M'agganjo
14-05-13, 19:42
Salve ragazzi, ho finito da poco di leggere questo libro che consiglio a tutti nel modo più assoluto. Di sicuro non dirà nulla di nuovo per voi ma il modo con il quale analizza affronta e smonta qualsiasi tesi proibizionista (riportando sempre dati e fonti in modo minuzioso) è fantastico. Vi allego un pezzo preso da uno dei capitoli finali dove parla del rapporto tra politica (italiana) e ricerca scientifica:
"È soprattutto nel discorso politico che il dato scientifico diviene marginale rispetto alla ricerca del consenso e non è raro che ciò conduca alla formulazione di norme che non tengono in alcun conto le consolidate acquisizioni scientifiche sull'argomento che disciplinano. Lo si nota tanto nei contenuti delle norme quanto nei dibattiti attorno a esse, che talvolta mostra anche troppo bene che chi vi partecipa non ha la minima idea di ciò di cui sta parlando. La regola, tristemente, è che quando si affronta il «problema della droga» sul piano politico vengono deliberatamente ignorate tutte le conoscenze biomediche.
Si pensi, per fare un esempio tra i tanti, alle dichiarazioni di Francesco Storace, all'epoca in cui era presidente della Regione Lazio, sulla sperimentazione nella terapia del dolore di farmaci ricavati dalla cannabis. Quella sperimentazione ha lo scopo di ricercare degli antidolorifici efficaci che, però, non precipitino il paziente in stato d'incoscienza, e ricavarli dalla cannabis sembra una prospettiva promettente.
Storace dichiarò - in via preventiva, dato che non era ancora stato avviato alcun progetto di somministrazione umana - che si sarebbe opposto a una simile sperimentazione nella «sua» regione, in quanto «la droga conduce alla morte civile e fisica», denunciando l'indegnità di «mettere sullo stesso piano» i malati di tumore e i tossicodipendenti (9 maggio 2002). Proseguì dicendo che «sulla droga è inutile tentare scorciatoie: nel Lazio non può esserci alcuna disponibilità ad approvare mozioni o iniziative di qualunque tipo tendenti a spalancare la strada, sia pure sotto le vesti terapeutiche, a ogni tentativo si liberalizzazione sostanziale degli stupefacenti».
È difficile trovare così tante stupidaggini in un colpo solo, ma tant'è.
Prima di tutto, quella sperimentazione mirava a testare dei prodotti farmaceutici, non a mettere uno spinello in bocca al nonno nel suo letto d'ospedale. Si tratta di ottenere un antidolorifico a partire dalla cannabis e di provare i suoi effetti sui pazienti, cioè di fare la stessa cosa che si fa con qualsiasi nuovo farmaco quando si giunge allo stadio della sua sperimentazione umana. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la liberalizzazione di alcunché, ma solo con la normale ricerca farmacologica. Inoltre, e questo è davvero grave, Storace ritiene indegno usare in terapia un derivato della cannabis perché ciò vorrebbe dire 'mettere sullo stesso piano' il tossicodipendente e il paziente, o meglio: chi fuma marijuana perché gli piace con chi prende un farmaco derivato dalla marijuana perché glielo somministrano per non fargli sentire dolore. Tuttavia, Storace sembra ignorare che uno dei farmaci più utilizzati nella terapia del dolore è la morfina, cioè il principale derivato dell'oppio (sostanza dalla quale si ottengono droghe come l'eroina). Se attento alla dignità del paziente somministrandogli qualcosa che proviene dalla cannabis, allora attento alla sua dignità anche ogni volta che somministro un derivato dell'oppio, almeno finché vogliamo sostenere che non rispettiamo la dignità dei pazienti se somministriamo loro qualcosa che proviene da una sostanza dalla quale si ottengono anche droghe illecite.
Come ciascuno può vedere da sé, si tratta di un esempio di ignoranza radicale, che consiste nell'ignorare ogni informazione scientifica basilare quando si prende posizione in una materia sulla quale la ricerca scientifica dovrebbe invece essere tenuta ben presente."
"È soprattutto nel discorso politico che il dato scientifico diviene marginale rispetto alla ricerca del consenso e non è raro che ciò conduca alla formulazione di norme che non tengono in alcun conto le consolidate acquisizioni scientifiche sull'argomento che disciplinano. Lo si nota tanto nei contenuti delle norme quanto nei dibattiti attorno a esse, che talvolta mostra anche troppo bene che chi vi partecipa non ha la minima idea di ciò di cui sta parlando. La regola, tristemente, è che quando si affronta il «problema della droga» sul piano politico vengono deliberatamente ignorate tutte le conoscenze biomediche.
Si pensi, per fare un esempio tra i tanti, alle dichiarazioni di Francesco Storace, all'epoca in cui era presidente della Regione Lazio, sulla sperimentazione nella terapia del dolore di farmaci ricavati dalla cannabis. Quella sperimentazione ha lo scopo di ricercare degli antidolorifici efficaci che, però, non precipitino il paziente in stato d'incoscienza, e ricavarli dalla cannabis sembra una prospettiva promettente.
Storace dichiarò - in via preventiva, dato che non era ancora stato avviato alcun progetto di somministrazione umana - che si sarebbe opposto a una simile sperimentazione nella «sua» regione, in quanto «la droga conduce alla morte civile e fisica», denunciando l'indegnità di «mettere sullo stesso piano» i malati di tumore e i tossicodipendenti (9 maggio 2002). Proseguì dicendo che «sulla droga è inutile tentare scorciatoie: nel Lazio non può esserci alcuna disponibilità ad approvare mozioni o iniziative di qualunque tipo tendenti a spalancare la strada, sia pure sotto le vesti terapeutiche, a ogni tentativo si liberalizzazione sostanziale degli stupefacenti».
È difficile trovare così tante stupidaggini in un colpo solo, ma tant'è.
Prima di tutto, quella sperimentazione mirava a testare dei prodotti farmaceutici, non a mettere uno spinello in bocca al nonno nel suo letto d'ospedale. Si tratta di ottenere un antidolorifico a partire dalla cannabis e di provare i suoi effetti sui pazienti, cioè di fare la stessa cosa che si fa con qualsiasi nuovo farmaco quando si giunge allo stadio della sua sperimentazione umana. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la liberalizzazione di alcunché, ma solo con la normale ricerca farmacologica. Inoltre, e questo è davvero grave, Storace ritiene indegno usare in terapia un derivato della cannabis perché ciò vorrebbe dire 'mettere sullo stesso piano' il tossicodipendente e il paziente, o meglio: chi fuma marijuana perché gli piace con chi prende un farmaco derivato dalla marijuana perché glielo somministrano per non fargli sentire dolore. Tuttavia, Storace sembra ignorare che uno dei farmaci più utilizzati nella terapia del dolore è la morfina, cioè il principale derivato dell'oppio (sostanza dalla quale si ottengono droghe come l'eroina). Se attento alla dignità del paziente somministrandogli qualcosa che proviene dalla cannabis, allora attento alla sua dignità anche ogni volta che somministro un derivato dell'oppio, almeno finché vogliamo sostenere che non rispettiamo la dignità dei pazienti se somministriamo loro qualcosa che proviene da una sostanza dalla quale si ottengono anche droghe illecite.
Come ciascuno può vedere da sé, si tratta di un esempio di ignoranza radicale, che consiste nell'ignorare ogni informazione scientifica basilare quando si prende posizione in una materia sulla quale la ricerca scientifica dovrebbe invece essere tenuta ben presente."