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Visualizza Versione Completa : In via d'estinzione



Yomi
26-06-12, 14:05
Ciao ragazzi, apro questo topic, dove inserire gli organismi viventi in via d'estinzione. Inserisco qua anche lo Scimpanzè Pigmeo o Bonobo, magari poi un mod può chiudere il topic dedicato.
:punkif5:

Scimpanzè Pigmeo o Bonobo

Ciao ragazzi, questo è secondo me il più bell'esempio di società civile tra tutte le forme di vita. Mangiare, bere, dormire e... sesso a manetta!

Purtroppo, è in via d'estinzione...
Da Wikipedia:+

Stato di conservazione [modifica]

L'International Union for the Conservation of Nature classifica i bonobo come specie in pericolo. Il calo della popolazione totale di bonobo viene stimato superiore al 50% in un periodo di 75 anni (pari a tre generazioni). I bonobo si riproducono lentamente (una femmina può far passare da 4 a 6 anni tra due eventi riproduttivi[25]), il che li rende particolarmente sensibili ad eventuali minacce per la sopravvivenza. I maggiori pericoli per questa specie derivano dallo sfruttamento e conseguente distruzione dell'habitat per le attività umane (agricoltura, espansione urbana, inquinamento) e dalla caccia. Il bonobo viene inoltre catturato illegalmente per scopi commerciali, quali la vendita come animale domestico o l'utilizzo per test medici. L'instabilità politica, i conflitti e la disponibilità di armi nella zona sono un'altra causa di rapida decrescita della popolazione[1].
Parte dell'areale del bonobo ricade nell'area protetta del Salonga National Park, di circa 36.000 km², gestito dall'Institut Congolais pour la Conservation de la Nature (ICCN). Tuttavia le leggi sulla protezione ambientale sono scarsamente rispettate e l'unica presenza attiva nella protezione ambientale nella regione sono le ONG che collaborano con l'ICCN. Inoltre diversi progetti di ricerca forniscono dati utili alla conservazione della specie. Dal 2006 esistono nella zona altre due aree protette, la riserva faunistica Lomako-Yokokala e la riserva naturale Tumba-Lediima[1], mentre dal 2008 l'area di Tumba-Ngiri-Maindombe è stata inclusa nella Convenzione di Ramsar[26].

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7f/Pan_paniscus02.jpg

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Yomi
26-06-12, 14:14
L'uomo sta mangiando gli squaliIl degrado dei mari e la pesca selvaggia stanno decimando questi predatori in tutto il pianeta. Negli oceani, un terzo delle specie è già a rischio estinzione. E in Asia si divorano le pinne.
Ci sono sempre meno squali nei mari della Terra. E un gruppo internazionale di ricercatori, guidato da Mark Nadon, dell'università di Hawaii ha calcolato cosa succede nel Pacifico e scoperto cali delle popolazioni di squali, nelle isole più influenzate dalle attività umane, fino al 90 per cento. Ma tutte le popolazioni di squali del mondo sono in forte declino.
Oltre alla degrado dell'ambiente naturale, gli animali sono da tempo oggetto di una pesca indiscriminata, soprattutto per soddisfare la richiesta delle loro pinne, considerate una vera prelibatezza in Asia. Questo riguarda in particolare le specie oceaniche, un terzo delle quali è inserito nella lista rossa degli animali a rischio di estinzione.

Nadon e il suo gruppo hanno potuto svolgere il loro studio grazie a una grande campagna di raccolta dati svolta dal Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) in un modo particolarmente interessante. Le varie popolazioni di squali sono state infatti censite durante oltre 1.600 immersioni di subacquei al traino di un'imbarcazione. I numeri sono poi stati correlati con altri fattori riguardanti lo stato dell'oceano, come la temperatura dell'acqua e la produttività. E qui emerge l'elemento più significativo.

Il declino degli squali è causato esclusivamente dalle attività umane, indipendentemente dalle condizioni generali dell'oceano.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/luomo-sta-mangiando-gli-squali/2185146/12

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Yomi
12-07-12, 09:47
(ANSAmed) - MADRID -
La foca monaca e le tartarughe marine che vivono nel Mediterraneo sono ad alto rischio di estinzione, secondo il nuovo rapporto di esperti pubblicato dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Uicn), presentato a Malaga nel quadro del Programma strategico di azione per la conservazione della biodiversità nel Mediterraneo dell'Accordo di Barcellona. Intitolato 'Mammiferi e tartarughe marine nei mari Mediterraneo e Nero', il dossier segnala che per la prima volta i cetacei presenti nel Mare Nostrum sono a maggiore rischio di estinzione rispetto a quelli di altri mari. Delle 87 specie di cetacei esistenti al mondo fra balene, delfini e focene, 21 specie e tre sottospecie sono state avvistate nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Di queste, otto specie popolano abitualmente il Mare Nostrum, tre sottospecie sono endemiche nel Mar Nero e le restanti visitano il Mediterraneo. D'altra parte, cinque specie di mammiferi marini, oltre alla foca monaca, dei nove analizzati nel rapporto, sono in pericolo critico di estinzione o vulnerabili. Fra queste, le balenottere (physeter macrocephalus) e il delfino comune (Dephinus delphis). In un comunicato, il direttore dell'Unità della Lista Rossa dell'Uicn, Craig Hilton Taylor, auspica che il nuovo rapporto aiuti a conoscere meglio le specie marine e ad "aumentare la coscienza generale sulle minacce e sulle misure necessarie per la loro conservazione". (ANSAmed).
foca monaca e tartarughe a rischio estinzione (http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/ambiente/2012/07/05/Mediterraneo-foca-monaca-tartarughe-rischio-estinzione_7146118.html)

http://ansamed.ansa.it/webimages/foto_large/2012/7/5/0b3af9991387cca728c0539bb4844453_202089.jpg

Yomi
17-07-12, 11:59
Iucn: iscrivere nella lista rossa 97 delle 103 specie

ROMA - Il 91% delle 103 specie esistenti di lemuri sono a rischio di estinzione. Lo affermano i ricercatori del Primate Specialist Group dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), sostenendo che almeno 97 delle specie esistenti del mammifero dovrebbero essere iscritte nella Lista Rossa degli animali minacciati di estinzione.

L'analisi, riportata dalla BBC, ha fatto emergere come i lemuri siano tra la specie di mammiferi piu' minacciate sulla Terra: secondo gli esperti infatti 23 specie si qualificano in 'pericolo critico', 55 in pericolo di estinzione ed altre 19 sono a 'rischio'. ''Questo significa che il 91% di tutti i lemuri rientrano tra le categorie piu' minacciate nella Lista Rossa - ha commentato Russ Mittermeier, Presidente del Conservation International. - E' di gran lunga la percentuale piu' elevata per qualsiasi gruppo di mammiferi''.

Secondo gli esperti il colpo di grazia alla specie e' stata data dal disboscamento illegale: circa il 90% della foresta originaria del Madagascar e' andata perduta e i lemuri ed altre specie endemiche rimangono aggrappati ad un'esistenza ''sempre piu' precaria'' nei frammenti che sono rimasti. Lo stato instabile di questi primati e' infatti peggiorato nel corso degli anni: nella valutazione precedente, pubblicata nel 2008, ''solamente'' otto specie di lemuri erano state classificate in pericola critico, 18 in pericolo e 14 vulnerabili.
http://www.ansa.it/web/notizie/canali/energiaeambiente/natura/2012/07/16/Ambiente-allarme-estinzione-lemuri-91-specie-rischio_7193539.html

https://encrypted-tbn3.google.com/images?q=tbn:ANd9GcTm0FJTM1ZrQfUP4GMXuiMu-aI_hlUwdYz8T101IJ5MsZBc7D3kKw

bartimeus
17-07-12, 12:01
li leggo tutti yomi! :polliceu:

Yomi
17-07-12, 12:15
li leggo tutti yomi! :polliceu:

Quello che mi fa incazzare, è il motivo: disboscamento illegale.
E anche qua la canapa, potrebbe sostituire molti dei prodotti del legno tagliato (carta, tavole di simil legno, ecc..) e oltretutto sfrutta meno il terreno di molti altri prodotti agricoli. Canapa e legumi, ecco cosa dovrebbero coltivare. Purtroppo hanno una tradizione di coltura, il debbio (http://www.wildmadagascar.org/it/kids/20-environment-deforestation.html), per il riso, che deforesta in maniera allarmante. Lo fanno per sfamarsi, ed è difficile convincerli a provare qualcosa d'altro.
:punkif5:

StRaM
17-07-12, 13:24
bhe non saprei se considerarli animali ahahahhaha.......

mi stà molto a cuore il destino dei mapuche e di tutte quelle popolazioni che vivono ancora in stretto contatto con la natura, dove ogni minima intrusione da parte dell'uomo "civilizzato" porta scompiglio in un sistema così perfetto e fragile che è il vivere la vita in armonia con la natura!!!

http://it.mapuches.org/

http://www.survival.it/notizie/8464

http://www.survival.it/awa

Yomi
17-07-12, 13:31
bhe non saprei se considerarli animali ahahahhaha.......

mi stà molto a cuore il destino dei mapuche e di tutte quelle popolazioni che vivono ancora in stretto contatto con la natura, dove ogni minima intrusione da parte dell'uomo "civilizzato" porta scompiglio in un sistema così perfetto e fragile che è il vivere la vita in armonia con la natura!!!

http://it.mapuches.org/

http://www.survival.it/notizie/8464

I lemuri sono proscimmie (http://it.wikipedia.org/wiki/Prosimiae).
Il problema è che le popolazioni indigene del Madagascar, adottano quella pratica colturale, che per loro è anche culturale, da generazioni.
Con l'aumento della popolazione, combinato agli altri motivi di disboscamento (legname e carbonella), è diventata una pratica insostenibile.
:punkif5:

StRaM
17-07-12, 13:36
ahahaha...bella yomi......parlavo dei mapuche....non dei lemuri!!!!!!!

nel senso che ci sono molte popolazioni di postscimmie cioè tribù, gruppi etnici in via d'estinzione.... forse lo stesso uomo occidentale "civile" è in via d'estinzione se si continua di questo passo!

Yomi
17-07-12, 13:37
ahahaha...bella yomi......parlavo dei mapuche....non dei lemuri!!!!!!!

nel senso che ci sono molte popolazioni di postscimmie cioè tribù, gruppi etnici in via d'estinzione.... forse lo stesso uomo occidentale "civile" è in via d'estinzione se si continua di questo passo!

:roflmao::roflmao: ok!:polliceu:

Yomi
18-07-12, 12:50
Studio prevede riduzione territorio del 40% entro fine secolo

Roma, 17 lug. (TMNews) - Il leopardo delle nevi, di cui sarebbero rimasti circa 500 esemplari allo stato brado, è minacciato dall'aumento delle temperature sull'Himalaya che riducono il suo habitat naturale. I cambiamenti climatici spingono infatti le foreste dentro il territorio dei leopardi, i quali potrebbero perdere fino al 40% delle loro aree di caccia per la fine del secolo, secondo l'allarme lanciato dal Wwf. "La perdita dell'habitat alpino, non significa solo meno spazio per i leopardi delle nevi, ma anche il potenziale avvicinamento alle attività umane, come i pascoli di bestiame", ha spiegato l'esperto e co-autore dello studio Rinjan Shresthta. "Mentre i pascoli aumentano e le prede naturali dei leopardi diminuiscono, i felini potrebbero cominciare a dare la caccia al bestiame, con il rischio di uccisioni per vendetta", ha aggiunto. Secondo gli esperti, sono appena 500 gli esemplari adulti di leopardo delle nevi che sopravvivono sull'Himalaya. Questi animali vivono nelle zone montuose elevate e in quella dei prati alpini asiatici, al di sopra del limite degli alberi, solitamente sotto i 5mila metri. Gli scienziati hanno utilizzato dei modelli informatici per analizzare i cambiamenti e hanno seguito i movimenti dei felini e degli altri abitanti sul terreno in Nepal: il peggiore scenario possibile vede il territorio di 20mila metri quadri del leopardo delle nevi ridursi a 11.700 mq entro la fine del secolo.

http://www3.lastampa.it/typo3temp/pics/1e89260d0d.jpg
http://www.tuttipazziperigatti.eu/1/felini-selvatici/snowleopard.jpg
http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/news/articolo/lstp/462756/

Yomi
21-07-12, 13:47
“Ci sono pescatori che se li bendi e li porti in alto mare, dove non si vede la costa, ti sanno dire esattamente dove sono e quanto è profondo il mare in quel punto”. Bastano poche parole dello storico della marineria Augusto Aliffi per dare l’idea di quel mondo antico e affascinante in cui si muovono, o sarebbe meglio dire si muovevano, i pescatori di Siracusa. Un mondo che sta scomparendo e che, in parte, rivive in Thalassa. Uomini e mare, documentario prodotto da MySiracusae, opera prima di Gianluca Agati, promettente documentarista siracusano. E il mensile on line lo ha intervistato.

Il documentario dura 26 minuti, non è molto lungo ma è piuttosto denso. Hai messo molta carne al fuoco. Si parte dalla scomparsa di un mestiere e di un mondo più in generale per poi, indagandone le cause, arrivare a parlare di problemi che hanno un’altra dimensione, come la scomparsa del tonno rosso e le devastazioni ambientali inferte al Mediterraneo.

Si è vero, in Thalassa ho toccato almeno quattro temi ciascuno dei quali avrebbe meritato un intero documentario da solo. Qui non si parla solo di marineria siracusana, ma anche di alimentazione, della necessità di promuovere il consumo di certe specie piuttosto che di altre, di economia e di ambiente.

E allora procediamo con ordine. In Thalassa come prima cosa racconti la scomparsa di mestieri, quelli legati alla pesca, e la scomparsa di un mondo.

Certi mestieri hanno cominciato a scomparire molti anni fa, negli anni Quaranta, più o meno, con l’arrivo dell’industria chimica, quando, molto prima dei russi di adesso, arrivarono i Moratti, che fecero i primi investimenti ad Augusta, per la grande gioia dei primi governi democristiani locali ma anche della popolazione. Questo ha avuto un profondo impatto sociale, perché in molti preferirono alla fatica nel cantiere navale o a una vita da pescatore, senza la certezza di un guadagno, la sicurezza di una vita da impiegato, con tredicesima, servizio mensa, e tutto ciò che comportava, come maggiori possibilità di accendere un mutuo, comprare casa. Sia chiaro, la mia non è una critica. Ma questo, a lungo andare, dopo quaranta, cinquant’anni, oltre ai danni ambientali che ha procurato, ha trasformato il tessuto della città. Adesso si parla di Erg, di rigassificatori, di raffinazione di benzina, non si parla più di pesca tradizionale. La città non ha più la stessa anima.

Rimanendo alla questione sociale, prima di affrontare quella ambientale, quali sono i danni prodotti da questa trasformazione? Cosa si è perso con questi pescatori, che nel documentario emergono come personaggi meravigliosi?

Sono gli ultimi, considera che tra le nuove generazioni di pescatori non ci sono più italiani. Se fai un giro, scoprirai che sono tutti nordafricani. Tra Siracusa e Bengasi ci sono sempre stati traffici. Un sacco di siracusani hanno lavorato giù con la pesca, e ora c’è un sacco di gente che ha effettuato il percorso inverso. Però adesso non trovi più il ragazzetto ma nemmeno il trentenne italiano, siciliano che pesca. A Siracusa non ne trovi, a sud verso Marzameli c’è ancora qualcosa. La maggior parte sono stranieri. I vecchi sono gli ultimi e sono loro che parlano nel documentario. Quindi direi che si è perso un patrimonio culturale. Però, ripeto, capisco perfettamente le ragioni per le quali sono stati abbandonati certi mestieri, perché, oltre che molto faticosi, da un punto di vista economico non offrivano nemmeno troppe sicurezze. Quello che pesca con le nasse nel video dice che se la battuta di pesca andava male, magari per il maltempo, loro a casa dovevano stringere la cinghia, perché si tornava con poca roba.

Guardando il documentario però viene il sospetto che non tutto sia imputabile all’industria.

No, infatti, c’è da fare un discorso più ampio, ed è poi questa la ragione che mi ha spinto a farmi dare da Greenpeace l’autorizzazione ad usare alcuni suoi video. Se tu abiti in un paesino che vive della tonnara ma a un certo punto di tonni non ne vedi più, perché c’è qualcun altro che ha molti più soldi, barche gigantesche, elicotteri, che si apposta a Gibilterra, nel punto in cui passano i tonni, e li prende tutti, il paesino muore, è costretto a reimpostare la sua economia.

In concreto cosa è successo?

Le cose sono cambiate quando il Giappone ha fatto degli investimenti mostruosi con l’avallo di tutti i Paesi del Mediterraneo, i cui pescatori pescano per i giapponesi. Gli stessi siciliani che vanno a pescare il tonno di frodo, o non rispettando le quote stabilite dall’Iccat (International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna, ndr), subito dopo lo rivendono ai giapponesi. In questo modo le tonnare fisse non hanno più motivo di esistere. E così un altro pezzo di storia scompare. Con le battute di pesca tradizionali, se il banco di tonni conta – supponiamo – cinquecento esemplari, ne puoi prendere duecento, trecento, quattrocento se sei davvero fortunato, ma comunque cento non li prendi. Con la tecnologia messa in campo dai giapponesi invece non c’è possibilità di errore: hanno radar, usano elicotteri per l’avvistamento dall’alto del banco, che viene così accerchiato e preso in blocco. Non si salva mai nessun esemplare. In questo modo prima o poi i tonni finiranno.

Da quanto tempo sono presenti i giapponesi nel Mediterraneo?

Da quel che mi risulta, dai primi anni anni Novanta. Il pesce viene pescato nel modo che ho descritto prima e poi può essere lavorato subito sulle navi fattoria: allora viene ucciso, dissanguato, trasformato, inscatolato e spedito subito. Quando però la pezzatura è sottodimensionata, il pesce viene trasferito in uno degli allevamenti. Nell’Adriatico ce ne sono una quantità incredibile. La più alta concentrazione ce l’ha Malta. Mi dispiace non aver potuto inserire nel documentario, perché troppo sgranate, le immagini girate sott’acqua che mostrano cosa rimane sul fondale dopo che concentri diecimila tonni all’interno di un cerchio e dai loro da mangiare tonnellate di pezzame, mangime, acciughe, medicine e porcherie varie. I danni ambientali, gravi, si vedono chiaramente: su quei fondali sembra che siano passati gli alieni.

Eppure il tema non è molto noto né dibattuto.

Purtroppo in materia non ci sono politiche efficaci a livello comunitario, anche perché tutti i Paesi del Mediterraneo hanno da guadagnarci. Inoltre qui non parliamo di imprese di piccole dimensioni. I giapponesi sono presenti con veri e propri colossi. Il più grande si chiama Mitsubishi ed è proprio quello che costruisce le macchine e che avendo la possibilità di contare su impianti di stoccaggio, ha creato delle riserve di tonno, cosa che le permette di controllare il prezzo mondiale del prodotto. Più il tonno comincia a scarseggiare nei mari, più Mitsubishi acquista potere e riesce a condizionare il prezzo.

Prima dei titoli di coda, compaiono le cifre, sconcertanti, che raccontano il disastro in corso. Tra il 1957 e il 2007 la presenza del tonno nel Mediterraneo è diminuita del 74,2 per cento. Continuando così, nel 2015 nove tonni su dieci saranno scomparsi.

Si, e considera che sono dati vecchi di due anni.

http://www.eilmensile.it/2012/07/21/thalassa-uomini-e-mare-e-un-disastro-ecologico-di-cui-non-si-parla/

Che tristezza... :icon_sad:

OmNavaShivaja
21-07-12, 17:55
e pensare che fino a qualche anno fa c'era le foche monache in sardegna, ora sono solo un ricordo...
per quanto riguarda il legno ci sono varie alternative, una delle migliori è il bambù visto che in pochissimo tempo ricresce, ci sono poi coltivazioni certificate FSC che producono legno proveniente solo da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
io lavoro in una struttura ECO e abbiamo tutti questi tipi di legno per mobili o parquette...

Yomi
23-08-12, 08:55
Le nostre generazioni, dovranno vedere l'estinzione di questo stupendo animale? La crisi non aiuta sicuramente, vedo già gli speculanti avvoltoi sui parchi naturali spagnoli, ultimo rifugio della Lince.. Mi vengono le lacrime, noi dovremmo estinguerci :icon_rambo:

Lynx pardinus (http://it.wikipedia.org/wiki/Lynx_pardinus)
http://3.bp.blogspot.com/-DkREUidqn2U/TlDXdKXzQ_I/AAAAAAAAAlI/ptF4FZk8wB4/s1600/lince_iberico.jpg

Stato di conservazione
Critico

Areale della specie nel 1980 e nel 2003
La lince pardina, Lynx pardinus (Temminck, 1827), è una specie in pericolo critico originaria della penisola iberica, in Europa meridionale. È il felino più minacciato del mondo[3]. Secondo il gruppo di conservazione SOS Lynx, se questa specie si estinguesse si tratterebbe della prima estinzione di felino dai tempi della scomparsa dello Smilodon 10.000 anni fa[4]. In passato gli studiosi erano soliti considerarla una sottospecie della lince comune (Lynx lynx), ma ora la ritengono una specie separata. Entrambe le specie erano diffuse in Europa centrale durante il Pleistocene, non entrando mai in competizione tra loro vivendo in habitat differenti[5]. Si ritiene che la lince pardina si sia evoluta da Lynx issiodorensis.

Sotto molti aspetti la lince pardina ricorda altre specie di linci, con la coda corta, i pennacchi sulle orecchie e i ciuffi di pelo al di sotto del mento. Mentre la lince comune è ricoperta da chiazze piuttosto pallide, quella pardina presenta una serie di caratteristiche macchie, simili a quelle del leopardo, che spiccano sul pelo color grigio chiaro o bruno-giallastro chiaro. Anche la pelliccia è molto più corta di quella delle altre linci, adattatesi generalmente a vivere in ambienti più freddi[7]. Alcune popolazioni occidentali erano prive di macchie, ma si sono estinte recentemente.
La lunghezza testa-corpo è di 85 - 110 cm, mentre quella della coda, piuttosto corta, è di 12 - 30 cm; l'altezza al garrese si aggira sui 60 - 70 cm. I maschi, più grandi delle femmine, pesano circa 12,9 kg, sebbene alcuni esemplari abbiano raggiunto i 26,8 kg; le femmine, invece, raramente superano i 9,4 kg; le dimensioni della specie, quindi, sono solo la metà di quelle della lince comune[5][8][9].
Come tutti i felini, la lince pardina ha quattro gruppi di vibrisse: due sulle orecchie e due sul mento. Esse vengono utilizzate per individuare le prede. I ciuffi di pelo sulle orecchie consentono alla lince di percepire meglio le fonti sonore; se privata di esse, il suo senso dell'udito diminuisce enormemente. I margini dei piedi sono ricoperti da peli molto lunghi che le permettono di muoversi silenziosamente sulla neve.

Ecologia
La lince pardina è più piccola delle sue parenti settentrionali e generalmente caccia animali di dimensioni inferiori, solitamente non più grandi di una lepre. Anche l'habitat in cui vive è differente: abita infatti nelle macchie aperte e non nelle foreste come la lince comune[5].
Al crepuscolo va a caccia di mammiferi (compresi roditori e insettivori), uccelli, rettili e anfibi. La sua preda principale è costituita dal coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus; 79,5 - 86,7% del totale); lepri (Lepus granatensis; 5,9%) e roditori (3,2%) sono meno comuni[5]. Un maschio necessita di almeno un coniglio al giorno, mentre una femmina con i piccoli ne deve catturare almeno tre[10].
Dal momento che in Spagna e Portogallo le popolazioni di conigli sono molto diminuite, la lince pardina è spesso costretta ad attaccare giovani daini, caprioli, mufloni ed anatre. Compete per le prede con la volpe rossa, il meloncillo (Herpestes ichneumon) ed il gatto selvatico. È un animale solitario e va a caccia da sola; insegue le sue prede o attende per ore dietro un cespuglio o una roccia che le passino sufficientemente vicino per balzarle addosso in pochi passi.
Questo animale, soprattutto se in compagnia di esemplari più giovani, si sposta molto e può compiere spostamenti che superano i 100 km. Il territorio (di circa 10 - 20 km2) dipende strettamente dalla disponibilità di cibo[10]. Tuttavia, una volta stabilitone i confini, spesso costituiti da strade e sentieri costruiti dall'uomo, il territorio tende a mantenere le stesse dimensioni per molti anni. La lince lo marca con l'urina, con mucchi di escrementi deposti tra la vegetazione o con vistosi graffi sulla corteccia degli alberi[7].

Riproduzione
Un esemplare nel Parco Nazionale di Doñana
Durante la stagione degli amori la femmina lascia il proprio territorio alla ricerca di un maschio. Il periodo di gestazione dura di norma circa due mesi; i piccoli nascono tra marzo e settembre, con un picco delle nascite in marzo ed aprile. La cucciolata tipica comprende due o tre piccoli (più raramente uno, quattro o cinque) che pesano 200 - 250 g.
Essi diventano indipendenti a 7 - 10 mesi d'età, ma rimangono con la madre fino a 20 mesi. La loro sopravvivenza dipende in gran parte dalla disponibilità di prede. In natura sia i maschi che le femmine raggiungono la maturità sessuale a un anno d'età, sebbene in pratica è raro che si riproducano fino a quando non si sono stabiliti in un proprio territorio; è noto il caso di una femmina che non si riprodusse fino a quando non morì sua madre, quando ormai aveva già cinque anni. La longevità massima in natura è di 13 anni[5][9].
I fratelli diventano sempre più violenti gli uni con gli altri tra i 30 e i 60 giorni d'età, raggiungendo un massimo di aggressività intorno ai 45 giorni. Non è raro che un unico piccolo uccida tutti gli altri fratelli in questi combattimenti brutali. Il motivo di questi scoppi di aggressività non è ben chiaro, ma molti studiosi ritengono che vada collegato ad un cambiamento ormonale che avviene quando i piccoli smettono di succhiare il latte della madre per iniziare a nutrirsi di carne. Altri ritengono che vada interpretato come una forma di gerarchia e di «sopravvivenza del più forte». Non sapendosi spiegare il perché, i conservazionisti devono tenere separati tra loro i piccoli fino a quando non hanno raggiunto i 60 giorni d'età.

Habitat
Fino alla metà del XIX secolo questa lince era diffusa in tutta la penisola iberica, ma ora il suo areale è ristretto ad alcune aree molto piccole e si riproduce in due sole zone dell'Andalusia, nella Spagna meridionale. La lince pardina predilige ambienti eterogenei costituiti da distese erbose aperte miste a macchie più fitte di corbezzolo, lentisco, ginepro e di alberi di leccio e di sughera. Al giorno d'oggi quasi tutti gli esemplari sopravvissuti si sono ritirati in zone montane, e nelle foreste di pianura o nella fitta macchia mediterranea si incontrano ormai solo pochi sparuti gruppi.

Popolazione
La lince pardina è una specie in pericolo critico[2]. È il felino più minacciato del mondo ed il carnivoro più minacciato d'Europa[11].
Studi effettuati nel marzo del 2005 hanno stimato una popolazione inferiore ai 100 esemplari, rispetto ai circa 400 del 2000[12] ed ai 4000 del 1960[13]. Se la lince pardina si estinguesse si tratterebbe della prima specie di grande felino a scomparire dai tempi dell'estinzione dello Smilodon 10.000 anni fa.
Le uniche popolazioni riproduttive vivono in Spagna e si ritiene che sopravvivano soltanto nel Parco Nazionale di Doñana e sulla Sierra di Andújar (Provincia di Jaén). Tuttavia, nel 2007, le autorità spagnole hanno annunciato la scoperta di una popolazione rimasta sconosciuta nel territorio di Castiglia-La Mancia (Spagna centrale)[14]. Successivamente tale popolazione è stata stimata a 15 esemplari[15].
La lince pardina e gli habitat in cui vive godono della più completa protezione e anche la caccia legale è ormai vietata da lungo tempo. Le minacce che più gravano su di lei sono la distruzione dell'habitat, l'avvelenamento, gli incidenti stradali, i cani rinselvatichiti ed il bracconaggio. La distruzione dell'habitat è dovuta soprattutto all'aumento delle infrastrutture e allo sviluppo di centri urbani e di villeggiatura, nonché di monocolture, i quali vengono sempre più a frammentare l'areale della lince. Inoltre, va ricordato anche che le popolazioni di conigli, prede fondamentali della lince, sono notevolmente diminuite in seguito a malattie come la mixomatosi e la polmonite emorragica[16].

Recupero
Il 29 marzo del 2005, Saliega, la prima lince pardina ad essersi riprodotta in cattività, dette alla luce tre piccoli in piena salute al Centro di Riproduzione di Acebuche E1, nel Parco Nazionale di Doñana (Provincia di Huelva, Spagna)[17]. Sempre nello stesso luogo, ne partorì altri tre il 2 marzo del 2008. Questi piccoli nacquero dopo una gestazione di 64 giorni. Uno di loro venne rifiutato dalla madre e la Giunta del Dipartimento dell'Ambiente dell'Andalusia annunciò il 24 marzo che il piccolo era morto[18].
Nell'area della Sierra Morena appena a nord di Andújar, in Andalusia, nel 2008 vennero individuati 150 esemplari, rispetto ai 60 del 2002. Con il risultato di questo incremento numerico, la zona di Andújar-Cardeña ha probabilmente raggiunto la sua capacità portante e così potrebbe venire utilizzata in futuro come serbatoio per prelevare esemplari da reintrodurre altrove. Oltre a questi successi di conservazione in situ sulla Sierra Morena, se ne sono avuti altri dovuti al buon andamento del programma di riproduzione ex situ, con la nascita di 52 esemplari, 24 dei quali a sua volta riprodottisi in cattività. La popolazione ex situ fornirà 20 - 40 esemplari ogni anno che verranno utilizzati per un programma di reintroduzione in natura che inizierà nel 2010. In ultimo, nel Parco Nazionale di Doñana, la popolazione di linci sembra essere rimasta stabile negli ultimi anni: tra il 2002 ed il 2008, infatti, ogni anno sono stati censiti intorno ai 50 esemplari. Il 20 marzo del 2009 è stata annunciata la nascita di altri tre piccoli nel Centro di Riproduzione del Parco[19]. I progetti di reitroduzione della lince pardina sono già iniziati nel 2009 nel Guadalmellato, ed altri nel Guarrizas sono già in programma per il 2010 - 11[3].

philmusic
23-08-12, 10:52
La prima volta che ho visto Sharkwater, il finale in particolare, stavo per mettermi a piangere..è tristissimo quello che l'uomo riesce a fare agli altri esseri viventi :icon_sad:

OmNavaShivaja
23-08-12, 17:53
invece nelle mie zone, dopo anni di assenza, si sta ripopolando di linci! :polliceu:

simoz
24-08-12, 12:52
Non so da voi, ma da me è da anni che sono scomparse le coccinelle.. C'entra poco con l'estinzione perché non credo siano in pericolo, ma dovrebbe quanto meno farci riflettere il fatto che degli animali che abbiamo sempre avuto intorno pian piano tendono a scomparire

Dantep
24-08-12, 17:43
Non so da voi, ma da me è da anni che sono scomparse le coccinelle.. C'entra poco con l'estinzione perché non credo siano in pericolo, ma dovrebbe quanto meno farci riflettere il fatto che degli animali che abbiamo sempre avuto intorno pian piano tendono a scomparire

Se x quello dalle mie parti sono decisamente calate farfalle e lucciole

simoz
25-08-12, 13:14
Vedi sono cose a cui uno non ci fa caso o lo fa a malapena, ma minchia dovrebbe far riflettere.. Vedere il mondo intorno che cambia dovrebbe indurre quanto meno a farsi delle domande, invece sembra non fregare un cazzo di niente a nessuno,.. Basta avere l iphone in mano, Poi se nel frattempo il mondo intorno sta morendo pazienza..

Dantep
25-08-12, 18:34
Vedi sono cose a cui uno non ci fa caso o lo fa a malapena, ma minchia dovrebbe far riflettere.. Vedere il mondo intorno che cambia dovrebbe indurre quanto meno a farsi delle domande, invece sembra non fregare un cazzo di niente a nessuno,.. Basta avere l iphone in mano, Poi se nel frattempo il mondo intorno sta morendo pazienza..

Brutto da dire,ma purtroppo è così

whitestone
27-08-12, 14:10
Se x quello dalle mie parti sono decisamente calate farfalle e lucciole

anche da me sono calate,da quando hanno messo una multa di 500 euri a chi si ferma anche solo per guardarle :roflmao:

al di la della battuta è vero,coccinelle,farfalle,maggiiolini ecc sono diminuiti tantissimo,per non dire spariti.anche i pippistrelli non li vedo più.peccato che le zanzare ci siano sempre

Dantep
28-08-12, 21:45
Le zanzare aumentano purtroppo

Randagio
29-08-12, 15:37
Le zanzare aumentano purtroppo

Nonostanet aumentino i rimedi.. questo fa mooolto pensare...

Secondo em la zanzara Tigre l'ha importata la bayern! :roflmao:

Resina
29-08-12, 20:51
Secondo em la zanzara Tigre l'ha importata la bayern! :roflmao:



Sto maledetto commercio:biggrin2:

Yomi
13-09-12, 08:47
11/9/2012 - I rinoceronti di Giava e di Sumatra entrano nella lista delle 100 specie a maggiore rischio di estinzione nel mondo (http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=31710&content=1).

Tra i fattori di minaccia, bracconaggio e deforestazione
La lista mondiale delle specie in via di estinzione si allunga. Le due tristi new entry sono i rinoceronti di Giava e di Sumatra.

I pochi individui rimanenti in Asia di queste due specie sono stati infatti identificati dagli ambientalisti come alcuni degli animali più minacciati al mondo. La lista delle 100 specie a maggior rischio di estinzione è stata rilasciata dalla Società Zoologica di Londra e dall’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) ai governi e alle organizzazioni ambientaliste in grado di raccogliere per il Congresso Mondiale della Conservazione dell’IUCN. Misure per la conservazione di rinoceronti e altre specie a rischio di estinzione a causa di minacce quali bracconaggio, commercio illegale e la perdita di habitat dovrebbero essere concordati nel corso della riunione.

Attualmente si contano meno di 50 rinoceronti di Giava, tutti in un unico parco nazionale indonesiano. I rinoceronti di Sumatra vivono in alcune località sparse in tutta Sumatra e nel Borneo, per un numero inferiore a 200 esemplari. Inoltre la riproduzione in cattività di questi animali non è abbastanza veloce tale da garantirne la sopravvivenza in caso di malattia, eruzioni vulcaniche o tsunami. Inoltre, i rinoceronti di Sumatra subiscono forti pressioni dal bracconaggio e dalla perdita dei loro habitat forestali provocata dalla deforestazione e dalla conversione in terreni agricoli.

“I rinoceronti del mondo sono sotto attacco da bracconieri, commercianti e consumatori che comprano i loro corni. Con così pochi esemplari di rinoceronti di Java e di Sumatra rimanenti, queste creature preistoriche potrebbero scomparire per sempre a meno che non vengano adottate misure per aumentarne il numero, fermare il bracconaggio e frenare il commercio illegale di corni di rinoceronte. Fino a quando esisterà una domanda di corno di rinoceronte, e i criminali valuteranno il fatto che i premi sono più alti del rischio di essere scoperti, le bande faranno di tutto per fornire corno al mercato”, afferma Massimiliano Rocco, Responsabile Specie e TRAFFIC del WWF Italia.
“Oltre al bracconaggio tra i principali fattori di minaccia, non solo per il rinoceronte ma anche per altre specie come elefanti ed oranghi, bisogna ricordare la deforestazione in particolare nelle foreste di Sumatra e del Borneo dove la distruzione di interi habitat trasformati in sterili piantagioni di palme da olio e acacie per produrre polpa di carta procede a ritmi velocissimi. Un processo criminale di cui anche l’Italia è responsabile, essendo tra i paesi che importano e consumano questi prodotti. Sarebbe auspicabile – conclude Rocco - anche un impegno da parte della Comunità Internazionale per salvaguardare le specie minacciate nelle aree di Sumatra e del Borneo, visto che il loro immenso bagaglio di biodiversità è e un patrimonio mondiale”.

MUORE ‘L’ULTIMO DEI MOHICANI’: IL CASO VIETNAM.

A causa del bracconaggio nel 2010 il Vietnam ha perso il suo ultimo rinoceronte, portando così a dichiarare estinta la sottospecie del rinoceronte di Giava nel paese. Un’altra sottospecie, il rinoceronte nero occidentale, in Camerun, è anche andata estinta. Tre delle cinque specie di rinoceronti sono elencati come in pericolo di estinzione nella Lista Rossa IUCN.

“L’aumento della domanda di corno di rinoceronte in Asia negli ultimi anni, soprattutto in Vietnam, ha fatto salire alle stelle il bracconaggio portandolo ai livelli record del più lontano Sud Africa”, spiega Carlos Drews, direttore del Programma Specie del WWF Internazionale. “False credenze su nuovi poteri curativi del corno di rinoceronte stanno alimentando un mercato illegale che minaccia di compromettere decenni di progressi ottenuti con successo nella conservazione”.

Il mese scorso, la rete del progetto TRAFFIC, che monitora il commercio di fauna selvatica, ha pubblicato un nuovo rapporto completo sul commercio illegale di corno di rinoceronte che ha documentato come la scarsa conformità alle leggi nella gestione delle scorte di corno di rinoceronte, le lacune nella politica dello sport della caccia in Sud Africa e l’aumento di domanda per il corno in Vietnam ha creato le condizioni ideali per il coinvolgimento di sofisticate reti criminali che portano ad una drammatica escalation del bracconaggio nel Sud Africa.
LA PROPOSTA WWF E ALCUNI CASI VIRTUOSI.
La gestione altamente focalizzata può portare ad un aumento delle popolazioni di rinoceronte, come mostrato nel caso dei più grandi rinoceronti con un solo corno in Nepal e in India. Ora è urgente che la conservazione dei rinoceronti di Giava e Sumatra sia affrontata come una priorità. Data la gravità della situazione devono essere valutate misure estreme, come ad esempio trasferimenti verso siti sicuri e la creazione di nuove popolazioni”.

Le misure di conservazione efficaci hanno infatti risollevato le specie di rinoceronte dal baratro dell’estinzione. Lo scorso anno, ad esempio, il Nepal ha celebrato un anno senza episodi di bracconaggio ai danni del rinoceronte, che è stato in gran parte attribuito alle forze dell’ordine attuate in maggiore misura con l'aiuto del WWF.
In occasione dell’Anno Internazionale del Rinoceronte, il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha promesso nel giugno 2012 di affrontare in modo efficace la conservazione del rinoceronte nel paese e di impegnarsi in una migliore protezione degli animali.
Il WWF e TRAFFIC hanno lanciato una campagna globale contro il commercio illegale di corno di rinoceronte, l’avorio d’elefante e le parti di tigre. La campagna è alla ricerca di una migliore applicazione della legge per interrompere il traffico di fauna selvatica, deterrenti più efficaci e la riduzione della domanda di prodotti di specie in via di estinzione.

Per scongiurare la scomparsa degli ultimi rinoceronti è possibile sostenere il Progetto Rinoceronte del WWF su www.wwf.it/rinoceronte (https://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=6952) . In soli 3 anni abbiamo perso 1349 corni: la richiesta del corno di rinoceronte è alla radice della quasi estinzione di queste specie. L’obiettivo è: investire in nuove azioni di conservazione. Finanziare pattuglie antibracconaggio nelle aree di Sumatra e Giava. Finanziare lo spostamento di rinoceronti neri per mantenere stabile la riproduttività delle popolazioni nella zona di KwaZuku-Natad (Sud Africa).
Aiutare gli investigatori del Network Traffic a combattere il commercio illegale di specie animali e vegetali.

La campagna contro il bracconaggio è anche social su facebook (http://www.facebook.com/wwfitalia) e su twitter #stopbracconaggio (http://twitter.com/WWFitalia).

http://www.retesalvaguardiaterritorio.it/wp-content/uploads/2011/10/Rinoceronte-di-Giava-Vietnam-_-estinto.jpg Rinoceronte di Giava

http://www.nationalgeographic.it/images/2010/12/07/092709431-528708a6-6f7c-4c13-b4a7-1f7f47dbbe2c.jpgRinoceronte di Sumatra

Yomi
29-09-12, 08:36
Diciott'anni fa 66 lupi furono importati dal nord per ripopolare Yellowstone. Ma ora che lo hanno fatto, la caccia è aperta
di VITTORIO ZUCCONI

Al lupo! Al lupo! E a furia di gridare al lupo, il lupo arrivò davvero. Arrivarono in tanti, più di quanti avevano sperato gli amici di questo stupendo animale, nel 1995, quando un gruppo di sessantasei lupacchiotti e lupacchiotte grigi catturati nelle foreste del Canada furono trapiantati nel parco di Yellowstone.

Erano ragazzi, adolescenti non ancora adulti, e fecero un viaggio terribile. Anestetizzati, poi sedati, ingabbiati, e trasportati in camion, dovettero aspettare 36 ore alla fine del lungo viaggio prima che un giudice respingesse la petizione presentata in extremis dalla associazione degli allevatori del Wyoming.

Furono finalmente liberati dalle gabbie e sistemati in un ranch perché si acclimatassero e diventassero adulti. Si acclimatarono così bene, e gradirono talmente la rispettiva compagnia, che diciassette anni dopo, quando quei primi arrivati hanno raggiunto quel pezzetto di cielo nel quale i lupi corrono fra le nuvole, sono diventati migliaia.

Quasi due mila lupi grigi, e fra di loro centonove coppie sposate e attivissime oggi si muovono nel nord ovest degli Stati Uniti, dove non vivevano più da quando l'ultimo di loro era stato ucciso dai cacciatori nel 1926. Il premio, per essere tornati e per essere cresciuti tanto, è che ora potranno essere di nuovo uccisi, con fucili o con l'atrocità delle trappole.

Quel numero di nuovi nati e di adulti li ha tolti dalla liste ufficialmente delle specie minacciate di estinzione e dunque possono essere di nuovo obbiettivo del più spietato predatore che la Terra abbia mai prodotto: noi uomini. La loro colpa è di avere fatto i lupi, colpa che può sorprendere chi pensasse che un lupo quello sa fare e non molto altro.

E di averlo fatto troppo bene. Essendo creature particolarmente intelligenti e organizzate, e non avendo grandi nemici naturali (noi a parte) visto che anche gli orsi preferiscono stare alla larga dai lupi e anche dai cuccioli accompagnati da parenti, hanno capito in fretta che mucche e buoi sono ottime fonti di nutrimento, con il vantaggio di essere molto più pratiche dei bisonti, che a volte si scocciano di fare da preda e usano le loro corna.

I ranch e gli allevamenti della zona, quelli che avevano disperatamente combattuto nei tribunali contro il ritorno del lupo, si sono finalmente ribellati, ora che il numero dei branchi e delle coppie fertili si avvicina ai duemila e hanno avuto il permesso del governo di abbatterli, da questo 30 settembre alla fine di novembre.

Potranno sopravvivere, nel parco di Yellowstone, nel Montana, nell'Idaho, non più di 400 animali, considerata la quantità minima indispensabile per garantire la diversità del DNA fra i nuovi nati e quindi la sopravvivenza della specie. Sarà una strage. Ne saranno felici gli allevatori, le mucche, i manzi e soprattutto le alci, che in assenza dei loro avversari naturali si erano moltiplicate fuori controllo.

Avevano rosicchiato la scorza di abeti e brucato le piante più basse, mettendo nei guai le foreste, facendo entrare più luce solare, scaldando l'acqua dei torrenti, e decimando trote e altri pesci che preferiscono temperature più basse.

Quei due mila lupi, instancabili cacciatori, avevano cominciato a ristabilire un po' di equilibrio ecologico nel quale tutto, vegetazione e animali, acqua e luce, si tiene sul filo. E ora, per avere fatto quello gli uomini avevano chiesto ai quei sessantasei pionieri deportati in gabbie dal Canada, per essersi acclimatati e riprodotti, per avere protetto i loro cuccioli e riportato un po' di ordine nel mondo crudele, ma spietatamente logico di mamma Natura, saranno fucilati.

O, peggio, torturati dalle ganasce di ferro delle trappole che imprigionano le loro zampe e li uccidono lentamente. Chissà che favole racconteranno le lupe ai loro cuccioli, per tenerli buoni e farli addormentare. Dormi, lupetto, stai quieto, perché altrimenti arriva la nonnina.


L'americano medio, invece, è in via d'espansione, da anni, e sta per soppiantare qualsiasi altro modo di vivere.
Rabbia e pena.
FORZA LUPI.:wub:

http://www.repubblica.it/mobile-rep/d/2012/09/29/news/la_sfortuna_di_non_essere_in_via_di_estinzione-43410217/

Yomi
10-01-13, 21:39
Ma si dai, facciamo fuori anche i leoni africani...:icon_rambo:


I leoni africani rischiano di scomparire in alcune aree del continente. A rivelarlo è un rapporto di LionAid, secondo il quale nell'Africa Occidentale e centrale resterebbero allo stato selvatico solo 645 leoni, con un declino rapidissimo e preoccupante negli ultimi anni. Un calo che si riflette in tutta l'Africa, dove resterebbero circa 15.000 leoni selvatici, erano 200.000 solo pochi decenni fa. Il Re degli animali è ormai estinto in 25 Paesi africani e praticamente estinto in altri 10.

Pieter Kat, di LionAid Trustee sottolinea: «C'è stato un catastrofico declino nelle popolazioni di leoni in Africa, e in particolare l'Africa occidentale. Questi leoni sono stati trascurati per un tempo molto lungo e non hanno adeguati programmi di protezione».

Il rapporto conferma le preoccupazioni sollevate da una serie di studi per il futuro di leoni africani. Uno studio di Biodiversity Conservation, Duke Universiti ed altre Ong rivelava che negli ultimi 50 anni sono scomparsi circa i tre quarti degli habitat africani di savana essenziali per i leoni che, in base al territorio disponibile, sarebbero circa 32.000. Ma LionAid suggerisce che il numero reale dei leoni allo stato selvatico sia molto più basso, anche se il calcolo della dimensione esatta della popolazione della specie è difficile.

Will Travers, direttore di Born Free Foundation, spiega «Abbiamo dato questi dati: circa 25.000 leoni. Ma se si utilizzano questi dati, il rapporto di LionAid o lo studio della Duke, c'è un accordo comune tra tutti i soggetti coinvolti nella conservazione dei leoni africani che la situazione è molto grave»

Il rapporto LionAid dice che l'Africa occidentale deve affrontare sfide particolari per la salvaguardia, a causa di un mix di povertà, mancanza di interesse politico per la conservazione dei leoni e lo scarso sviluppo dell'eco-turismo e di quello della fauna selvatica. In Nigeria i leoni sono i rapido declino e ne rimangono 34, erano 44 nel 2009.

Kat è abbastanza sconsolato: «Anche se i parchi nazionali in Africa occidentale ospitano fauna molto diversa e molto importante rispetto all'Africa orientale, le persone tendono a ignorare che l'Africa occidentale è un posto molto speciale. Di conseguenza, le popolazioni dell'Africa occidentale sono in declino così in fretta, come un biologo direi che in un paese come la Nigeria, che ha ormai solo 34 leoni, sono già estinti. E' quasi impossibile costruire una popolazione da un numero così basso».

Nel 2011 il Fish and wildlife service Usa aveva promesso di far inserire i leoni nell'Endangered Species Act perché i safari africani degli statunitensi caccia di trofei sono una della cause del declino dei leoni. Ma la lobby della caccia grossa sta ostacolando in ogni modo la protezione dei grandi felini.

Anche per Sarel van der Merwe, African Lion Working Group «Nell'Africa occidentale e centrale i numeri dei leoni sono troppo bassi per avere un qualsiasi impatto negativo sulle popolazioni e la caccia dovrebbe essere vietata, così come ogni forma di uccisione, indipendentemente dal fatto che un paio di leoni possono essere killer abituali di bestiame. In caso contrario, si può anche perdere il leone come specie».

Eppure i leoni sono importanti nella cultura di molte nazioni africane ed addirittura uno Stato dell'Africa Occidentale si chiama Sierra Leone, Kat conclude «Quando si guarda a molti Paesi africani quel che si vede è che mettono i leoni sui loro stemmi e le loro bandiere, che i leoni fanno parte della loro cultura, ma come specie non sono protetti. Quel che continuano a dirmi gli africani impegnati nella conservazione è che stiamo perdendo una quantità enorme di storia e cultura africane e che un importante parete del patrimonio nazionale, non solo dei Paesi africani, rischia lentamente di scomparire».


http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=%2019788

hydrobloom
18-01-13, 16:55
Aiutiamole.

http://www.greenme.it/images/stories/informarsi/ambiente/biodiversit/animali_in_via_d_estinzione.jpg

Yomi
21-05-13, 16:25
ROMA - Sono sei le specie della nuova Lista rossa italiana sugli uccelli sull'orlo dell'estinzione: gipeto, capovaccaio, grifone e aquila di bonelli, oltre che forapaglie comune e bigia padovana. Specie che compaiono nella categoria di ''pericolo critico'' (CR). Piu' esposti sono i rapaci e gli avvoltoi perche' specie predatrici o 'spazzine', considerate per molto tempo nocive in Italia e per questo costantemente perseguitate dall'uomo. A dirlo la Lipu parlando della Lista Rossa degli Uccelli, realizzata l’anno scorso con l'universita' Sapienza di Roma, e che occupera' un capitolo dei due cataloghi sulla biodiversita' italiana - realizzati dal ministero dell'Ambiente, da Federparchi e dal Comitato italiano per l'Iucn - che saranno presentati il 22 maggio a Roma, al Palazzetto delle Carte Geografiche, in occasione della Giornata mondiale della biodiversita'. Nel capitolo dello studio sulla natura italiana, osserva la Lipu, sono ''270 le specie prese in considerazione: il 27,3% e' 'in pericolo' o 'vulnerabile', il 2,2% e' minacciato 'in modo critico', l'8,1% e' 'in pericolo', il 17% e' 'vulnerabile'. Tra i piu' minacciati, nibbi, aquile, avvoltoi con il 56,5% delle specie a rischio di estinzione, e oche, cigni e anatre con il 55,6% delle specie a rischio. ''Lo stato di salute della biodiversita' italiana e' preoccupante – dichiara Fulvio Mamone Capria, presidente Lipu - Ma abbiamo anche segnali positivi'' come ''il caso della minacciatissima aquila di Bonelli'', che ''proprio in questi giorni'' ha visto l'avvio dei primi voli dei nuovi nati nel 2013''.

http://dbnotizie.altervista.org/post/8406/Lipu_6_specie_uccelli_orlo_estinzione

http://www.nikoncameracollector.com/1/images/670_0_91606_21656.jpg Capovacciaio

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4e/Eagle_beak_sideview_A.jpg/220px-Eagle_beak_sideview_A.jpg Grifone

http://www.oocities.org/it/gipetobarbuto/Gipeto5.JPG Gipeto

http://www.casa-vacanze-naxos.com/wp-content/uploads/2012/07/aquila-di-Bonelli.jpg Aquila dei Bonelli

http://parco.ex-risaia.info/public/images2009/ForapaglieSerrazanetti2009327.jpg Forapaglie comune

http://www.ogliosud.net/assets/0000/0714/bigia-padovana_high.jpg?1293115941 Bigia padovana

bluedigit
21-05-13, 17:09
.... pure il Fumacanne dei Parchetti pare in via d'estinzione....:offtopic:

.... scusate ma non ho resistito!:roflmao::roflmao::roflmao:

Yomi
16-01-14, 23:56
La tigre si sta estinguendo. L’ultimo allarme arriva dal National Geographic, in un articolo firmato da Sharon Guynup. Nel 2012 gli esemplari presenti in territorio asiatico erano 3200, ma secondo le stime degli ultimi mesi, nel corso del 2013, il loro numero sarebbe ulteriormente calato avvicinandosi pericolosamente alle 3000 unità.

Si tratta delle tigri presenti in natura, mentre è più elevato il numero di questi felini custodito da privati o in cattività all’interno di zoo.

La tigre è un animale dominante che si adatta a diversi ambienti, dalle giungle alle praterie, dalle colline Himalayane alle mangrovie del Sundarbans.

Un secolo fa gli esemplari di tigri fra la Turchia e la Siberia, passando per il Sud Est Asiatico, erano 100mila. Oggi sopravvivono in 12 paesi e sono già scomparse dal territorio delle due Coree. Le tigri sono scomparse dal 93% dei territori nei quali vivevano un secolo fa e rimangono solamente 42 popolazioni sparpagliate prevalentemente nella parte centrale del continente asiatico.

I territori abitati per millenni dalle tigri sono minacciati dall’antropizzazione: risaie, campi coltivati, centri abitati, strade e ferrovie circoscrivono sempre di più il territorio di caccia di questi predatori che prediligono territori estesi.

Alcune sottospecie di tigre si sono estinte verso la fine degli anni Ottanta, quelle di Giava e del Mar Caspio negli anni Settanta, mentre la tigre di Bali è scomparsa negli anni Quaranta. Attualmente rimangono sei sottospecie: la tigre del Bengala, dell’Indocina, della Malesia, di Sumatra, la tigre cinese meridionale e quella dell’Amur (siberiana).

Perché nonostante le migliaia di esemplari in cattività il rischio d’estinzione resta alto? Perché le tigri in cattività sono geneticamente separate da quelle che vivono in libertà e, se rilasciate in natura, non sarebbero in grado di cacciare e, dunque, di sopravvivere. Sarebbe inoltre impossibile introdurre un nuovo individuo in un ambiente naturale visto che questi felini sono radicalmente territoriali e combatterebbero fino alla morte per mantenere la propria dominanza.

L’unica soluzione è proteggere i siti di conservazione, un impegno che, secondo una stima del 2010, costa circa 82 milioni di dollari l’anno. Inoltre l’habitat per ospitare un eventuale ripopolamento è molto esteso e la femmina è in grado di dare alla luce quindici cuccioli. Il rischio è alto ma la partita per salvare la tigre è tutt’altro che persa.

http://www.ecoblog.it/post/122127/tigri-a-rischio-estinzione-in-natura-ne-restano-3000

https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcS8RhDHuGb8Kifs-ob_lhNYlS9VV-Vz-sv-DnJDaSKbbf6FKznc

https://encrypted-tbn3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSjrTh7oO5r4Repmay7b3F-zxGBbqn3PDrMNdmOKZucyc6JjSOh
82 milioni di dollari, sono NIENTE porca di quella porca e straporca, pensate al budget del calcio, e vi viene voglia di prendere tutti a calci..
:hippy:

tiffenau
20-01-14, 20:05
Io capisco che l'essere umano si ponga sopra le altre specie e cerchi in ogni modo di recuperare a possibili errori passati, ma nell'arco dell'evoluzione possiamo dire che più del 90% delle specie si è estinta e a prescindere dall'intervento umano!
A livello personale invece mi rattrista che un essere tanto maestoso possa scomparire: ma questo forse ci fa capire quanto l'adattabilità sia la vera forza

Yomi
20-01-14, 20:13
Io capisco che l'essere umano si ponga sopra le altre specie e cerchi in ogni modo di recuperare a possibili errori passati, ma nell'arco dell'evoluzione possiamo dire che più del 90% delle specie si è estinta e a prescindere dall'intervento umano!
A livello personale invece mi rattrista che un essere tanto maestoso possa scomparire: ma questo forse ci fa capire quanto l'adattabilità sia la vera forza

Ed altre specie si sono evolute, ma in tempi lunghissimi, e secondo il fato, secondo natura.

L'uomo invece, prevarica a prescindere, anche quando potrebbe non farlo, e devasta contro natura, la sua stessa natura.
E le specie animali e vegetali si estinguono, in tempi brevissimi..

Adattabilità, posso discuterne sul Panda Gigante, che mangia solo germogli di bambù, ma la tigre ha un territorio vastissimo, che comprende habitat diversificati, che l'uomo occupa, oltre che ucciderne gli abitanti.

:hippy:

tiffenau
20-01-14, 20:21
no adattabilità è l'uomo... ricordiamoci di essere animali

Yomi
09-05-14, 14:29
Greenpeace presenta il corto di animazione "Robobees", ambientato in un futuro non troppo lontano, nel quale le api sono ormai estinte. E quale sarà la risposta delle grandi aziende agrochimiche, secondo gli ideatori del corto? Produrranno delle api artificiali per impollinare i campi dai quali dipende la produzione alimentare.
Le api sono state sterminate dai pesticidi, dai veleni e dalle malattie. Per anni i terreni sono rimasti improduttivi. L'uomo ha dovuto rinunciare a gran parte degli alimenti abituali. Ha detto addio a mele, limoni, melanzane, cetrioli, zucchine, sedano, carote e a tanti altri frutti e ortaggi.

All'umanità sono rimasti soltanto pochi anni di vita, come secondo le peggiori previsioni attribuite ad Einstein. Ora qualcosa sta cambiando. Le api sono tornate. Un attimo di attenzione però: si tratta di robot. Delle piccole meraviglie della robotica potranno sostituire le vere api in futuro per salvare l'agricoltura e l'umanità?
Tornando ai giorni nostri, la situazione della api è davvero ad alto rischio. Gli insetti impollinatori sono interessati ormai da anni da una progressiva moria, causata da malattie, parassiti, pesticidi tossici come i neonicotinoidi, scomparsa degli habitat naturali e carenza del nutrimento rappresentato dal nettare dei fiori.
Si tratta di un insieme di fattori che non possiamo più sottovalutare, soprattutto perché il ruolo delle api, con particolare riferimento all'impollinazione, è fondamentale per l'agricoltura. Molti frutti e ortaggi, senza l'intervento delle api e degli insetti impollinatori, non potrebbero svilupparsi. Le conseguenze per l'ambiente, per la nostra alimentazione, per l'agricoltura e per l'economia sono evidenti. Allora perché le autorità non entrano in azione fin da subito con misure drastiche per la difesa delle api?
In un futuro non troppo lontano potremmo assistere all'estinzione delle api. Per impollinare i campi potrebbe essere sensato ricorrere a delle api robot? Le Robobees, in uno scenario ancora immaginario, potrebbero rappresentare la soluzione estrema alla scomparsa delle api proposta dalle industrie agrochimiche.
Ci auguriamo che l'avvento delle api robot sia solo fantascienza, ma Robobees, il video-documentario di Greenpeace dedicato all'argomento, ci aiuta ad aprire gli occhi sul futuro dell'agricoltura e dell'alimentazione di fronte al progressivo declino delle api. Le aziende agrochimiche produttrici dei pesticidi nel video si trasformano nei promotori dell'iniziativa delle api robot.
Per scongiurare la scomparsa delle api, è giunto il momento di rinnovare l'agricoltura, che dovrà diventare necessariamente biologica, naturale e sostenibile, per rispettare gli insetti impollinatori e la biodiversità. Proprio per questo è ancora in corso la campagna Salviamo Le Api, grazie a cui potrete scrivere al ministro dell'Agricoltura Martina per chiedere la messa al bando deipesticidi killer. [fonte: greenme]
Condividi il video e firma la petizione su salviamoleapi.org.

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"Robobees", api robot tra futuro e realtà (http://www.diregiovani.it/rubriche/scientificamente/30715-greenpeace-robobees-estinzione-api-catastrof.dg)

Er Ganjalf
09-05-14, 18:06
Salve gente, essendo io abbastanza informato sull'argomento se vi interessa posso scrivere due righe.
Allo stato attuale delle cose per colpa di una specie(Homo sapiens) su ipoteticamente 10-30 milioni sul pianeta(ne sono state classificate solo 1,5 milioni finora)
1 specie su 4 di mammiferi è a rischio.
1 specie su 8 di uccelli è a rischio.
1 specie su 3 di pesci è a rischio.
Con a rischio si intende che le popolazione sono molto piu inclini a subire il fattore ambientale catastrofico per la specie(tipo un estate particolarmente priva di precipitazioni) e che a causa della diminuizione della variabilità del pool genetico la possibilita di vederle estinguere sale in maniera incontrollata. ovviamente tra queste ci sono quelle messe talmente male che potrebbero estinguersi domani.
gli artropodi e i molluschi neanche li scrivo, quelli alla stragrande maggioranza di persone neanche interessano
pero dal punto di vista biologico si puo tirare un sospiro di sollievo. la vita su questo pianeta ha superato 5 estinzioni di massa(eruzioni, tettonica delle placche distruttiva,asteroidi ecc) e quando avremo modificato e rovinato il pianeta troppo per poterci vivere come mammiferi da 80 kg quali siamo, le classi di esseri viventi superstiti(probabilmente i piu evoluti saranno gli insetti) potranno ricominciare la speciazione
e ricordate, per quanto l'aver evoluto il nostro bellissimo e complicatissimo cervello ci abbia permesso di diventare i padroni del pianeta, inventando la musica, l'arte, la tecnologia e altre cose bellissime(per noi) esso sara la causa della nostra rovina , perche se giudichiamo la vita nel suo complesso, la nostra specie è e resta la piu distruttiva di tutte.
se solo non avessimo avviato la rivoluzione industriale e la tecnologia....

Yomi
09-09-17, 08:53
Una buona notizia..:wub:

Marco Lambertini: "Una delle sfide più ambiziose ed eccezionali di sempre"

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La Repubblica del Kazakistan ha annunciato oggi il progetto di riportare le tigri nei territori in cui si erano estinte, nella regione dell’lli-Balkhash e ha firmato un accordo con il WWF per la realizzazione di un programma di reintroduzione di questo felino.
“Siamo onorati di essere il primo paese dell’Asia Centrale a realizzare un progetto di tale importanza e su scala così grande, che non solo riporterà le tigri selvatiche nelle loro terre d’origine, ma proteggerà anche l’impareggiabile ecosistema dell’lli-Balkhash,” dice Askar Myrzakhmetov, ministro dell’Agricoltura nella Repubblica Kazaka.
La cerimonia delle firme si è svolta nel padiglione dell’Ambasciata dei Paesi Bassi in Kazakhstan all’interno della struttura di EXPO- 2017, con la partecipazione del Ministro Askar Myrzakhmetov, del direttore WWF Internazionale Marco Lambertini e del Direttore WWF-Russia, Igor Chestin.
“Sono orgoglioso di poter assistere alla firma dell’accordo tra il Ministro dell’Agricoltura della Repubblica del Kazakistan e il WWF, qui ad EXPO 2017. I Paesi Bassi sono stati fra i primi sostenitori di questo audace e innovativo progetto, e siamo davvero entusiasti di poter essere qui presenti oggi e poter partecipare a una tappa fondamentale”, dice Dirk Jan Kop, Ambasciatore dei Paesi Bassi, durante l’apertura della cerimonia. I programmi di sostegno alla conservazione della tigre sono centrali nel lavoro del WWF e, in particolare, del WWF Italia che è impegnato nella protezione di questo meraviglioso felino nelle foreste più remote del Buthan.
Il programma del Kazakistan sulle tigri fa parte dell’iniziativa globale TX2 lanciata dal WWF, finalizzata a raddoppiare il numero di questi grandi felini entro il 2022. Una sfida lanciata dai paesi che ancora ospitano le tigri durante il Summit del 2010 tenutosi a San Pietroburgo.
Se avrà successo, il Kazakistan sarà il primo paese al mondo ad aver riportato le tigri selvatiche in un territorio dal quale si erano estinte da quasi mezzo secolo. Il progetto di ricollocamento di questi animali è stato conseguito solo all’interno dei confini nazionali e in quelle aree considerate adatte alla loro sopravvivenza. Il programma di reintroduzione è unico ed irripetibile e per questo richiede importanti interventi di gestione degli habitat fra cui la riforestazione di una vasta area dei foresta ripariale, parte integrante dell’habitat delle tigri.
“Ci congratuliamo con la Repubblica kazaka per l’idea e per la strada intrapresa verso una delle sfide più ambiziose ed eccezionali di sempre, mirata a restituire al paese un magnifico predatore. Questo è un grandissimo contributo che potrà assicurare un futuro alle tigri ed è anche un passo cruciale per proteggere la regione dell’lli-Balkhash unica al mondo per la sua biodiversità e per il suo sistema naturale, cruciale anche per la gente del posto” dice Marco Lambertini, Direttore generale del WWF Internazionale.
Per prepararsi al ritorno delle tigri, il governo del Kazakistan destinerà una nuova riserva naturale nell’area sud Ovest dell’lli-Balkash dove sarà recuperata la foresta ripariale nei pressi del lago Balkhash. Altri interventi prevedono la protezione della fauna selvatica e la reintroduzione di importanti prede per la tigre, come il Kulan, un asino selvatico in via di estinzione, e il cervo di Battriana nativo dell’Asia centrale, ormai estinti in Kazakistan a causa del bracconaggio e della mancanza di spazi idonei.
Reintrodurre le tigri aiuterà anche a proteggere il Lago Balkhash- uno dei maggiori laghi asiatici e importantissima risorsa d’acqua nel bacino del fiume lli - evitando che possa seguire la stessa sorte del lago d’Aral, formalmente il quarto più grande del mondo, oggi ridotto al 10 per cento della sua grandezza originale.
“Grazie agli anni di stretta collaborazione tra Kazakistan ed esperti di conservazione russi, siamo riusciti a localizzare il miglior territorio possibile nell’ lli-Balkhash per la reintroduzione di questa cruciale popolazione di tigri selvatiche. La cooperazione è la chiave vincente per la creazione di una nuova riserva, per il reinserimento di rare specie native e, nel giro di pochi anni, per il raggiungimento di una diffusione transfrontaliera di questo felino in Asia Centrale”, sottolinea Igor Chestin, Direttore del WWF- Russia.
Sin dall’inizio del Ventesimo secolo, le tigri hanno perso oltre il 90 per cento del loro territorio d’origine che includeva l’Asia Centrale (moderna Turchia e Iran fino alla Cina occidentale). Dalla fine degli anni ‘40 le tigri selvatiche sono completamente scomparse da questi territori a causa del bracconaggio e la perdita di habitat.
“Rimane ancora molto lavoro da fare. Dobbiamo migliorare i nostri sforzi per preparare questa regione ad accogliere le tigri e coinvolgere tutti i soggetti interessati affinché lo sforzo abbia successo. Il che vuol dire combattere il bracconaggio ed ogni altra attività illecita, con l’aiuto di rangers ben addestrati ed equipaggiati, una ricca popolazione di erbivori e comunità locali impegnate” dice Ekaterina Vorobyeva, direttrice del WWF-Russia per il Programma Asia Centrale.

http://www.wwf.it/news/notizie/?uNewsID=33740

Yomi
29-07-19, 12:19
Lunedì 29 luglio sarà la Giornata mondiale della tigre, una specie simbolo che però, nonostante i tanti sforzi di conservazione, ancora oggi è protagonista di un inarrestabile declino. All'inizio del secolo scorso erano circa 100mila le tigri ancora libere in natura. A sottolinearlo è il Wwf, ricordando come oggi ne restano solo 3.890 individui, distribuiti in maniera disomogenea in 13 differenti Paesi (India, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Russia, China, Myanmar, Thailandia, Malesia, Indonesia, Cambogia, Laos e Vietnam), con un calo della popolazione stimato di circa il 97% rispetto a un secolo fa.

Nel 2010 il WWF, in accordo con i governi dei tigers landscapes, ha lanciato un'ambiziosa sfida: raddoppiare il numero di tigri entro il 2022 (Progetto Tx2), arrivando a 6.000 esemplari. Una sfida difficilissima, che comporta forti investimenti economici ed un impegno congiunto del WWF e di altre organizzazioni per la conservazione, ma soprattutto, afferma l'organizzazione, "la volontà politica dei Paesi che ospitano le ultime preziosissime tigri del Pianeta".


http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/animali/2019/07/27/29-luglio-giornata-mondiale-della-tigre-solo-3.890-rimaste_b319b3bb-f666-4fef-a545-c975c5708c38.html

potpot23
29-07-19, 13:02
il punto non è raddoppiarle, è non ammazzarle.
non vorrei che aumentando il numero si aumenti anche il numero di tigri uccise.