quella della Verità.
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  2. #2
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    MARIJUANA, IL PRIMO A USARLA FU GESU'
    di Claudia di Meo

    Gesù usava la marijuana. No, non è un'affermazione blasfema e nemmeno un'ipotesi così
    remota. Già, perché secondo un lungo e complesso studio realizzato negli Stati Uniti da alcuni
    scienziati è emerso che Cristo e i suoi discepoli utilizzavano la cannabis per operare
    "miracolose" guarigioni. «Del resto - ha spiegato Chris Bennet, massimo studioso di droghe in
    Usa e autore di libri fra cui: "Green Gold the Tree of Life: Marijuana in Magic & Religion" - l'erba
    aveva un ruolo importante nelle usanze giudaiche».
    Una tradizione, quella della marijuana, che si ritrova nelle etnie di moltissimi paesi. In Giamaica,
    ad esempio, la cultura rastafari la usava e la usa ancora oggi come sacramento (simile alla
    nostra comunione), con lo scopo di avvicinare il rasta a Dio e aiutarlo nella meditazione. La tesi
    di Bennet convince anche altri esperti.
    Carl Ruck, professore di Mitologia classica all'università di Boston ribadisce con fermezza come
    la cannabis avesse un qualche ruolo di primissimo piano nell'ebraismo. Con buona
    approssimazione si può quindi affermare che Gesù è stato uno dei primi sostenitori dei poteri
    terapeutici della cannabis.
    «Anche se - precisa ancora Bennet - in realtà Gesù non la fumava, ma la usava come base per i
    ricavarne olii medicinali. Sono proprio questi i composti che Gesù avrebbe utilizzato nelle cure.
    Ai malati di pelle o con difetti alla vista venivano somministrate queste sostanze». Il trattato di
    Bennet rivela che queste miscele contenevano un ingrediente chiamato "kaneh bosem", cioè un
    estratto di hashish. Nelle cerimonie e nelle riunioni Gesù, oltre all'incenso, utilizzava erba.
    Ma c'è di più. Citando il nuovo testamento, lo studioso americano ipotizza che Gesù abbia
    consacrato (in pratica battezzato) i suoi discepoli con l'olio alla marijuana e li abbia incoraggiati
    a fare lo stesso con altri seguaci. Le conclusioni dello studio di Bennet sono di carattere
    teologico ma anche ironico: «Visto che Cristo e suoi discepoli usavano la cannabis, oggi chi la
    combatte - ed è perseguibile a norma di legge - deve essere considerato un anticristo».

    fonte: http://news2000.libero.it


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  3. #3
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    MARIJUANA "UN CULTO PER POCHI"
    di Markiodiaz

    L'uso dei derivati della canapa come droga, o più precisamente per fini ricreativi e inebrianti, ha
    origini molto antiche che risalgono a un uso cerimoniale e religioso che diffuso in passato in
    varie epoche e luoghi, come l'antica Cina, o l'India. Citata negli erbari cinesi come pianta
    medica, pare che invece in India si sia diffuso particolarmente l'uso inebriante. Lì la pianta
    veniva considerata sacra e utilizzata nelle cerimonie religiose. Una leggenda vedica racconta
    per esempio che il dio Shiva per trovare un po' di ombra finì in un bosco di piante di canapa, e
    dopo averle assaggiate diventarono il suo cibo prediletto.
    Erodoto nel IV libro delle Storie racconta che gli Sciti, nomadi del Mar Nero, usavano fumare
    canapa in questo modo: "Dunque gli Sciti prendono i semi di canapa, si infilano sotto la tenda
    fatta di coperte e li gettano sulle pietre roventi; i semi gettati bruciano producendo un fumo che
    nessun bagno a vapore greco potrebbe superare. Gli Sciti urlano di gioia per il fumo che
    sostituisce per loro il bagno. In Europa, invece, la fortuna dei derivati della cannabis come
    sostanza stupefacente è molto tarda. Tra le droghe è sempre stato l'oppio a farla da padrone,
    sin dall'antichità. Per cui benché in Europa per molti secoli si coltivasse canapa per fini
    industriali, non se ne faceva un uso inebriante, anche perché la canapa sativa possiede delle
    percentuali molto basse di principio attivo. Questo almeno sino all'800 quando durante la
    spedizione di Napoleone in Egitto arrivò in Europa questa sostanza, sotto forma di hashish, che
    suscitò l'interesse di molti e venne ampiamente sperimentata e degustata in modo simile a
    come si faceva per l'oppio.
    Tuttavia ci sono delle testimonianze sporadiche che mostrano come questa sostanza, anche se
    conosciuta da pochi, in qualche modo circolasse. Per esempio ce ne parla Marco Polo nel
    Milione (leggi cap 40-41), in cui viene spiegata la leggenda del Vecchio della montagna, che
    arruolava briganti e mercenari e regalava loro un paradiso fatto di droghe che consentivano loro
    di diventare assassini. Sembra appunto che la parola "assassino" derivi da hashish: gli adepti
    venivano detti "hasheshins", tradotto poi in "assassini" proprio perché consumavano hashish.
    Ma nel testo di Marco Polo si parla anche di oppio e di vino, a testimonianza del fatto che erano
    queste le sostanze stupefacenti più diffuse e conosciute. La leggenda del grande Vecchio
    tuttavia circolò molto, e la ritroviamo per esempio nel Decamerone di Boccaccio nella novella
    VIII della terza giornata dove si parla di "una polvere di maravigliosa vertù" la stessa che usava
    "lo Veglio della montagna quando alcun voleva dormendo mandare nel suo paradiso o
    trarnelo".
    Studi molto recenti hanno poi messo in luce che sembra che anche tra il 1500 e il 1600 si
    facesse un certo consumo della sostanza, se è vero che Shakespeare ne faceva uso. Questo
    almeno credono due illustri studiosi: il dottor Frances Thackeray (capo del dipartimento di
    Paleontologia del museo Transvaal di Pretoria) e il professor Nick van der Merwe, che
    sostengono come la straordinaria produttività poetica del drammaturgo inglese si possa
    spiegare attraverso l'esperienza della droga. Le prove sarebbero nel sonetto numero 76, in cui il
    poeta sembra conoscere le proprietà della canapa almeno stando alla frase: «L’invenzione in
    una nota erba». I due ricercatori sostengono che all'epoca la sostanza era conosciuta e
    importata nel continente dai marinai portoghesi di ritorno dall'India. Di fatto l'analisi di alcune
    pipe di terracotta trovate nell'ultima residenza di Shakespeare, analizzate, sembra aver
    confermato la presenza di tracce di marijuana.
    Che dire, la sostanza quivi descritta è in grado di aprire porte... dipende solo da chi ne fa uso e
    come se ne assume il vero sapore.

    fonte: http://radiocittafujiko.it


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  4. #4
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    COME GODERE LA MUSICA ROCK
    di Lester Grinspoon


    La consapevolezza di avere finalmente varcata la soglia arrivò gradualmente. Dopo aver fumato
    per qualche minuto, la prima cosa che notai fu la musica: si trattava di Sgt. Pepper’s Lonely
    Hearts Club Band. Conoscevo questa canzone, poiché era la favorita dei miei figli, che
    riempivano sempre la casa con la musica dei Beatles, dei Grateful Dead e di altri gruppi
    musicali rock di quegli anni. Spesso mi sollecitavano a togliermi dalla testa la musica classica e
    a provare ad ascoltare la musica rock. Mi era impossibile non ascoltare il rock, negli anni in cui i
    miei figli crescevano, ma mi era possibile non sentirla, come del resto succedeva a molti
    genitori della mia generazione. Ma quella sera io la sentii. Fu come una implosione ritmica,
    un’affascinante nuova esperienza con la musica. Mi si aprirono nuovi orizzonti musicali, e ho
    continuato ad esplorarli fino ad oggi, con l’aiuto dei miei figli.
    Un anno dopo, raccontai questa storia a John Lennon e Yoko Ono, mentre pranzavo con loro (il
    giorno dopo dovevo comparire a testimoniare come esperto alle audizioni del Servizio per
    l’immigrazione e la Naturalizzazione, che il procuratore generale John Mitchell aveva
    organizzato per espellerli dal paese sulla base di accuse concernenti la canapa dopo che i due
    avevano cominciato a prender parte ad attività contro la guerra in Vietnam). Raccontai a John
    della mia esperienza e di come la canapa mi aveva reso possibile “sentire” questa musica, allo
    stesso modo di come Allen Ginsberg raccontava di aver “visto” Cezanne per la prima volta,
    quando aveva fumato apposta la canapa prima di recarsi al Museo di Arte Moderna. John mi
    rispose prontamente che avevo sperimentato solo una sfaccettatura di ciò che la marijuana
    poteva fare per la musica: egli pensava che poteva essere di grande aiuto sia per comporre e
    fare musica, che per ascoltarla.
    L’altro mio ricordo di quella sera è di me e Betsy, insieme ad un’altra coppia, in piedi in cucina a
    mangiare a morsi un Napoleone, ognuno in cerchio a turno. Si rideva molto mentre, boccone
    dopo boccone, il contenuto vischioso degli strati del dolce veniva fuori e minacciava di colare
    sul pavimento. Sembrava un modo un po’ turbolento di mangiarsi un Napoleone. Ma la parte
    più memorabile di quella esperienza in cucina era il gusto di quel dolce. Nessuno di noi aveva
    mai in tutta la vita mangiato un Napoleone così squisito. «Mary, dove mai hai preso questi
    Napoleoni?». «Li avevo già comprati in quel posto, ma non erano mai stati così buoni!». Piano
    piano mi appariva chiaro che stava accadendo qualcosa di insolito: mica per caso stavamo
    provando il nostro primo high con la canapa?
    Tornammo a casa in macchina con molta cautela. Infatti, mentre guidavo verso casa, osservavo
    che ero molto a mio agio nella corsia di destra, con tutte quelle macchine che mi fischiavano
    accanto sorpassandomi, io che di solito in autostrada stavo sempre sulla corsia di sinistra.
    Ci parve di impiegare molto tempo per arrivare a casa. Non che avessimo fretta, il viaggio fu molto
    piacevole. Una volta arrivati, il tempo passò ancora più lentamente prima di andare a dormire,
    ma, una volta a letto, avemmo la certezza di aver finalmente raggiunto uno stato euforico con la
    marijuana. E ciò segnò l’inizio della fase sperimentale nella mia era della canapa, che mi
    permise di progredire nell’apprendistato ai molti usi di questa notevole droga.
    Al tempo di questa prima esperienza euforica con la marijuana, nel 1972, avevo 44 anni. L’ho
    trovata utile, e senza inconvenienti, perciò da allora l’ho sempre consumata. L’ho usata come
    droga ricreazionale, come farmaco, e come sostanza di “potenziamento” di alcune capacità.
    Quasi tutti sanno qualcosa circa la sua utilità come sostanza ricreazionale, e sempre più
    persone stanno acquistando familiarità con i suoi usi terapeutici; ma solamente i consumatori
    esperti sanno apprezzare altri modi in cui la sostanza può essere utilizzata. La canapa mi è
    stata così utile, che non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe stata diversa la mia vita
    se avessi cominciato ad usarla quando ero più giovane. Mi ha aiutato a capire e a prendere
    importanti decisioni, e sono portato a pensare che mi avrebbe potuto aiutare ad evitare
    qualcuna delle decisioni sbagliate che ho preso nell’era “prima della canapa”. Oggi, quando
    devo risolvere qualche problema importante, non mi lascio scappare l’opportunità di meditare
    sulla questione, sia da “fatto” che da “normale”.

    Lester Grinspoon, psichiatra, Professore emerito alla Harvard Medical School è autore di
    numerosi e fondamentali scritti sulle droghe: in Italia sono stati pubblicati nel 1995 Marijuana, la
    medicina proibita (coautore James B. Bakalar); nel 1996 Marijuana.


    fonte: Viaggio nella canapa. Il movimento internazionale per gli usi terapeutici, Fuoriluogo

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  5. #5
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    Piacerebbe ai carabinieri saperlo...
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    Ce l'ho salvato nei preferiti, sul computer, dal lontano 2013

    https://www.enjoint.info/forum/showthread.php?t=21996
    Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me
    I’m not sleepy and there is no place I’m going to
    Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me
    In the jingle jangle morning I’ll come followin’ you

  6. #6
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    CANNABIS SATIVA O CANNABIS INDICA: VIJAYA ("CONQUISTA"), SIDDHI
    ("SUCCESSO")
    di Robert E. Svoboda

    La marijuana cresce spontaneamente sulle montagne dell'Himalaya. Delle tre parti utilizzate di
    questo arbusto (bhang, le foglie delle piante maschili e femminili e, forse, anche i fiori maschili;
    ganja, le sommità fiorite delle piante femminili; e charas, la resina), soltanto bhang e ganja
    trovano comunemente impiego in medicina. La marijuana è menzionata nell'Atharva-Veda, ma
    cominciò ad essere usata diffusamente per scopi terapeutici soltanto nel Medioevo.
    Come farmaco, la Cannabis sativa è un efficace ipotensivo, utile anche per abbassare la
    pressione intraoculare (da qui il suo impiego nel trattamento del glaucoma), e, mescolata alla
    noce moscata, si rivela un valido rimedio contro la diarrea, la dissenteria, la sprue ed altre
    patologie intestinali provocate da uno squilibrio di vata. In genere, a questi scopi si utilizza
    bhang, anche se in alcuni casi si utilizza una mistura di ganja, noce moscata e miele come
    medicamento contro la dissenteria cronica, mentre questo stesso preparato, applicato
    esternamente serve a curare l'idrocele ed il prolasso uterino.
    Il fumo delle foglie e dei fiori di marijuana ha la proprietà di ridurre le emorroidi e le ernie.
    L'effetto della marijuana sull'organismo varia a seconda delle sostanze insieme alle quali viene
    assunta. Associata ad erbe digestive, ha il potere di stimolare la fame più di qualsiasi altro
    preparato, ed allevia la nausea (nel caso di pazienti affetti da cancro è preferibile l'assunzione
    delle foglie per via interna al fumo dei fiori della pianta); mescolata a sostanze afrodisiache,
    diventa un valido afrodisiaco. Se assunta insieme al tabacco, invece, la marijuana sopprime lo
    stimolo della fame e produce effetti anti-afrodisiaci.
    Nell'India del nord, i lottatori consumano le foglie di Cannabis sativa mescolandole ad una pasta
    a base di mandorle, pistacchi, semi di finocchio, petali di rosa, pepe nero ed altre sostanze, e
    diluendo poi questo composto in un bicchiere di latte freddo: questo preparato fornisce la
    concentrazione necessaria per allenarsi per molte ore di seguito, stimola a mangiare grandi
    quantità di cibo ed assicura buone capacità digestive.

    fonte: Ayurveda - Armenia


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    IMPIEGO LOCALE DELL'OLIO DI CANAPE PER SOPPRIMERE LA SECREZIONE DEL
    LATTE
    di Coutenot


    Annali di Chimica Applicati alla Medicina, vol. 24 (3° s.), pp. 132-134, 1857
    Si presentano assai frequentemente nella pratica dei casi nei quali è utile di esaurire la
    secrezione mammellare. Questa secrezione operandosi con abbondanza può dar luogo ad
    inghorghi lattei, troppo sovente seguiti da veri ascessi. D'altra parte, allorché la secrezione
    acquista troppo grandi proporzioni, esso s'innalza alcuna volta fino al punto da costituire una
    vera malattia. Le nutrici che allattano i loro fanciulli, le donne che non vogliono allattare,
    apprezzeranno certamente assai il mezzo tanto semplice che raccomanda in oggi Coutenot, se
    per lo meno una esperienza più ampia verrà a confermare i risultati favorevoli ch'egli ha
    ottenuti.
    Non si tratta che di unzioni reiterate, fatte sul seno coll'olio di canape, cioè con un olio non
    irritante, di un sapore dolce, anche aggradevole, di un colore leggermente verdastro e di un
    odore che richiama quello della semente di canape.
    Nella galattorrea, che l'autore ha forse il torto di confondere colla secrezione esagerata,
    l'applicazione topica dell'olio di canape, ottenuto per espressione, rinnovata ogni due o tre ore,
    induce rapidissimamente, ei dice, cioè in ventiquattro o quarantotto ore, una diminuzione della
    metà [133] nella secrezione, ed anche la sua scomparsa; egli aggiugne però, ed in ciò è più
    vicino alla galattorrea, che nei casi precedenti, l'azione dell'olio esser più pronta nella
    galattorrea senza scoli lattei che non in quelli in cui la secrezione è abbondantissima.
    Nell'ingorgo latteo che sembrerebbe dover resistere meno della galattorrea, l'autore aggiugne
    però alle unzioni dell'olio di canape fatte a caldo e ripetute sul seno, i revulsivi intestinali ed una
    igiene appropriata, prova che non conta esclusivamente sul mezzo impiegato da lui. Per
    sopprimere la secrezione lattea in seguito ad un parto, egli ha al contrario gran confidenza nelle
    unzioni di olio di canape, che calmano meravigliosamente la tensione del seno, il dolore e la
    febbre: i lassativi sono anche utili; come anche quando si tratta di far cessare la secrezione
    all'epoca ordinaria dello slattamento. E vediamo in due osservazioni riferite da Coutenot le
    unzioni coll'olio di canape riuscire perfettamente senza altro mezzo od allorquando erano state
    impiegati altri mezzi senza successo.
    Nel primo caso l'allattamento era interrotto da due giorni: seni tesi, rossi, rotondi, dolorosi fin
    sotto le ascelle. In alcune ore le unzioni avevano diminuito l'ingorgo e fatto cessare la flussione.
    Le unzioni furono sospese e no vi si ritornò che cinque o sei giorni dopo, per terminare la
    risoluzione degli ultimi ingorghi. Nel secondo, pure in seguito allo slattamento, il seno era
    enorme, caldo e doloroso, impossibile era il movimento del braccio, insonnio da due giorni.
    Alcuni momenti dopo l'applicazione dell'olio sonno e madore cutaneo; allorchè l'ammalata si
    risvegliò, un'ora dopo, il seno non era più doloroso: le unzioni furono continuate per tre giorni,
    l'affluenza del latte non si fece più che una o due volte.
    E' quindi con qualche ragione che Coutenot ha potuto dire nelle sue conclusioni che l'olio di
    canape recente ottenuto con la pressione ed a freddo, impiegato in embroca[134]zione calda
    ogni due o tre ore sul seno che si ricopre in seguito d'ovatta, diminuisce sempre e sofferma



    Impiego locale dell'olio di canape per sopprimere la secrezione del latte
    qualche volta la secrezione mammillare, medica certamente e prontamente gli ingorghi lattei e
    può prevenire certi accidenti di ritorno consecutivi senza farli abortire però quando sono
    sviluppati (Bullettin général de thérapeutique, 15 août 1856) (1).
    [(1) - L'olio di semi di canapuccia (Cannabis sativa) non è certo difficile ad aversi, ma in sua
    mancanza può forse riuscire egualmente bene l'olio d'oliva nel quale siansi fatta digerire a
    caldo, in forte proporzione, i semi di canape contusi. Quest'olio sembra avere molte delle
    proprietà che possiedono i preparati di canape indiana, che sono eminentemente sedative; e
    noi abbiamo infatti adoperato frequentemente con successo quest'olio canapato a calmare le
    reumatalgie ed i dolori articolari soprattutto nei poveri delle montagne, spesso aggrediti da
    queste malattie per i faticosi lavori e le inclemenze atmosferiche a cui si espongono, dando così
    nelle loro mani un rimedio di facile ed economica preparazione anche senza il bisogno di
    ricorrere alle farmacie. Il R.]

    fonte: http://www.samorini.it/


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    MIELE
    di Christian Rätsch


    Pubblicato originariamente in The Encyclopedia of Psychoactive Plants, Park Street Press.
    2005.
    Altri nomi
    Cab, honig, kab, ksandra (sanscrito), mel, mella, miel
    Il miele è una sostanza prodotta dalle api domestiche (Apis mellifica) e dalle api selvatiche
    (Melipona spp., Trigona spp.) dal nettare e dal polline di varie piante. "Il miele è forse l'unico
    cibo predigerito che l'uomo conosce" (Root 1996, 127).
    Il miele è stato usato per preparare idromele fin dall'età della pietra.
    Il fatto che il miele possa essere tossico e/o psicoattivo - in altre parole, inebriate - è da lungo
    tempo noto ed è stato dimostrato in tutto il mondo (Palmer-Jones, 1965). Il miele ha anche una
    lunga storia di uso come rimedio medicinale o come una "medicina celeste". Nella medicina
    ippocratica, il miele è stato utilizzato come "una sorta di agente psicofarmacologico per il
    trattamento della depressione e della melanconia, e come una medicina geriatrica." E' stato
    utilizzato anche come antidoto per il sovradosaggio da oppio (Uccusic 1987, f. 38; vedere
    Papaver somniferum).
    Ci sono tre categorie di piante che sono associate con miele tossico: 1) piante il cui nettare o
    polline uccide le api prima che lo possano trasformare in miele (ad esempio locoweed
    [Astralagus lentiginosus], Veratrum californicum, Vernonia spp.); 2) piante il cui nettare è
    innocuo per le api ma quando trasformato in miele diventa tossico/inebriate per l'uomo (ad
    esempio, oleandro [Nerium oleandri], sthorn apple [Datura spp.], angel's trumpet [Brugmansia
    spp.], mountain laurel [Kalmia spp.], false jasmine [Gelsemium sempervirens], Euphorbia
    marginata, Serjania lethalis) e 3) piante velenose note che sono innocue per le api e il cui miele
    è reso commestibile e spesso squisito (ad esempio, Rhustoxicodendron, Metopium toxiferum,
    Jatropha curcas, Baccharis halimifolia, Ricinus communis) (Morton 1964, 415).
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    Miele
    Senofonte (ca. 430-355 a.C.) riportata nel suo Anabasi che alcuni soldati vennero inebriati ed
    avvelenati dal miele che era stato prodotte dai rododendri del Ponto (Rhododendron ponticum
    L.) e apparentemente dagli oleandri dai fiori rossi (Nerium oleandri L.: cfr. Rätsch 1995, f. 267)
    (Roth et al. 1994, 615).
    "In termini moderni, essi 'andarono fuori'. Questa condizione non durò a lungo tra i greci e
    diminuì rapidamente" (Rüdiger 1974, 93). La letteratura tossicologica fa riferimento a questo
    miele pontico (turco) come "miele della pazzia" o "miele tossico dell'Asia Minore" (Fühner 1943,
    203). Questo miele inebriante era ben noto nei tempi antichi (Krause 1926; Plugge 1891), e può
    essere stato coinvolto con il furore dionisiaco:
    Nel distretto del Ponto, tra la gente di Sanni, vi è una sorta di miele che è noto come
    maenomenon ["che produce pazzia"] a causa della follia che induce. Si pensa che questo sia
    causato dai fiori dell'oleandro [Rhododendron], che abbondano nei boschi. (Plinio 21.77)
    Nei tempi antichi, si credeva che il primo oleandro fosse venuto dalla terra di Colchide (sul Mar
    Nero); è stato considerato come una pianta della "strega" Medea (che potrebbe essere stata
    una sciamana sciita). Apparentemente, l'oleandro ha anche avuto a che fare con i vini che
    venivano bevuti durante le orge dionisiache. L'oleandro è stato un soggetto popolare negli
    affreschi murali di Pompei, città nota per i suoi misteri bacchici. Le foglie di oleandro
    contengono il potente veleno cardiaco oleandrino, che può essere pericoloso per la vita del
    l'uomo e degli animali perché può paralizzare il cuore. Sono presenti anche glicosidi digitalici
    (neriine, neriantine, adirina, cotenerina). Il lattice contiene salacina e altri alcaloidi. Anche se gli
    oleandri sono considerati tossici, la letteratura tossicologica non contiene osservazioni di
    pericolose intossicazioni derivanti dal consumo di fiori e foglie (Frohne e Pfander 1983, 47).
    Un papiro alchemico risalente alla fine dei tempi antichi contiene una ricetta rompicapo fatta con
    il "miele della pazzia": "Preparazione di smeraldo. 1 parte di rame bruciato, 2 parti di
    verderame, e di un quantitativo corrispondente di miele pontico, cuocere per un'ora" (in Hengstl
    1978, 272).
    Come tutte le più tarde ricette alchemiche, questa ricetta sembra contenere segrete istruzioni
    per un processo di coscienza connesso con la trasmutazione della materia. L'inclusione del
    miele psicoattivo è particolarmente interessante.
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    Miele
    Nei tempi antichi, il miele è stato mescolato con erbe medicinali terrestri (ad esempio, assenzio
    [cfr. Artemesia absinthium]) e altre sostanze farmaceutiche per produrre ciò che è stato
    conosciuto come "agenti secretori", una sorta di "hard candy" farmaceutica. Alcuni di questi
    possono aver avuto effetti psicoattivi, ad esempio: "Un rimedio per raffreddare l'utero: la canapa
    è mescolata col miele e somministrata nella vagina. Si tratta di una contrazione [dell'utero]"
    (Papiro Ebers 821 [1550 a.C.]; Manniche nel 1989, 82).
    I Maya, per quanto riguarda il miele (cab) lo consideravano come un dono dell'ape divina (ah
    muzen cab), un cibo proveniente dal cielo (Tozzer e Allen 1910, 298 ss.). Una indigena forma di
    apicoltura è stata praticata in Yucatan in tempi pre-colombiani (Brunius 1995). In Yucatan e
    nelle regioni della Selva Lacandona (Chiapas), diverse specie di api native stingless (Famiglia
    Meliponidae) le loro miele dal nettare dei fiori specifici. I lacandoni sanno che in certi periodi
    dell'anno (i periodi di fioritura), le api producono tipi di miele che hanno effetti psicoattivi o
    inebrianti, anche se consumati in piccole quantità. Meno di un cucchiaio è sufficiente a produrre
    effetti notevoli. Una volta ho provato due cucchiai di tale miele sciolto in atole (una bevanda di
    granturco) e ho sperimentato piuttosto forti sentimenti di estremo inebriamento e buona allegria.
    I Maya Yucatec hanno addomestici le api Melipona beecheii e le tengono in appositi alveari
    (incavi vuoti in tronchi d'albero) per la produzione di miele (Buchmann e Nabhan 1996). Il
    significato di questo miele è più religioso e rituale che culinario. Esso è offerto in diversi riti e
    viene usato anche per fare il balche, che è un tipo di idromele (Brunis 1995). Nello Yucatan, il
    miele di alcune piante (Ipomoea spp. e Turbina corymbosa) è chiamato xtabentum di xtabentun
    (Novelo Souza et al. 1981, 32). Quando il miele ha effetti psicoattivi è preferito per fare ilbalche.
    Un liquore con la stessa denominazione è prodotto nella regione di Valladolid. Questo miele è
    di solito raccolto in novembre e dicembre (Brunius 1995, 20).
    Alcuni costituenti attivi nelle piante sono in grado di passare nel nettare dei fiori, e le api li
    metabolizzano tutti o in parte quando producono il miele. Ad esempio, le sostanze tossiche
    presenti nei rododendri e gli alcaloidi tropanici (soprattutto atropina) trovati nei fiori di
    belladonna possono passare entrambi nel miele ricavato dai loro fiori.
    Alcune specie di rododendri, azalee, ad esempio, contengono sostanze tossiche terpeniche.
    Alcune piante note per la produzione di miele psicoattivo/tossico
    Nome
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    Miele
    Nome botanico
    Riferimento
    Aconito
    Aconitum napellus
    Rosa alpina
    Rhodedendron ferrugineum L.
    Roth et al . 1994, 613
    Azalea
    Rhododendron simsii Planch.
    Roth et al. 1994, 614 ff.
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    Miele
    Belladona
    Atropa belladonna L.
    Hazslinksi 1956
    Euphorbia (Africa)
    Euphorbia spp.
    Rüdiger 1974, 93
    Erba infettata con Claviceps
    Paspalum plicatulum Michz.
    Paspalum unispicatum (Sm.) Nash
    Arenas 1987, 289
    Tè groenlandese
    Ledum groenlandicum L.
    5 / 9

    Miele
    Palmer-Jones 1965
    Canapa
    Cannabis
    Relazioni di coltivatori di canapa
    O leandro
    Nerium oleander L.
    Rätsch 1996a, 267; Roth et al. 1994, 511
    Paullinia
    Paullinia australis
    Millspaugh 1974, 167
    Ragwort
    6 / 9

    Miele
    Senecia jacobaea L .
    Frohne and Pfänder 1983, 66
    Rododendro (Rosa alpina pontica )
    Rhododendron ponticum L.
    [s i n. Alazea pontica, Heraclea pontica]
    Fuhner 1943, 203; Plugge 1981
    Toé
    Brugmansia sanguinea
    Tutu
    Coriaria arborea Lindsay
    (cf. Coriaria thymifolia)
    Palmer-Jones and White 1949
    7 / 9

    Miele
    W ater-hemlock
    Cicuta virosa L.
    Rüdiger 1974, 93
    R osmarino selvatico
    Ledum palustre
    Ott 1993, 404
    Xtabentum
    Turbina coymbosa
    Ipomoea triloba L.
    Ipomoea spp.
    Souza Novelo et al. 1981, 32
    Yew
    Taxus baccata L.

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    L'ERBA DEI FACHIRI
    di Alfredo Cattabiani



    L’haschish fu usato anche dai fachiri da cui prese il nome: haschischat alfokora. Takiy Eddin
    Makrizy, scrittore arabo della prima metà del XV secolo, narrava che Haider, il capo di tutti gli
    sceicchi, dimorava con i suoi discepoli nel Khorasan, fra Nischabur e Ramah, quando un
    giorno, passeggiando in campagna, notò una pianta che «si dondolava mollemente con un
    movimento dolce e leggero, come un uomo stordito dai fumi di vino». Era la kunab, la Cannabis
    indica. Incuriosito, lo sceicco cominciò a masticarne alcune foglie scoprendone le virtù. Ordinò
    allora ai suoi discepoli di imitarlo e di mantenere la sua scoperta segreta ai comuni mortali, ma
    di non nasconderla ai fachiri. «Il Dio supremo vi ha accordato un favore speciale,» disse «la
    conoscenza delle virtù di questa foglia in modo che l’uso che voi ne farete dissipi le
    preoccupazioni che oscurano le vostre anime e liberi i vostri spiriti da tutto ciò che può
    offuscarne la luminosità. Serbate quindi con cura il segreto che ci è stato confidato; e siate
    rigorosi nel nascondere il prezioso segreto, alla tutela del quale Egli vi ha preposti».
    Makrizy citava il frammento di un poema che glorifica le virtù della pianta: «lascia da parte il
    vino, prendi la coppa di Haider, questa coppa che esala l’odore dell’ambra e brilla del verde
    smagliante dello smeraldo. [...] Mai il ministro di un sacrificio cristiano ne ha versato il succo
    nella sua coppa profana: l’empio che professa una religione menzognera non ha mai attinto da
    questa botte la materia della sua offerta sacrilega». [ Takiy Eddin Makrizy, Description
    historique et topographiquede l’Egypte e du Caire, in Sylvestre deSacy, Chrestomatie arabe
    Parigi 1926, vol. I, pp 206-222]
    fonte: Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante


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    RACCONTO SIBERIANO SULL'AMANITA MUSCARIA



    Nel seguente racconto siberiano l’Amanita muscaria viene fatta nascere dalla saliva dell’Essere
    Supremo, similmente al racconto boemo sui funghi. Grande Corvo è un noto eroe culturale delle
    popolazioni siberiane. In questo mito viene dato particolare rilievo a uno degli effetti caratteristici
    del’ingestione di questo fungo allucinogeno, che si presenta nelle prime fasi dell’esperienza, e
    cioè quello euforico e di vigor fisico. Inoltre, il fatto che Grande Corvo sia in grado di fare sforzi
    come quello di trasportare una balena, è una caratteristica degli eroi culturali e potrebbe essere
    stato suggerito dal fenomeno della macropsia (vedere grandi le cose piccole), tipico
    dell’esperienza con questo fungo.
    Una volta Grande Corvo catturò una balena, ma non poteva ricondurla alla sua casa nel mare.
    Non era in grado di sollevare il sacco contenente le provviste di viaggio per la balena.
    Grande Corvo si rivolse a Esistenza affinché lo aiutasse. La divinità gli disse: “Va in un posto
    spianato vicino al mare: là troverai soffici gambi bianchi con teste macchiate. Questi sono gli
    spiriti wa’paq. Mangiane alcuni, e loro ti aiuteranno”.
    Grande Corvo andò. Allora l’Essere Supremo sputò sulla terra, e l’Agarico apparve dalla sua
    saliva. Grande Corvo trovò il fungo, lo mangiò, e iniziò a sentirsi allegro. Si mise a danzare.
    L’Agarico muscario gli disse: “Come può essere che tu, uomo così forte, non puoi sollevare quel
    sacco?” “E’ vero – disse Grande Corvo – sono un uomo forte. Andrò e solleverò il sacco da
    viaggio”.
    Andò, sollevò immediatamente il sacco, e ricondusse la balena a casa. Quindi, l’Agarico gli
    mostrò in che modo la balena stava andando nel mare, e come sarebbe tornata dai suo
    compagni. Allora Grande Corvo disse: “Lascia che l’Agarico resti sulla terra, e lascia che i miei
    bambini vedano ciò che vorrà mostrar loro”.
    Note
    1 Evidentemente si sta rivolgendo all’Essere Supremo.
    Da: GORDON R. WASSON, 1967, Soma. Divine Mushroom of Immortality, HBJ, New York, p.
    268.
    fonte: http://samorini.it/
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