Stefano Anastasia scrive per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 2 ottobre 2013
Risalendo dagli abissi di Poggioreale, Napolitano ha anticipato i contenuti di un messaggio che intende rivolgere alle Camere, perché valutino la possibilità di approvare un provvedimento di amnistia-indulto per porre termine – almeno temporaneamente –al gravissimo sovraffollamento che affligge le nostre carceri e chi vi è costretto.
Il messaggio viene dopo ripetute sollecitazioni del Capo dello Stato e i vani tentativi messi in opera dal precedente governo e da quello in carica che per ben due volte hanno tentato di ridurre il sovraffollamento attraverso il ricorso a decreti, consapevolmente limitati in origine e ulteriormente spuntati nel corso dell’esame parlamentare di conversione in legge. La popolazione detenuta non cresce più da tempo, ma non riesce a diminuire in maniera significativa. E allora il Presidente della Repubblica chiede che si faccia qualcosa subito, con gli strumenti che la Costituzione affida al Parlamento: un provvedimento di amnistia-indulto, per esempio.
Non sappiamo se in questo Parlamento potrà esserci una maggioranza così ampia da poter corrispondere alla sollecitazione di Napolitano. Certo è che un nuovo provvedimento di amnistia-indulto, per quanto necessario e urgente, non sarebbe sufficiente a calmierare nel tempo la popolazione detenuta e a risolvere strutturalmente il sovraffollamento penitenziario. Prima o poi bisognerà fare i conti con i fattori di produzione dell’incarcerazione di massa in Italia, che sono sostanzialmente tre: l’abuso della custodia cautelare, le limitazioni alle alternative al carcere e la criminalizzazione dei migranti e dei consumatori di droghe.
Se riuscissimo, talvolta, ad alzare lo sguardo oltre il cortile di casa, scopriremmo che il problema di come uscire dall’epoca dell’incarcerazione di massa non è un problema soltanto nostro. La crisi del dominio occidentale sulla globalizzazione neo-liberista ha portato con sé anche il fallimento del modello di controllo sociale fondato sul trasferimento di risorse materiali e simboliche dal sociale al penale. Il sovraffollamento ingovernabile in Italia corrisponde all’incapacità degli Stati Uniti di reggere politicamente, socialmente ed economicamente l’onda dell’incarcerazione di massa dopo la crisi del 2008. E’ da allora che la popolazione detenuta non cresce più (in Italia dal 2010). E’ dal 2009 che il sistema penitenziario statunitense è sotto processo per l’incapacità di garantire i diritti fondamentali dei detenuti. Quest’estate i primi segni di una svolta: l’amministrazione Obama sceglie di aggredire uno dei capisaldi dell’incarcerazione di massa, la war on drugs, attraverso misure di decriminalizzazione del piccolo spaccio di droghe. Nel suo discorso al Meeting annuale dell’American Bar Association, l’Attorney General dell’amministrazione Obama, Eric J. Holder, ha parlato di un circolo vizioso di povertà, criminalità e incarcerazione che colpisce troppi cittadini americani: troppe persone vanno in carcere troppe volte e troppo a lungo, e non per buone ragioni. Il risultato è quello che è: il record mondiale delle incarcerazioni e una dissipazione di risorse nel perseguimento di reati non violenti. Così, nello stesso giorno del suo discorso davanti all’ABA, Holder ha inviato nuove indicazioni ai procuratori federali, chiedendo loro di evitare di sottoporre alla rigida legislazione sulla droga gli arrestati che non siano autori di reati violenti e che non abbiano legami significativi con le organizzazioni criminali. Vedremo che ne uscirà. Certo è che, in Italia come negli Usa, se si vuole affrontare il problema dell’incarcerazione di massa bisogna passare attraverso la revisione della legislazione sulla droga.
Fonte: fuoriluogo.it