Se i giornali e la tv dicessero la verità, saremmo tutti morti da tempo. Le predizioni di Nostradamus (che pure continuano ad attrarre proseliti) sono poca cosa rispetto alle previsioni “scientifiche” che i giornali ci hanno propinato in questi anni. La penultima “fine del mondo” annunciata doveva compiersi a luglio, quando l’accensione del nuovo super-acceleratore di particelle, al Cern di Ginevra, avrebbe dovuto creare niente popò di meno che un piccolo buco nero, destinato ad inghiottirsi rapidamente l’intero pianeta. Così non è stato, per fortuna, e dunque eccoci all’ultima (per ora) apocalissi annunciata: l’influenza suina.
Nessuno ha idea di che cosa sia esattamente, o per meglio dire nessuno ne conosce la reale pericolosità: eppure è bastato che qualcuno preannunciasse milioni di morti, e subito i media hanno cominciato a diffondere un’autentica psicosi di massa. L’effetto è paradossale: l’annuncio (infondato) di un’ecatombe fa sì che chiunque lo contesti passi per reticente, per imbroglione o per irresponsabile. E’ come se un bel mattino mi alzassi e dicessi in tv, senza nessuna prova: “Sta per cadere un meteorite!”. Anziché passare per matto, diventerei il profeta della catastrofe che tutti vogliono occultare.
Le notizie sensazionali scacciano le notizie normali, e quelle pessime cancellano persino il ricordo di quelle buone. Abbiamo avuto la “mucca assassina”, con tanto di bando pubblico della costata alla fiorentina, cerimonie di addio e raccolte di firme per la sua reintroduzione; abbiamo avuto il “millenium bug”, che avrebbe dovuto mandare per aria tutti i computer del mondo, far crollare un numero imprecisato di aerei e infettare migliaia di sale operatorie; abbiamo avuto gli attacchi all’antrace e la minaccia di un kamikaze ad ogni angolo di strada – e non è successo niente.
Anche del famoso “buco dell’ozono”, che ci aveva convinti a rinunciare alle bombolette spray, non si sa più nulla: c’è chi dice che non ci sia mai veramente stato un “buco”, e c’è chi dice che si sia richiuso (il che non è affatto strano: il pianeta è un organismo vivente vecchio di quattro o cinque miliardi di anni, e noi ne conosciamo soltanto, e neppure troppo bene, gli ultimi diecimila). Il riscaldamento globale, con tutto il contorno psicoterroristico che lo contraddistingue, potrebbe essere una cosa seria, ma potrebbe anche non esserlo: soprattutto, potremmo non esserne noi i responsabili, proprio perchè siamo da troppo poco tempo su questo pianeta e, forse, non siamo poi così importanti come vorremmo. Eppure chi dice queste ovvietà passa per servo delle multinazionali.
I media hanno bisogno di tragedie, e quando quelle vere vengono a mancare, scendono in campo quelle future. Non può essere un caso. Il clima apocalittico che respiriamo leggendo i giornali e guardando la tv, e che si traduce in una percezione del futuro come catastrofe (e non invece come promessa, o speranza, o sol dell’avvenire), è il segno più evidente di un immaginario collettivo impaurito e nevrotico, dove ciascuno di noi è fondamentalmente solo, privo di attese, massificato persino nella morte. Bisognerebbe cominciare con il riprendersi il futuro: che, come diceva quel tale, non è stato ancora scritto.
Fabrizio Rondolino
Pubblicato su Dolce Vita n° 25 – Novembre/Dicembre 2009