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Avv. Zaina
03-07-13, 22:15
La Suprema Corte - Quarta Sezione – con la sentenza n. 27346/13 (ud. 23 maggio 2013 dep. 21 giugno 2013) coglie l'occasione per ribadire la fondatezza di quei criteri ermeneutici, che permettono di ricondurre una situazione di detenzione di stupefacenti, nel solco della non punibilità, quando essa venga configurata come ad uso esclusivamente personale.
I punti salienti di diritto della pronunzia si sostanziano in tre osservazioni.
La L. 49/2006 :
1 . – pur avendo adottato una formulazione semantica del tutto “infelice” - “non contiene elementi di sostanziale novità rispetto al disciplina previgente, che sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti, che non fosse finalizzata all'uso personale”;
2. non ha per nulla introdotto, nei confronti della persona che venga sorpresa nella detenzione di quantitativi che eccedano i limiti tabellari
a) “nè una presunzione, sia pura relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale”,
b) “nè un'inversione dell'onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost comma 2 e art. 27 Cost. Comma 2”;
3. non ha, inoltre, innovato affatto “i parametri indicati per apprezzare la destinazione ad uso non esclusivamente personale” della sostanza detenuta, già in passato adottati.
La Corte di legittimità, dopo avere enucleato le premesse richiamate, sottolinea, in prosieguo, altri due argomenti di diritto, i quali appaiono dirimenti in relazione al caso di specie.
A) In primo luogo, i parametri dati dalla quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell'azione, “non vanno considerati singolarmente o isolatamente”.
Sicchè la presenza anche di uno solo di essi – e la Corte evoca, a titolo esemplificativo, il superamento del limite tabellare – non è sufficiente a conferire alla condotta automaticamente rilevanza penale.
B) Indi, proprio ricollegandosi all'esempio tipico del superamento del limite tabellare (il cui richiamo dimostra come il dato ponderale risulti sempre di particolare rilevanza prognostica), la Suprema Corte evidenzia che tale situazione non risulta, di per sé sola, sintomatica di uso non esclusivamente personale di sostanze stupefacenti.
Per potere sostenere l'illiceità della detenzione, la situazione di eccedenza del citato limite tabellare deve essere supportata e corroborata dalla effettiva sussistenza di qualcuno fra gli altri paradigmi valutativi che l'art. 73/1 bis dpr 309/90 prevede.
Per potere pervenire, pertanto, ad una prognosi sfavorevole all'imputato, appare, infatti, necessario che anche le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione congiurino in senso di escludere convincentemente una destinazione a fini di consumo strettamente personale.
Ciò posto, appare pacifico che rimane immutato il principio che ascrive sempre al PM l'onere di dimostrare l'illecito, escludendosi che la novella del 2006 abbia determinato una qualche forma di inversione dell'onere della prova.
Per meglio comprendere il punto di diritto, si deve precisare che il caso di specie riguardava una persona rinvenuta in possesso di gr. 7,5 di eroina e che era stata condannata – previa concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall'art. 73 comma 5° dpr 309/90.
I giudici di merito avevano posto a base della propria decisione due osservazioni.
La prima consisteva nell'escludere che il quantitativo rinvenuto potesse integrare una scorta per uso proprio, in quanto, secondo i giudici di merito, l'imputato – per le sue buone capacità economiche – non avrebbe avuto necessità alcuna di costituire scorte consistenti.
La seconda concerneva, invece, la scarsa convenienza dell'acquisto, attesa la scadente qualità della droga.
Le due dedotte circostanze, unitamente alle modalità della condotta tenuta dall'imputato, avrebbero deposto – ad avviso della Corte territoriale - per la destinazione, anche solo parziale, a terzi dello stupefacente.
L'intervento della Corte Suprema ha, invece, definito assolutamente illogiche le deduzioni dei giudici di appello quando sostengono :
1. che la sussistenza di una buona capacità economica, concreti condizione incompatibile con la volontà di effettuare un acquisto, determinato da un prezzo di favore;
2. che non sia conveniente acquistare sostanza stupefacente che si riveli di scarsa qualità.
Nel primo caso, infatti, non pare ragionevolmente sindacabile la scelta del singolo di disporre autonomamente del proprio danaro, quando tale opzione venga effettuata liberamente e senza generalizzazioni di sorta.
Nel secondo caso, invece, l'eventuale qualità scadente del compendio drogante, costituisce un'informazione che il compratore acquisisce in maniera ipotetica e solo ex post.
L'eventuale condizione di recidivo, inoltre, viene superata dalla dimostrazione dello stato di tossicomania del soggetto.
Unico neo della sentenza in commento riposa nel fatto che venga utilizzato, come parametro concernente il principio attivo contenuto nei 7,5 grammi di sostanza stupefacente in questione, il criterio della dose media giornaliera, si da derivare 48 d.m.g. .
In realtà, si osserva che, vertendo in ipotesi di indubbia condotta detentiva, il canone ermeneutico corretto avrebbe dovuto essere quello della quantità massima detenibile.
E', infatti pacifico che, mentre la d.m.g. (pari a 25 mg. di principio attivo) appare strumento originale, di carattere interpretativo, funzionale a quantificare la capacità diffusiva di un campione di stupefacenti, in relazione al quale si ha la certezza di una destinazione allo spaccio verso terzi; la q.m.d. costituisce un parametro di costruzione complessa (dato dalla d.m.g. moltiplicata per il coefficiente 20) che va utilizzata esclusivamente in presenza di condotte inerti, quale il possesso o la coltivazione.
Soccorre, inoltre l'orientamento richiamato, la considerazione che proprio la motivazione della sentenza in commento, quando afferma che il superamento del limite tabellare, di per sé solo, determina la rilevanza penale della detenzione, indubbiamente utilizza il parametro della quantità massima detenibile, il quale, non caso, coincide con 500 mg. di principio attivo.

Rimini, lì 3:polliceu: luglio 2013

Carlo Alberto Zaina

Avv. Zaina
03-07-13, 22:17
Sintetica, quanto esaustiva, appare la decisione della Sesta Sezione della Suprema Corte, pronunziata all'udienza del 10 gennaio 2013 e pubblicata il 5 giugno 2013, n. 24542/13, che riguarda la materia della detenzione di sostanze stupefacenti a fini di uso personale.
Il Collegio, infatti, riformando la sentenza della Corte di Appello di Napoli, ha assolto due giovani, i quali detenevano un campione di cocaina, pari a 2,6 grammi lordi (con un principio attivo del 56%) ed un campione di eroina, pari a grammi 1.14 (contenente un principio a attivo del 40%).
Il giudice di legittimità, nella fattispecie, ha accolto sostanzialmente la tesi difensiva, ravvisando due decisivi profili.
1. Il primo concerne il dato ponderale, nel senso che è stato riconosciuto che i quantitativi (sia netti, che lordi) delle due sostanze detenute rientravano entrambi entro i limiti stabiliti ex lege.
Sullo specifico punto si deve osservare che la Corte di Cassazione utilizza, ad avviso di chi scrive, del tutto impropriamente, l'espressione “dosi medie giornaliere”.
Poiché si vertendo, infatti, in una condotta conclamata di mera detenzione, il paradigma ponderale, direttamente strumentale alla valutazione della capacità diffusiva potenziale della droga sequestrata, avrebbe dovuto essere, invece, ancorato alla quantità massima detenibile e non già alla dose media giornaliera.
Il canone della quantità massima detenibile – che come si ribadisce, attiene al solo principio attivo della sostanza stupefacente - è, infatti, vocazionalmente correlato con condotte e comportamenti “inerti”, categoria nella quale appare collocabile sia la detenzione, che la coltivazione di stupefacenti.
Vale a dire, quindi, che si tratta di condotte che non presentano, in re ipsa, quel carattere necessario proprio della diffusività ex publico dello stupefacente, a seguito di cessione a terzi.
In special modo, la detenzione viene a coniugarsi concettualmente in modo assolutamente naturale con la q.m.d. (criterio di natura composta, in quanto costituito dalla moltiplicazione della d.m.g. - che per la cannabis è pari a mg. 25 – per un coefficiente pari a 20, ottenendosi così mg. 500).
La q.m.d., vera e propria regola ermeneutica, infatti, è stata concepita inizialmente (ed impropriamente) dal legislatore del 2006, come forma di esclusivo canone/limite, atto a stabilire il quantitativo massimo di principio attivo di stupefacente detenibile dal singolo in modo lecito (cioè senza che si ravvisi rilevanza penale) .
Tale criterio ha, via, via, perduto l'originario carattere di elevata assolutezza – che la novella della L. 49/2006 aveva inteso conferirgli – per assumere, invece, una funzione maggiormente orientativa, idonea, cioè, ad aiutare l'interprete a comprendere – di volta in volta - se lo stupefacente posseduto dal cittadino/indagato possa avere una effettiva destinazione ad uso personale o meno.
La d.m.g., a propria volta, invece, ha continuato a mantenere quella sua prerogativa di fungere da metodo utile per potere determinare – sul piano quantistico – la potenzialità di diffusione di compendi droganti, laddove appaia plausibile che gli stessi – in toto od in parte – sia destinati alla collocazione sul mercato illecito in favore di terzi.
2. Il secondo aspetto di rilievo riguarda la circostanza che, nel caso specifico, si era in presenza di una palese e dimostrata – già in sede di merito – condizione di tossicodipendenza in capo ai due imputati.
E', ormai costante indirizzo giurisprudenziale, quello che valorizza alcuni elementi di carattere spiccatamente soggettivo, ai fini della prognosi di destinazione dello stupefacente all'uso personale o meno del detentore.
Specifico rilievo assumono, dunque, esemplificativamente, la capacità economica dell'imputato, così come la prova di una condizione di tossicodipendenza, o, comunque, di costante e cadenzata assunzione della sostanza.
Va osservato, da ultimo, inoltre, che la Corte – implicitamente – ha ritenuto (giudicando illogica la ricostruzione della Corte territoriale in punto a possibile destinazione della droga alla cessione in favore di terzi) teoricamente plausibile che si possa ritenere compatibile con l'uso personale, anche l'ipotesi di una detenzione finalizzata all'uso di gruppo dei possessori.


Rimini, lì 4 luglio 2013

Carlo Alberto Zaina
:polliceu:

barbone
04-07-13, 02:25
alcune delle battaglie più significative si svolgono in Tribunale c'è poco da fare
detesto 2 delle 3 droghe sopra citate ma a livello di diritti personali, è un grosso passo nella direzione giusta!

Avv. Zaina
10-07-13, 17:16
Il Giudice Monocratico di Trento precisa, con una sentenza che si fa apprezzare per chiarezza e puntualità, (quale quella resa all’udienza dell’8 maggio 2013, nel procedimento penale Rg. 10038/13 Trib.), il limite che caratterizza il valore probatorio dell’esame dei liquidi biologici (nella fattispecie delle urine), svolto allo scopo di accertare, la sussistenza – al momento della guida – dello stato di alterazione determinato dal’assunzione di sostanza stupefacent, in capo al conducente di un’autovettura.
Tale esame, infatti, di per sè non può assumere valore di decisività e concludenza.
Decisiva, infatti, risulta la assenza di ulteriori verifiche tossicologiche, quale appare l’indagine ambulatoriale ematica, oppure l’omissione di eventuali preliminari verifiche empiriche cognitive dirette da parte delle forze dell’ordine, che permettano la sicura percezione di uno stato di alterazione psico-fisica (consistente nei noti e più volte ribaditi parametri offerti da comportamenti spiccatamente anomali, marcia irregolare e pericolose del veicolo, assenza di equilibrio nei movimenti, sudorazione, loquacità eccessiva, aggressività ingiustificata, incapacità di connettere il discorso etc.)
Il principio sancito dal giudice di merito tiene, infatti, in debito conto la circostanza che l’accertamento svolto utilizzando le sole urine “decreta solo l’esito positivo o negativo dell’esame che viene stabilito in base al riscontro nei campioni prelevati di ng/nl di sostanza superiore a 50”.
Siamo, dunque, dinanzi ad un accertamento di esclusiva natura qualitativa (esso non misura, infatti, l’intossicazione) e come tale, suscettibile – ad avviso della letteratura medica mondiale – di interferenze fatali, (idonee a falsarne il risultato), da parte dei più vari fattori, se non addirittura da parte di errori tecnici o procedurali.
Vi è, poi, un ulteriore dato che milita per privare di efficacia referente il test in questione, ove non suffragato da altri sicuri elementi di riscontro.
Esso consiste nel carattere di notevole permanenza stanziale che le droghe, in genere, ed i cannabinoidi – nella specie -, presentano nell’organismo umano.
E’, infatti, notorio che possono venire rinvenute tracce degli stessi nei campioni biologici anche ad apprezzabile distanza di tempo dall’atto dell’assunzione.
La cannabis, addirittura, è la sostanza che – per definizione – rimane presente nei liquidi biologici da un minimo di una settimana ad un massimo che può variare dai 40 ai 60 giorni, a seconda del livello e della cadenza delle assunzioni.
Deriva, pertanto, il concreto rischio, che il risultato dell’analisi, incentrata solo sulla prova di liquidi biologici, non risponda al quesito fondamentale, al fine di dirimere il dubbio nodale della violazione dell’art. 187 CdS e cioè quello “dell’attualità degli effetti dell’intossicazione” a seguito di sicura e pregressa assunzione di sostanze stupefacenti.
La metodica utilizzata nella fattispecie in commento, dunque, appare del tutto inidonea, perché non permette di raggiungere la prova dell’esistenza del reato supposto ed ha legittimato l’assoluzione dell’imputata.
Costei è certamente risultata positiva al test delle urine, ma come detto, questo esito – proprio per la sua incapacità ad assolvere alla dimostrazione dell’attualità dello stato di intossicazione (presupposto irrinunciabile per la contestazione del reato di cui all’art. 187 CdS) – è rimasto dato sterile e neutro ai fini procedimentali.
Il Tribunale, inoltre, offre anche una indicazione pregevole, in relazione a quel dato probatorio soggettivo, costituito dalle percezioni de visu e de auditu, cui, spesso, le forze dell’ordine verbalizzanti attingono, per potere contestare all’interessato l’ipotesi di reato in questione e che viene evocato a supporto dell’esame dei liquidi biologici.
In primo luogo, si deve osservare che si fa, nei verbali dell’autorità giudiziaria, un uso smodato – ai limiti dell’abuso – della dizione “pupille dilatate, stato di agitazione, nervosismo ingiustificato”.
Or bene, alcune considerazioni permettono di sottolineare non solo la assoluta indeterminatezza di tali criteri soggettivi, ma anche la equivocità degli stessi, che divengono meri stereotipi.
Non dimentichiamo, infatti, il carattere esasperatamente soggettivo dei riferimenti richiamati, che appare costituire limite intrinseco alla valenza degli stessi.
Senza nulla togliere al principio del “fidei facere”, seppur fino a prova contraria – vera e propria presunzione juris tantum – che assiste l’attività operativa e di verbalizzazione delle forze dell’ordine, appare opportuno che la soggettiva percezione di chi interviene, cui si attribuisce valenza probatoria di riscontro o di presupposto, non si ammanti di genericità assoluta, ma offra, invece, elementi che contengano profili di maggiore potere individualizzante.
D’altronde., risulta piuttosto evidente il carattere spiccatamente equivoco dei parametri che nella fattispecie sono stati valorizzati.
Essi, infatti, ben si coniugano con una naturale reazione emotiva, propria di chi - non avvezzo a dinamiche giudiziarie - si trovi in una situazione del tutto inusuale e caratterizzata da concitazione, quale è quella di un controllo – in ora notturna – da parte delle forze dell’ordine.
Il Tribunale, dunque, conformandosi all’indirizzo illustrato dalla Suprema Corte (Sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2762) impone, al dedotto fine di conferire valore sintomatico ai dati cognitivi raccolti de visu et auditu dalle forze dell’ordine, un quid pluris che renda maggiormente effettiva e concreta la ipotizzata situazione di attuale alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti.
Tale elemento valutativo ulteriore viene individuato esemplificativamente in alcun paradigmi che possono riassumersi, tra gli altri, in “manovre di guida pericolose o irragionevoli, loquacità eccessiva, linguaggio sconnesso, etc.”.
La conclusione cui si deve addivenire è, dunque, nel senso di potere affermare che
1.la dimostrazione di una precedente assunzione di stupefacenti non coincide necessariamente con uno stato di intossicazione attuale, tale da integrare la violazione dell’art. 187 CdS.
Si tratta, quindi, di situazioni che possono verificarsi tra loro in modo differente ed indipendente;
2.la prova della sussistenza di uno stato di intossicazione, che configuri il reato di cui all’art. 187 CdS, può essere desunta in due modi
a)attraverso lo specifico esame ematico, che, di per sé, è idoneo a superare qualsiasi dubbio,
b)attraverso anche il solo esame dei liquidi biologici, purchè esso venga supportato da inequivoche rappresentazioni testimoniali, che si fondino su riferimenti individualizzanti, le quali risultino idonee a certificare l’attualità e la persistenza di effetti alterativi, propri di un’assunzione di stupefacenti recentissima.


Rimini, lì 10luglio 2013

Carlo Alberto Zaina

Jahbas
10-07-13, 17:45
Grazie mille avvocato per questa importantissima novità!
Purtroppo so sulla mia pelle quanto sia facile per le forze dell'ordine scrivere "Guida a zig zag, pupille dilatate" ecc.

Ma quando alla fine sul punto "b" scrive: "attraverso anche il solo esame dei liquidi biologici, purchè esso venga supportato da inequivoche rappresentazioni testimoniali" cosa intende? Che le forze dell'ordine devono trovare dei testimoni che avvalorino i loro sospetti? Ed in quel caso spero che come testimoni non vengano accettati i loro colleghi giunti sul posto proprio per quel motivo!

Questa sentenza si sofferma molto sull'esame delle urine, ma si potrebbe sostenere questa tesi anche se sottoposti ai classici drog test fatti direttamente al posto di blocco (In quel caso non si arriva ai 40-60 giorni dell'esame delle urine, ma l'intervallo che calcola è sempre molto ampio quasi una settimana)?

Se invece una persona si rifiuta di fare qualsiasi tipo di accertamento verrà ritenuta sempre e comunque in torto e quindi potrà fare ben poco, giusto?

Grazie mille per la sua grandissima disponibilità!

Avv. Zaina
10-07-13, 17:51
Effettivamente non ci si deve, né si può rifiutare la sottoposizione alla verifica.
Il principio è che non esiste una forma di analisi che permetta di dire con certezza che una persona si trova in stato di intossicazione da stupefacenti, salvo che si tratti dell'esame ematico.
In presenza di esame dei liquidi biologici è necessario che vi siano dei riferimenti precisi di carattere percettivo da parte sia dei verbalizzanti, che di testimoni.

bluedigit
10-07-13, 21:16
Vero, ma quali sarebbero questi riferimenti precisi, occhi rossi e lucidi, parlare rilassato, abbigliamento "strano", simbologie tatuate sulla pelle del soggetto, orecchini, piercing, capelli lunghi, evidente fastidio nel rapportarsi con gli agenti....?!? Le possibilità di riferimento sono assolutamente soggettive! Cosa non dovrebbero rilevare per non essere evidentemente e palesemente razzisti o fascisti?!?
Temo che il problema non sia di sola origine giuridica in questo ambito....:yes:

Avv. Zaina
10-07-13, 21:55
Vero, ma quali sarebbero questi riferimenti precisi, occhi rossi e lucidi, parlare rilassato, abbigliamento "strano", simbologie tatuate sulla pelle del soggetto, orecchini, piercing, capelli lunghi, evidente fastidio nel rapportarsi con gli agenti....?!? Le possibilità di riferimento sono assolutamente soggettive! Cosa non dovrebbero rilevare per non essere evidentemente e palesemente razzisti o fascisti?!?
Temo che il problema non sia di sola origine giuridica in questo ambito....:yes:

Caro Bluedigit non banalizziamo inserendo criteri che nessuno ha indicato, per favore.
Non rendiamoci qualunquisti utilizzando argomenti che non hanno attinenza e Sono inutilmente polemici.
L'elenco che lei ha fatto "abbigliamento "strano", simbologie tatuate sulla pelle del soggetto, orecchini, piercing, capelli lunghi, evidente fastidio nel rapportarsi con gli agenti...." non c'entra nulla e lei lo sa molto bene!
Sono altri i criteri!
Il riferimento al razzismo od al fascismo, poi, francamente mi pare del tutto fuori luogo e avrebbe potuto risparmiarcelo
Questo e' un post di informazione giurisprudenziale al quale non è' necessario partecipare, puo' piacere, puo' non essere gradito, ma se si vuol scrivere, almeno risparmiamo interventi vittimistici e privi di fondamento.
Grazie

Jahbas
10-07-13, 22:53
Avvocato un ultima piccola precisazione.
Come ha già detto solo un esame ematico può verificare effettivamente se si è sotto effetto di stupefacenti nel momento della guida, ma questo esame può essere richiesto dalle forze dell'ordine durante il controllo, o possono al massimo richiedere l'esame delle urine o fare sul momento il drog test?

bluedigit
10-07-13, 23:28
Mi scusi Avvo, ma il sarcasmo non era completamente fuori luogo, parlo per esperienza diretta ovviamente! Non è raro che il fermato venga giudicato per canoni che nulla hanno a che vedere con la giurisprudenza, e da quello alle verifiche ematiche o non, il passo spesso é breve.
Comunque scusi l'OT!:biggrinthumb:

Avv. Zaina
11-07-13, 08:43
Caro Bluedigit e' proprio quello che lei solleva il vero problema che la sentenza intende risolvere.
Bando a soggettivismi infondati e vanno posti limiti alle valutazioni delle forze dell'ordine spesso improntate a pregiudizi, per evitare ingiustizie.
Non stia a scusar si non c'è ne necessità .
Un po' di calore serve nelle discussioni, io ne sono un esempio.

Avv. Zaina
13-07-13, 14:33
SULLA INGENTE QUANTITA' DI SOSTANZA DETENUTA

La sentenza n. 28828/13 pronunziata all'udienza pubblica dello scorso 19 giugno 2013, dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, suggerisce nuovi spunti interpretativi, concernenti la questione dei termini di configurabilità specifica e di applicazione della circostanza aggravante prevista dall'art. 80 comma 2° dpr 309/90, già risolta dalle SS.UU. il 24 maggio 2012 .
Innanzitutto, va osservato che la decisione in commento appare assolutamente ortodossa e conforme rispetto all'indirizzo giurisprudenziale recentemente invalso.
Essa, infatti, dichiaratamente, si ispira ad uno dei principi cardine che lo stesso esplicita, in quanto nega che il giudice possa avvalersi di una presunzione di automatica applicazione dell'aggravante dell'ingente quantità, ogni qualvolta il principio attivo stupefacente esorbiti il limite di 2000 volte il cd. valore soglia .
Nella fattispecie, infatti, la Corte di legittimità – ravvisando che il THC dello stupefacente sequestrato era “di poco superiore al valore massimo espresso in milligrammi” (Kg. 1,114 a fronte di un limite di Kg. 1,000) – ha condivisibilmente censurato la sentenza di merito, la quale si sarebbe limitata a prendere atto del superamento del limite citato, per ritenere configurata la circostanza aggravante in parola.
In realtà, il giudice – in ipotesi di superamento di quella soglia al di sotto della quale la circostanza non è configurabile – non può e non deve ritenere, in modo ineludibile, sussistente l’aggravante dell’art. 80/2° dpr 309/90.
E’, quindi, onere del giudicante quello di verificare se il dato ponderale, unitamente a tutte le altre circostanze dell’azione (soggettive ed oggettive), giustifichi l’aggravamento di pena conseguente all’eventuale applicazione dell’istituto in oggetto.
Il senso del limite introdotto dalle SSUU è, dunque, quello di sancire uno sbarramento aritmetico al di sotto del quale, tassativamente, non può essere ravvisabile, sotto alcun profilo, l’ipotesi dell’ingente quantità.
La decisione della Corte, peraltro, offre due ulteriori spunti di riflessione.
1)
Il primo pensiero attiene alla scelta dei canoni matematici che vengono adottati, in sede di giudizio, al fine di determinare la effettiva rilevanza del profilo ponderale, in relazione alla condotta specifica contestata all'indagato/imputato.
Come noto, esistono due paradigmi utilizzabili.
Il primo è quello della dose media singola, vale a dire la quantità di principio attivo, relativa ad ogni singola assunzione, che appare idonea a produrre un effetto stupefacente e che è stato stabilito da una commissione scientifica su incarico governativo.
La struttura e tipologia di questo parametro permette – già di per sé – di definirlo come strumento tecnico da utilizzare esclusivamente nelle situazioni di cessione di stupefacenti a terzi (spaccio).
Il suo impiego permette, infatti, di desumere la effettiva portata diffusiva della condotta illecita, (e, dunque, il livello di gravità del comportamento posto in essere) attraverso la determinazione del numero delle dosi ricavabili dal compendio specifico.
Il secondo, invece, è quello cd. della quantità massima detenibile, che è criterio di carattere complesso, che viene prodotto dalla moltiplicazione della dose media singola per un coefficiente variabile che è stato stabilito in sede politica (e che muta a seconda della tipologia dello stupefacente in oggetto).
Esso è stato concepito – dal legislatore del 2006 - come limite quantitativo, atto ad agevolare la soluzione del quesito relativo alla destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente posseduta dall'inquisito.
Nelle intenzioni del legislatore, infatti, detto strumento interpretativo, introducendo un limite quantitativo, avrebbe dovuto assumere una valenza probatoria rilevante (se non, addirittura, assoluta) nel giudizio concernente le condotte di detenzione, importazione od esportazione.
Pur se ridimensionato dai vari approdi giurisprudenziali, che si sono succeduti negli anni, il criterio della quantità massima detenibile, si è rivelato (e si rivela tuttora) certamente utile, perchè coerente e pertinente rispetto alle condotte diverse dalla cessione.
In presenza di una situazione di puro possesso, che non sia suffragata da indicatori di una possibile destinazione (in tutto od in parte) a terzi dello stupefacente detenuto dall'agente, lo scopo primario dell'indagine consiste, in effetti, in quello di accertare la compatibilità logica e fattuale fra il quantitativo effettivamente detenuto (e quantificato attraverso il parametro della quantità massima detenibile) e la possibile evocazione difensiva della scriminante della destinazione della droga ad un uso personale.
Ritiene, però, chi scrive, che il paradigma in questione possa e debba essere applicato, comunque, indiscriminatamente a tutte quelle condotte, sopra richiamate, di detenzione, importazione od esportazione, pur in presenza di quantitativi che appaiano – come nel caso deciso dalla sentenza in commento - idonei ad escludere a priori l'operatività della esimente di cui al comma 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90.
La distinzione fra le categorie delle condotte illecite nei confronti delle quali si deve riconoscere l'applicazione dei due criteri aritmetici – in esame - deve essere, infatti, rigorosa e non deve ammettere deroghe, che possano, in qualche modo, ingenerare confuse, quanto ondivaghe interpretazioni, oltre che contraddittorie sovrapposizioni.
Ciò premesso, dunque, appare del tutto improprio il richiamo al principio attivo espresso dalle sostanze stupefacenti sequestrate e quantificato attraverso il criterio della d.m.s., in luogo del canone della q.m.d. .
Si tratta di un errore prospettico commesso in tuta evidenza in sede di giudizio di merito.
Ritiene, peraltro, chi scrive, che molto opportuno sarebbe stato in autorevole intervento del S.C., il quale bene avrebbe fatto – trattando una questione, quella della ingente quantità, la cui soluzione si ottiene proprio attraverso l'adozione del canone della q.m.d. - ad operare una puntualizzazione, atta a sgombrare il campo da equivoci metodologici.
2)
La seconda riflessione riguarda la scelta, operata dalle SSUU, con la sentenza n. 36258 del 24 maggio 2012, di stabilire quale discrimine, per escludere automaticamente la ricorrenza dell'aggravante di cui all'art. 80 comma 2° dpr 309/90, una “quantità inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006”.
Ad una più attenta riflessione, non convince, infatti
a. la decisione di utilizzare un unico coefficiente (quello pari a 2.000 volte la quantità massima detenibile) in relazione a sostanze stupefacenti, tra loro, assai differenti,
b. il metodo e le motivazioni con cui le SSUU hanno fissato in 2.000 volte il coefficiente moltiplicatore da adottare.

a. Con riguardo alla prima delle due obbiezioni, che si intende sviluppare, si osserva che il cd. “misuratore di grandezza” , individuato e sancito dalla pronunzia delle SSUU, una volta moltiplicato per la quantità massima detenibile, (la quale muta a seconda del tipo di sostanza) comporta conclusioni sia matematiche, che ponderali assai sorprendenti (e contraddittorie).
Se, infatti, poniamo in comparazione sostanze psicotrope altamente nocive come la cocaina o come la MDMA (ecstasy), (la cui quantità massima detenibile appare di per sé piuttosto elevata – in quanto pari a mg. 750 -) con la cannabis, (che, a propria volta, presenta una quantità massima detenibile pari a mg. 500), avremo la sorpresa di verificare che il limite al di sotto del quale la aggravante dell'ingente quantità non opera, appare per la cocaina e l'ecstasy pari a gr. 1.500 di principio attivo, mentre per la cannabis tale limite è di gr. 1.000 .
Or bene, un simile risultato appare oltre modo sconcertante, posto che è indubbia la diversa e maggiore nocività fra le sostanze poste in comparazione, della cocaina e dell'ecstasy rispetto ai derivati della cannabis.
Risulta, dunque, illogico stabilire il medesimo coefficiente (2.000 volte) in funzione di droghe che esprimono valori di pericolosità e dipendenza del tutto differenti tra loro, ottenendo, così, risultati che penalizzano gravemente le droghe leggere rispetto a quelle pesanti.
b. In secondo luogo si osserva, che, al di là delle dotte riflessioni della decisione della Suprema Corte, non è dato comprendere appieno quale sia l'effettiva genesi del coefficiente pari a 2.000 volte.
I giudici di legittimità evocano semplicemente lo svolgimento di quella che definiscono “..un'operazione puramente ricognitiva che, sulla base dei dati concretamente disponibili e avendo, appunto, quale metro e riferimento i dati tabellari.....individui, sviluppando detti dati, una soglia verso l'alto....”.
Al di là delle lodevoli indicazioni programmatiche, difetta, però, – in sentenza – l'indicazione dell’esatto incipit da cui prende vita l'iter logico, attraverso si perviene all'individuazione dell'adottato criterio delle 2.000 volte.
In concreto, nonostante una lettura attenta ed approfondita della sentenza, operazione che permette di sottoporre la stessa ad accurate deduzioni, l’interprete non è in posto in grado di rinvenire, quindi, in alcuna parte della corposa sentenza, il motivo – logico, scientifico e giuridico - della scelta delle SSUU di adottare il moltiplicatore pari a “2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006”.
Ne aiuta a svelare l'arcano, il riferimento ad una relazione concernente la tipologia ed il numero dei casi esaminati dall'Ufficio del Massimario, dalla quale emergono, peraltro, generici riferimenti a quantitativi lordi di droga sequestrata (che vanno dai 2 ai 10 chilogrammi per le droghe pesanti, ed attorno ai 50 chilogrammi per le droghe che le stesse SSUU definiscono “leggere”).
Ergo, permangono rilevanti perplessità sui canoni e sulle metodiche che hanno sotteso ad una scelta importante e decisiva (oltre che condivisibile sul piano sistematico), quale quella di individuare limiti di carattere ponderale, in quanto finalizzata a superare radicati contrasti giurisprudenziali.
Non convince, inoltre, come detto, la costruzione di una piattaforma unica ed omogenea per tutte le sostanze, intesa come fattore moltiplicativo della quantità massima detenibile, dal quale ricavare il limite sotto al quale la circostanza aggravante prevista dall'art. 80 comma 2° dpr 309/90 non opera.
Un simile indirizzo – oltre a creare le contraddizioni già evidenziate – non può venire, affatto, temperato dai diversi valori-soglia e dai singoli gradi di purezza che connotano le diverse specie di stupefacente.
D'altro canto, la stessa giurisprudenza della Sesta Sezione, citata dalle SSUU, era giunta ad un'apprezzabile elaborazione, riguardante, però, il dato ponderale lordo, fissando in 10 chilogrammi (per eroina e cocaina) ed in 50 chilogrammi (per hashish e marjiuana ) il discrimen per l'ingente quantità.
Non si comprende perché una simile indicazione non sia stata raccolta, in attesa di un intervento normativo chiarificatore.
E' sperabile, poi, che la scelta di addivenire ad un criterio unificato (le sovente ricordate 2.000 volte), non sia frutto di un lapsus del Supremo Collegio,.
A pg. 23 della sentenza n. 36258 del 24 maggio 2012, si indica, infatti, sorprendentemente, una serie di valori-soglia per le varie sostanze e per l'hashish, si fa menzione del valore di 1000.
In realtà, il vero valore soglia – per i derivati della cannabis - è pacificamente, come in più occasioni ribadito, fissato in 500.
Il decreto ministeriale del 4 agosto 2006 (cd. Decreto Turco), in effetti, aveva elevato, per i derivati della cannabis, il valore soglia a 1000, ma va ricordato che il TAR del Lazio - con la sentenza del 21 marzo 2007 n. 2487 – annullò il decreto in questione, riportando il valore ai termini originari, cioè 500 mg. .
Se effettivamente il valore-soglia fosse stato quello indicato nel dm 4 agosto 2006, allora la previsione unitaria avrebbe potuto avere una sua astratta giustificazione, in quanto il risultato – per la cannabis – non sarebbe stato più di 1.000 grammi, bensì di 2.000 grammi, quantità superiore a quella ritenuta per le droghe pesanti.
Così – nella realtà non è – e, dunque, permangono e si rafforzano la perplessità sin qui sollevate.


Rimini, lì 15 luglio 2013

Carlo Alberto Zaina

Avv. Zaina
15-07-13, 10:06
RIBADITO IL PRINCIPIO CHE LA VENDITA (E QUINDI L'ACQUISTO) DEI SEMI DI CANNABIS COSTITUISCE ATTIVITA' LECITA


Il principio statuito dalla sentenza delle SSUU dello scorso 18 ottobre 2012 (n. 47604), che ha escluso che la vendita di semi di cannabis integri gli estremi del delitto di cui all'art. 82 dpr 309/90, trova puntuale e corretta applicazione nella decisione del GUP presso il Tribunale di Roma, del 7 febbraio – 7 aprile 2013, che ha assolto quattro commercianti di semi di cannabis, accusati di violazione proprio della citata disposizione di legge.
Si è così posta fine ad un'odissea giudiziaria durante oltre quattro anni.
La rilevanza delle pronunzia, che si commenta, consiste, certamente, nella felice intuizione giuridica del giudice di prime cure, il quale colloca la condotta di vendita di semi di cannabis, attribuita al commerciante – ed oggetto della specifica contestazione di reato -, nel segmento degli atti preparatori non punibili.
Ad avviso del giudicante, infatti, non sarebbe ravvisabile il requisito della idoneità “in modo inequivoco alla consumazione di un determinato reato”, atteso che “non è dato dedurre la effettiva destinazione dei semi”, una volta che essi siano stati venduti.
E' evidente che tali affermazioni si coniugano in maniera armonica con l'osservazione :
1.che sia sempre stato obbiettivamente impossibile – per il giudicante - acquisire la prova positiva della volontà genetica ed univoca del commerciante di istigare, tramite la vendita di semi di cannabis, gli acquirenti all'uso di sostanze stupefacenti, attesa la molteplicità di ipotetici motivi che potevano sottostare all'acquisto;
2. che, una volta perfezionata la vendita, la destinazione finale e l'eventuale utilizzo modale dei semi – entrati negozialmente nella sfera di esclusiva disponibilità dell'acquirente – sfugge a qualsiasi forma di verifica da parte del commerciante.
Costui non ha alcun obbligo di verificare l'uso successivo degli stessi.
Ulteriore profilo di interesse si rinviene, poi, nella disamina della condotta degli imputati, che induce il giudice ad escludere la configurabilità dell'art. 414 c.p. in relazione all'art. 73 dpr 309/90 (ipotesi di reato di istigazione alla coltivazione illecita, che le SSUU hanno ritenuto come unica formulabile in teoria in situazioni del genere).
La sola inserzione pubblicitaria, che raffigura semi e contiene indicazioni sulla loro provenienza e descrizione, non presenta – ad avviso del GUP - il carattere di fungere da spinta determinativa specificatamente indirizzata nei confronti degli acquirenti al fine di indurre costoro ad acquistare per coltivare.

Rimini, lì 15 luglio 2013

Carlo Alberto Zaina

Avv. Zaina
18-07-13, 18:22
IMPORTANTE PRONUNCIA ODIERNA DELLA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA

La Corte di Appello di Bologna Terza Sezione Penale, alla odierna udienza ha dichiarato il principio per cui, in assenza di perizia tossicologica che attesti il livello di thc, si deve ravvisare l'ipotesi lieve - cioè quella prevista dal comma V dell'art. 73, se non si può affermare che lo stupefacente detenuto era destinato ad un uso esclusivamente personale.
Nel caso specifico la detenzione di 900 grammi di marjiuana ce 100 grammi di hashish ha comportato per due giovani, che io assistevo e difendevo assieme all'avv. Falco di Brindisi, la condanna alla pena di 2 anni e 4 mesi per uno (che era imputato anche di resistenza e minacce) e di 2 anni con sospensione condizionale per l'altro che non aveva altre accuse al di fuori di quella di detenzione illecita in concorso.
L'impossibilitò di stabilire il grado di purezza dell'hashish o della marjiuana e, quindi, il numero di dosi o di quantità massime detenibili, diviene, quindi, ostacolo insormontabile per il giudice e legittima, pertanto, un trattamento pro reo di maggiore favore anche in presenza di quantitativi lordi importanti come quello in oggetto.
Il narcotest diviene un mero indicatore della presenza di principi attivi e null'altro.
La corte ha tenuto in conto anche il fatto che certamente una parte importante e preponderante dello stupefacente era destinata al fabbisogno personale dei detentori e non vi era alcuna prova di spaccio.
Tra trenta giorni si potranno leggere le motivazioni e si potrà essere più precisi.
E', comunque, un altro passo verso una distinzione del trattamento sanzionatorio per la cannabis.

Avv. Zaina
30-07-13, 11:37
Segnalo un'interessante sentenza della Corte di Cassazione in materia di guida sotto l'effetto di stupefacenti (art. 187 CdS).
Nell'occasione i giudici di legittimità hanno escluso la ricorrenza del reato, che, invece, era stato ritenuto sussistente sia in primo grado, che in Appello in quanto non è stato fornita la prova che la persona trovata ad occupare il posto di guida di un veicolo fermo in un'area di sosta, avesse realmente guidato.
Vale a dire che, se nel caso di specie, parrebbe possibile che l'assunzione dello stupefacente fosse avvenuta nell'anteriore immediatezza del controllo svolto dalle forze dell'ordine, non altrettanto provato è il fatto che la persona inquisita abbia guidato in tale stato.
Le risultanze processuali che hanno portato la Corte ad annullare le sentenze di condanna, infatti, non dimostrano affatto che i verbalizzanti abbiano potuto percepire direttamente la circostanza dell'auto in movimento e della sua guida da parte dell'imputato.
Da queste premesse è stata logica l'assoluzione.

Carlo Alberto Zaina


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 9 aprile - 12 luglio 2013, n. 30209
(Presidente Brusco – Relatore D’Isa)

Ritenuto in fatto

A.G. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d'appello di Bologna che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal GIP del Tribunale di Forlì in ordine al reato di cui all'art. 187 C.d.S., ha ridotto la pena inflitta in primo grado.

Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al rigetto della richiesta di dichiarare la nullità degli esiti delle analisi tossicologiche per violazione delle disposizioni normative di cui agli artt. 354, 356, 114 disp. Att. e art. 366 e.p.p. non essendo stato avvisato l'imputato della possibilità di farsi assistere da un difensore, per il mancato deposito degli accertamenti e della relativa notifica al difensore. In particolare l'avviso al difensore, cui si fa riferimento in sentenza, è quello relativo alla perquisizione attuata dai verbalizzanti sull'autovettura a bordo della quale fu controllato l'A. , ma nessun avviso in tal senso gli fu dato per la richiesta di essere sottoposto a prelievi di liquidi biologici. Della circostanza, per altro, da atto lo stesso GIP; con riguardo alla seconda nullità si evidenzia che, vertendosi in materia di "accertamenti urgenti sulla persona", rientranti nel disposto dell'art. 354 c.p.p. e, comunque, di un atto cui il difensore aveva facoltà di assistere, non si era proceduto al deposito nella segreteria del P.M. entro tre giorni dal compimento e la notifica dell'avviso al difensore del diritto di visionarli e di estrarne copia.

Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato. Si argomenta che non è affatto rimasto provato che l'A. si trovasse alla guida dell'autovettura in stato di alterazione psico-fisica dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti, mancando la prova sia in ordine alla sussistenza della condotta di guida che allo stato di alterazione. Quanto alla prima l'imputato fu controllato nella sua autovettura ferma nell'area di sosta (omissis) mentre discuteva con la propria fidanzata; i giudici di merito sono caduti in errore laddove hanno ritenuto che la Polizia avesse fermato il ricorrente mentre il veicolo era in marcia.


Ritenuto in diritto

La sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto addebitato all'imputato non sussiste.

Quanto alle eccezioni in rito esse sono tutte infondate, sul punto sono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte prima dal GIP e poi dalla Corte d'Appello, e, comunque, anche se non si tenesse in conto il verbale redatto il giorno (omissis) alla ore 04.00 dagli ufficiale di P.G. procedenti i quali davano atto (sia pure con riferimento all'attività di perquisizione dell'autovettura finalizzata al rinvenimento di sostanze stupefacenti) di avere avvisato l'imputato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, l'eccezione risulta tardiva in quanto doveva essere sollevata immediatamente dopo il compimento (182, 2 comma c.p.p.), e, quindi, almeno in sede di opposizione al decreto penale di condanna.

Altrettanto dicasi in ordine all'eccezione dell'omesso avviso di deposito degli atti, la motivazione della Corte territoriale è corretta in quanto aderente sia al dato normativo che alla giurisprudenza di questa Corte.

Relativamente al secondo motivo, concernente la responsabilità penale, dato di fatto certo, in quanto comprovato dal risultato delle analisi sui liquidi biologici, è che il ricorrente avesse assunto sostanze stupefacenti, ma la circostanza di fatto, presupposto indispensabile ad integrare il reato contestato, che l’A. si trovasse alla guida di un'autovettura, è stata solo desunta con argomentazione che non regge al vaglio di tenuta logica da parte di questo Collegio.

Invero, dagli atti non emerge che il ricorrente fosse stato fermato mentre era alla guida o che, quanto meno, fosse stato avvistato alla guida di un'autovettura prima di essere fermato dagli agenti operanti nell'area di sosta. Emerge, invece, che, nel momento del controllo, egli si trovava in auto insieme alla fidanzata fermo in un'area di sosta. Non è riportato alcun dato di segno opposto nella sentenza di primo grado, ed, in quella di appello si afferma "...è argomento capzioso quello difensivo secondo cui l'accertamento è stato effettuato mentre l'autovettura era in sosta nell'area di servizio e quindi l'imputato in quel momento non era alla guida. D'altronde è implausibile (non l'invoca neppure l'appellante) l'ipotesi che l'assunzione di plurime droghe sia avvenuta in quel preciso contesto spazio temporale, immediatamente prima del controllo, sì da escludere la consumazione del reato...".

Ebbene, l'affermazione, ancorché sostenibile in via di ipotesi, non è suffragata da dati oggettivi, il che determina un vizio di motivazione. Ed invero, poiché non è dato sapere se gli agenti abbiano controllato l'autovettura con a bordo il ricorrente e la fidanzata proprio nel momento in cui si fermava, non si può escludere che l'assunzione delle sostanze stupefacenti possa essere avvenuta proprio durante la sosta nell'area di servizio e non prima che l'A. si fosse posto alla guida dell'auto.

E non è affatto vero che l'imputato non abbia invocato l'assunzione come avvenuta in quel contesto; invero, l'eccezione è oggetto specifico del secondo motivo dell'atto del gravame di merito.

Essendo questo il quadro probatorio evincibile dagli atti, si impone l'annullamento della sentenza senza rinvio.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto ascritto all'imputato non sussiste.

Avv. Zaina
17-08-13, 22:23
:polliceu:Desidero informarvi che da martedì 20 agosto riprenderò -sperando di farvi cosa gradita - la pubblicazione di commenti su novità giuriprudenziali concernenti il tema della cannabis.:polliceu:

Avv. Zaina
20-08-13, 11:10
Come promesso riprendo qualche commento di novità giurisprudenziali.
Per prima cosa, intendo segnalare la sentenza n. 2269/13 della Corte di Appello di Bologna, pronunziata lo scorso 18 luglio e di cui avevo dato notizia, in quanto ero direttamente interessato quale difensore di uno degli imputati.
Si tratta di una decisione assai importante perché valorizza la indefettibile importanza della esecuzione, nel corso del procedimento penale, della consulenza tossicologica sulla sostanza stupefacente.
Tale attività, infatti, appare del tutto risolutiva, onde potere ricavare il dato concernente la capacità offensiva e diffusiva dello stupefacente.
La sua assenza lascia un ampio cono d'ombra.
Per potere formulare una prognosi di correlabilità e di fondatezza dell'eventuale tesi di una detenzione per consumo personale, (ma, soprattutto per valutare la contrapposta linea accusatoria di una destinazione parziale o totale alla cessione in favore di terzi) il reperto psicotropo detenuto dalla persona indagata deve essere sottoposto ad un esame che può ( e deve) essere svolto ai sensi degli artt. 359 e 360 cpp, quando - addirittura -non si ritenga di dare corso (per la complessità dell'accertamento) ad un vero e proprio incidente probatorio ex art. 392 e segg. cpp.
Nela caso di specie, la Corte ha colto l'intrinseco errore in cui era incorso il primo giudice, laddove egli aveva ritenuto di potere pervenire ad una valutazione di esclusione dell'attenuante prevista dall'art. 73 comma 5 dpr 309/90 (lieve entità), sulla scorta di una elaborazione di carattere esclusivamente logico, fondata sull'asserzione di uno degli imputati che aveva definito di "buona qualità" lo stupefacente.
In buona sostanza in assenza di dato certi, il primo giudice aveva formulato una valutazione astratta ed empirica del tutto sfavorevole agli imputati.
Tale opzione è stata disattesa dalla Corte territoriale, perché invece appare assolutamente necessario - come si rimarca in sentenza - conoscere il principio attivo contenuto nella sostanza sequestrata (e detenuta) e non può apparire risolutivo od esaustivo - siccome "ambiguo"-(come testualmente affermato in sentenza) un richiamo del tutto soggettivo.
In pratica,la posizione così assunta dal giudice distrettuale si informa all'applicazione rigorosa del favor rei, vale a dire di quel principio, contenuto nel libro III del codice procedura penale e regolato espressamente e tassativamente dall'art. 192 .
La carenza di un elemento probatorio di accusa - quale risulta ad esempio l'individuazione del principio attivo che connoti la sostanza - avrebbe potuto, ad avviso di chi scrive, anche a potere determinare la Corte ad una decisione ancor più radicale, nel senso di prosciogliere gli imputati, non essendo stata effettivamente raggiunta la prova di una reale idoneità drogante del reperto sequestrato.
Certamente - nel caso di specie - le stesse ammissioni parziali delle persone inquisite, così come il rinvenimento di ulteriori elementi (ad esempio annotazioni che paiono riferibili a cessioni) non hanno permesso l'assunzione di una posizione così tranchant, e - così - i giudici hanno ritenuto di dovere adottare una posizione mediana, che - comunque - sancisce un principio di diritto estremamente importante, che va salutato come approdo garantista.
Nessuna presunzione sfavorevole all'imputato, infatti, può sostituire - neppure interinalmente - un atto procedimentale, a fini probatori, che non sia stato tempestivamente e ritualmente svolto; l'onere della prova rimane ascritto a carico di colui intenda dimostrare un fatto.
Il PM che esercita l'azione penale deve, pertanto, fornire la prova della responsabilità che egli asserisce a carico dell'indagato/imputato, sia che essa concerna l'intera condotta, sia che essa attenga a profili che permettano di qualificare la stessa sotto un aspetto giuridico, piuttosto che un altro.
Il PM deve dimostrare la destinazione allo spaccio, il livello di thc dello stupefacente, la non finalizzazione della sostanza al consumo personale, etc...
L'inadempimento a tale onere, oltre al proscioglimento, può portare, comunque, ad un trattamento sanzionatorio maggiormente favorevole per la persona inquisita.
Medesimo obbligo è posto a carico del giudicante, il quale - munito di poteri espressi per sopperire a specifiche carenza investigative - ove non attivi queste sue prerogative, e non sia in possesso di prove risolutive, non può formulare valutazioni pregiudizievoli,

LorisPetto
20-08-13, 14:30
Ma quindi avvocato se in altri casi, non sia stato fatto nessun test tossicologico della sostanza sequestrata(nella fattispecie un paio di giovani piantine di 20giorni, quindi per niente mature dato che ancora le infiorescenze erano ben lontane dal comparire) e non ci siano prove che possano ricondurre a cessione a terzi? Si mette male per l'accusa,no?

Avv. Zaina
20-08-13, 17:37
Il principio dell'onere della prova e' stato più volte calpestato e disatteso da una magistratura troppo impegnata ad imporsi giustizialisticamente, da un'avvocatura spesso impreparata e disattenta e da cittadini che pretendono la tutela dei loro diritti ed al dunque se la fanno sotto.
Se i principi dunque non sono carta straccia, diciamo che - come acutamente lei dice - si mette male per l'accusa che non prova il reato.

LorisPetto
22-08-13, 00:51
Grazie delle informazioni che riporta sul forum :polliceu:

Avv. Zaina
26-08-13, 19:36
La Terza Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza 20 febbraio 2013, pubblicata l'8 luglio (rv. 28919/13) sofferma, una volta di più, la propria attenzione sulla tematica della detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti, esaminando, non solo quei requisiti che militano per la formulazione del giudizio di non punibilità della condotta in esame, ma anche e, soprattutto, il rapporto che intercorre fra la condotta detentiva e quella di trasporto.
Nel caso specifico, il PM si doleva della circostanza che il GIP, prima, ed il Tribunale del Riesame, poi, avevano ritenuto che la condotta dell'indagato – nei cui confronti si chiedeva l'adozione di una misura cautelare – si concretasse, nella sostanza, in una forma di detenzione “dinamica”.
L'attività di trasporto della sostanza (rinvenuta all'interno di un autoveicolo condotto dall'indagato stesso) doveva, infatti, venire assorbita – e, dunque, ricondotta – ad una fattispecie di possesso espressamente finalizzata all'uso personale.
Il PM ricorrente – anche ammettendo in ipotesi la prova della destinazione ad uso personale dello stupefacente rinvenuto – sosteneva, invece, l'autonomia , di fatto ed in diritto, della condotta di trasporto, rispetto a quella di detenzione, anche sul presupposto che si poteva ravvisare nella fattispecie il concorso tra una norma incriminatrice (l'art. 73 che esplica effetti penali in relazione alla condotta di trasporto) ed una di natura amministrativa (l'art. 75 che governa le ipotesi di condotte non penalmente rilevanti).
La Corte, per rispondere al quesito così proposto, ha ripercorso la struttura sia dell'art. 73, che dell'art. 75 dpr 309/90 nella loro formulazione post novella del 2006.
E', così, emersa palese una tripartizione di situazioni giuridicamente rilevanti, all'interno della quali, peraltro, è apparso evidente e particolarmente significativa l'osservazione che la detenzione costituisce, nel disegno complessivo del legislatore, che ha introdotto con il comma 1 bis dell'art. 73 una causa di giustificazione concernente “importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione” (tutte ad uso personale), una condotta ontologicamente indipendente e differente dal trasporto.
Quest'ultima condotta, proprio per la sua oggettiva-astratta pericolosità ed offensività – che la Corte riconnette, in sentenza, condivisibilmente “alla potenzionale diffusività della droga rispetto alla condotta di detenzione o acquisto, importazione etc....” - non viene menzionata in alcun modo né nel citato comma 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90 e tanto meno nel successivo art. 75.
Posto, quindi,
1. che la disposizione di cui all'art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, nel suo carattere spiccatamente esimente, trae il proprio fondamento giuridico nel diretto collegamento fra la condotta materiale (tra una di quelle indicate expressis verbis) e la prova della destinazione al consumo personale dell'agente,
2. che la norma di cui al successivo art. 75 si pone indubbiamente in correlazione – al di là di un'infelicissima struttura lessicale – con l'art. 73 comma 1 bis, laddove quest'ultima norma (anche essa concepita in spregio alle più elementari regole grammaticali da un legislatore che ha usato violenza alla nostra lingua madre) deve essere interpretata come disposizione di deroga al regime sanzionatorio penale, in presenza effettiva di indicatori esemplificativamente dalla stessa esposti,
è possibile ragionevolmente affermare che qualsiasi condotta, non riportata nel combinato disposto dei due articoli citati, mantenga una sua assoluta autonomia ed indipendenza rispetto ad altre indicate nel comma 1 dell'art. 73.
Tale principio di ordine generale va, peraltro, coniugato con la reale natura dell'art. 73 che ad avviso della Corte “costituisce norma a più fattispecie tra loro alternative, con la conseguenza, da un lato, della configurabilità del reato, allorchè il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste e, dall'altro, dell'esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative...”.
In buona sostanza, porre in essere anche una sola tra le condotte previste nell'ampia gamma dei commi 1 ed 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90 integra certamente gli estremi di reato prevista da questa norma, va però, osservato che ove, in un unitario contesto temporale, sia ravvisabile la sussistenza di una pluralità di condotte illecite alternative (che rientrino nel novero di quelle ricordate) appare indiscutibile l'effetto di assorbenza delle ipotesi di reato di minore gravità da parte di quelle di maggiore gravità.
La fattispecie in oggetto, dunque, appare pertinente al ragionamento della S.C. perchè:
a) l'agente trasportava e deteneva al contempo sostanze stupefacenti;
b) non vi è stata una scansione distintiva temporale fra le due citate condotte, le quali, invece, si sono verificate contemporaneamente e si sono poste – tra loro – in una condizione di sovrapponibilità.
La conclusione cui, quindi, naturalmente la Corte di Cassazione perviene è obbligata.
Essa consiste nel superamento della dicotomia esistente fra le condotte, sin qui esaminate, giacchè risulterebbe del tutto illogico che un comportamento, (quale quello di trasportare da un luogo ad un altro un quantitativo di stupefacente, peraltro, posseduto dall’agente per un dimostrato fine di consumo personale), venisse considerato come ultroneo e disancorato rispetto a quello scopo finale che, invece, colora e priva di illiceità la condizione detentiva, costituendo una vera e propria causa di giustificazione.
Appare, dunque, fondamentale – ad avviso dei supremi giudici - il ricorso ad una interpretazione individualizzata, la quale si dimostri, pertanto, informata a principi sia giuridici, che logici.
Una corretta esegesi della fattispecie in questione, dimostra, infatti, che risulterebbe incomprensibile la duplicazione di una condotta, la quale, invece, si palesa senza dubbio come unitaria.
La scelta di sdoppiare le autonome azioni di trasporto e detenzione (prendendo ognuna in senso autonomo rispetto all’altra) provocherebbe, inoltre, l’inammissibile ed irrazionale conseguenza di comportare l’assoggettamento dell’agente/indagato a due sanzioni, ciascuna riferita ad uno distinto comportamento, per un unico comportamento che non viola più norme di legge.
Sarebbe questa un’impostazione ed una soluzione che – come si legge testualmente in sentenza – “non è autorizzata nemmeno dal testo normativo”.
La tesi dell’assorbimento dell’un comportamento nell’altro, risponde, invece,
1. sia al carattere di funzionalità e strumentalità che una delle sue condotte (trasporto) assume verso l’altra (detenzione),
2. sia a quel profilo di generalità, proprio del concetto di detenzione e, quindi, idoneo a ricomprendere anche aspetti di carattere specifico, quali possono essere quelli delle modalità di esecuzione della detenzione stessa.
Non a caso una di queste modalità va ravvisata nell’azione di trasporto, che si risolve in una forma di detenzione in movimento (“dinamica”).
Da ultimo, si deve osservare come rilevante, ai fini del giudizio sulla contingente coincidenza concettuale fra detenzione e trasporto, appaia la circostanza che i giudici di merito abbiamo ritenuto debitamente provata la sussistenza dell’esimente della destinazione ad uso personale dello stupefacente detenuto.
Tale dimostrata finalizzazione condiziona, pertanto, in senso favorevole all’indagato la qualificazione giuridica del fatto attribuito, escludendo che – nel caso che ci occupa – si possa ravvisare una prevalenza della condotta illecita di trasporto rispetto a quella scriminata di detenzione.
Il concetto di trasporto, infatti, esprime la sua autonoma importanza di rilievo penale, solo se in grado di evocare il metus di “una futura attività di cessione o di illecita detenzione a tali fini” (n.d.a. di spaccio).
Il trasporto per uso personale – che si risolve in una forma di detenzione qualificata – appare incompatibile con tale situazione, connotata dalla potenziale diffusività della condotta.
Le risultanze fattuali della fattispecie – ad opinione sia dei giudici di merito, che di quelli di legittimità – (nonostante la droga fosse stata rinvenuta addosso all’indagato, mentre nel vano portaoggetti dell’auto vi era un coltellino con tracce di stupefacenti) non erano, infatti, tali da potere contraddire efficacemente la tesi difensiva della destinazione ad un uso esclusivamente personale.
In tal modo trasporto e detenzione si vengono a fondere in un situazione di unicità e costituiscono, quindi, un illecito amministrativo.

Avv. Zaina
30-08-13, 09:48
Quarta Sezione Corte di Cassazione, sent. 31274/13 – ud. 4 aprile 2013/22 luglio 2013 -.


La circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dal comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90 appare incompatibile con l’aggravante contenuta nell’art. 80 comma 1 lett. B) – cessione a minore -.
Il giudizio di effettiva e specifica sussistenza di quest’ultima circostanza determina la sua prevalenza, anche in presenza di episodi di cessione di quantitativi assolutamente modici di sostanze stupefacenti, i quali potrebbero, di per sé, legittimare l’applicazione dell’attenuante.
E’ questo il principio statuito dalla Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza 31274/13 – ud. 4 aprile 2013 – pubblicata lo scorso 22 luglio.
Si tratta di un indirizzo che sembrerebbe, prima facie, disattendere e riformare, in senso fortemente restrittivo, la posizione a suo tempo assunta dalle SS.UU., le quali con la sentenza 24 giugno 2010, n. 35737, (P.M. in www.leggiditalia.it e Giur. It., 2011, 6, 1372 nota di PAVESI) avevano stabilito che “L'aggravante della cessione di sostanza stupefacente a persona minore di età non è incompatibile con l'attenuante del fatto di lieve entità, con cui è oggetto di bilanciamento nell'ambito di un giudizio di globale valutazione della fattispecie” .
Un’attenta valutazione della sentenza pare, però, smentire questa tesi.
I giudici di legittimità – pur rifacendosi ad un orientamento contrario, già palesato [cfr. ex plurimis Cass. pen. Sez. VI Sent., 29 gennaio 2008, n. 20663 (rv. 240057), C.S.] , – hanno, infatti, incentrato la propria attenzione sul paradigma dell’effettiva offensività oggettiva della condotta tenuta.
Tale carattere, non a caso, costituisce il fondamento (direi l’archetipo) strutturale della circostanza attenuante ad effetto speciale della “lieve entità”.
L’istituto in parola , infatti, presuppone che la valutazione finale e complessiva del comportamento illecito, debba e possa essere ricondotta a termini di minimale offensività, cioè ad un pericolo – che seppure non può essere trascurabile – risulti, però, indubbiamente privo di profili di rilievo.
I parametri contenuti nel comma 5° - intesi sia attraverso una visione parcellizzata, che considerati tramite una visione globale – devono, quindi, esprimere una pericolosità (e suscitare un allarme) sociale che possa essere collocata al livello più basso possibile.
Se dunque – come recentemente riaffermato dalla Corte di Appello di Lecce, (sentenza 12 marzo 2013, Pa.Gi. e altri in www.leggiditalia.it ) – “…la concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità impone l'accertamento in ordine alla trascurabile offensività della fattispecie, sia in relazione all'oggetto materiale del reato, ovvero alle caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia in relazione all'azione, quanto a mezzi, modalità e circostanze della stessa…”, appare altrettanto evidente che nell’ipotesi in cui anche uno solo tra gli indici previsti dalla norma risulti negativamente connotato, esorbitando – all’esito dell’esame del giudicante - i limiti di offensività previsti, esso risulta assorbente ed ogni altra considerazione resta priva di incidenza.
E’, peraltro, necessario, che il giudice operi una comparazione preliminare, fra gli opposti elementi di fatto e di diritto, che involga anche la circostanza attenuante in esame.
Nella fattispecie, la cessione – peraltro ripetuta nel tempo – di quantitativi obbiettivamente modesti, [valutati sia nella loro individualità, che nella complessività che deriva dalla loro somma (un totale di gr. 30 di hashish)], non ha potuto assumere carattere di positivo rilievo.
La contestuale violazione del precetto contenuto nell’art. 80 comma 1 lett. b) (cessione minore) ha costituito, a propria volta, ad avviso della Quarta Sezione, circostanza assolutamente decisiva di segno opposto.
E’ evidente, quindi, ad avviso di chi scrive, che l’orientamento della sentenza in commento, ad un approfondito esame, non pare, affatto, dissonante dall’insegnamento delle SS.UU., in quanto nella citata pronunzia 24 giugno 2010, n. 35737, si afferma la compatibilità dell'aggravante della cessione di sostanze stupefacenti a soggetto minore di età con l'attenuante del fatto di lieve entità, ma solo a livello potenziale di astrattezza giuridica e fattuale.
Tale concessione, determina la conseguenza ovvia e necessitata che il giudice deve valutarne la compatibilità caso per caso, tenendo conto di tutte le specifiche e concrete circostanze nelle quali la cessione a minore si realizza .
Come sottolineato, il caso che ci occupa evidenzia un vaglio negativo che si rivolge ad uno dei parametri di riferimento (modalità dell’azione), che presenta un connotato di decisività assolutamente pari a quella di tutti gli altri.
Esso, come anticipato, consiste di un duplice aspetto.
La cessione di quantitativi modici di stupefacenti (che di per sé non pare ostativa alla configurazione dell’attenuante) è, però, avvenuta nei confronti di un destinatario minore di età e per il tramite di un’azione che è stata reiterata nel tempo.
Da ciò un allarme sociale che eccede il confine della minima offensività e che risulta incompatibile con un giudizio di lievità dell’entità del fatto.
Una simile situazione, comporta, dunque, ineluttabilmente la non configurabilità dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990.

ugoxtutti
30-08-13, 12:55
Avv.to, una domanda che magari evidenzia la mia incompatibilità con il linguaggio del diritto ma credo molti utenti mi ringrazieranno...

Chiedevo, se possibile, una traduzione in linguaggio Enjoint perche tutti possano gradire di queste novità, in quanto, lette un paio cosi a caso cio ho capito 0
solo nell ultima credo di aver capito che se dai anche 0,2 a un minore ti becchi spaccio... no?

Avv. Zaina
30-08-13, 15:22
Avv.to, una domanda che magari evidenzia la mia incompatibilità con il linguaggio del diritto ma credo molti utenti mi ringrazieranno...

Chiedevo, se possibile, una traduzione in linguaggio Enjoint perche tutti possano gradire di queste novità, in quanto, lette un paio cosi a caso cio ho capito 0
solo nell ultima credo di aver capito che se dai anche 0,2 a un minore ti becchi spaccio... no?

Caro Ugo
lei ha ragione, purtroppo, però, ci sono dei passaggi delle sentenze che sono impossibili a spiegare in termini diversi da quelli legali.
In ogni caso la sintesi del problema è questa.
Qualunque dose di droga venga ceduta ad un minore, ove tale azione venga ripetuta nel tempo, può configurare il reato di spaccio aggravato (ai sensi dell'art. 80 comma 1) e fare si che venga esclusa l'attenuante dell'ipotesi lieve (quella prevista dall'art. 73 comma 5).
Ciò in quanto il giudice può ritenere che il fatto di cedere ad un minore costituisca una condotta di elevata gravità.
Si tratta di una sintesi molto grossolana....

Avv. Zaina
17-09-13, 17:29
Terza Sezione Corte di Cassazione sent. n. 25806/13 ud. 27 marzo 2013, dep. il 12 giugno 2013.

La sentenza richiamata merita attenzione sotto due principali profili.
Il primo riguarda la circostanza che la presenza di elementi usualmente ritenuti dalla giurisprudenza, quali indicatori sintomatici di una possibile destinazione, della sostanza stupefacente detenuta, ad una attività di spaccio, quali sono ad esempio bilancino di precisione e ripartizione in dosi della droga,è stata considerata, dal giudice di primo grado, efficacemente contrastata dal fatto che il quantitativo di stupefacente sequestrato, fosse ricoverato in casa dell'imputato e che difettassero, nella fattispecie altri dati che potessero essere rivelatori di una condotta illecita.
Tale opinione si è venuta proficuamente a formare, nel caso che ci occupa, nonostante il quantitativo non fosse collocabile a livelli di modicità assoluta, in quanto si trattava di complessivi gr. 42,7 di hashish.
La Suprema Corte, cui la difesa dell'imputato si era rivolta, dopo che la Corte di Appello - su impugnazione del PM - aveva, a propria volta, riformato l'originario giudizio di assoluzione, condannando, quindi, l'imputato, ha, invece, confermato la validità e la plausibilità dell'impostazione seguita dal giudice di prime cure.
E' di tutta evidenza, quindi, che i giudici di legittimità hanno fedelmente applicato quel consolidato principio che esclude che si possa operare una presunzione di destinazione allo spaccio della sostanza detenuta, sopperendo, così all'assenza di precisi e puntuali elementi di prova a carico dell'imputato.
Dunque, per l'ennesima volta, viene autorevolmente disatteso quell'orientamento giurisprudenziale -, peraltro, coriacemente riproposto da molti PM - che vorrebbe interpretare, discutibilmente, il disposto dell'art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, come espressione di una presunzione contro l'imputato, determinando, così, già in origine un'inammissibile inversione dell'onere delle prova.
Secondo questa tesi non sarebbe, dunque, la pubblica accusa a dovere provare la colpevolezza, bensì l'imputato la propria estraneità al fatto illecito addebitatogli.
Va, inoltre, rilevato che l'inquisito, nella fattispecie, non era rimasto processualmente inerte perché egli aveva adempiuto al principio del difendersi provando, azionando la facoltà di dimostrare, a confutazione delle tesi di accusa, certificando la propria capacità economica, attraverso il deposito del CUD.
In tal modo egli aveva dimostrato inequivocabilmente la propria titolarità di redditi leciti da lavoro, elemento di natura storica, che sempre appare idoneo ad orientare favorevolmente il giudizio, potendo escludere sul piano logico la necessità di una successiva attività di spaccio, per fronteggiare il fabbisogno della persona.
In secondo luogo, si sottolinea che la Corte di Cassazione ha precisato che la sentenza di appello che concluda il relativo giudizio con una pronunzia di riforma in pejus (condanna) dell'originaria assoluzione, senza che emerga che (da parte della Corte di Appello) siano stati obbiettivamente valutati o valorizzati elementi di prova nuovi od inediti rispetto a quelli considerati nel corso del processo di primo grado (e che avevano portato alla assoluzione dell'imputato) deve fornire una motivazione particolarmente approfondita, la quale confuti, in maniera convincente, l'indirizzo espresso dal giudice di prime cure.
Si legge testualmente, nella sentenza della Terza Sezione che, l'evenienza di una riforma così radicale del decisum "....impone al giudice di argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o di inadeguatezze probatorie...".
Viene così ribadito dalla S.C., ed in modo assai convincente, il dovere attribuito al giudice, che ritenga di dovere disattendere l'esito del giudizio di primo grado - risoltosi favorevolmente per l'imputato - di dare, però, corso e corpo ad una motivazione, che non si limiti ad assolvere ad una funzione esplicativa di carattere per cosiddire usuale, normale o di maniera, dunque, "notarile", bensì di fornire una profonda e persuasiva contezza della propria decisione, proprio per il profilo di radicale modifica che connota la stessa.
La spiegazione dell'iter ideativo, quindi, deve dimostrare - al di là di ogni ragionevole dubbio - che la soluzione adottata, non costituisca una mera e possibile interpretazione alternativa, ma si ponga, invece, come effettivamente unica ipotesi logico-giuridica perseguibile.

Avv. Zaina
17-09-13, 18:39
Desidero informarvi che pubblicherò commenti relativi a tematiche di guida in stato di ebbrezza, perché tale questione e' del tutto assimilabile alla guida sotto l'effetto di stupefacenti e cercherò di informarvi sulle regole di comportamento relative.

Avv. Zaina
17-09-13, 21:43
Quarta Sezione Corte di Cassazione sent. 37743/13 del 28.5.2013

IN MATERIA DI GUIDA IN STATO DI EBBREZZA O DI INTOSSICAZIONE DA STUPEFACENTI
Una delle novità più salienti introdotte con le recenti modifiche apportate all'art. 186 CdS, si rinviene nel testo del comma 2-bis.
Esso prevede, infatti, una circostanza che aggrava la pena base prevista per la guida in stato di ebbrezza e che recita testualmente : "Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell'articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all'illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222."
Tale norma trova puntuale ed omologa previsione nel testo del successivo articolo 187 1-bis : "Se il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 1 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dal settimo e dall'ottavo periodo del comma 1, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222..
Or bene, la ulteriore condizione oggettiva che viene necessariamente richiesta in abbinamento a quella basilare soggettiva, o della ebbrezza alcolica o dell'alterazione da stupefacenti, per ritenere operative le circostanze aggravanti in oggetto, consiste nella condotta di avere provocato un incidente stradale, vale a dire di essere il soggetto attivo e diretto nella causazione dell'evento dannoso.
La verificazione dell'incidente stradale (ed ogni sua conseguenza dannosa), quindi, deve essere imputabile, sul piano esclusivo, al soggetto imputato (o della violazione dell'art. 186 , oppure di quella dell'art. 187 CdS).
Il caso di specie, invece, proponeva alla valutazione dei Supremi giudici una digressione rispetto all'originaria previsione fattuale, posto che all'imputato-ricorrente veniva contestato il "coinvolgimento" nell'incidente stradale.
Vale a dire che la descrizione del comportamento in base al quale è stata formulata l'ipotesi di reato attribuita al ricorrente ha prestato il fianco ad una evidente censura del Collegio di legittimità.
In primo luogo, la critica ha trovato ragion d’essere perché, esaminando l’imputazione sul piano puramente lessicale, si deve rilevare la presenza di un'assoluta improprietà (l'uso dell'espressione "essere coinvolto" in luogo di quella "avere provocato" - la quale riverbera indubbi effetti anche in punto di diritto -.
E’, infatti, del tutto pacifico che la previsione normativa di aggravamento sanzionatorio della pena base (in entrambi i reati) debba rimanere circoscritta alla condotta di chi cagiona, per propria responsabilità e colpa un sinistro.
L’atto di cagionare, dunque, inteso come gesto di natura indubbiamente colposa.
Esso, però, trova il suo fondamento, sia fattuale che giuridico, in un comportamento attivo dell'individuo, che si ponga come violazione di uno tra i plurimi precetti normativi del CdS e ne sia diretta conseguenza.
In secondo luogo - ed in stretto legame logico con il principio sopra affermato - la Corte di legittimità precisa, inoltre, che, comunque, la situazione di chi è coinvolto in un incidente stradale non può (e non deve) formare oggetto di confusione con quella di chi lo provoca.
Dopo avere risolto, infatti, agevolmente il dato puramente formale e tassativo dell’individuazione della condotta oggetto della previsione contenuta dall’aggravante, la Corte di Cassazione affronta, quindi, anche il tema concernente l'evidente impossibilità di conferire analogo significato alle due distinte condotte.
Sotto questo ultimo specifico profilo, il Collegio afferma – in maniera tanto lapidaria, quanto convincente - che ove si ritenesse di operare un’eventuale equiparazione fra soggetto che provoca e soggetto che viene (incolpevolmente e suo malgrado) coinvolto in un sinistro, ci troverebbe dinanzi ad “un’inammissibile ipotesi di analogia in malam partem”.
Tale divieto, deducibile dall’art. 25 comma 2° Cost., trova fondamento nel fatto che tale forma di analogia contrasta in tutta evidenza con le esigenze garantistiche del principio di legalità e, soprattutto, quello di tassatività.
Vale a dire, quindi, che sarebbe inaccettabile tanto nel nostro ordinamento giuridico, che nel nostro sistema legislativo, riconoscere la possibilità di estendere gli effetti punitivi di una norma incriminatrice di natura penale, rivolta, quindi, a sanzionare specifiche condotte, anche nei confronti di altri comportamenti o (situazioni), che seppure simili, non siano espressamente previsti ex lege.
Ulteriore conferma dell’assunto, si ricava, inoltre, esemplificativamente dal testo degli artt. 1 e 199 c.p., che sanciscono il principio per cui nessuno può essere sottoposto a pena o a misura di sicurezza se non sulla base di una norma di legge e dall'art. 25 della Cost. secondo cui: "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".
Tornando conclusivamente alla sentenza in commento, appare, quindi, del tutto incontroversa e pacifica l’esaltazione dell’infungibilità e dell’inconfondibilità interpretativa del verbo “provocare” (l’incidente), il quale, pertanto, configura l’unica condotta in capo alla quale viene riconnesso il trattamento sanzionatorio aggravato in relazione agli artt. 186 comma 2-bis e 187 comma 1-bis Cds.

Dantep
18-09-13, 09:06
Quindi se non ho capito male,se uno passa con il rosso e si pianta in macchina mia,non è più colpa mia anche se positivo al thc?

Avv. Zaina
18-09-13, 11:52
Quindi se non ho capito male,se uno passa con il rosso e si pianta in macchina mia,non è più colpa mia anche se positivo al thc?

Caro Dantep voglio essere preciso.
La sentenza è importante perché permette di differenziare fra colui (o coloro) che provoca un sinistro e colui (o coloro) che è coinvolto.
La prima ipotesi comporta un importante aggravamento di pena, il secondo sino ad oggi assimilato al primo, ora non più, perché è cosa differente provocare e subire.
Sia chiaro che se lei risulta positivo al thc e guida, non può sfuggire alla contestazione del reato di cui all'art. 187 ma non subirà il pesante aggravamento di pena, se l'incidente non è avvenuto per sua colpa o responsabilità.
Spero di essermi spiegato, diversamente fatemelo sapere:biggrin2:

Dantep
18-09-13, 13:27
Caro Dantep voglio essere preciso.
La sentenza è importante perché permette di differenziare fra colui (o coloro) che provoca un sinistro e colui (o coloro) che è coinvolto.
La prima ipotesi comporta un importante aggravamento di pena, il secondo sino ad oggi assimilato al primo, ora non più, perché è cosa differente provocare e subire.
Sia chiaro che se lei risulta positivo al thc e guida, non può sfuggire alla contestazione del reato di cui all'art. 187 ma non subirà il pesante aggravamento di pena, se l'incidente non è avvenuto per sua colpa o responsabilità.
Spero di essermi spiegato, diversamente fatemelo sapere:biggrin2:

Si si,indubbiamente il reato di colpevole alla guida sicuro,ma è già un passo avanti non avere colpe a prescindere se non si è CAUSA,ma VITTIMA di incidente :polliceu:

w la natura
19-09-13, 00:42
Si si,indubbiamente il reato di colpevole alla guida sicuro,ma è già un passo avanti non avere colpe a prescindere se non si è CAUSA,ma VITTIMA di incidente :polliceu:

si ma sò sempre cazzi .....da vittima ma cazzi....perchè scattano ormai in automatico le visite o accertamenti per i coinvolti.... ti faccio un esempio : un mio amico è fermo al semaforo , un'altra auto lo tampona . arrivano i puffi , vedono la dinamica e a tutti e due gli dicono venite un pò quà ? ti dico il finale : in due senza patente ........
la morale ? non sei la causa ma resti comunque colpevole.....

Avv. Zaina
23-09-13, 22:15
Nell'ottica di un'informazione corretta, che permetta anche una comprensione dei problemi giuridici e giudiziari oltre che di una crescita del dibattito intorno al tema della cannabis, che taluno tenta strumentalmente di assimilare a droghe pesanti e droghe furbe (espressione quet'ultima che da la cifra della pochezza di molti cd. Esperti) vi riporterò nei prossimi giorni alcuni passaggi di uno studio fatto in relazione alla DRUG SITUATION, STRATEGY AND POLICY nell'Europa dl sud est (Grecia e zone limitrofe) affinché ci si possa fare un'idea degli nutre enti anche normativi in materia.

Avv. Zaina
14-10-13, 11:33
Segnalo un'importante pronunzia di un giudice di merito in materia di detenzione di quantitativi non minimali di marjiuana (gr. 388 ridotti a gr. 214).
La percentuale di thc contenuto era pari al 10%.
Al di là della circostanza che come al solito si opera la suddivisione del principio attivo in dosi medie droganti, in luogo della ripartizione in quantità massima detenibile, appare importante la circostanza che il giudice ha valutato correttamente tutti gli elementi previsti dal comma 1 bis dell'art. 73 per ricavare da essi la sussistenza dell'uso personale.
Sentenza come queste dimostrano che un'eventuale riforma del dpr 309/90 può essere fatta, a condizione che siano avanzate proposte di legge serie e non raffazzonate.

Tribunale di Tivoli

Sentenza 23 settembre 2013, n. 1022

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo Italiano

Il Giudice dr.ssa Elisabetta PIERAZZI all’udienza del 25.6.13 ha pronunciato la seguente sentenza nei confronti di:

xxx yyy, n. a Tivoli il 00.00.00

=libero,presente=

difeso di fiducia dagli Avvocati A.T. e L.L. con studio in G. alla Via P. 8

=presenti=

IMPUTATO

Al reato di cui all’art. 73 comma 1 bis DPR 309/90, per avere, senza l’autorizzazione di cui all’art.17 e fuori dei casi di cui all’art. 75,illecitamente detenuto, al fine di uso non esclusivamente personale, gr. 338 di sostanze stupefacenti del tipo marijuana:

In Tivoli, il 31.8.2012

Le parti hanno così concluso

Il P.M.: “condanna alla pena di anni due di reclusione ed € 3.000,00 di multa.”

La difesa dell’imputato: “assoluzione, in caso di condanna, solleva questione di incostituzionalità del D.L.272/05 nella parte in cui ha eliminato la distinzione tra tipologie di sostanze stupefacenti; in estremo subordine, attenuanti e minimo della pena.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dopo la convalida dell’arresto operato nei suoi confronti il 31.8.12, e l’applicazione da parte del GIP della misura cautelare degli arresti domiciliari, il 24.9.12 xxx yyy è stato condotto innanzi al Giudice per essere giudicato per il reato in epigrafe.

In quella sede, e prima dell’apertura del dibattimento, l’imputato chiedeva di essere giudicato con il rito abbreviato, che veniva ammesso e celebrato all’odierna udienza, nella quale il giudice acquisiva il fascicolo del PM, le parti concludevano come in atti, ed all’esito veniva pronunciata sentenza come da dispositivo.

Ritiene chi scrive che dagli atti non emerga con certezza la destinazione alla cessione a terzi dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell’imputato.

In particolare, dagli atti del processo risulta che il 31.8.12 gli operanti effettuavano una perquisizione al domicilio dell’imputato, che lo stesso divide con la fidanzata, il quale spontaneamente consegnava, prelevandola da sotto il proprio letto, nove confezione di peso diverso contenente marijuana, un bilancino di precisione e un rotolo di cellophane.

Le analisi chimiche evidenziavano che lo stupefacente, del peso netto di gr. 214,77, conteneva complessivamente 21,477 gr. Di THC puro, per circa 859 dosi medie droganti.

In sede di convalida l’imputato affermava la destinazione al consumo personale della marijuana acquistata per farne uso ; dichiarava che il bilancino veniva da lui utilizzato per verificare la quantità di marijuana acquistata, e sosteneva di avere disponibilità economiche adeguate a consentire l’acquisto della droga.

La difesa ha in seguito documentato che la famiglia di origine dell’imputato, che è a carico dei genitori, ha un reddito medio-alto.

A fronte di tal emergenze, ritiene il giudice che il vero dato ponderale non sia sufficiente a far ritenere la certa destinazione allo spaccio dello stupefacente sequestrato. Le disponibilità economiche familiari, riferite dall’imputato e documentate dalla difesa appaiono adeguate a consentire l’acquisto delle sostanze possedute, e la spiegazione circa il possesso del bilancino non è inverosimile. In casa non sono state rinvenute somme di denaro, né appunti indicanti contabilità di dare-avere, né si dà atto di contatti telefonici sospetti eventualmente emersi a seguito del sequestro del telefono cellulare dell’imputato effettuato dal PG. La presenza della busta del rotolo di cellophane costituisce, insieme alla quantità dello stupefacente, un indizio, ma ve ne sono altri di segno diverso e comunque si tratta di indizi non univoci, inidonei a sostenere in modo tranquillizzante una pronunci di condanna. Peraltro l’imputato, di soli 21 anni. È soggetto del tutto incensurato, e dopo l’arresto la famiglia si è attivata sovvenzionando un percorso di terapia psicologica per superare i problemi di tossicità che erano stati riscontrati; si tratta di ulteriori elementi che sostengono la effettività di un consumo personale da parte dell’imputato.

Per tutto quante precede deve dunque pronunciarsi sentenza di assoluzione, per insussistenza di fatto.

La confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro e del materiale anche sequestrato seguono per legge; il carico di lavoro impone di riservare per la motivazione il termine di 90 giorni.

P.Q.M.

Visto l’art. 530 II c. c. p. p.

ASSOLVE

Xxx yyy dal reato ascritto perché il fatto non sussiste; ordina la confisca e la distribuzione dello stupefacente in sequestro e di quanto ulteriormente in sequestro.

Tivoli 25.06.13

IL GIUDICE

Dr. Elisabetta Pierazzi

philmusic
14-10-13, 13:33
La difesa ha in seguito documentato che la famiglia di origine dell’imputato, che è a carico dei genitori, ha un reddito medio-alto.


Questa non mi sembra un gran cosa...per cui, se uno ha una famiglia benestante, è più facile che venga assolto rispetto ad uno che ha una famiglia dalle minori possibilità economiche?

Le leggi potranno anche essere cambiate in meglio, ma questa mentalità rimarrà sempre...

Avv. Zaina
14-10-13, 13:46
Questa non mi sembra un gran cosa...per cui, se uno ha una famiglia benestante, è più facile che venga assolto rispetto ad uno che ha una famiglia dalle minori possibilità economiche?

Le leggi potranno anche essere cambiate in meglio, ma questa mentalità rimarrà sempre...

Philmusic non interpreti alla lettera lo scritto del giudice. E' evidente che ove un soggetto dimostri di avere sue capacità economiche lecite, la presunzione che una parte dello stupefacente possa essere destinato allo spaccio viene superata.
Poi la fonte economica può essere un'attività lavorativa, lo stato di benestante, i risparmi etc., ma l'importante è' che si possa escludere che lo stesso abbia necessità di spacciare per recuperare le spese relative allo stupefacente.
Certamente se una famiglia e' più abbiente....ma non ricaviamone un automatismo.

Avv. Zaina
22-10-13, 10:56
Desidero segnalarvi una interessantissima sentenza della Corte di Appello di Ancona, pronunziata lo scorso 9 luglio, n. 2513/13, ma le cui motivazione sono state pubblicate in questi giorni.
L'importanza giuridica della sentenza deriva dal fatto che il processo conseguiva alla famosa operazione WU-DU del novembre 2008 promossa dalla Procura della Repubblica di Ferrara, che coinvolse numerosissimi commercianti di semi e che ebbe il plauso dell'on. Giovanardi.
L'importanza umana, invece, è data dalla circostanza che, dopo oltre quattro anni di vergogna e sofferenze, E.R., che ho strenuamente difeso e della cui fiducia sono onorato, finalmente ha visto riconoscere – da un giudice – la propria non colpevolezza in ordine a reati per i quali ha conosciuto ingiustamente anche l'onta del carcere, nella speranza di avere scritto la parola “fine” alla vicenda.
E.R. era titolare di un negozio a Pesaro. Egli risiedeva e risiede tuttora in un paese dell'entroterra a circa una quarantina di chilometri. Fu arrestato perchè, durante la perquisizione svolta presso l'abitazione, fu rinvenuto nel possesso di un quantitativo di gr. 23 di hashish e gr. 2 di marijuana.
L'accusa – mossa dalla Procura di Pesaro a carico del giovane - consisteva sia del reato di detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 dpr 309/90), sia di istigazione all'uso di stupefacenti (art. 82).
Dopo un non breve periodo, sia carcerario, che di arresti domiciliari, E.R., pur rimesso in libertà, venne condannato dal GUP di Pesaro alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione per entrambi i reati.
La Corte di Appello di Ancona ha, invece, ribaltato totalmente il giudizio di primo grado, riformando la sentenza di condanna e mandando assolto E.R. con formula piena in relazione ad entrambe le accuse.
Gli aspetti salienti di questa pronuncia sono due.
Il primo attiene alla circostanza che è stata ritenuta fondata l'osservazione, svolta con i motivi di appello, che censura il convincimento manifestato dal GUP in ordine al fatto che sia il peso complessivo dello stupefacente, che quello netto riguardante il THC, sarebbero incompatibili con l'uso personale.
In realtà, il primo giudice avrebbe dovuto – a parere della Corte – tenere in conto le dichiarazioni del giovane (che ha sempre sostenuto di fare un consumo strettamente personale senza cedere ad altri), l'assenza di elementi che inducessero al sospetto di spaccio (bilancini, involucri separati, elenchi con nomi di clienti etc.), la carenza di contatti con ambienti delinquenziali in genere, l'assenza di carichi pendenti, l'incensuratezza dell'indagato ed anche la sua buona condizione economica.
L'accusa, dunque, non poteva reggersi su basi esclusivamente presuntive ed il GUP di Pesaro – secondo la Corte di Appello di Ancona –, condannando l'imputato, ha operato una valutazione assolutamente incompleta, venendo meno ad un preciso dovere di prendere in esame tutte le prove.
Non essendovi dimostrazione di una volontà da parte del giovane di cedere a terzi – anche in minima parte – lo stupefacente solo detenuto, l'assoluzione richiesta dalla difesa è stata accolta.
Il secondo riguarda l'istigazione di cui all'art. 82 dpr 309/90.
In proposito la Corte ha riconosciuto il valore della nota sentenza delle SUU del 7 ottobre 2012 n. 47604 che ha escluso che la vendita di semi di cannabis, anche se accompagnata da messa in commercio di depliant o di strumenti per la coltivazione, costituisca tale reato.

smoked_Clyde
22-10-13, 14:28
Credo che in Italia non si arriverà mai ad una legalizzazione piena, se saremo fortunati ci lasceranno coltivare qualche piantina!!!

Però sembra proprio che negli ultimi mesi le cose stiano cambiando pesantemente, nel senso che prima avere 4 piantine provava che spacciavi ora invece pare che cerchino delle prove un po' più schiaccianti che tu sia spacciatore o no... Credo sia un gran passo, quello che mi chiedo io è che conoscendo l'Italia magari bisogna avere la fortuna di trovare un giudice di mentalità più aperta o tutti i giudici dovranno fare così?

Avv. Zaina
22-10-13, 14:44
Caro iClyde79 lei ha ragione.
La legalizzazione, allo stato attuale, mi pare francamente una chimera e praticamente una scelta che ritengo non perseguibile seriamente.
Penso che piuttosto sarebbe molto più produttivo cercare di impedire che i consumatori ed i coltivatori domestici vengano processati ingiustamente e condannati altrettanto ingiustamente.
Vede, però, io insisto nel dire che sino a che non vi sarà una diffusione di culture scientifica e giuridica sul tema i consumatori ed i coltivatori domestici saranno processati e sovente condannati.
Per farle un esempio stamani ero in udienza a Rimini ed ho assistito ad un processo dove la difesa al perito (che aveva fatto come al solito l'erronea miscela di reparti tra loro differenti) non ha avanzato una domanda, dove la difesa ha chiesto pietà, pietà, pietà perché nel caso di specie "non si tratta di questioni fra drogati" (testuale!), perché c'è pochissimo principio attivo nel campione sequestrato, perché si tratta di un ragazzo che era un po' nervoso ed aveva litigato con i genitori, e, poi, perché la Cassazione dice .....
Ovviamente il giovane è stato condannato per 40 grammi di marjiuana ad un anno e l'avvocato diceva che era andata veramente bene.
Ma anche il giudice che non ha operato una valutazione complessiva della vicenda, perché si è fermato alla prima e più superficiale valutazione?
E allora di cosa stiamo parlando?

smoked_Clyde
22-10-13, 15:17
Caro iClyde79 lei ha ragione.
La legalizzazione, allo stato attuale, mi pare francamente una chimera e praticamente una scelta che ritengo non perseguibile seriamente.
Penso che piuttosto sarebbe molto più produttivo cercare di impedire che i consumatori ed i coltivatori domestici vengano processati ingiustamente e condannati altrettanto ingiustamente.
Vede, però, io insisto nel dire che sino a che non vi sarà una diffusione di culture scientifica e giuridica sul tema i consumatori ed i coltivatori domestici saranno processati e sovente condannati.
Per farle un esempio stamani ero in udienza a Rimini ed ho assistito ad un processo dove la difesa al perito (che aveva fatto come al solito l'erronea miscela di reparti tra loro differenti) non ha avanzato una domanda, dove la difesa ha chiesto pietà, pietà, pietà perché nel caso di specie "non si tratta di questioni fra drogati" (testuale!), perché c'è pochissimo principio attivo nel campione sequestrato, perché si tratta di un ragazzo che era un po' nervoso ed aveva litigato con i genitori, e, poi, perché la Cassazione dice .....
Ovviamente il giovane è stato condannato per 40 grammi di marjiuana ad un anno e l'avvocato diceva che era andata veramente bene.
Ma anche il giudice che non ha operato una valutazione complessiva della vicenda, perché si è fermato alla prima e più superficiale valutazione?
E allora di cosa stiamo parlando?

Io avvocato di processi fortunatamente sono totalmente inesperto... Però mi pare di capire che il succo del discorso sia sempre il solito bisogna trovare un giudice sveglio o un avvocato che sappia far svegliare il giudice, che provi a controbattere...

Se ci fossero avvocati preparati come lei sl campo magari ci sarebbero molti più casi di gente scagionata... Certo la cultura bigotta persiste su questo argomento...

Secondo me siamo vicini a qualcosa di importante non legalizzare ma, come si usa fare spesso in Italia, lasciamo passare facendo finta di non vedere.

Avv. Zaina
28-10-13, 18:47
Cari amici
desidero informarvi di due nuovissime decisioni di giudici di merito che coinvolgono due procedimenti penali, a carico di persone che assisto, nei quali viene formulata - a carico dell'imputato - l'accusa sia di coltivazione che di detenzione.
Il GUP presso il Tribunale di Caltanissetta, con una complessa ed articolata ordinanza del 3 ottobre u.s., infatti, pur rigettando la richiesta di sollevare questione d costituzionalità concernente la condotta coltivativa, ha preso atto delle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte di alcuni giudici (Cassazione, Corte Appello di Roma e Tribunale di Viterbo) e ritenendo non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità sollevato nei confronti delle procedure di approvazione della legge 49/2006 (Fini-Giovanardi), ha sospeso ogni decisione in attesa della pronunzia della Consulta.
Analoga decisione stamane (28 ottobre) è stata presa dal Tribunale di Perugia (giudice dott. Verola), che - in un procedimento per coltivazione e detenzione - ha preso atto della pendenza del giudizio di costituzionalità, giudicando le questioni sollevate non manifestamente infondate e, così, ha ritenuto che i quesiti proposti all'attenzione della Corte Costituzionale, appaiano rilevanti ai fini della decisione del processo sospendendo lo stesso sino alla pronunzia del giudice delle leggi.
Desidero condividere con voi tutti la soddisfazione perché queste prese di posizione dimostrano come - pur con approcci differenti - la sempre più ampia maggioranza dei magistrati dubita della costituzionalità delle modifiche introdotte con la L.49/2006 al DPR 309/90.
Questi dubbi, che coinvolgono una parte imponente della struttura normativa che regola il diritto degli stupefacenti, deve indurre a pensare ad una nuova legge organica e non a correttivi limitati e parziali.

Avv. Zaina
29-10-13, 10:25
Detenzione di stupefacenti ad uso personale: i confini della non punibilità
Cassazione penale , sez. IV, sentenza 21.06.2013 n° 27346

La Suprema Corte - Quarta Sezione – con la sentenza n. 27346/13 coglie l'occasione per ribadire la fondatezza di quei criteri ermeneutici, che permettono di ricondurre una situazione di detenzione di stupefacenti, nel solco della non punibilità, quando essa venga configurata come ad uso esclusivamente personale.
I punti salienti di diritto della pronunzia si sostanziano in tre osservazioni.
La L. 49/2006 :
1 . – pur avendo adottato una formulazione semantica del tutto “infelice” - “non contiene elementi di sostanziale novità rispetto al disciplina previgente, che sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti, che non fosse finalizzata all'uso personale”;
2. non ha per nulla introdotto, nei confronti della persona che venga sorpresa nella detenzione di quantitativi che eccedano i limiti tabellari
a) “nè una presunzione, sia pura relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale”,
b) “nè un'inversione dell'onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost comma 2 e art. 27 Cost. Comma 2”;
3. non ha, inoltre, innovato affatto “i parametri indicati per apprezzare la destinazione ad uso non esclusivamente personale” della sostanza detenuta, già in passato adottati.
La Corte di legittimità, dopo avere enucleato le premesse richiamate, sottolinea, in prosieguo, altri due argomenti di diritto, i quali appaiono dirimenti in relazione al caso di specie.

A) In primo luogo, i parametri dati dalla quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell'azione, “non vanno considerati singolarmente o isolatamente”.
Sicchè la presenza anche di uno solo di essi – e la Corte evoca, a titolo esemplificativo, il superamento del limite tabellare – non è sufficiente a conferire alla condotta automaticamente rilevanza penale.

B) Indi, proprio ricollegandosi all'esempio tipico del superamento del limite tabellare (il cui richiamo dimostra come il dato ponderale risulti sempre di particolare rilevanza prognostica), la Suprema Corte evidenzia che tale situazione non risulta, di per sé sola, sintomatica di uso non esclusivamente personale di sostanze stupefacenti.
Per potere sostenere l'illiceità della detenzione, la situazione di eccedenza del citato limite tabellare deve essere supportata e corroborata dalla effettiva sussistenza di qualcuno fra gli altri paradigmi valutativi che l'art. 73/1 bis dpr 309/90 prevede.
Per potere pervenire, pertanto, ad una prognosi sfavorevole all'imputato, appare, infatti, necessario che anche le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione congiurino in senso di escludere convincentemente una destinazione a fini di consumo strettamente personale.
Ciò posto, appare pacifico che rimane immutato il principio che ascrive sempre al PM l'onere di dimostrare l'illecito, escludendosi che la novella del 2006 abbia determinato una qualche forma di inversione dell'onere della prova.
Per meglio comprendere il punto di diritto, si deve precisare che il caso di specie riguardava una persona rinvenuta in possesso di gr. 7,5 di eroina e che era stata condannata – previa concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall'art. 73 comma 5° dpr 309/90.

I giudici di merito avevano posto a base della propria decisione due osservazioni.
La prima consisteva nell'escludere che il quantitativo rinvenuto potesse integrare una scorta per uso proprio, in quanto, secondo i giudici di merito, l'imputato – per le sue buone capacità economiche – non avrebbe avuto necessità alcuna di costituire scorte consistenti.
La seconda concerneva, invece, la scarsa convenienza dell'acquisto, attesa la scadente qualità della droga.
Le due dedotte circostanze, unitamente alle modalità della condotta tenuta dall'imputato, avrebbero deposto – ad avviso della Corte territoriale - per la destinazione, anche solo parziale, a terzi dello stupefacente.
L'intervento della Corte Suprema ha, invece, definito assolutamente illogiche le deduzioni dei giudici di appello quando sostengono :
1. che la sussistenza di una buona capacità economica, concreti condizione incompatibile con la volontà di effettuare un acquisto, determinato da un prezzo di favore;
2. che non sia conveniente acquistare sostanza stupefacente che si riveli di scarsa qualità.
Nel primo caso, infatti, non pare ragionevolmente sindacabile la scelta del singolo di disporre autonomamente del proprio danaro, quando tale opzione venga effettuata liberamente e senza generalizzazioni di sorta.
Nel secondo caso, invece, l'eventuale qualità scadente del compendio drogante, costituisce un'informazione che il compratore acquisisce in maniera ipotetica e solo ex post.
L'eventuale condizione di recidivo, inoltre, viene superata dalla dimostrazione dello stato di tossicomania del soggetto.
Unico neo della sentenza in commento riposa nel fatto che venga utilizzato, come parametro concernente il principio attivo contenuto nei 7,5 grammi di sostanza stupefacente in questione, il criterio della dose media giornaliera, si da derivare 48 d.m.g. .
In realtà, si osserva che, vertendo in ipotesi di indubbia condotta detentiva, il canone ermeneutico corretto avrebbe dovuto essere quello della quantità massima detenibile.
E', infatti pacifico che, mentre la d.m.g. (pari a 25 mg. di principio attivo) appare strumento originale, di carattere interpretativo, funzionale a quantificare la capacità diffusiva di un campione di stupefacenti, in relazione al quale si ha la certezza di una destinazione allo spaccio verso terzi; la q.m.d. costituisce un parametro di costruzione complessa (dato dalla d.m.g. moltiplicata per 20) che va utilizzata esclusivamente in presenza di condotte inerti, quale il possesso o la coltivazione.

Soccorre, inoltre l'orientamento richiamato, la considerazione che proprio la motivazione della sentenza in commento, quando afferma che il superamento del limite tabellare, di per sé solo, determina la rilevanza penale della detenzione, indubbiamente utilizza il parametro della quantità massima detenibile, il quale, non a caso, coincide con 500 mg. di principio attivo.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

Sentenza 21 giugno 2013, n. 27346

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

ha pronunciato la seguente:

sentenza sul ricorso proposto da:

L.G.D. ;

avverso la sentenza n. 1649/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del 10/05/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2013 la relazione fatta
Udito il Procuratore Generale che ha concluso per inammissibilità del ricorso.

udito il difensore .

Svolgimento del processo

1. La corte di appello di Genova, giudicando a seguito di annullamento con rinvio da parte di questa Corte, ha confermato la sentenza in data 8.2.2007 del tribunale di Genova che aveva condannato L.G.D. alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 10000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Secondo la corte di appello le circostanze e modalità della condotta dell'imputato, unitamente alle sue stesse condizioni personali, depongono per la destinazione a terzi, quand'anche, in ipotesi, parzialmente, dello stupefacente.

Il ricorrente, tossicodipendente, era stato trovato in possesso di 48 dosi di eroina che non potevano ritenersi una scorta per uso proprio atteso che l'imputato, per sua stessa ammissione, aveva condizioni economiche che gli consentivano di procurarsi agevolmente quanto necessario alle sue esigenze di tossicodipendente, senza necessità di fare scorte consistenti, che potevano trovare giustificazione solo in difficoltà economiche di recarsi più volte nei luoghi di approvvigionamento; inoltre l'acquisto era stato poco conveniente per la scarsa qualità della droga e per il rischio di essere trovato in possesso dello stupefacente.

2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.

Il ricorrente lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità. L'imputato era stato trovato in possesso di 7,5 gr. di eroina mentre si trovava su un treno proveniente da (OMISSIS) sul quale stava regolarmente viaggiando; non tentava di vendere la sostanza a terzi; non deteneva strumenti tipici del soggetto che vuole frazionare e vendere lo stupefacente (bilancini o altro); non deteneva somme di denaro ingenti o comunque in misura tale da potersi ritenere provento di spaccio; consegnava spontaneamente ai verbalizzanti in occasione del controllo di polizia la parte più consistente dello stupefacente in suo possesso, mentre altra più piccola veniva rinvenuta in esito a perquisizione; non aveva occultato lo stupefacente sulla sua persona con particolari accorgimenti, bensì lo deteneva semplicemente in tasca e nel portafogli; dichiarava fin dalla udienza di convalida dell'arresto di avere acquistato lo stupefacente per un prezzo non cospicuo con lo scopo di fame uso personale per qualche tempo; dimostrava (certificazione SERT allegata al verbale di udienza di primo grado) di essere assuntore abituale dello stupefacente da oltre venti anni;

dimostrava di possedere beni patrimoniali e redditi che gli consentono di avere un buon tenore di vita. Sì tratta - sottolinea la difesa - di elementi atti a sostenere l'uso personale che esclude il reato atteso che l'onere della prova della sussistenza del reato è a carico della pubblica accusa, essendo la destinazione allo spaccio elemento costitutivo del reato che deve essere rigorosamente provato, non essendo in alcun modo prevista una presunzione di destinazione allo spaccio sulla base del rinvenimento di una quantità di stupefacente anche di una certa consistenza, di per sè non incompatibile con un uso personale. Con un secondo motivo si duole della eccessività della pena.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Questa Corte, con la sentenza n. 12164 del 2009 della 6^ sezione, ha chiarito i principi cui deve uniformarsi l'accertamento della penale responsabilità di chi sia trovato in possesso di sostanza stupefacente dopo l'entrata in vigore della L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha convertito con modificazioni il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272. In particolare si è precisato che la modificazione introdotta dall'art. 4 bis, secondo cui la detenzione di sostanze stupefacenti costituisce reato se le sostanze detenute "appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale", al di là dell'infelice verbo utilizzato, non contiene elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina previgente, che, in base al combinato disposto del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 75, sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti che non fosse finalizzata all'"uso personale" (cfr. Cass. 6, n. 17899/08, PM c/ Cortucci). In realtà, la modificazione normativa intervenuta non ha introdotto nei confronti dell'imputato che detiene un quantitativo di sostanza stupefacente in quantità superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale nè una presunzione, sia pure relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale, né un'inversione dell'onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 2.

I parametri indicati per apprezzare la destinazione ad uso "non esclusivamente personale" (quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell'azione) costituiscono criteri probatori non diversi da quelli che già in passato venivano impiegati per stabilire la destinazione della sostanza detenuta. Tali parametri non vanno considerati singolarmente e isolatamente, sicchè non è sufficiente la sussistenza di uno solo di essi (in ipotesi, il superamento quantitativo dei limiti tabellarmente previsti) affinchè la condotta di detenzione sia penalmente rilevante: pur in presenza di quantità non esigue, il giudice può e deve valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano da escludere un uso non esclusivamente personale (cfr. Cass. 6, n. 17899/08, rv. 239932; n. 19788/08, rv 239963; n. 27330/2008, rv 240526; n. 40575/2008, rv 241522). Fermo restando che (sez. 4, 25.9.2008 n.399262 rv. 241468) la destinazione allo spaccio è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa, e pertanto deve essere provata dalla pubblica accusa sulla base degli indici fissati dalla norma e dei principi fissati da questa Corte.

E' stato pure ribadito che la valutazione sul punto del giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. n. 44419/2008, ced 241604; n. 19788/2008, rv 239963).

Tanto premesso, nel caso di specie la corte di appello ha ritenuto provata la destinazione allo spaccio sulla base di una illogica valutazione della tesi difensiva e cioè quella di ritenere che la circostanza di disporre di una buona condizione finanziaria sia incompatibile con la scelta di voler effettuare un acquisto, una scorta, a prezzo vantaggioso. La disponibilità economica non esclude infatti che il soggetto utilizzi le proprie sostanze in modo oculato, rientrando una tale valutazione tra le scelte che ogni individuo liberamente compie secondo una serie di parametri che non si prestano a generalizzazioni del tipo di quelli utilizzati, non essendo dunque sostenibile l'esistenza di una massima di esperienza che esclude che il soggetto benestante vagli attentamente la convenienza della sua scelta economica; parimenti illogico aver escluso la convenienza dell'acquisto sulla base della scarsa qualità della sostanza acquistata, atteso che si tratta di informazione evidentemente acquisita solo ex post, nonchè il riferimento alla condizione di recidivo specifico, attesa la pacifica qualità di tossicodipendente dell'imputato; ne deriva che a sostegno della responsabilità rimane solo un unico argomento, quello del rischio dell'intervento delle forze dell'ordine, argomento che non è certamente tale da poter sostenere il giudizio di colpevolezza.

A fronte di due giudizi di merito che non hanno evidenziato elementi sufficienti a sostenere l'accusa formulata nei confronti dell'imputato deve dunque concludersi per l'assoluzione del medesimo, non giustificandosi un ulteriore rinvio al predetto giudice.

2. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2013

smoked_Clyde
31-10-13, 16:24
Buongiorno avvocato... Io sono fissato con i precedenti ( forse perché conosco solo quelli???:yes::yes: )
Però questo mi sembra proprio un bel precedente creato dalla corte di cassazione che se non sbaglio è l'ultimo organo di giudizio vero?
Quindi non una legge ma qualcosa di "vicino"?

Avv. Zaina
31-10-13, 17:46
Buongiorno avvocato... Io sono fissato con i precedenti ( forse perché conosco solo quelli???:yes::yes: )
Però questo mi sembra proprio un bel precedente creato dalla corte di cassazione che se non sbaglio è l'ultimo organo di giudizio vero?
Quindi non una legge ma qualcosa di "vicino"?

Caro Clyde79 un precedente è solo una timida indicazione e nulla più.
Certo se su tale indirizzo vengono a convergere anche altre pronunzie, cominciamo a ragionare.
Mi spiace, però, deluderla, non si tratta di qualcosa che possa essere assimilabile alla legge, che è autonoma rispetto alla giurisprudenza.

Avv. Zaina
07-11-13, 17:55
Cari amici,
desidero informarvi che stamani la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, in un procedimento a carico di due miei assistiti, ritenendo fondamentale la decisione in ordine alla questione di costituzionalità della legge FINI-GIOVANARDI, sollevata in più occasioni, prendendo atto che avevo riproposto tale questione con una memoria ad hoc, ha disposto la sospensione del procedimento in questione.
Si tratta di una presa di posizione che conferma la bontà e la serietà delle questioni sollevate e che suscita grande interesse.
A questo proposito desidero informarvi sul fatto che pare che l'udienza innanzi alla Consulta sarebbe in fissazione a dicembre o gennaio.
Ritengo mio dovere porre un problema procedurale e cioè quello che vogliate valutare, sia come appartenenti a associazioni antiproibizioniste, che come - taluni di voi - direttamente coinvolti in procedimenti penali, (che possono indubbiamente essere condizionati dalla decisione sulla costituzionalità delle norme del dpr 309/90), se partecipare a giudizio costituzionale.
E' intuitivo che sia opportuno sostenere le questioni di costituzionalità sollevate, perché la Avvocatura di Stato in rappresentanza del Governo si batterà per il loro rigetto e non pare giusto - ove fosse possibile essere parte - rimanere in silenzio e, invece, lasciare che la voce della controparte sia udita.
Credo che mai come in questa occasione ci si presenti una possibilità di non delegare ad altri la soluzione di un problema che vi riguarda direttamente.
Prima di valutare insieme l'opportunità, svolgerò un approfondimento in proposito, onde verificare se e come si possa essere processualmente presenti.
Vi farò avere notizie ne prossimi giorni

Randagio
07-11-13, 18:14
Avvocato, io non ho capito molto!

Praticamente un procedimento contro due suoi assistiti colti a coltivare cannabis ad uso personale stato sospeso poichè è stata considerata incostituzionale la "fini/giovanardi"?

E a Dicembre/Gennaio viene discussa questa "incostituzionalità"?

Mi scusi ma non sono molto ferrato in diritto...:icon_scratch:

Avv. Zaina
07-11-13, 18:51
Non si tratta di coltivatori, ma soprattutto di detentori.
Per il resto lei ha compreso perfettamente.

Randagio
07-11-13, 19:18
Sarebbe interessante sapere come si può partecipare attivamente a questa discussione di incostituzionalità, o per lo meno dare risalto a questo "giudizio costituzionale" perchè vada nella giusta direzione!

E comunque complimenti avvocato per i suoi risultati!!:sm_clapper:

philmusic
07-11-13, 22:50
Ottima notizia, non resta che sperare e lottare. Ma in questo caso, se una persona al giorno d'oggi venisse trovata con delle piante in casa, rimarrebbe comunque la denuncia per art.73 oppure si congelerebbe tutto sin dall'inizio in attesa delle decisioni della Consulta?

Avv. Zaina
07-11-13, 23:33
Per rispondere a chi mi chiede come partecipare al giudizio di fronte alla Corte Costituzionale.
Ribadisco la necessità di verificare preliminarmente se esistono spazi di legittimazione in favore di enti o persone.
Ritengo mio dovere riproporre il problema procedurale già formulato.
E' intuitivo che sia opportuno sostenere le questioni di costituzionalità sollevate.
Credo che si tratti di un' occasione irripetibile.

Dantep
08-11-13, 00:58
Potrebbe suscitare il dubbio e quindi bloccare anche procedimenti tipo visite sul lavoro?

smoked_Clyde
08-11-13, 15:10
Se dev'essere essere reputata incostituzionale questa legge cadrebbe???

Perché se così fosse sarebbe vera la legalizzazione della canapa o comunque una depenalizzazione ma credo che questo comporterebbe il risvolto negativo del liberi tutti su tute le altre droghe, perché se non sbaglio regola tutte le droghe la fini giovanardi... Il che non sarebbe un bene in questo periodo di ricerca dello sballo estremo dai 12 anni in su....

Spero sia solo un mio viaggio negativo e che sbaglio....

the.pitbull
08-11-13, 15:25
iClyde79: non penso che la depenalizzazione di ogni droga, possa portare ad un aumento dei consumatori, basta guardare la situazione in Portogallo, dove sono addirittura calati.
Poi non è che qualcosa o si tiene così o si cancella, si può modificare. Fra il nero e il bianco, ci sono infinite sfumature di grigio.

Pawan Kumar - ASCIA
08-11-13, 16:09
Una precisazione, ragazzi: la legge sulle droghe è il DPR 309/90, che resterebbe in vigore come era prima del 2006 se venisse abrogata la Fini-Giovanardi, che è una modifica alle norme di quella legge. Le pene per la cannabis, in caso di abrogazione, tornerebbero dai 2 ai 6 anni, (che comunque non è poco). Per una depenalizzazione occorrono altre modifiche.
Cambierebbe, in meglio e di molto, la situazione processuale di tutti quelli che hanno un procedimento penale in corso per quelle pene dai 6 ai 20 anni, stabilite dalla Fini-Giovanardi anche per la cannabis.

Randagio
08-11-13, 16:18
Ma la Fini/giova non aveva impostato anche la quantità x uso personale? Ovvero quei cavolo di 250mg di principio attivo? Quindi già eliminare quella quantità sarebe buona cosa...

bluedigit
08-11-13, 16:41
Far cadere la Fini-Giovanardi porterebbe a tornare alla legge precedente, ovvero la Craxi-Jervolino-Vassalli, non la migliore, ma sicuramente assai meglio di questa infamità della Fini-Giova!!!:icon_puke_r::yes:

Avv. Zaina
08-11-13, 16:50
Io credo che sarebbe già sufficiente ritornare al regime anteriore alla L. 49/2006 per quanto concerne la differenza di pene fra droghe pesanti e droghe leggere, così che taluni impianti normativi come il comma1 bis in tema di detenzione personale rimarrebbero.
Scusate se mi faccio un poco di pubblicità, ma segnalo che nel weekend ALTALEX (WWW.ALTALEX.COM) farà un focus sugli stupefacenti con quattro sentenze da me commentate.
Tutto serve alla sensibilizzazione.

bluedigit
08-11-13, 16:53
Cito da altro sito:

Legge n. 162 del 1990 sull'uso, la produzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti (droghe). Per quanto riguarda l'uso personale, esso viene considerato illecito sia che si tratti di droghe "leggere" (marijuana, hashish) sia "pesanti" (cocaina, eroina) e, quindi, viene punito. Le sanzioni sono soprattutto di tipo amministrativo, dato che consistono in provvedimenti del prefetto, come la sospensione della patente, del porto d'armi e del passaporto, per un periodo non superiore a tre mesi. Prima di applicare queste misure, il prefetto può (per una sola volta) avvertire la persona della gravità del suo comportamento e invitare a cessarlo. Se, però, il richiamo e le sanzioni amministrative non ottengono risultati e l'individuo viene trovato in possesso di sostanze stupefacenti per più di due volte, allora deve intervenire l'autorità giudiziaria, che può imporre di non allontanarsi dal Comune e di presentarsi periodicamente ai carabinieri. Infine, può disporre la carcerazione fino a tre mesi. Assai più gravi sono considerate la produzione e distribuzione (spaccio) delle sostanze stupefacenti, per le quali è prevista la reclusione per periodi distinti secondo che si tratti di droghe leggere o pesanti e che la quantità sia "modica" o, invece, notevole. È intervenuta, in seguito, una sentenza della Corte costituzionale del 1991, nella quale si precisava che la detenzione di una quantità leggermente superiore a quella considerata come "dose media giornaliera" non comportava il reato di spaccio. Con referendum del 1993, infine, si sono abolite in ogni caso le sanzioni penali (il carcere) per l'uso solo personale di droga.

Avv. Zaina
08-11-13, 16:55
Ragazzi calma non citate il primo sito che capita perché vi possono essere molte sciocchezze............

Randagio
08-11-13, 16:57
Il problema è sempre leggere "produzione" vicino a "cessione, vendita, commercio"...

Avv. Zaina
14-11-13, 10:10
desidero informarvi che nei prossimi giorni, compatibilmente con gli impegni professionali, pubblicherò e commenterò una sentenza della 6 penale della Cassazione in tema di coltivazione, che mi preoccupa non poco.

Randagio
14-11-13, 13:34
che mi preoccupa non poco.

Si figuri noi... attendiamo con ansia!

Avv. Zaina
14-11-13, 16:39
Ecco la sentenza. Poi la commenteremo insieme.

mayoh
14-11-13, 18:39
Tiro un piccolo respiro di sollievo perchè avevo già pensato al peggio...sta di fatto che questo principio di tenere conto del potenziale sviluppo della pianta matura mi è nuovo. È per caso un'aggravante dato che il condannato era già plurirecidivo e trovato con un numero abbastanza elevato di piante, o la fattispecie potrebbe essere applicata anche in caso di 3-4 piante e assenza di recidività?

Avv. Zaina
14-11-13, 18:53
Tiro un piccolo respiro di sollievo perchè avevo già pensato al peggio...sta di fatto che questo principio di tenere conto del potenziale sviluppo della pianta matura mi è nuovo. È per caso un'aggravante dato che il condannato era già plurirecidivo e trovato con un numero abbastanza elevato di piante, o la fattispecie potrebbe essere applicata anche in caso di 3-4 piante e assenza di recidività?

Caro Mayoh il principio è inaccettabile perché anticipa la soglia di punibilità ad
un momento anteriore a quello di verifica del fatto, senza tenere conto dell'effettiva pericolosità della condotta
Spiegherò il concetto più dettagliatamente appena possibile.

Randagio
14-11-13, 19:39
Leggendola fa pensare che potrebbero condannare uno anche per il solo possesso di semi...visto che dalla loro semina e coltivazione potrei ricavare sostanza...

Assurdo... come se mi sequestrassero un blocco di acciaio perchè potrei costruirci una pistola!

Aspettiamo le sue considerazioni Avvocato!

philmusic
14-11-13, 23:00
Minority Report non è solo fantascienza, iniziano a incriminarci già adesso per crimini che ancora non sussistono. Dovrò far sparire tutti gli accendini da casa perché se me li trovano potrebbero essere usati per appiccare un incendio?

StRaM
18-11-13, 13:10
Leggendola fa pensare che potrebbero condannare uno anche per il solo possesso di semi...visto che dalla loro semina e coltivazione potrei ricavare sostanza...


in effetti è già più o meno così......vedi le varie perquisizioni svolte su tutto il territorio italiano (qualche anno fa) a coloro i quali avevano acquistato materiale genetico da semitalia e/o dal Filla!

Avv. Zaina
21-11-13, 19:09
Segnalo un'importantissima sentenza del GUP di Cremona - dott. Salvini - in materia di coltivazione, precisandovi altresì che già nel 2009, quando era GIP a Milano il dott. Salvini emise un'analoga sentenza. Ovviamente di tratta di una sentenza che con motivazioni assai pregevoli assolve il coltivatore

LorisPetto
21-11-13, 19:37
"Venivano altresì sequestrati all’interno di un portacenere i resti di quello che era probabilmente uno spinello artigianale." :roflmao: :lachen70:

Mi fà sempre sorridere leggere queste cose, mi viene in mente l'immagine di un carabiniere della mia zona che spinge un tasto ogni mezz'ora per scrivere le denunce.

Randagio
22-11-13, 08:29
A me dabn sempre fastidio anche queste parti:


il difensore richiedeva a sua volta l’archiviazione sottolineando che non vi era alcuna traccia di una coltivazione estensiva ed organizzata tale da far ritenere che la piccola coltivazione domestica fosse avvenuta ai fini della cessione del ricavato a terzi.

Coltivazione Organizzata.,... sempre vista male perchè sinonimo di "professionalità" che in questi casi equivale a "spaccio"...

Non so perchè ma la pensano ancora così.. uno non può fare le cose fatte bene che subito scrivono che è una "coltivazione tecnologicamente attrezzata per il ciclo continuo con l'utilizzo di sofisticati mezzi" che ne fanno presumere l'utilizzo commerciale...
Questa non è solo una mia ipotesi, è quello che mi scrissero nel 2005 quando mi trovarono una serra da 400W con l'impianto idroponico e un Misuratore di PH/EC (quello strumento era la tecnologia avanzata)....

Non capiranno mai che lo spaccio c'è se c'è una prova che questo avvenga? Se non vendo mezzo grammo, se nemmeno una canna esce da casa mia, se sebbene ho "strumenti avanzati" e faccio le cose fatte bene perchè fumo tanto e mi piace sperimentare nellla coltivazione perchè devo sempre essere equiparato ad uno che lo fa a scopo di lucro??

Avv. Zaina
29-11-13, 12:15
La notizia della fissazione, per il prossimo 12 febbraio, dell'udienza di discussione – innanzi alla Corte Costituzionale – della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Roma ( con ordinanza dello scorso 23 gennaio), in relazione a plurimi aspetti del DPR 309/90 (che regola la materia degli stupefacenti) ha suscitato – in tutta evidenza - molto fermento ed attesa.
E', infatti, pacifico che un'eventuale decisione di accoglimento delle varie eccezioni proposte potrebbe schiudere prospettive di elevata novità.
Tale eventualità imporrebbe - con il ritorno al regime antecedente al 2006 (anno in cui fu introdotta la modifica portata nella L. 49/2006 cd. FINI-GIOVANARDI) – indubbiamente un celere intervento legislativo che innovasse la struttura obsoleta del DPR 309/90.
Per meglio comprendere cosa effettivamente possa succedere nel giudizio dinanzi alla Consulta, vanno passate in rassegna alcune possibilità .
In primo luogo, si deve ricordare che le questioni sottoposte all'attenzione della Corte Costituzionale sono, in sintesi, sostanzialmente due.
1)La prima attiene al contrasto rilevato fra l'art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, da un lato, e, gli artt. 3, 24, 27 Cost., in relazione alla intervenuta parificazione sul piano sanzionatorio delle droghe legge (ad es. cannabis) e delle droghe pesanti (ad es. cocaina ed eroina).
L'eccezione, in proposito, è estremamente specifica.
Essa, infatti, si duole della circostanza che appare opzione del tutto illogica ed irragionevole, che condotte, concernenti sostanze tra loro assolutamente differenti e suscettibili di produrre effetti psicoattivi di gran lunga differenti e di diversa gravità, vengano sanzionate nella medesima misura.
2) La seconda, invece, si sofferma sul conflitto insorto fra il DL. 272/2005 convertito nella L. 49/2006 – che modifica il dpr 309/90 - e l'art. 77 comma 2° Cost. .
Questa ulteriore eccezione, a propria volta, investe tutta la legge FINI-GIOVANARDI, contestando la correttezza della procedura adottata dal Governo e dal Parlamento dell'epoca, per la modifica della normativa sugli stupefacenti, in quanto ad un esame del procedimento risulterebbero mancati i requisiti di necessità ed urgenza che l'art. 77 della Cost. richiede.
Non tutti, infatti, sanno che la legge 49/2006 venne approvata con inusitata (e sospetta) urgenza e velocità.
Essa venne inserita – ingiustificatamente - in un più ampio provvedimento normativo di finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino, adottato nella forma del Decreto-legge, che fu convertito in legge a colpi di voti di fiducia (senza quindi un percorso valutativo adeguato).
Se si pensa che attualmente, per valutare alcune proposte legislative di modifica del DPR 309/90 (le quali appaiono assolutamente inadeguate, per non dire peggio) la relativa commissione Parlamentare sta procedendo, con tempi assai lenti e calmi, all'audizione conoscitiva di qualsiasi soggetto sia ritenuto utile (ammettendo, ormai, così veramente chiunque), ci si renderà conto dell'arbitrarietà della procedura a sua tempo adottata.
Ad ogni buon conto, in concreto, uno dei principali quesiti che viene posto riguarda quali conseguenze potrebbero insorgere dalla possibilr pronunzia di incostituzionalità
a) per chi già stia scontando una pena a causa di quella legge o sia in attesa di scontarla e, quindi sia stato giudicato con sentenza definitiva;
b) per chi abbia in corso un procedimento penale non ancora definito.
Nel primo caso, la personae è evidente stata già condannata in via definitiva.
Il fatto che la sentenza sia divenuta irrevocabile, perchè esauriti tutti i gradi di giurisdizione, preclude, quindi, qualsiasi possibilità di effetto modificativo in meglio di un'eventuale pronunzia favorevole in favore del condannato (art. 2 comma 4 c.p.).
Tale principio si applica, dunque, sia che la pena risulti in corso di esecuzione, sia che debba essere ancora effettivamente scontata.
Si deve, infatti, tenere conto che l'eventuale declaratoria di incostituzionalità riguarderebbe la pena da applicare in relazione a specifici reati e non già la sussistenza giuridica di uno o più reati.
Nel secondo caso, invece, l'imputato/indagato può chiedere (e deve ottenere) la sospensione del procedimento in corso, in quanto il citato articolo 2 comma 3 cp, come si è detto, non si applica solo a sentenze irrevocabili.
Questa opportunità, quindi, appare compatibile anche con giudizi di secondo grado, od anche giudizi pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione.
Per completezza di informazione, si deve sottolineare che i maggior i vantaggi derivabili da una possibile declaratoria di incostituzionalità, verranno fruiti da coloro che siano indagati/imputati per reati concernenti la cannabis.
Per costoro la incostituzionalità del sistema sanzionatorio introdotto con la l. 49/2006 comporterebbe il ripristino di una pena che andrebbe da 2 a 6 anni di reclusione (oltre alla multa), mentre, per paradosso la pena riguardante le droghe pesanti (se si ripristinasse il regime anteriore alla l. 49/2006) sarebbe meno favorevole di quella attuale, in quanto in precedenza era prevista da un minimo di 8 ad un massimo di 20 anni.
In relazione alle condotte relative alle droghe pesanti, quindi, salvo quei reati commessi in futuro (che verrebbero sanzionati nuovamente con il regime ante 2006), rimarrebbe più favorevole la pena prevista dalla FINI-GIOVANARDI che fissa la pena del comma 1 dell'art. 73 da 6 a 20 anni.

Yomi
29-11-13, 13:55
Quindi, dottor Zaina, mi pare di capire, che dobbiamo pianificare assolutamente, il nostro percorso:

Lei prepara per bene, la documentazione necessaria, e noi, inizieremo il lavoro.
Provvederemo alla vidimazione, dei fogli prestampati su quattro facciate, in formato uso bollo, ed inizieremo a raccogliere le firme, per presentare una legge di iniziativa popolare, basandoci su quella, ideata da lei.

ENJOINTERS , SARA'DURA!!!!!:laser:

Avv. Zaina
29-11-13, 19:39
Grazie Yomi, io sono qui. Forse ci vorrebbe un sostegno politico intelligente, ma temo che un tipo di sostegno del genere sia difficile a trovarsi.

philmusic
29-11-13, 23:17
Grazie Yomi, io sono qui. Forse ci vorrebbe un sostegno politico intelligente, ma temo che un tipo di sostegno del genere sia difficile a trovarsi.

Cosa ne pensa di Rita Bernardini? Al di là del quesito referendario posto dal suo partito, mi sembra che lei si sia dedicata con cuore alla questione della cannabis per uso medico, facendo attivismo, disobbedienza civile e quant'altro.

(mi scusi se non uso l'appellativo di On., ma per me il 99% di queste persone di onorevole hanno ben poco)

smoked_Clyde
29-11-13, 23:40
Grazie Yomi, io sono qui. Forse ci vorrebbe un sostegno politico intelligente, ma temo che un tipo di sostegno del genere sia difficile a trovarsi.

Il movimento 5 stelle ha anche una delle proposte più votate che parla proprio di questo, forse la seconda proposta in assoluto... E forse è dove c'è un minimo di serietà ancora.... ;)

Avv. Zaina
30-11-13, 09:52
Ognuno la pensi come vuole.
I miei giudizi - soprattutto sulle persone - non contano nulla, anche perchè mi piace dare giudizi positivi e non negativi, come, invece, dovrei fare per rispondere ai quesiti che cortesemente mi ponete.
Io credo che non basti sollevare polveroni o dar vita a gesti eclatanti (ma fini a sè stessi) e spesso folkloristici (per non dire di peggio), per potere rivendicare meriti.
Chiedo solo di considerare che cosa hanno determinato e provocato i vari triti sit in, le varie inutili forme di disobbedienza civile (con vasetti coltivati et similia)? niente di niente sul piano legislativo.... solo pubblicità, potere e visibilità a chi l'ha fatto, che ha ottenuto seggi parlamentari, interviste, pagine sui giornali, accreditandosi come paladini delal libertà, ma che un progetto di legge serio mai l'hanno elaborato, pur potendolo (e dovendolo) fare posto che sono stati eletti a tal fine.
Si pensi alla misera fine dei referendum sulla giustizia, che nonostante il discutibile abbraccio con mr. B. (che è considerato - a torto od a ragione - il male assoluto, ma che quando è andato a firmare è stato accolto dai radicali con tutti gli onori possibili), non hanno raggiunto il quorum.
Il quesito sugli stupefacenti era, addirittura, giuridicamente ridicolo.
Invece di ammettere le proprie carenze strutturali ed organizzative, facendo un bagno di umiltà, la signora onorevole di cui Lei parla annuncia pomposamente ricorsi, quando un bel tacere sarebbe stato preferibile.
Sui 5 Stelle, beh...la loro proposta di legge sarà anche la seconda più votata, ma lo è perchè lo votano loro.
Il problema è che il tema della droga è politicamente redditizio, perchè .
1. a destra ci sono i talebani alla Giovanardi che si accreditano come i difensori e paladini della società facendo bella mostra della loro ignoranza scientifica e giuridica,
2. a sinistra ci sono altrettanti talebani, che cavalcano una sommessa protesta, per raccogliere il loro bacino di utenza di voti, in assenza di progetti seri e di una vera conoscenza del tema.
Posso dire, non temendo smentite di sorta, che denominatore comune ad entrambe le parti si rinviene nell'approssimatività, nella supponenza e nell'ignoranza di coloro che pretendono di affrontare la questione.
Soprattutto a sinistra constato una sorta di autoreferenzialità che porta i politici a temere il confronto con chi non appartenga alla loro sfera di militanza partitocratica.
I politici, in genere, invece, di essere umili, di capire a 360° e di volere fornire un servizio per tutti (che dovrebbe essere il loro scopo) preferiscono confrontarsi solo con persone che siano della loro parte od enturage, accreditando unicamente costoro.
Deriva quindi un quadro limitato ed insufficiente.
Dunque, ancora non si vuole capire che una materia di questo genere, non si risolve populisticamente o con uscite irresponsabili quali la legalizzazione dello spaccio di piccole quantità (Progetto Farina).
Io temo che non si voglia capire che se vi sono state anche minime modifiche interpretative, esse sono figlie del solo lavoro della giurisprudenza, e non provengono in alcun modo da proposte politiche.
I politici di qualunque parte stanno solo cercando, senza una preparazione specifica, senza la volontà di confrontarsi con chi ne sa più di loro, di blandire la gente, credendo che chi coltiva o fa uso di cannabis, sia pronto ad accettare qualsiasi stupidaggine che venga propinata, senza valutarla criticamente.
Questo è il problema.
Ma la colpa, permettetemi, è anche di chi accetta questo modo di proporsi.
Persone che sono pronte a fare le pulci su tutto, quando si parla di cannabis, abbassano le loro difese critiche e si mostrano disponibili dinanzi a qualunque tipo di apertura, anche se impossibile o controproducente.
In questo modo si mina la propria credibilità individuale e di gruppo.
Scusate lo sfogo. Ma passano i mesi e nulla cambia.
Ci si aggrappa, per i destini di tanti indagati/imputati alla futura decisione della Corte Costituzionale, che, però, non innoverà nulla per quanto attiene al problema più importante e cioè quello della coltivazione.
Ed intanto la casa brucia ed i suoi occupanti litigano.....

ugoxtutti
01-12-13, 13:13
È plausibile l ausilio di persone " politiche" di basso rango? Vedi sindaco di una cittadina come la mia..mia sorella è in classe e molto amica della figlia del suddetto sindaco, la quale fa uso di cannabis... Se riuscissimo a fare una proposta seria è possibile, mediante una spiegazione valida e critica, interessare il suddetto sindaco, a mio parere una persona cordiale e umana; e farla rendere nota attraverso questa persona a cariche politiche o gruppi politici interessati? Per esempio: il sindaco illustra alla giunta comunale la suddetta proposta valida e questa proposta risale la corrente fino alla vetta passando da comune a provincia a regione.
Forse sono vaneggiamenti ma
Come ha detto avv. Ognuno tira l acqua al proprio molino e cerca di autoelogiarsi ecc,
Forse una proposta che viene da un sindaco, argomentata in maniera valida, verra ascoltata di piu che una proposta scritta alla buona dai radicali.
EDIT: troppi forse?

Avv. Zaina
06-12-13, 10:38
Desidero segnalavi un'importante sentenza della Corte di Appello di Cagliari, che due giorni or sono ha assolto - riformando la sentenza di condanna di primo grado - un mio assistito in relazione al possesso di gr 237 di marjiuana, peraltro, contenente un principio attivo di non elevato pregio.
Dei 237 grammi, 208 erano costituiti da una piantina secca, così che la coltivazione era stata assorbita nel possesso.
Le motivazione saranno depositate nei 15 giorni, cioè immediatamente prima di Natale.
Verranno pubblicate non appena note .

Avv. Zaina
11-12-13, 17:18
Cari amici proseguendo nell'impegno di informazione in ordine a significative pronunzie giurisprudenziali, segnalo la decisione del GIP presso il Tribunale di Brescia, che ha archiviato un'indagine a carico di una giovane commerciante di semi, recependo la richiesta del PM, il quale aveva, a propria volta, preso atto della presentazione di una mia memoria esplicativa, con la quale sostenevo l'insussistenza del reato.
Avevamo già ottenuto il dissequestro di un ingente quantitativo di semi.
E' stata esclusa - nella fattispecie - l'istigazione in ogni sua forma

Avv. Zaina
04-01-14, 18:01
Cari amici,
una doverosa premessa.
Nello scrivere questo commento ho dovuto servirmi di espressioni talora molto tecniche.
Me ne scuso ma non è stato per adempiere ad un vezzo o per non volere essere chiaro con voi.
Purtroppo l'articolo è destinato anche a riviste online di diritto, non posso esimermi dal fare uso di una fraseologia che mi viene - anche giustamente - richiesta.
Se incontraste - spero di no - difficoltà non estate a contettarmi.
Grazie


** ** **

La Sesta Sezione della Corte Suprema considera perfezionato il reato di coltivazione illecita, perché giudica tale condotta non legale, in sé, e la ritiene perfezionata sotto il profilo dell’offensività (vale a dire della messa in pericolo di quelle esigenze, che più propriamente definite “beni giuridici”, la norma dovrebbe tutelare).
Giungono a tale conclusione i giudici di legittimità, affermando che “la loro (delle piante n.d.a.) media potenzialità di sviluppo correlata tra l’altro all’ambiente di coltivazione (davanzale di una finestra di una abitazione, luogo relativamente riparato e caratterizzato notoriamente da dispersione termica), in Catanzaro (località con clima temperato)”.
In buona sostanza la Corte di Cassazione afferma che l’offensività della condotta di coltivazione “va ricercata ed individuata nella idoneità del bene…a produrre la sostanza per il consumo….Pertanto non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza ma la conformità delle pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità e luogo di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre la sostanza stupefacente”.
Pur nel rispetto della decisione del giudice di legittimità, credo che una posizione interpretativa di questo indirizzo non sfugga affatto ad evidenti critiche, per una serie di considerazioni.
1. Va contestato, prima facie, l’adottato criterio (meramente ed esclusivamente) probabilistico.
Esso si fonda su di una prognosi di ipotetica (e tutt’altro che certa) futura maturazione della pianta, impostazione che differisce e rinvia nel tempo gli eventuali effetti della condotta.
Si osserva che sia assai singolare che, per valutare una condotta tenuta ora, vengano usati parametri astratti e differiti nel tempo.
Differire ad ipotetiche prospettive di maturazione, risultato ottenibile in un futuro (prossimo, remoto?), il decisivo giudizio di offensività della condotta, pur in presenza di dati certi obbiettivi immediati (l’eventuale percentuale di thc), contraddice il consolidato principio per cui il reato di coltivazione appartiene alla categoria dei reati pericolo concreto (e non astratto).
Vale, dunque, a dire, che non pare informato a condivisibili metodiche valutative, (né sul piano giuridico, né su quello biologico-scientifico), la scelta di negare, a priori, la possibilità di utilizzare il dato biologico inequivocabile del principio attivo, il quale venga rinvenuto all’atto del sequestro delle piante e delle correlative verifiche.
Per vero ed a contrario, invece, si deve rammentare che, in numerose pregresse decisioni, proprio la stessa Corte di Cassazione aveva individuato, nel principio attivo, uno dei cardini interpretativi da usare effettivamente per potere sostenere la irrilevanza penale (o meno) o meno della condotta di messa a dimora di piante.
2. Parimenti, suscita rilevanti perplessità la scelta di legittimare la declaratoria di illiceità della condotta sulla scorta di due condizioni necessarie e cioè :
a) conformità della pianta al tipo botanico previsto,
b) teoretica idoneità della stessa a pervenire alla conclusione del ciclo di maturazione.
Quanto al primo dei due elementi richiamati esso sembra apparire tanto ovvio, quanto parrebbe inutile la sua evocazione.
Se, infatti, l’agente pone a dimora un altro tipo di pianta cessa, evidentemente sin dall’origine, la materia del contendere.
Invece, probabilmente in modo involontario, la Suprema Corte, ha dato concretezza ad un principio fondatissimo, il quale, però, smentisce e contraddice l’assunto sostenuto dalla sentenza stessa.
Per comprendere la osservazione, si devono proporre una breve riflessione di carattere tecnico-biologico, di carattere generale, ma rilevante.
Essa attiene al fatto che è necessario verificare preventivamente se le piante rinvenute siano maschi od ermafroditi (che producono una percentuale irrisoria di THC, inidonea a produrre effetti droganti) oppure femmine (che costituiscono la categoria che produce, tramite i fiori, il principio attivo in questione).
Non è, quindi, possibile, senza una minima verifica preliminare distinguere fra le due specie, pena il rischio di incorre nel rischio di ricondurre al genere femminile – unico idoneo in teoria a produrre THC utilizzabile – anche piante che, invece, non producono THC in tale misura e, dunque, sfuggono, comunque, ad un giudizio di idoneità.
Quanto al secondo elemento, esso, invece, pare improntato a criteri di assoluta genericità.
E’, quindi, il termine idoneità, (riferito alle piante) usato in sentenza, che appare il volano del ragionamento da sviluppare.
L’aggettivo idoneo si riferisce ad una persona od ad una cosa che ha le qualità indispensabili per esercitare una particolare attività o funzione (V. Sabatini-Coletti).
Essere, però, ritenuto idoneo non sta, però, a significare la certezza dell’esercizio futuro della funzione ipotizzata, in quanto si verte in una campo di incerta futuribilità in ordine alla traduzione nella pratica di prospettive meramente potenziali.
Il giudizio di idoneità si riassume, dunque in una valutazione meramente possibile, in relazione alla quale difetta, però, il requisito della evidenza e della esatta collocazione nel tempo.
Essa, inoltre, ben potrebbe venire disattesa nel corso della progressione dell’iter temporale che, nell’idea originale, dovrebbe – congetturalmente - portare al risultato, nella specie della coltivazione, la maturazione.
L’elemento impeditivo la maturazione potrebbe derivare, ad esempio a seguito di condizioni climatiche avverse, o potrebbe essere consequenziale ad una mala gestio od inesperienza del coltivatore stesso.
Va ricordato che, nel caso specifico ,le piantine erano di varia altezza (dagli 8 ai 15 cm.), dunque esse erano proprio all’inizio di un ciclo di germinazione, si che non era affatto possibile formulare null’altro che una vaga prognosi di maturazione e non sufficientemente di idoneità, se non sul piano esclusivamente teorico .
Per fare ulteriore chiarezza, è, poi, opportuno ricordare che il bene giuridico, che forma oggetto di tutela da parte del dpr 309/90 (e, dunque, anche dell’art. 73 in relazione alla condotta di coltivazione) attiene al pericolo di diffusione della circolazione di sostanze stupefacenti.
Tale pericolo, come detto di natura concreta, però, non può venire evocato quando esso appaia ancora puramente vago, potenziale ed astratto, quindi, privo di ricadute di qualsiasi genere minimamente concreto (come ad esempio un coltivazione di piante in itinere, dunque, non ancora mature).
Se si aderisse al ragionamento della Corte, oggetto di critica, si rischierebbe di anticipare il momento di asserita rilevanza penale di talune ipotesi di reato, anche a fasi del tutto neutre ed allo stato prive di riflessi concreti, quali per esempio anche la vendita di semi (che è del tutto lecita).
Si verrebbe, così impropriamente ed illegittimamente, a coinvolgere tutte le condotte preliminari che si ritengano (ad un giudizio puramente soggettivo e prevenuto) possano favorire la diffusività del prodotto cannabis.
Pertanto, si deve dissentire decisamente dall’indirizzo assunto dalla Corte che mira a fare coincidere offensività di una condotta con potenziale pericolosità della stessa.
Per completezza, poi, si deve osservare che gli ulteriori riferimenti “alle modalità ed al luogo di coltivazione” non paiono offrire spunti di condivisione e sostegno dell’orientamento in esame.
In special modo il riferimento “al luogo di coltivazione” inteso come localizzazione geografica della zona ove le piante si trovano materialmente pare introdurre, invece, ulteriori elementi di confusione.
Se il criterio interpretativo è quello della valorizzazione dell’ubicazione geografica del luogo ove si trovano le piante oggetto di coltura, allora si introducono gravi distonie.
Esemplificativamente, se a Catanzaro (tanto per citare la sentenza) il clima temperato permette una previsione favorevole di maturazione delle piante in via di coltura, e quindi la prognosi risulta sfavorevole all’indagato che viene ritenuto responsabile, l’adozione del medesimo metro di valutazione permette di concludere in senso diametralmente opposto, nell’ipotesi della messa a dimora di qualche pianta in qualche località di alta montagna della Alpi, dove il clima è assolutamente sfavorevole.
Il criterio sopra indicato che, quindi, permette di pervenire a decisioni opposte (affermando nell’un caso la responsabilità penale ed in altro negandola), all’esito dell’esame di condotte tra loro oggettivamente identiche, solo in dipendenza di fattori così eterogenei ed opinabili, non pare, a chi scrive, affatto condivsibile.
3. Non è, quindi, affatto sostenibile la tesi fatta propria dalla Corte (pg. 3) secondo la quale facendo “dipendere la sanzionabilità della condotta dai risultati a termini” si incorrerebbe in una “evidente aprioristica negazione del criterio dell’offensività”.
Valgano in proposito le considerazioni relative alla ragione che sostiene l’impianto del dpr 309/90 e cioè che si intende, attraverso una legislazione repressiva, evitare la diffusione delle sostanze stupefacenti.
La coltivazione di qualsiasi vegetale, però, proprio per la sua modalità, destinata a dipanarsi in un arco temporale o di stagioni (più o meno lungo) pur potendo essere in grado di suscitare un allarme, deve – però – presentare caratteri di concretezza produttiva (maturazione e produzione di principio attivo drogante) ai quali ricollegare la illiceità della condotta.
L’offensività della condotta, in tal modo, quindi, non viene affatto negata, anzi, viene determinata con sicurezza attraverso l’ausilio di parametri certi (dati dal livello di maturazione di ciascuna pianta e dalla rilevazione del principio attivo contenuto eventualmente in ogni arbusto).
4. Da ultimo, sia consentito dissentire decisamente anche dall’interpretazione del concetto di offensività che la Corte offre, in sentenza.
Come più volte sostenuto da chi scrive, l’offensività non può – e non deve - essere circoscritta alla sola possibilità delle piante – intese singolarmente – di produrre principio attivo.
Se come detto lo scopo principale del DPR 309/90 è quello di contrastare la diffusione e l’ampliamento del mercato degli stupefacenti, è considerazione elementare che si debba tenere in debito conto, per giudicare se una condotta effettivamente sia strumentale a tale illecito fine, la volontà della persona-agente.
Tale volontà è desumibile da una pluralità di parametri privi del carattere della tassatività (ad es. il numero delle piante, le modalità di tenuta delle stesse, lo stato di assuntore continuativo, eventuali prove di contatti con ambienti criminosi, etc.).
La verifica di questo orientamento personale, ad avviso di chi scrive, costituisce l’in sé dell’offensività, in quanto, laddove la persona giustifichi e dimostri convincentemente la condotta di coltura con il fine del consumo personale del prodotto ricavato, non può ravvisarsi offensività della condotta.
Non vi è, infatti, in tale occasione, intenzione alcuna di introdurre sul mercato ulteriori quantitativi di stupefacenti e, semmai, vi è il proposito del tutto opposto.
Il comportamento coltivativo, dunque, esaurirebbe la propria parabola, all’interno della sfera privatistica dell’agente, non minacciando in alcun modo alcuna proiezione ab externo.

Carlo Alberto Zaina

ugoxtutti
05-01-14, 03:08
Tutto chiaro... sembra molto logico.

Avv. Zaina
05-01-14, 16:42
Desidero riagganciarmi al commento di ieri per fornire una sommaria indicazione metodologica ulteriore in tema di coltivazione, che potremo, magari privatamente, approfondire.
Vorrei fare presente che in caso di sequestro di piante di canapa, un elemento che deve essere privilegiato è quello dell'accertamento della tipologia specifica dell'arbusto.
Vale a dire, che non può essere sufficiente che le ff.oo. dichiarino empiricamente che si tratta di piante di canapa, perchè il reato sia accertato ed un eventuale arresto sia legittimamente operato.
Stando, infatti, all'orientamento della Cassazione di cui alla sentenza 13 novembre 2013, è necessario, anche al fine di valutare un 'ipotetica idoneità - peraltro opinabile e che continuo a contestare - delle piante a produrre sostanze stupefacenti, che venga accertata concretamente la circostanza relativa la fatto che le stesse siano (o meno) riconducibili alla categoria delle femmine o dei maschi oppure degli ermafroditi.
La circostanza che solo le prime, a differenza dei secondi, sono in grado di produrre un THC ad effetto stupefacente, costituisce elemento che giustifica l'accertamento in questione.
Tutti voi sapete che la differenza di sesso tra le piante, ove non si dia corso ad un'immediata perizia, che usualmente non è possibile svolgere nell'immediatezza del sequestro, non può essere accertata se non da esperti botanici e certamente non dai Carabinieri all'impronta.
Dunque, è necessario eccepire espressamente tale aspetto, chiedere espressamente un'immediata verifica, così che un eventuale arresto del coltivatore, effettuato in assenza di certezza dell'appartenenza della pianta alla categoria botanica atta a produrre cannabis, potrebbe apparire illegittimo.

Avv. Zaina
06-01-14, 09:44
In altra sezione del sito, PAWAN KUMAN solleva un'intelligente tematica concernente l'omicidio stradale.:sm_clapper:
Condivido in toto le preoccupazioni che ha espresso e che, seppure sotto altri profili ho - a mia volta - espresso martedì 2 gennaio, in un'intervista che ho rilasciato a Radio Capital sullo specifico tema.
Mi permetto di sottoporvi alcune brevissime riflessioni.
Lo stato dell'arte relativo all'accertamento delle condizioni di sottoposizione a stupefacenti da parte di un conducente in Italia e', attualmente ad un livello confuso e, comunque, poco chiaro.
Qualsiasi accertamento tecnico non permette, infatti, di individuare il dato fondamentale e cioè di definire esattamente il momento di assunzione della cannabis da parte dell'interessato, in quanto ciascuna forma di controllo tramite analisi non permette di superare lo spettro temporale retroattivo che risulta ampio.
Per le droghe pesanti, esso e' di circa 96 ore, per la cannabis può giungere addirittura a 40 giorni.
Sussiste invece, necessità di identificare esattamente e con certezza scientifica lo stato di abilità o disabilità temporanea del conducente, che apparentemente ha assunto in precedenza al controllo cannabis, per evitare esiti cd. falsi positivi.
Nel dubbio la Cassazione, dovendo accogliere questo dato metodologico scientifico (che risulta favorevole ai cittadini), si basa (quando i verbalizzanti lo scrivono) sulle percezioni soggettive dirette, vale a dire "occhi rossi, pupille dilatate, frasi sconnesse, andatura traballante".
Ci si trova ,quindi, alla merce' delle capacità percettive delle ff.oo. (e della loro ottima fede).....

ugoxtutti
06-01-14, 10:38
Sempre meglio, passano da braccio armato di uno stato corrotto a giudici e medici!! Belle storie -.-

Avv. Zaina
08-01-14, 18:43
Desidero farvi conoscere le motivazioni della sentenza di Cagliari, che aveva assolto un mio assistito per detenzione di marjiuana, di cui vi aveva anticipato l'emissione prima di Natale.Aggiungo anche un breve preliminare commento. Buona lettura.

La destinazione al consumo esclusivamente personale – quale circostanza scriminante - può formare oggetto di deduzione anche in presenza di un quantitativo lordo non modico di stupefacente, ove, però, il principio attivo risulti oggettivamente modesto ed idoneo a permettere di ottenere un numero di dosi (meglio, però, sarebbe usare il criterio della Q.M.D.) effettivamente ridotto ed appaia coerente con un fabbisogno del detentore.
Questo canone interpretativo, unitamente alla allegazione-dimostrazione, da parte dell'indagato, di essere abituale assuntore di cannabis, è stato, quindi, posto a base dell'assoluzione di un giovane (accusato di detenere 237 grammi lordi di cannabis indica), pronunziata dalla Corte di Appello di Cagliari, con la sentenza n. 1510 del 4/19 dicembre 2013.
La sentenza appare, inoltre, anche di specifico interesse, perchè il Collegio – ai fini della propria decisione – pone una inusuale attenzione all'effettivo comportamento generale dell'imputato – condannato, invece, in primo grado –.
Da tale esame la Corte territoriale estrapola, infatti, ulteriori argomenti, che risultano convergenti, nel senso di dimostrare la sussistenza dell'evocata scriminante dell'uso esclusivamente personale.
Dal reperimento di una minima quantità di stupefacenti (circa 250 mg.) nella camera del giovane, la Corte perviene, pertanto, alla considerazione, che l'indagato potesse fare uso cadenzato della sostanza complessivamente trovata in suo possesso, attraverso un prelevamento, ogni volta, dal compendio generale, di quanto gli servisse effettivamente per il proprio contingente fabbisogno.
Questa valutazione si dimostra assolutamente corretta metodologicamente.
Essa viene, poi, corroborata e rafforzata anche dalla circostanza che, nel caso concreto, non è stata ravvisata quella tipologia di modalità di confezionamento (ad esempio ripartizione della marjiuana in più dosi), che può, invece, congiurare per escludere il consumo personale d indurre a ritenere esistente un'ipotesi di destinazione alla cessione in favore di terzi.
Altri ulteriori elementi che la Corte distrettuale ha valorizzato per la propria pronunzia, consistono, poi,
1.sia nell'assenza dell'attrezzatura usualmente rinvenibile nella disponibilità di colui (o coloro) che venga identificato nella figura del pusher – bilancine di alta precisione, strumenti per ripartire in dosi lo stupefacente, cellophane per il confezionamento etc. -,
2.sia nella dimostrata capacità economica del giovane, condizione di autosufficienza economica che contrasta efficacemente qualsiasi ipotesi accusatoria avversa.
Si può, quindi, affermare che l'onere di allegazione di elementi a discarico da parte dell'imputato – pur non venendo equiparato dalla giurisprudenza ad un vero e proprio adempimento dell'onus probandi - nella fattispecie appare atteggiamento difensivo proficuo e decisivo.
Da ultimo si osserva che neppure il rinvenimento di semi coltivabili – condotta che, peraltro, non costituisce di per sé illecito di alcun tipo – può venire assunto come sintomatico di una rilevanza penale della detenzione accertata (semmai, al limite, avrebbe potuto configurare situazione preliminare alla coltivazione, che, peraltro, non può essere contestata nelle forme del tentativo).

Avv. Zaina
11-01-14, 22:20
Desidero segnalarvi un'importantissima sentenza, in via di pubblicazione della Corte di Cassazione che ha stabilito che (a seguito della modifica del regime della lieve entità da circostanza attenuante a reato autonomo) la prescrizione della nuova ipotesi di reato del comma 5 dell'art. 73 non sia più commisurata sulla pena prevista dall'art. 73 comma 1 (dunque da 20 - termine breve -a 25 anni -termine lungo -, salvo ulteriori aumenti per ipotesi di recidiva), bensì venga ridotta a 6 - termine breve - oppure a 8 anni - termine lungo - con effetto retroattivo.
Vale, quindi, a dire che questo computo più favorevole di prescrizione si applica anche a casi che si siano verificati precedentemente all'entrata in vigore del d.l. 146 del 23 dicembre 2013.
Una buona notizia!

STUPEFACENTI – FATTO DI LIEVE ENTITA’ – NUOVA FORMULAZIONE DELL’ART. 73, COMMA 5, D.P.R. N. 309 DEL 1990, INTRODOTTA DAL D.L. 23 DICEMBRE 2013, N. 146
– IPOTESI AUTONOMA DI REATO – SUSSISTENZA – CONSEGUENZE – TERMINE DI PRESCRIZIONE DI SEI ANNI – APPLICABILITÀ ANCHE AI FATTI ANTERIORMENTE COMMESSI - SUSSISTENZA Con sentenza emessa l’8 gennaio 2014 – di cui è stata fornita l’informazione provvisoria – la Sesta sezione della Corte di cassazione ha affermato che la nuova formulazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, introdotta dall’art. 2 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, configura un titolo autonomo di reato per fatti di lieve entità riconducibili alle altre previsioni contenute nel medesimo art. 73, precisando che il più breve termine di prescrizione di sei anni previsto per tale reato ex art. 157 comma 1 cod. pen., debba applicarsi anche retroattivamente, a norma dell’art. 2, comma quarto, cod. pen.

the.pitbull
12-01-14, 14:37
Cosa comporterebbe questo? Una riduzione di pena, a chi condannato anche precedentemente?

Avv. Zaina
12-01-14, 17:33
Cosa comporterebbe questo? Una riduzione di pena, a chi condannato anche precedentemente?

Questo orientamento comporta la conseguenza che il tempo prescrivere il reato viene congruamente ridotto e viene finalmente rapportato all'effettiva portata criminosa della vicenda.
Prescrivere significa, in sintesi,che il giudice pur riconoscendo la colpevolezza dell'imputato, non pronunzia, però, nei di lui confronti una sentenza di condanna, e non applica una pena in concreto, perchè, al momento della pronunzia della sentenza, è trascorso troppo tempo dalla data di commissione del fatto-reato.
Sino ad oggi, anche se la condotta od il fatto illecito, concernente gli stupefacenti, fossero stati considerati modesti o di scarso rilievo - e dunque fosse stata riconosciuta la lieve entità del comma 5 dell'art. 73, con riduzione di pena rispetto all'ipotesi ordinaria - i termini di prescrizioni rimanevano, comunque, quelli (lunghissimi) del comma 1.
Si trattava di una conseguenza ingiusta, ma ineccepibile, purtroppo, perchè direttamente consequenziale alla natura della lieve entità, che era stata concepita dal legislatore come circostanza attenuante.
Ora, tale conseguenza non è più applicabile e vi è un rapporto di corretta proporzionalità fra fatto e prescrizione.

the.pitbull
12-01-14, 20:14
Grazie, è stato chiarissimo.

Avv. Zaina
14-01-14, 17:46
Con la sentenza 1251/14, la Sesta Sezione della Suprema Corte interviene nuovamente sul tema della detenzione ad uso esclusivamente personale di sostanze stupefacenti.
Lo fa, attraverso l'annullamento di una duplice pronunzia di condanna dei giudici di merito di Catania, che avevano ritenuto – nei due gradi di giudizio – che la detenzione di tre dosi di marjiuana legittimasse una affermazione di responsabilità ed una condanna per la violazione del comma 1 ed 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90.
I principi esposti dal Supremo Collegio appaiono chiari ed univoci.
In primo luogo (ed in relazione alla errata affermazione di rilevanza penale della condotta detentiva) si osserva che appare dirimente, per la pronunzia di annullamento della sentenza, l'adempimento dell'onere di allegazione che compete all'imputato.
Nella fattispecie tale onere era stato assolto, tramite la dimostrazione dello stato di dipendenza da droghe del minore imputato – circostanza di cui, invece, i giudici distrettuali non solo non avevano dato atto, ma che, incomprensibilmente avevano negato -.
In presenza di un quantitativo assai modesto – come quello del caso di specie – la prova dello stato di assuntore dell'imputato costituisce elemento significativo per ritenere acclarata la destinazione a fini personali dello stupefacente.
In secondo luogo, i giudici di legittimità si soffermano sul concetto di lieve entità, escluso dalla Corte di merito sulla base della presunzione che l'imputato svolgesse un'attività di spaccio non occasionale ed episodica.
Tale presunzione si fondava sia sul rinvenimento dello stupefacente, che sul possesso – da parte dell'imputato – di 120 euro (somma definita dalal sentenza di Appello “importante”).
La Corte, invocando l'uso di criteri di proporzionalità e ragionevolezza fra offensività del fatto e pena inflitta, ha censurato l'indirizzo assunto dalla Corte di Appello, sul presupposto della compatibilità fra fatto lieve e l'attività di spaccio non occasionale, in quanto il dpr 309/90 prevede l'ipotesi del comma 6 dell'art. 74 (associazione per delinquere per fatti di lieve entità).
Questa espressa previsione normativa suppone, infatti, una struttura illecita che operi con una sua continuità e stabilità, requisiti propri della non occasionalità.
Dunque, nel caso di specie, è proprio la specifica lettera della legge che smentisce l'assunto dei giudici.
Si parono, quindi, per l'imputato prospettive sia di assoluzione, che, in ipotesi negativa di inflizione di una pena minima.

Avv. Zaina
22-01-14, 18:44
Segnalo una recentissima novità in materia di coltivazione.
La Terza Sezione Penale della Cassazione ha rigettato il ricorso del Pm presso il Tribunale di Ancona, avverso il proscioglimento pronunziato dal GIP ex art. 425 cpp.
L'importanza della pronunzia deriva dal fatto che appare rilevante la circostanza che non sia stato calcolato e periziato il thc estraibile dalle due piante.
Ciò significa che, in questa caso, la Corte non ha ritenuto che la coltivazione - quale illecito penale - si perfezioni già con la messa a dimora del seme, bensì sia necessario comprendere se la pianta (o le piante) sia in grado di produrre effettivamente sostanza drogante.
La circostanza che tale accertamento non sia stato possibile, preclude qualsiasi altra valutazione, però, credo che si tratti di un passo avanti sul cammino di una valutazione giurisprudenziale che si incentri sulla effettiva offensività della condotta e non già su di una offensività teorica.
In questo senso si potrebbe arrivare - se non mutasse la legge - a valutare l'importanza e la liceità della coltivazione ad uso personale, proprio perché non destinata a produrre effetti al di fuori della sfera privata del coltivatore-assuntore.

mayoh
22-01-14, 23:16
Pulisco la discussione, evitiamo di andare fuori tema in un 3d cosi importante :a045:

Pawan Kumar - ASCIA
28-01-14, 20:39
Ho trovato questa interessante notizia fresca fresca di sentenza di assoluzione:

http://www.ilgiorno.it/como/cronaca/2014/01/28/1016913-marijuana-vaso.shtml

Marijuana coltivata sul balcone di casa, il giudice: se cresce nel vaso non è reato
Luisago, mini piantagione a uso strettamente personale: assolto un 35enne
di Paola Pioppi
Luisago (Como), 28 gennaio 2014 - Coltivava marijuana sul balcone della sua abitazione, ed era finito a processo per produzione di sostanze stupefacenti. Ma il gup di Como, in applicazione di una serie di recentissimi indirizzi della Corte di Cassazione, lo ha assolto. Nicolò Marino, 35 anni di Luisago, nel luglio 2012 era stato trovato dai carabinieri di Fino Mornasco in possesso di sei piantine di cannabis, il cui principio attivo, così come rilevato dalle consulenze disposte dal Tribunale, variava dall’uno per cento fino a quasi l’otto per cento. Un riscontro positivo, anche se non elevatissimo, a cui si aggiungevano circa cinquanta grammi di foglie già essiccate trovate in un cassetto di un mobile in casa. Di fatto, la coltivazione di sostanze stupefacenti, è sempre stata ritenuta dalla legge “penalmente rilevante”, a prescindere dalla destinazione personale o per terzi, e dal quantitativo che poteva anche essere non eccessivo. Di fatto, la produzione attraverso coltivazione è sempre stata ritenuta più grave della semplice detenzione o spaccio.

Tuttavia il difensore di Marino, Davide Brambilla, ha depositato una memoria difensiva nella quale argomentava dettagliatamente sul concetto di “coltivazione”, partendo innanzi tutto dal presupposto che «l’assimilazione tout court della coltivazione industriale o semi-industriale della coltivazione della marijuana alla coltivazione domestica» è stata giudicata discutibile in più occasioni. Inoltre, quando si parla di «coltivazione», si intende abitualmente un’attività agricola in larga scala, destinata poi all’utilizzo a favore di terze persone. Non certo a «modesti quantitativi di piante messe a dimora in modo rudimentale in vasetti sul terrazzo di casa». Già il Tribunale di Milano aveva precisato, in una precedente sentenza, che «coltivare non significa allestire vasi e vasetti, ma governare un ciclo di preparazione del terreno, semina, sviluppo delle piante e raccolta del prodotto».

Inoltre, una ulteriore sentenza, aveva stabilito che «la condotta di coltivazione non può ritenersi in concreto offensiva allorché essa, esclusa la volontà di cedere a terzi le foglie una volta tagliate dalle piante, non metta a repentaglio la salute pubblica». In altre parole, una destinazione d’uso rivolta la consumo personale, come in questo caso, dove i carabinieri non avevano trovato nulla che potesse essere utilizzato per il confezionamento di dosi destinate a terze persone. Accogliendo le istanze della difesa, il gup Maria Luisa Lo Gatto ha stabilito che la non rilevanza penale può essere riconosciuta non solo quando le piante sono prive di principio drogante, ma anche quando non ci siano le condizioni per creare un danno alla salute pubblica, o quando la coltivazione non ha caratteristiche tali da incrementare il mercato. Marino è così stato assolto perché il fatto, così configurato, non costituiva reato.

di Paola Pioppi

Pawan Kumar - ASCIA
28-01-14, 20:44
La stessa notizia riportata dal Corriere di Como:

http://www.corrierecomo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58206:piante-di-marijuana-sul-balcone-assolto-lerano-poche-e-inoffensiver&catid=14:prima-pagina


MARTEDÌ 28 GENNAIO 2014
La piaga della droga
Si è conclusa la vicenda giudiziaria di un 35enne di Luisago

«La coltivazione di piante di marijuana (che per la precisione erano sei, ndr) era talmente modesta che, a prescindere dal fatto che fosse o meno di mero uso personale, la condotta difetta di una apprezzabile potenzialità offensiva».
Il fatto è dunque «penalmente irrilevante» e l’imputato per questo motivo «deve essere assolto».
Quella appena riportata è la sintesi della motivazione della sentenza che ha portato il giudice delle indagini preliminari di Como a dar ragione alla difesa in merito a una vicenda che risale al luglio del 2012, quando in un blitz nella casa di un 35enne di Luisago, le forze dell’ordine trovarono in balcone sei piante di marijuana e in più, in un cassetto del mobile dell’abitazione stessa, altri 48 grammi e mezzo della stessa sostanza stupefacente.
Motivo per cui era stato aperto in quell’occasione un procedimento penale a carico dell’imputato accusato sia della detenzione dello stupefacente sia della coltivazione della marijuana.
La procura, dopo la scelta del rito Abbreviato da parte della difesa - avvocato Davide Brambilla - aveva invocato la pena di due anni di carcere più 6 mila euro di multa, oltre naturalmente alla confisca della marijuana.
Ma alla fine, il giudice ha optato per l’assoluzione dell’uomo in quanto, pur essendo verificato che nei vasi sul balcone tenesse piante di marijuana, queste ultime non potevano avere - vista la loro esiguità - una «apprezzabile potenzialità offensiva».
In pratica, l’estensione ridotta della piantagione («che non può nemmeno essere definita come tale in senso tecnico», ma al massimo «una messa a dimora in vasi») e la sua struttura organizzata erano tali che non era «potenzialmente idonea a incrementare il mercato».
E questo nonostante sia stata appurata «la presenza di un effetto stupefacente della sostanza coltivata». La tesi conclusiva è dunque perentoria, anche se ancora discussa a livello di giurisprudenza: «Le piante di marijuana erano in assenza di altra strumentazione idonea all’innaffiamento, al riscaldamento, all’illuminazione, o comunque finalizzata a favorire la crescita e lo sviluppo della coltivazione».
E soprattutto «il numero modesto delle piante e il principio attivo ricavabile sono tutte circostanze che, a prescindere dal fatto che fosse destinata al meso uso personale, consentono di escludere che la condotta nel suo complesso abbia avuto una apprezzabile potenzialità offensiva».
Da qui, dunque, l’assoluzione dell’imputato. Accogliendo, tra l’altro, la tesi difensiva che l’avvocato Davide Brambilla aveva sostenuto nella propria memoria presentata al giudice.

M.Pv.

Avv. Zaina
28-01-14, 22:27
I giornalisti sono una categoria fantastica, soprattutto, quando non capendo nulla scrivono quello che pare loro.
Il secondo articolo e' un condensato di contraddizioni rispetto al primo che viene da domandarsi che processo hanno visto i due giornalisti e chi effettivamente abbia visto il vero processo.

Avv. Zaina
31-01-14, 17:39
Mi permetto di segnalarvi una sentenza n. 2881/14 della Terza Sezione della Corte di Cassazione in data 19/11/2013 - 22/1/2014 in tema di criteri che permettono di affermare la detenzione ad uso personale.
Per vero, si tratta di una complessa vicenda che attiene a stupefacenti del tipo cocaina, ma credo che risulti a chiunque evidente che i principi di diritto che il Collegio di legittimità afferma - in materia di detenzione a fine di consumo personale - presentino il carattere della comunanza e dell'applicabilità a qualsiasi tipo di sostanza.
La Corte di Cassazione, infatti, ha escluso che detenere circa gr. 50 di sostanza - cioè il dato strettamente ponderale - non sia di per sè condotta significativa dell'attività di spaccio, quando si versi in presenza di indizi di segno avverso, quali ad esempio l'assenza di materiale da taglio o confezionamento, di intercettazioni telefoniche, di chiamate in reità di terzi, di avvistamenti o risultanze dalle quali desumere che il detentore sia inserito in un contesto di cessioni a terzi.
Parimenti una minima capacità economica dell'imputato determinata da introiti leciti, la dimostrazione di un'abitudine del detentore ad assumere sostanze anche se non necessariamente con cadenze regolari, costituisca dati che permettono al giudice di ritenere che sia effettivamente provata la destinazione all'uso personale, anche quando il quantitativo ecceda limiti di modicità.:polliceu:

Avv. Zaina
06-02-14, 16:17
Un solo spinello (accertato) non blocca l’accesso al pubblico impiego


Il mero ammonimento della prefettura per il consumo occasionale di cannabis non determina l’esclusione dal concorso, anche nelle forze dell’ordine, per mancanza del requisito di moralità

di VANESSA RANUCCI



Un unico episodio di assunzione di marijuana non configura l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego: l’uso di sostanze stupefacenti non accompagnato dallo spaccio non esclude il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro. Lo ha sancito il tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con la sentenza 675/2014, ha accolto il ricorso di un aspirante finanziere che era stato escluso dalla procedura concorsuale in quanto non in possesso del requisito di moralità e di condotta di cui all’articolo 2 comma 1 lett. b) della determinazione 44636/13 (bando di concorso): tale esclusione era basata sul fatto che l’uomo è stato trovato in possesso di un grammo di sostanza stupefacente di tipo marijuana.

Uno sguardo al passato
L’unico episodio imputato al ricorrente di possesso di sostanze stupefacenti fu considerato da parte dell’autorità di governo di Napoli di natura “tenue” della violazione concludendo il procedimento ex art. 75 Dpr 309/90 con il mero ammonimento a non far più uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Per il Tribunale laziale tale il provvedimento impugnato dall’amministrazione non può costituire motivo per escludere il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro: si legge al riguardo che «per l’accesso al lavoro in generale, può essere positivamente valutata anche per l’accesso alle forze di polizia, nonostante la particolare posizione che vengono a rivestire i soggetti a esse appartenenti, sotto il profilo della peculiarità delle funzioni loro affidate. E invero la “ratio” che fa assumere valenza preclusiva all’uso di sostanze stupefacenti è la presenza non di un comportamento saltuario (e peraltro abbastanza lontano nel tempo) ma di un comportamento ripetuto nel tempo e con continuità tale da permettere la formulazione una prognosi sfavorevole di una possibile sua ripetizione, ma nella posizione di appartenente al corpo reclutante che il concorrente aspira ad assumere».

Insomma, l’addebitato possesso di sostanze stupefacenti è complessivamente insufficiente a giustificare l’esclusione dal concorso: la semplice assunzione di sostanze stupefacenti non accompagnata dallo spaccio non può, in mancanza di ulteriori elementi negativi, determinare l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego. E ancora, la detenzione e anche il modico uso personale di sostanze stupefacenti, poiché non integra un’ipotesi di condotta illecita, non può legittimare un giudizio di insussistenza del requisito morale. Pertanto, il provvedimento impugnato è stato annullato.

Vanessa Ranucci

(Cassazione.net Riproduzione riservata)

Avv. Zaina
19-02-14, 18:40
Prime pronunzie che si riferiscono alla nuova formulazione del comma 5 dell'art. 73 – così come derivata dalla novella di cui all'art. 2 del D.L. 21 dicembre 2013 n. 146.
La nuova espressa qualificazione dell'istituto come reato autonomo, in luogo della precedente accezione – circostanza attenuante ad effetto speciale – introduce una serie di elementi di maggiore favore nei confronti dell'imputato, che possono essere valutati ai sensi dell'art. 2 comma 4° c.p. .
La sentenza 7363/14 della Quarta Sezione Penale del Supremo Collegio (9 gennaio 2014) si sofferma sul profilo della prescrizione, che muta sostanzialmente i suoi termini di decorrenza.
In virtù della autonomia di cui, ora, è munita la nozione di lieve entità, punita con la reclusione da 1 a 5 anni, il nuovo termine di base – a mente dell'art. 157 comma 1 c.p. - è pari a 6 anni.
Ove vada applicato il comma 2° dell'art. 161 c.p., il quale regola il regime delle interruzioni, il termine massimo (per imputati nei confronti dei quali non vada contestata la recidiva) è di 7 anni e 6 mesi, derivato dall'aumento di ¼ del tempo necessario a prescrivere.
Si tratta, pertanto, di una conseguenza che non era ritenuta possibile, quando la lieve entità era qualificata come circostanza attenuatrice del reato.
Non è però solo questo aspetto che richiama l'attenzione sulla norma in questione, perchè vi sono ulteriori aspetti che meritano approfondimento.
In primo luogo la nuova configurazione permette di evitare che l'istituto della lieve entità venga posto in bilanciamento – come invece prima avveniva – con eventuali circostanze aggravanti che vengano contestate all'imputato, con il rischio che un possibile giudizio di prevalenza di queste ultime, privasse di qualsiasi valore la citata qualificazione giuridica del fatto, (che è sinonimo di modesta gravità del fatto) e determinasse l'applicazione di sanzioni penali del tutto sproporzionate all'azione.
In secondo luogo, però, l’applicazione tout court del testo di legge antecedente alle norme dichiarate incostituzionali1, incontra un limite che attiene proprio al comma 5° dell’art. 73 e che deriva dalla contemporanea esistenza anche delle disposizioni introdotte dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 art. 2.2
Ciò premesso, si crea una problema di individuazione della norma che debba formare oggetto di applicazione nel caso concreto.
Va, infatti, osservato in parallelo, che :
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, depurato dalle modifiche introdotte dalla L. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale :
A)prevede una trattamento sanzionatorio differenziato (pena ad hoc) per le condotte illecite riguardanti le droghe previste dalle tabelle II e IV dell’art. 14 ,
B)tale pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329,
C)la lieve entità continua a costituire una circostanza attenuante ad effetto speciale, da sottoporre al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti eventualmente contestate,
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, così come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 :
A) prevede un trattamento sanzionatorio unitario e comune a tutte le tipologie di sostanze stupefacenti
B) tale pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000,
C) l’unicità della pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, che però non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale, ma prima della pronunzia relativa, se non di per sé incostituzionale, comunque in palese contrasto con il testo del comma 5° tornato vigente,
D) come già evidenziato la lieve entità diviene reato autonomo e, come tale, sottratto, quindi, a qualsiasi giudizio di valenza o bilanciamento con circostanze aggravanti,
E) come già osservato, il termine prescrizionale dello specifico reato è più breve di quello riguardante il reato di cui all'art. 73 nella previsione ordinaria (comma 1 e 4), in quanto esso è di sei anni – se breve – e di sette anni e sei mesi – se lungo - .

** ** **

Consegue dalle considerazioni che precedono, la necessità di individuare quale debba essere, tra le due ipotesi afferenti al comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90, la norma che effettivamente vada concretamente applicata allo stato attuale.
Seguendo, sotto il profilo metodologico, i principi generali di natura costituzionale, si dovrebbe tenere conto del cd. criterio cronologico, in quanto entrambe le norme in questione provengono, infatti, da fonti ordinarie del medesimo tipo (l’una un DPR , l’altra un D.L.).
Il criterio in questione, al fine di eliminare tutte le eventuali antinomie, farebbe si che non si debba applicare (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, bensì quella successiva (lex posterior derogat legi priori).
Si deve, però, osservare che, nella fattispecie, ove – accedendo al principio generale suesposto - si dovesse ritenere prevalente la dizione dell’art. 73 comma 5°, così come formulata dal D.L. 146/2013, ci troveremmo a dovere ictu oculi rilevare – per le ragioni già esposte – la sospetta incostituzionalità del dettato normativo, per l’illegittima equiparazione sanzionatoria delle varie e differenti sostanze stupefacenti – allo stato – ripartite in quattro tabelle portate dall’art. 14.
Ma questo non sarebbe (o non è) l’unico ostacolo a che la norma successiva prevalga, nonostante alcune sue indubbie peculiarità di grande favore per l'imputato.
In pari tempo, si deve, infatti, osservare che nessuna delle due norme si pone in un rapporto di genus ad speciem rispetto all’altra.
Vale a dire, che né la norma precedente – quella ora vigente – né quella successiva presentano un carattere speciale o eccezionale rispetto all’altra.
Nello specifico caso si verifica, pertanto, una situazione di assoluta incompatibilità strutturale della disciplina pregressa rispetto a quella nuova.
Quest’ultima, proprio perché concepita e promulgata intempestivamente dal Governo, non ha potuto tenere (nè tiene) conto della sopravvenuta riviviscenza sia del testo dell’art. 14 (ante riforma del 2006), con la scissione delle tabelle e la loro suddivisione, sia della bipartizione generale ad effetti sanzionatori.
Ritiene, inoltre, chi scrive – a complemento delle precedenti osservazioni - che, in una simile opera identificativa, si debba tenere in debita considerazione, sul piano metodologico, anche dell’applicabilità del principio del favor rei.
Su tale abbrivio, si deve, pertanto, osservare che
1)la nuova (o precedente) formulazione dell’art. 73 comma 5°, certamente ed intuitivamente, si fa preferire quoad poenam, (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329), ma, al contempo, essa continua a subire il genetico condizionamento, determinato dalla propria natura di circostanza attenuante, suscettibile di dovere essere posta in situazione di bilanciamento con eventuali aggravanti;
2)il testo dell’art. 73 comma 5° ricavato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, a propria volta, pur meno favorevole in punto di pena e pur sospettabile di incostituzionalità, per l’omogeneo trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e droghe leggere (oltre che in irreversibile contrasto con la struttura della norma allo stato vigente, che prevede due tipologie di pena), modifica la natura dell’istituto in parola in quella di reato autonomo, determinando una sua configurazione giuridica di maggior favore per l’indagato/imputato, a tacere delle rilevante circostanza del nuovo computo prescrizionale che riduce i relativi termini.
Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.

StRaM
20-02-14, 16:04
Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.

A me tutta 'stà farsa di leggi PARE disorientante.....poi speriamo che la giurisprudenza abbia fatto orienteering........che bel sport!!!!!



http://www.carlogiovanardi.it/sito/modules.php?name=News&file=article&sid=2643

Ansa dal sito di Giovanardi.

Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.

Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).

Avv. Zaina
20-02-14, 16:52
http://www.carlogiovanardi.it/sito/m...ticle&sid=2643

Ansa dal sito di Giovanardi.

Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.

Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).


Intervengo solamente perché si tratta di un commento al mio thread in materia di giurisprudenza, in CORNER AVVOCATO, non avendo io più intenzione intervenire in altre discussione concernenti i progetti di legge, in quanto non desidero essere più coinvolto in stucchevoli, quanto inutili polemiche che altri ad arte sollevano sistematicamente.


Leggendo un'affermazione del genere, francamente io non so se l'on. Giovanardi manifesti maggiormente una condizione di ignoranza (nell'ovvio senso di non conoscenza e non comprensione) di elementari questioni diritto o se egli versi in stato di malafede.
Se penso che egli sarebbe stato - in un passato remoto - anche avvocato mi domando se egli abbia mai esercitato la professione e, in caso positivo, come abbia fatto a superare l'esame di Stato se mostra di non tenere in debito conto norme con l'art. 2 codice penale che sono essenziali.
Sostenere, infatti, che l'approvazione del D.L. 146 (con conversione in Legge) e nello specifico dell'art. 2, il quale modifica l'art. 73 comma 5 in materia di lieve entità, equivale a confermare la bontà della FINI-GIOVANARDI, significa sostenere una clamorosa sciocchezza giuridica, una vera "falsità", che se fosse sostenuta da uno studente ad un esame di giurisprudenza, comporterebbe la sua immediata bocciatura, con invito a tornare a ripetere la prova non prima di sei mesi.
Temo che l'on. GIOVANARDI ormai sia prigioniero delle proprie convinzioni al punto da non rendersi conto di ciò che afferma.
Egli dovrebbe prendere atto che la Consulta
1) deve ancora depositare le motivazioni e dunque una parte della sentenza potrebbe anche riguardare il merito della legge,
2) ha annullato una legge (la 49/2006), affermando che le modalità con le quali essa è stata promulgata sono gravemente illegittime, perché non esistevano ragioni di urgenza ed indifferibilità.
La Corte Costituzionale, quindi, censura pesantemente l'operato politico legislativo dell'on. GIOVANARDI, che ha violato la sacralità del PARLAMENTO, impedendo all'assemblea (a colpi di voto di fiducia) un contraddittorio minimo ed ha imposto surrettiziamente norme che non avrebbe potuto imporre.
Simile critica appare di una gravità enorme ed inedita, al punto che ritengo che ben raramente il giudice costituzionale si sia spinto a tanto.
L'on GIOVANARDI ne dovrebbe trarre come politico e come cittadino le conseguenze più ovvie.
L'on. GIOVANARDI tenta, invece, astutamente, di spostare l'attenzione su prospettive, che allo stato neppure lui conosce, perché sa bene di essere uno dei due propugnatori di una legge annullata in toto come raramente (e credo forse mai prima d'ora) pare sia avvenuto nella storia dell'Italia repubblicana.
Allo stato attuale, alla luce della decisione della Consulta deve essere applicata la JERVOLINO-VASSALLI; esiste, in realtà un contrasto di norme - in relazione al comma 5° - (ma l'on. GIOVANARDI non se ne è accorto o finge di non accorgersi) che si può risolvere solamente a sfavore della tesi che lui sostiene.
Il Parlamento - troppo preso da personaggi narcisi - non si è posto colpevolmente il preventivo problema di questo contrasto e, senza comprendere la portata giuridica di quanto si stava decidendo, ha votato per la conferma del D.L., dimostrando una gravissima impreparazione giuridica di fondo, ancora più grave in capo a chi - una volta fuori dalla Camera o dal Senato - dovrebbe tornare a fare l'avvocato (magari anche penalista).
Grave è stato anche che tutti i sapienti aspiranti legislatori non si siano accorti di questa rilevantissima contraddizione, che inficia la norma appena approvata.
Non mi risulta che nessuno tra gli esponenti dell'opposizione - così solerti a formulare progetti di legge palesemente incostituzionali - si sia alzato per formulare osservazioni a confutazione.
Complimenti anche a loro.
Sarebbe, quindi, opportuno che in questa occasione l'on. GIOVANARDI fosse zittito, ma temo che i tanti esperti, abili solo ad insultare, non siano realmente capaci - invece - di sfidarlo sul piano dialettico e tecnico, per fargli fare una vera e storica figuraccia.
Certo anche i novelli giureconsulti facessero un poco di autocritica, perché talora il silenzio - dinanzi a norme palesemente errata - è prova di ignoranza assoluta in materia.

Avv. Zaina
22-02-14, 15:51
In attesa che il legislatore – o chi per lui – si accorga che nel nostro ordinamento, allo stato, coesistono due distinte ed opposte ipotesi di lieve entità, in materia di stupefacenti, posto che la pronuncia della Corte Costituzionale ha, da un lato, determinato la riviviscenza del testo dell’intero art. 73 nella forma ante novella del 2006 e che, in pari tempo, il Parlamento ha convertito in legge il D.L. 146 del 23 dicembre 2013, il quale innova la norma in questione e la trasformando da circostanza attenuante ad effetto speciale, in reato autonomo, intervengono pronunzie giurisprudenziale di legittimità che – contingentemente ed interinalmente – sanciscono l’applicazione di quest’ultima nuova ipotesi.
La sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione n. 5143, siccome pronunziata il 16 gennaio u.s., quindi, prima che fosse decisa dalla consulta la eccezione di costituzionalità, non ha potuto tenere conto della denunziata grave discrasia e – comunque correttamente – ha ritenuto che la modifica introdotta con l’art. 2 del citato DL configuri e determini un mutamento in melius, risultando, così, più favorevole all’imputato.
Oltre alla circostanza che la pena prevista dal DL 146/2013 appare inferiore (da 1 a 5 anni di reclusione oltre alla multa) a quella che era stata precedentemente sancita (il cui massimo edittale era, invece, di 6 anni), elemento di discontinuità ritenuto di specifica rilevanza, appaiono, inoltre, evidenti altri profili che confermano tale giudizio.
La struttura di reato autonomo sottrae, infatti, l’istituto della lieve entità al giudizio di bilanciamento rispetto alle eventuali aggravanti contestate (situazione che aveva in precedenza spesso impedito l’inflizione di pene adeguate e proporzionate) e, altresì, permette di modulare, in termini di maggiore favore il regime prescrizionale, che, ora, viene calcolato secondo i parametri previsti dall’art. 157 c.p. .
Resta, comunque, indubitabile la considerazione che, la situazione di evidente contrasto e conflitto tra le due richiamate norme, venutasi a creare in progresso di tempo, è determinata dalla oggettiva incoerenza delle stesse, di cui il legislatore non pare essersi accorto.
Non è, infatti, pensabile un trapianto tout court del comma 5° - così come concepito dal DL 21 dicembre 2013 n. 146 – nel complessivo modello del rinnovato art. 73.
Se una simile operazione avvenisse ci si troverebbe dinanzi ad una norma obbiettivamente “strabica”, una vera e propria inammissibile contraddizione in termini che verrebbe ad intercorrere fra distinti passaggi della stessa che presentano linee guida sanzionatorie del tutto incompatibili fra loro.
Ci si dovrebbe domandare, perciò, come si potrebbe, così, coniugare e porre, quale esempio di doverosa coerenza intrinseca) della regola in parola, una previsione quale quella dei commi 1 e 4 dell’art. 73, che distinguono (in coerenza con la suddivisione tabellare dell’art. 14) le pene per le sostanze droganti cd. pesanti e quelle cd. leggere, con una disposizione – il comma 5° ex DL 146/2013 – che, invece, unifica nella medesima pena detentiva e pecuniaria, il trattamento sanzionatorio.
Non dimentichiamo che i comma 1, 4, da un lato ed il comma 5, dall’altro, – nel disegno dell’art. 73 ex L. JERVOLINO-VASSALLI – governano le medesime condotte ritenute illecite.
Essi si differenziano esclusivamente per il livello di gravità attribuito alle stesse, (in un caso di carattere ordinario, nell’altra ipotesi espressamente lieve); si tratta di un giudizio che, per tale specifica ragione determina una differente modulazione dell’intervento sanzionatorio.
Ritiene chi scrive, quindi, che l’innesto di una singola previsione normativa, così differente (quale appare l’art. 2 del DL 146/2013) rispetto alla complessiva trama dell’art. 73, costituirebbe scelta destinata a subire un’inevitabile ed irreversibile crisi di rigetto, in quanto essa si accrediterebbe come iniziativa interpretativa che determina una condizione di illogicità interna alla specifica norma.
Il generale stato di incertezza lievita, poi, posto che taluna parte – attraverso un’interpretazione strictu sensu dell’art. 136 comma 1° Cost. che recita “Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione…..” – ritiene che, allo stato attuale, l’intervenuta abrogazione della FINI-GIOVANARDI non produca ancora effetti concreti, dovendosi, così, differire gli stessi – anche a livello retroattivo - solo al momento della effettiva pubblicazione della sentenza della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale.
Dunque, aderendo alla tesi sopra esposta in relazione al comma 1 dell’art. 136 Cost., in questo momento, ogni processo entra in un vero e proprio limbo, nel quale vige tuttora, provvisoriamente, una norma dichiarata incostituzionale, mentre quella ripristinata, invece, non avrebbe ancora vigenza .
Ve ne è abbastanza per auspicare che si ponga termine a questo disordine giuridico e si intenda, finalmente, porre riparo con una nuova organica legge.

Avv. Zaina
28-02-14, 18:43
Cari amici,
desidero informarvi che sto valutando la fondatezza di una nuova questione di costituzionalità rivolta alla legge JERVOLINO-VASSALLI, e riguardante la mancata previsione dell'uso personale, quale esimente della coltivazione.
Vale a dire che intendo denunziare la disuguaglianza di trattamento fra detentore (che abbia acquistato in piazza per il proprio consumo) e coltivatore che abbia prodotto per il proprio uso.
La Legge JERVOLINO-VASSALLI sotto questo aspetto non è differente dalla L. 49/2006 appena abrogata, ma credo che ci sia un elemento di novità che è dato
1) dalla decisione 757/GAI/2004, che all'art. 2 prevede la non punibilità di tutte quelle condotte che risultino finalizzate all'uso personale, nei paesi dove l'uso personale è depenalizzato (e tra queste la coltivazione).
Non vi sarebbe mai stato un serio confronto fra la norma interna (art. 73) e quella di diritto comunitario.
Da qui la possibile violazione degli artt. 3, 24 e 117 Cost. ;
2) dalla circostanza che l'abrogazione della L. 49/2006, che era stata presa come elemento valutativo dalla sentenza 24 aprile 2008 delle SSUU che aveva negato la possibilità di riconoscere la non punibilità della coltivazione domestica, permette, però, la proposizione di nuove argomentazioni.
Su tutte proprio la sentenza sopra ricordata ha perso efficacia, perché si basava su argomenti che ora non possono più essere - a mio parere - proficuamente utilizzati.
Vi terrò informati, perché, le prime questioni verranno proposte nei prossimi giorni.
In ogni caso credo che sia necessario anche un sostegno a livello di idee e pubblicizzazione a questo serio tentativo di sanzionalizzare questa condotta.

M'agganjo
28-02-14, 19:29
E andasse in porto anche questa ritorneremmo alla legge Mussolini-Oviglio?:biggrin2:
Ovviamente una battuta, inutile dire che ha tutto il nostro sostegno, anche se nel mio piccolo non credo possa fare tutta questa opera di pubblicizzazione

Avv. Zaina
28-02-14, 19:41
E andasse in porto anche questa ritorneremmo alla legge Mussolini-Oviglio?:biggrin2:
Ovviamente una battuta, inutile dire che ha tutto il nostro sostegno, anche se nel mio piccolo non credo possa fare tutta questa opera di pubblicizzazione

Vede M'agganjo io ricordo quando ci furono le prime discussioni in ordine alla possibilità di attaccare la L. 49/2006 sul piano dell'incostituzionalità e devo riconoscere che ero tra coloro che erano maggiormente scettici sulla possibilità di presentare un'eccezione fondata.
Le insistenze di Giancarlo Cecconi, di Filippo Vona, il successivo appoggio di Ecko, hanno permesso di impostare una questione che sembrava irrealizzabile.
Se ciascuno di noi ci crede.....
Non torneremmo alla Mussolini-Oviglio, ma ci sarebbe una modifica della JERVOLINO-VASSALI nella parte in cui non contempla fra le condotte non punibili la coltivazione ad uso personale.
:biggrinthumb:

KGB
28-02-14, 20:59
Non torneremmo alla Mussolini-Oviglio, ma ci sarebbe una modifica della JERVOLINO-VASSALI nella parte in cui non contempla fra le condotte non punibili la coltivazione ad uso personale.
:biggrinthumb:

Non capisco una cosa ..
... com'è che funzionerebbe?

La Corte Costituzionale non ha solo potere abrogativo?
Oppure può anche modificare (riscrivere) le leggi?

Avv. Zaina
28-02-14, 22:03
Non capisco una cosa ..
... com'è che funzionerebbe?

La Corte Costituzionale non ha solo potere abrogativo?
Oppure può anche modificare (riscrivere) le leggi?

Le spiego.
E' vero che la corte ha un potere abrogativo, ma attraverso questo potere, che può investire parzialmente una legge, quest'ultima può venire ad assumere un significato conforme ai principi costituzionali, che prima non aveva.
Nel caso di specie, un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità atterrebbe all'art. 73 comma 1 e 4 DPR 309/90 nella parte in cui tale norma in violazione dell'art. 117 Cost. non prevede la non punibilità della coltivazione di piante di cannabis quando tale condotta sia finalizzata al consumo personale del coltivatore, in quanto non recepisce l'art. 2 della decisione UE 757/GAI/2004.
Se non fossi stato chiaro ditemelo.

KGB
28-02-14, 23:41
Le spiego.
E' vero che la corte ha un potere abrogativo, ma attraverso questo potere, che può investire parzialmente una legge, quest'ultima può venire ad assumere un significato conforme ai principi costituzionali, che prima non aveva.
Nel caso di specie, un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità atterrebbe all'art. 73 comma 1 e 4 DPR 309/90 nella parte in cui tale norma in violazione dell'art. 117 Cost. non prevede la non punibilità della coltivazione di piante di cannabis quando tale condotta sia finalizzata al consumo personale del coltivatore, in quanto non recepisce l'art. 2 della decisione UE 757/GAI/2004.
Se non fossi stato chiaro ditemelo.

Grazie!
Un'ultima domanda:
come funziona la procedura di denuncia di cui parla? Deve nascere da un processo in cui uno è accusato per coltivazione oppure chiunque può avanzare questo tipo di denuncia di propria iniziativa?

Se fosse valido il secondo caso, oltre a farla Lei la denuncia non sarebbe male diffondere una lettera di denuncia pre compilata che chiunque può firmare e inviare per conto suo tramite posta ordinaria, o comunque consegnare di persona in Procura o alle f.d.o come denuncia personale.

Avrebbe una ancor maggiore possibilità di impatto positivo (avrebbe più possibilità di spingere la Corte a valutare la situazione), oltre a portare ad una riapertura del dibattito politico.

M'agganjo
28-02-14, 23:49
Una legge può essere "denunciata" alla corte costituzionale solo dal presidente della repubblica, dal governo, dal parlamento e da un giudice.
O almeno così ricordo mi disse il mio professore di diritto:biggrin2:

KGB
01-03-14, 02:04
ah
quindi conferma il mio sospetto che l'iter da seguire è ancora quello che ha portato alla precedente analisi della finigiovanardi (partendo cioè da ricorsi in processi in corso o appelli)

Avv. Zaina
01-03-14, 08:22
Ha ragione M'agganjo, la questione di costituzionalità nel nostro caso può venire sollevata nel corso di un processo dal giudice su istanza di una parte.
Reputo, però, necessario abbinare al profilo strettamente giuridico anche una partecipazione generale alla questione, una pubblicizzazione del problema.
E', infatti, necessaria una strategia ampia perché fortissime saranno le resistenze proibizioniste.
Oltre alla fondatezza giuridica della questione, sulla quale sto approfondendo le mie conoscenze, credo si debba cercare - in appoggio - di privilegiare l'informazione ragionata sulla liceità della coltivazione domestica e su alcun sue peculiarità (vantaggi rispetto all'acquisto presso pushers, genuinità del prodotto, controllo del livello di thc etc,).

Yomi
01-03-14, 08:31
Come a Tossa de Mar .. 3 piante a testa .. CSC ovunque ... ma possibile che la Spagna sembri su un altro pianeta????:icon_rambo:

KGB
01-03-14, 19:49
@Avv. Zania
Io credo che dal punto di vista logico non faccia una piega sostenere che la 309/90 è in contrasto con la GAI-2004.
Se si riuscirà a ottenere l'attenzione della Corte Costituzionale siam già a metà strada.

Dico "solo" metà strada perchè ho letto il testo delle motivazioni, depositato dalla Corte, e mi pare di capire che dire che una legge è incostituzionale poichè in contrasto col GAI/2004 abbia dei limiti.

Dalle motivazioni (per quel che ne ho capito io leggendole) pare che la Corte abbia detto qualcosa del tipo: (citaz. sintetica, non letterale)
<<La finigiovanardi può essere, o meno, in contrasto con la GAI. Ciò non toglie che la GAI dà indicazioni poco specifiche e quindi pare eccessivo considerare l'incostituzionalità basandoci solo su quest'argomeno [sull'arg. di contrasto fra legge italiana e GAI] >>

Insomma, per quanto riguarda la logica chiunque (anche Giovanardi) può arrivare alla conclusione che la 309/90 (e, a maggior ragione la "vecchia" legge finigiovanardi) è in contrasto coi principi GAI/2004.

Però un conto è la logica, altro conto è il peso effettivo di GAI/2004 sulle leggi degli stati europei:
1) indicazioni generali e poco specifiche
2) non è chiaro se sia solo un parere oppure se è qualcosa di fortemente vincolante.

Questa è l'impressione che m'ha dato la Corte Cost. quando ho letto il loro testo.
È corretto o forse ho mal interpretato? :(

Spero di sbagliarmi

Avv. Zaina
01-03-14, 23:31
Vede la 757/GAI/2004 e' stata ritenuta dalla Corte Costituzionale un punto fermo, perché se con l'abrogazione della L. 49/2006 non si fosse ripristinata la vigenza del DPR 309/90, l'Italia sarebbe incorsa in una forma di grave contrasto con quelle norme europee che sanzionano alcune condotte.
Da questo punto di partenza dobbiamo muovere perché la 757/GAI/2004 in primo luogo non si può applicare solo per alcuni aspetti e non per altri, ma soprattutto, tale complesso normativo sancisce che tutte le condotte che siano finalizzate all'uso personale, in quegli stati che non puniscono l'uso personale (e l'Italia e' tra questi) non vanno sanzionate.
Dunque è una previsione vincolante - a mio avviso - per il nostro ordinamento, perché esiste la condizione pregiudiziale della non punibilità del consumo.
Quindi e' illogico, irragionevole e crea disparità di trattamento ammettere (come avviene nel DPR 309/90) la esimente dell'uso personale solo in relazione ad alcune condotte e non estenderla a tutte quelle che possono effettivamente essere in un rapporto di interrelazione funzionale (come la coltivazione).
Questo sinteticissimamente il mio ragionamento

KGB
02-03-14, 00:28
grazie per la spiegazione. :polliceu:
Ora mi sento più ottimista.

Quindi mettiamo che entro un breve periodo (giorni/settimane), in un processo in corso riguardante coltivazione personale, un'imputato decidesse di far ricorso alla Corte riguardo l'incompatibilità della 309/90 con GAI/2004...
.. Quanto tempo ci vorrebbe (minimo e massimo) perchè poi arrivi la sentenza della Corte ?
Da "qualche mese" a "un anno o più" ?
È possibile fare una stima/previsione ?

------------------
OT:
Scusate la trepidazione :) ma la notizia mi fa sentir addirittura meglio di un uruguayano.

EUFORIA!!
altro che leggi pro-legalizzazione!
Con Renzi al governo una legge antipro era diventata ormai un lontano miraggio..
E invece ora! questa bella notizia!!

я очень рад!!!!! :yuppi23jz: :dance: :tree: :watchplant: :grow: :ssmokeit: :greenstars: :a_smil12_1_:

Avv. Zaina
02-03-14, 08:35
Guardi io non desidero suscitare facili entusiasmi, perché la procedura e' sempre condizionata dal fatto che il giudice davanti al quale si celebra il processo decida che la eccezione non e' manifestamente infondata e trasmetta gli atti alla Corte Costituzionale.
Io sono molto cauto perché ho dovuto constatare nell'esperienza precedente - quella che ha portato all'abrogazione della L. 49/2006 - sia per preconcetti, che per poca volontà di accogliere questioni nuove, sia per ignoranza della materia (basti leggere quello che scriveva la Avvocatura di Stato a contrasto dell'eccezione), i giudici hanno opposto ostacoli di sorta impedendo, ritardando e limitando o la trasmissione delle questioni alle Consulta.
Anche per queste ragioni ritengo necessaria una mobilitazione culturale e sociale di supporto alla battaglia giuridica.

KGB
03-03-14, 17:22
@Avv. Zania
Se esiste un forum/associazione di avvocati su Internet (spero esista), fossi in lei diffonderei il più possibile questa informazione.

Non credo siano rari i casi di gente che per autoproduzione finisce nelle grinfie della giustizia, sarebbe quindi utilissimo far girare la voce il più possibile nel suo ambiente, in modo tale che la Corte Costituzionale alla fine riceva non una sola ma parecchie richieste di valutazione.

Aumenterebbero così a dismisura le possibilità di una pronuncia e si ridurrebbe anche il tempo necessario per ottenere risultati :polliceu:

Il mio vuole solo essere un suggerimento, forse questa cosa già la sta facendo..

-----------------
Sarebbe utile anche un'azione di passaparola da parte degli utenti che leggono a tutti i conoscenti:

Se l'informazione riesce a raggiungere ogni imputato e ogni potenziale imputato allora ci sarebbero una marea di ricorsi del genere e i tribunali e la Corte Cost. non potrebbero più tirarsi indietro.

KGB
03-03-14, 23:49
ho trovato questo:
http://www.encod.org/info/MANUAL-TO-CREATE-A-CANNABIS-SOCIAL.html

(qua la discussione aperta sul forum: http://enjoint.info/forum/showthread.php?goto=newpost&t=23308 )

Non è che magari, ora che è tornata la 309/90, un CSC italiano è ancora più possibile?

Avv. Zaina
05-03-14, 22:24
Desidero informarvi che la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che dichiara la illegittimità costituzionale della L. 49/2006 e' stata pubblicata oggi sulla G.U. N. 11 serie Corte Costituzionale.
Da questo momento - ai sensi dell'art. 136 Cost. - si producono per intero gli effetti della sentenza e quindi possono essere presentati, per chi non lo avesse ancora fatto, gli incidenti di esecuzione ex art. 673 CPP, avverso le sentenze già definitive, senza timore che vengano dichiarati inammissibili.
Segnalo, inoltre, che le nuove problematiche che vanno affrontate non sono solo quelle della coltivazione (come vi ho già anticipato), ma anche quella dell'individuazione della esatta formulazione della lieve entità (comma 5 art. 73) .
Vi è già qualche sentenza della Cassazione che cercherò di illustrarvi.

Avv. Zaina
07-03-14, 22:24
Segnalo il link che segue e che riguarda la decisione della Regione Abruzzo di autorizzare la prescrizione di farmaci a base di cannabis o di prodotti galenici che contengano cannabinoidi.

http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_07/cannabis-ad-uso-terapeutico-ok-governo-legge-abruzzese-743c342a-a624-11e3-b663-a48870b52ff3.shtml

M'agganjo
07-03-14, 23:00
Avvocato, secondo lei questo si può evolvere in una legge a livello nazionale?

KGB
08-03-14, 03:13
Avv. Zaina
Qua: http://fuoriluogo.it/sito/home/mappamondo/europa/italia/rassegna_stampa/consulta-per-le-droghe-subito-la-riforma

c'è scritto che la legge attuale è incasinata e pare che la fini giovanardi non sia stata del tutto cancellata, infatti la Corte ha rimosso solo due articoli su 23.
Pare che anche gli altri articoli siano ovviamente incostituzionali ma la Corte non li ha ancora cancellati e forse servirebbe una nuova consultazione per togliertli ...

Ma gli altri articoli di cosa trattano? finanziamente alle comunità, istituzione del DPA e robe simili?

Il DPA, essendo nato dalla fini-giovanardi non è illegittimo anch'esso?

Come si può sollevare una richiesta di valutazione costituzionale in questo caso, dato che gli articoli che istituiscono il DPA non sono penali e quindi non possono essere contestati durante un processo?

Credo che una cancellazione del DPA sia un utile passo iniziale per una riforma della legge, sennò in Italia continuerà a esserci la pressione/propaganda dell illegittimo DPA e sarà difficile fare passi avanti..
.. molti, nell'opinione pubblica e fra i politici, ancora non si rendono conto che il DPA, a questo punto, non dovrebbe più esistere (per legge!) e che è solo un organo di propaganda politica.

EDIT: l'articolo dice anche che "Al suo posto rivivono le mai validamente abrogate norme della legge Vassalli-Jervolino, come emendate dal referendum del 1993 (di cui però, la sentenza tace)." Vuol dire che il risultato del referendum del 1993 è stato rispettato solo in maniera parziale?

-------------------
OT:
le segnalo anche: http://enjoint.info/forum/showthread.php?goto=newpost&t=23308
ENCOD sostiene che nei paesi EU in cui il consumo è depenalizzato è possibile aprire CSC.
È vero?

Avv. Zaina
08-03-14, 15:09
Avv. Zaina
Qua: http://fuoriluogo.it/sito/home/mappamondo/europa/italia/rassegna_stampa/consulta-per-le-droghe-subito-la-riforma

c'è scritto che la legge attuale è incasinata e pare che la fini giovanardi non sia stata del tutto cancellata, infatti la Corte ha rimosso solo due articoli su 23.
Pare che anche gli altri articoli siano ovviamente incostituzionali ma la Corte non li ha ancora cancellati e forse servirebbe una nuova consultazione per togliertli ...

Ma gli altri articoli di cosa trattano? finanziamente alle comunità, istituzione del DPA e robe simili?

Il DPA, essendo nato dalla fini-giovanardi non è illegittimo anch'esso?

Come si può sollevare una richiesta di valutazione costituzionale in questo caso, dato che gli articoli che istituiscono il DPA non sono penali e quindi non possono essere contestati durante un processo?

Credo che una cancellazione del DPA sia un utile passo iniziale per una riforma della legge, sennò in Italia continuerà a esserci la pressione/propaganda dell illegittimo DPA e sarà difficile fare passi avanti..
.. molti, nell'opinione pubblica e fra i politici, ancora non si rendono conto che il DPA, a questo punto, non dovrebbe più esistere (per legge!) e che è solo un organo di propaganda politica.

EDIT: l'articolo dice anche che "Al suo posto rivivono le mai validamente abrogate norme della legge Vassalli-Jervolino, come emendate dal referendum del 1993 (di cui però, la sentenza tace)." Vuol dire che il risultato del referendum del 1993 è stato rispettato solo in maniera parziale?

-------------------
OT:
le segnalo anche: http://enjoint.info/forum/showthread.php?goto=newpost&t=23308
ENCOD sostiene che nei paesi EU in cui il consumo è depenalizzato è possibile aprire CSC.
È vero?

Devo confessare che l'articolo non mi pare brilli per chiarezza e possa creare alcuni fraintendimenti.
Comunque ciò che pare pacifico ed indiscutibile che la dichiarazione di incostituzionalità della FINI-GIOVANARDI ha messo a nudo la circostanza - che spesso mi sono permesso di evidenziare attirandomi strali di alcuni - che il ripristino della JERVOLINO-VASSALLI non ha risolto i problemi, anzi.
L'unico elemento positivo consiste nell'effetto indotto della diversificazione di pene tra droghe leggere e droghe pesanti, in casi di reati conclamati.
Ma per quanto attiene alla coltivazione nulla è innovato, per quanto attiene, poi, alla detenzione si ritorna al regime vigente dopo il referendum del 1993.
In relazione al referendum - e per rispondere al suo dubbio - io credo che lo spirito del referendum (che abrogava la dose media giornaliera e i condizionamenti che tale parametro produce su altre situazioni regolate dagli artt. 75 e 76) sia stato rigorosamente rispettato.
Devo, però, osservare che il legislatore non ha dato corso ad un intervento normativo che meglio e più esplicitamente regolamentasse la detenzione finalizzata al consumo e si adeguasse - a partire dal 2004 - ai paradigmi che la UE ha sancito, indicando la non punibilità di tutte quelle condotte che risultino propedeutiche al consumo personale, negli ordinamenti, come il nostro, che non lo puniscono.
Dunque la mannaia della corte Costituzionale è intervenuta (indirettamente) esclusivamente sulle norme penali espressamente modificate dalla L. 49/2006 e anche su tutte quelle ulteriori norme (sempre di carattere penale) che pur non facendo parte direttamente di quella modifica si ponessero in correlazione con essa o da essa dipendessero.
Per quanto concerne i profili amministrativi - ad esempio il DAP e la regolamentazione delle comunità -io credo che due potrebbero essere le linee.
Una potrebbe essere quella di riformare profondamente il DAP tramutandolo da organo di pura propaganda repressiva, in struttura di informazione, di approfondimento e di coordinamento di attività di ricerca e di studio e sia giuridica, che medica (ricordo come il DAP, senza che alcuno dei tanti nuovi legislatori abbia mai presentato una interrogazione parlamentare, non convochi più la conferenza sulle tossicodipendenze dal 2009!)
Ad esso potrebbero partecipare anche associazioni riconosciute che operino nel settore degli stupefacenti o delle tossicodipendenze.
Non dimentichiamo mai, infatti, che trattando la materia degli stupefacenti non possiamo avere occhi solo per la cannabis, ma si devono affrontare le tematiche concernenti i derivati della coca o del papavero che mi paiono indubbiamente assai pericolosi e non sottovalutabili.
L'altra, più radicale è evidentemente quella dello scioglimento del DAP.
Ma mi chiedo, non sarebbe più utile e razionale, in funzione della prima delle due ipotesi, sottrarre il DAP dal controllo della Presidenza del Consiglio e, soprattutto, cambiarne i vertici, o meglio, cambiare sia il referente politico, che colui che lo rappresenta in ogni media dove possa avere visibilità senza contraddittorio...inizia per S e finisce per I.
Un euro a chi indovina!

PS E' evidente che un chiarimento sulla condizione penale della detenzione agevola sicuramente il cammino dei CSC:specool:

KGB
08-03-14, 16:05
grazie della risposta.

riguardo al DPA, chiamandosi "Dipartimento politiche antidroga" credo che abbia già in partenza una predisposizione proibizionista.

Sarebbe meglio se venisse abolito, inoltre esistono già i Sert per la questione di recupero dalle tossicodipendenze e poi il nome del DPA dà l'idea di un qualcosa di poliziesco e repressivo... quindi anche il Ministero della Salute sarebbe di gran lunga più adatto a occuparsi del tema, anzichè un "DPA" (o "DAP" .. ancora non ho capito bene come s'abbrevia .. appare ovunque in entrambi i modi)

Poi ho trovato questo:
"Federserd e DPA chiedono il divorzio"
http://www.fuoriluogo.it/sito/home/mappamondo/europa/italia/rassegna_stampa/federserd-e-dpa-chiedono-il-divorzio

Non ho capito se è una federazione dei Sert * , se lo fosse sarebbe un'ottimo sostituto del DPA e il DPA sarebbe ancor più superfluo...

* o forse comprende anche le comunità ? (in quel caso allora no, non varrebbe certo come sostituto.. )

Avv. Zaina
10-03-14, 13:04
BREVI OSSERVAZIONI
IN RELAZIONE ALL'ART. 73 COMMA 5° DPR 309/90 .

Ai fini di una corretta esposizione del tema, deve essere premessa la considerazione che l’abrogazione per declaratoria di incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272 30 dicembre 2005, convertito nella L. 49 del 21 febbraio 2006, intervenuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014), ha determinato la riviviscenza delle norme anteriormente vigenti e, dunque, in primo luogo – ai fini che ci occupano – dell’integrale testo dell’art. 73 del dpr 309/90, così modificato dal dpr 5 giugno 1993 n. 171 attuativo il referendum tenutosi il 18 aprile 1993.
La Consulta, infatti, dichiarando l’incostituzionalità dei due articoli del citato DL 272/2005 (e, di conseguenza, della L. 49/2006) in relazione all’art. 77 comma 2 Cost., ha ordinato testualmente di rimuovere “le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 ”.
Dunque, ritorna, naturalmente, vigente la dicotomia sanzionatoria fra sostanze cd. “pesanti” (inserite nelle tabelle I e III dell’art. 14) e sostanze cd. “leggere” (inserite nelle tabelle II e IV dell’art. 14).
Parrebbe, pertanto, che, in sede di eventuale applicazione dell’istituto della lieve entità, non vi possano essere dubbi di sorta, posto che la decisione della Corte Costituzionale è apparsa talmente tranciante e radicale, in quanto ha investito, tra quelli eccepiti, il profilo di maggiore ampiezza (vale a dire, cioè, quello concernente l’aspetto della procedura di conversione del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272 nella L. 21 febbraio 2006 n. 49).
E così, appare sul piano strettamente formale.
Il giudice delle leggi ha, infatti, affermato inequivocabilmente– nella ricordata sentenza - che “gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.
Dunque, secondo quanto affermato nella recente sentenza della Sez. IV della Corte di Cassazione, n. 10514/14 (28.2/5.3.2014), sul piano formale è intervenuto un diretto innesto del disposto dell'art. 2 D.L. 146/2013, nel corpus dell'art. 73, quale esso risulta nel testo ripristinato dalla declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272/20051.
L’applicazione concreta e tout court di tale interpretazione incontra, però, un limite.
E' bene ricordare che la grande novità che connota l'art. 2 del recente D.L. 23 dicembre 2013 n. 146 (conv. nella L. 10 del 21 febbraio 2014) consiste nella modifica strutturale e sostanziale dell’istituto della lieve entità.
Esso, da circostanza attenuante ad effetto speciale è, infatti, divenuto reato autonomo, con riduzione della pena massima edittale, ma, contemporaneamente, con la previsione di un medesimo ed unico trattamento sanzionatorio2 , tra droghe pesanti e droghe leggere.
La scelta di prevedere un'unica pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, (la quale ha affermato che, però, la sentenza n. 32 non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale3, ma prima della pronunzia relativa), induce al sospetto di incostituzionalità, e, comunque, di un irragionevole contrasto, quoad poenam con il complessivo testo dell'art. 73 tornato vigente.
Va osservato, inoltre, che alla luce di quella che, allo stato, pare dal giudice di legittimità, accreditata come interpretazione autentica, la sospetta incostituzionalità dell'art. 73/5° come modificato dall'art. 2, troverebbe ulteriore supporto nel ripristino della ripartizione delle sostanze stupefacenti nelle quattro tabelle portate dall’art. 14, che risponde a criteri che intendono come preminente l'offensività e la pericolosità effettiva, specifica e concreta delle singole circostanze.
A tale considerazione andrebbe aggiunta anche la intrinseca contraddizione di cui si connota la norma in parola, la quale introduce un ingiustificato doppio binario sanzionatorio, per condotte identiche nella loro struttura materiale e differenziate, solamente, nella loro portata offensiva esterna.
In proposito sia consentito osservare che anche la giurisprudenza di legittimità non appare in grado di fornire convincenti soluzioni sul tema.
Recentissimamente, infatti, la già citata sentenza 10514/14 ha sostenuto, (suscitando, peraltro, rilevanti perplessità), che il trattamento sanzionatorio unitario previsto dalla riformulazione del comma 5° secondo il disposto della L. 10/2014, non solo risulterebbe compatibile – pur nella sua diversità - con la complessiva struttura della norma incriminatrice in questione (l'art. 73), ma, addirittura, non sarebbe ravvisabile irragionevolezza nell'obbiettivo contrasto tra “la norma introdotta dal citato art. 2, con il parametro costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione”.
Sostiene, in proposito, il Collegio di illegittimità che il legislatore avrebbe, per nulla irragionevolmente, deciso di svalutare “il rilievo della natura della sostanza stupefacente tratta........a fronte di specifiche modalità del fatto criminoso, tali da rivelarne la concreta ed obbiettiva ridotta idoneità offensiva..”.
Si tratta di una spiegazione che non convince, perchè le modalità del fatto cui la Corte di Cassazione opera riferimento – in realtà – già vengono utilizzate nella ratio della norma attenuatrice, come paradigma per definire il livello dell'entità della condotta.
La Corte, quindi, finisce per confondere quei parametri che – espressamente previsti dal comma 5° - costituiscono l'elemento essenziale, l'in sé, che qualifica e differenzia tale disposizione di legge rispetto alla previsione ordinaria dei commi 1 e 4 dell'art. 73, (in quanto essi distinguono il grado di particolare allarme e di specifica pericolosità – soggettiva - che condotte tassativamente individuate suscitano intrinsecamente), con quella che, invece, appare una ratio filosofica fondamentale del legislatore del 1990, e che attiene ad una forma di pericolosità distinta e totalmente autonoma rispetto a quella precedente esaminata, perchè essa, invece, di natura oggettiva, siccome correlata con la tipologia dello stupefacente.
Neppure il successivo richiamo al potere discrezionale del giudice – che si ricollega ad una presunta pluralità di soluzioni sanzionatorie – pare conclusione priva di pregio giuridico, posto che esso riprende una considerazione (svolta in sede di giudizio di costituzionalità dalla Avvocatura di Stato, onde sostenere la legittimità del trattamento unico sanzionatorio introdotto con il D.L. 272 del 2005), che la sentenza della Consulta ha mostrato di non tenere in alcun conto.
D'altronde, il problema della coerenza intrinseca di una norma complessa, quale appare l'art. 73 – vera architrave della disciplina penale del diritto degli stupefacenti – non può essere risolto con affermazioni stilemiche od astratte.
Sia consentito, altresì, osservare che la tesi espressa dalla Suprema Corte non tiene in debito conto anche di altri rilevanti profili, riconducibili al tema in questione.
La pena prevista dall'art 73/5° modificato ex art. 2 L. 10/2014, mentre appare sostanzialmente differente e radicalmente inferiore rispetto a quella prevista dal comma 1° dello stesso articolo (che disciplina le sostanze contenute nelle tabelle I e III)4, evidenziando, così, il carattere di effettiva minore offensività, peculiarità propria della lieve entità, non presenta, invece, le stesse rilevanti differenze rispetto alla pena portata dal comma 4° (che, a propria volta, disciplina le sostanze contenute nelle tabelle II e IV).
Si può, infatti, notare tale omogeneità, in quanto mentre la pena prevista dal comma 5° dell'art 73, come modificato ex art. 2 L. 10/2014, è della reclusione uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000, quella del 4° comma del testo ripristinato è della reclusione da due a sei anni e della multa da € 5.164 a € 77.468.
Dunque, i dati normativi sopra richiamati evidenziano – oggettivamente – una grave, quanto illogica ed ingiustificata disparità di trattamento fra condotte del tutto simili, atteso che a fronte di un sensibile divario del quantum di pena (fra l'ipotesi ordinaria del 1° e quella lieve del 5° comma) per quanto concerne le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle I e III (quindi – paradossalmente – per eroina, cocaina etc. sostanze di maggiore intrinseca pericolosità), non corrisponde una analoga proporzione, fra l'ipotesi di pena ordinaria del 4° e quella della lieve del 5° comma, per quanto concerne le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle II e IV, che – in tutta evidenza- esprimono una minore pericolosità.
La quasi coincidenza dei trattamenti sanzionatori fra 4° comma e nuovo 5° comma, appare un'opzione che, oltre a creare un grave problema di coordinazione tra il nuovo specifico testo e la complessiva struttura dell'art. 73, rimasta in vigore, risulta assolutamente irragionevole e confliggente con l'art. 3 Costituzione e penalizza le condotte di lieve entità riguardanti la cannabis.
Il vizio di irragionevolezza è palesemente rinvenibile nel citato trattamento di maggiore favore che (espresso attraverso la notevole differenziazione fra la pena ordinaria e quella attenuata) concerne sostanze che esprimono una maggiore pericolosità, a scapito di quelle meno pericolose.
La lesione del diritto di uguaglianza deriva dal fatto che la diminuente in questione (sia ritenuta circostanza o reato autonomo) poiché appare applicabile attraverso l'adozione dei medesimi parametri valutativi a tutta una serie di condotte, aventi ad oggetto tutte le sostanze stupefacenti, deve operare in modo da non violare un principio di reale proporzionalità ed adeguatezza della sanzione al fatto ed all'offensività che lo stesso esprime.
Non pare, quindi, razionale, nè giustificabile la scelta normativa che adotti, in relazione alle droghe riconducibili alle tabelle I e III, una proporzione di riduzione nei minimi edittali da otto anni ad un anno (pari ad una diminuzione sulla base percentuale dell'87%) e nei massimi edittali da venti a cinque anni (pari ad una diminuzione su base percentuale del 75%), mentre risulta ictu oculi che le proporzioni di riduzione relative alle droghe riconducibili alle tabelle II e IV, non appaiono minimamente simmetriche a tali criteri.
Quello sin esposto, comunque, nella sua rilevanza appare un nodo che deve essere sciolto rapidamente, attraverso una nuova attribuzione al giudice delle leggi della valutazione in ordine alla compatibilità dell'art. 2 – e dell'art. 73 comma 5 così derivato - con la trama costituzionale vigente.

Avv. Zaina
24-03-14, 16:21
Cari amici
desidero informarvi di una interessante sentenza emessa oggi dal Tribunale di Ascoli Piceno, in un procedimento dove assistevo una persona imputata di coltivazione di 3 piante di altezza media di mt. 2 e della detenzione di complessivi gr. 280 di marjiuana (in quattro campioni) con un principio attivo che andava dal 13,9% al 22%, si da ricavare circa 1560 dosi e che superava di 76,80 volte la quantità massima detenibile (pari a 500 mg.).
Il Tribunale ha assolto la persona dal reato di coltivazione.
Allo stato attuale non sono pubblicate le motivazioni ma è ragionevole ritenere che il giudice abbia tenuto conto della dedotta circostanza della assenza di una analisi specifica (era stato operato un controllo con il solo reagente DUQUENOIS) sulle piante.
L'assenza di tale verifica - anche se il DUQUENOIS aveva dato esito positivo - è decisiva, (ancor prima di stabilire se il risultato della coltivazione era destinato ad un uso personale o meno) in quanto non era dato sapere il sesso delle piante, il quantitativo effettivo di thc che ciascuna di esse potesse contenere ed anche perchè il DUQUENOIS (nella letteratura scientifica) è conosciuto come un reagente poco affidabile, perchè crea molti risultati "falsi positivi".
Dunque, coltivare in sè non può essere ritenuto presuntivamente un reato ed una volta verificati alcuni dati tecnici si dovrà valutare anche se i prodotti della coltivazione siano destinati o meno al mercato dello spaccio.
Il secondo aspetto importante è stato dato dal fatto che la condotta di detenzione dei gr. 280 è stato qualificata come ipotesi di lieve entità ed è stata inflitta la pena di 8 mesi di reclusione, utilizzando la pena prevista dal testo dell'art. 73 comma 5° ripristinato dalla sentenza della Corte costituzionale.
E' plausibile ritenere che il Tribunale abbia ritenuta che solo una modestissima parte dello stupefacente detenuto potesse essere destinata a terzi, mentre la gran parte ben avrebbe potuto soddisfare il fabbisogno del detentore.
E' importante, quindi, il giudizio di limitata offensività e pericolosità della condotta che ha comportato una pena certamente modesta.

the.pitbull
24-03-14, 18:28
280gr me li fumo in 2 mesi. Non è giusto.

Avv. Zaina
24-03-14, 19:32
280gr me li fumo in 2 mesi. Non è giusto.

Perchè non è giusto?

the.pitbull
24-03-14, 20:27
Il secondo aspetto importante è stato dato dal fatto che la condotta di detenzione dei gr. 280 è stato qualificata come ipotesi di lieve entità ed è stata inflitta la pena di 8 mesi di reclusione, utilizzando la pena prevista dal testo dell'art. 73 comma 5° ripristinato dalla sentenza della Corte costituzionale.
E' plausibile ritenere che il Tribunale abbia ritenuta che solo una modestissima parte dello stupefacente detenuto potesse essere destinata a terzi, mentre la gran parte ben avrebbe potuto soddisfare il fabbisogno del detentore.
E' importante, quindi, il giudizio di limitata offensività e pericolosità della condotta che ha comportato una pena certamente modesta.

Non trovo giusto, che si infligga quella pena, seppur modesta, per un quantitativo che certe persone utilizzano in un mese.

Avv. Zaina
24-03-14, 21:53
Il problema e' che nel caso di specie il giudice non ha ritenuto che la detenzione dell'intero quantitativo fosse destinato ad uso personale, perché frazionato in più campioni e perché oltre a contenere elevati livelli di principio attivo, i campioni erano disomogenei tra loro.

M'agganjo
24-03-14, 22:11
Disomogenei tra loro = erano diverse varietà di cannabis?

Avv. Zaina
25-03-14, 07:05
Erano campioni che presentavano percentuali di thc tra loro molto differenti

KGB
25-03-14, 09:05
Maradona e Pelè



(humor mattutino)

Avv. Zaina
25-03-14, 10:58
Mai fumare prima di essersi svegliato completamente ed avere fatto colazione...

Avv. Zaina
25-03-14, 13:24
Torniamo seri.
Desidero segnalarvi in tempo quasi reale (l'udienza e' finita con la lettura della sentenza circa 30' fa ed ora sono in treno) una decisione del GUP presso il tribunale di Lecco che ha assolto un giovane che assistevo in relazione alle accuse di detenzione/acquisto di gr. 25 di hashish ed alla coltivazione di 8 piante, peraltro rinvenute in una serra ben attrezzata.
Come usuale dovremo attendere almeno 15 giorni per le motivazioni, ma credo di potere sin d'ora affermare che due possono essere gli aspetti salienti attraverso i quali si è' giunti alla assoluzione.
Per quanto riguarda la detenzione non solo il PM non ha fornito la prova di una destinazione dello stupefacente acquistato a scopi diversi dal consumo personale, ma da parte mia (come difesa) ho mirato a dimostrare che il mio assistito non aveva necessità di spacciare, nemmeno una minima parte.
Prova ne è stata altresì il mancato rinvenimento di strumenti che si possano utilizzare per confezionare dosi per la cessione, il fatto che il giovane ha un lavoro continuativo e lo stesso quantitativo di hashish che non appariva munito di elevato principio attivo.
Dunque detenzione ad uso personale.
Per quanto concerne la coltivazione, invece, ritengo che sia valido il ragionamento che il solo accertamento generico della presenza di thc, senza che l'analisi tossicologica venga svolta specificamente pianta per pianta, si da avere un quadro analitico e non sintetico della situazione, non può essere sufficiente, perché penalizzerebbe il diritto di difesa dell'imputato.
Questo è' un aspetto preliminare e, comunque, propedeutico alla verifica della ricorrenza della coltivazione domestica, perché permette di verificare e confermare (anche nel caso in cui le piante siano abbastanza numerose) la finalizzazione della coltura ad una necessità personale.
Si deve, infatti, desumere quante piante fossero femmine, quante in grado di produrre thc, quanto thc fosse presente ed in quale percentuale.
Attraverso questi parametri si può, quindi, rilevare la fondatezza dell'assunto difensivo.
Resta comunque la convinzione (e la soddisfazione) del fatto che le posizioni preconcette in merito alla coltivazione ( pur in assenza di una concreta normativa) stanno venendo meno progressivamente.

Avv. Zaina
02-04-14, 11:44
Cari amici
Anche il GUP di Pisa ha assolto uno di voi imputato sia di coltivazione, che di detenzione.
Come al solito le motivazioni saranno depositate tra 60 giorni, ma appare importante affermare che, qualunque, sia il ragionamento che verrà sviluppato, e' indubbio che sta prendendo piede il principio che la coltivazione intesa in se non può essere presuntivamente ritenuta illecita.
Il giudice, quindi non può ritenere reato il solo seminare (come sosteneva la Cassazione recentemente) ma come vado dicendo da tempo deve valutare sia l'idoneità delle piante, il loro numero ed il fine (personale) della coltivazione.
Un altro passo avanti, anche se la strada e' ben lunga.

smoked_Clyde
03-04-14, 10:58
Avvocato buongiorno!
Da ieri gira questa notizia, vorrei chiedere a lei quanto veritiera visto che lei sa leggere i ddl!
Il succo del discorso è che nel ddl svuota carceri è stata inserita una norma che porta la coltivazione dalla punizione penale a quella amministrativa....
Sarebbe un GRAAAAAANDE passo in avanti....

EDIT: ho letto che c'è già un thread...

Avv. Zaina
04-04-14, 21:50
Avvocato buongiorno!
Da ieri gira questa notizia, vorrei chiedere a lei quanto veritiera visto che lei sa leggere i ddl!
Il succo del discorso è che nel ddl svuota carceri è stata inserita una norma che porta la coltivazione dalla punizione penale a quella amministrativa....
Sarebbe un GRAAAAAANDE passo in avanti....

EDIT: ho letto che c'è già un thread...

Spiace deluderla ma è l'ennesima bufala.

Avv. Zaina
04-04-14, 21:57
Desidero informarvi che stamane il GUP presso il Tribunale di Cuneo ha assolto un mio assistito dall'accusa di detenzione a fini di spaccio di un quantitativo globale di circa 45 grammi tra marijuana ed hashish rinvenuto in cinque tra barattoli e buste .
Devo dire che - nonostante le motivazioni saranno rese note fra 15 giorni - si possa ipotizzare che il modesto quantitativo variabile del thc (dall' 1% al 10%) rinvenuto in ciascuno dei reperti sequestrati, abbia potuto dimostrare che si trattasse di una piccola scorta a scopi personali.

Randagio
05-04-14, 09:29
Devo dire che - nonostante le motivazioni saranno rese note fra 15 giorni - si possa ipotizzare che il modesto quantitativo variabile del thc (dall' 1% al 10%) rinvenuto in ciascuno dei reperti sequestrati, abbia potuto dimostrare che si trattasse di una piccola scorta a scopi personali.

Mi scusi avvocato, in ogni caso non trovo il nesso tra "alta percentuale di principio attivo" e "spaccio"... :icon_study:

Se i 45gg fossero stati di buiona erba al 18% per esempio l'assoluzione sarebbe stata più difficile? Ma per quale motivo?

anzi, onestamente per assurdo penso che più è alto il principio attivo più lo reputo "per uso personale"! Il consumatore è più attento alla "qualità" di uno spacciatore... quindi il possesso di cannabis ad alto principio attivo, magari di diverse qualità, dovrebbero farmi risultare un "appassionato consumatore" che ci tiene a quello che fuma! IMHO

M'agganjo
05-04-14, 14:41
Anche a me questi criteri di indagine mi sembrano totalmente campati in aria, un non-sequitur fatto a sentenza.

Avv. Zaina
05-04-14, 14:57
Mi scusi avvocato, in ogni caso non trovo il nesso tra "alta percentuale di principio attivo" e "spaccio"... :icon_study:

Se i 45gg fossero stati di buiona erba al 18% per esempio l'assoluzione sarebbe stata più difficile? Ma per quale motivo?

anzi, onestamente per assurdo penso che più è alto il principio attivo più lo reputo "per uso personale"! Il consumatore è più attento alla "qualità" di uno spacciatore... quindi il possesso di cannabis ad alto principio attivo, magari di diverse qualità, dovrebbero farmi risultare un "appassionato consumatore" che ci tiene a quello che fuma! IMHO

Attualmente il parametro ponderale (vale a dire il peso lordo) assieme alla quantità di principio attivo costituiscono parametri certamente importanti per il giudizio di destinazione al consumo personale.
Per quanto riguarda il THC, poi, in caso di detenzione uno dei canoni che si usano è quello del rapporto con la q.m.d. di principio attivo, pari a mg 500.
La giurisprudenza ritiene che tale indicatore possa essere superato, ma che il superamento non debba essere di proporzioni eccessive.
Non vi è un tetto massimo prestabilito, quindi, il superamento - sempre che non sia ingente - può essere liberamente apprezzato dal giudice unitamente ad altri criteri oggettivi e soggettivi.
Condivido il suo ragionamento, ma lei deve tenere conto che, purtroppo, sino allo stato attuale, i giudici hanno conferito importanza asettica la peso, senza approfondire riflessioni quale quella che lei formula.
Tenga conto che ancora oggi in presenza di più distinti reperti, con percentuali differenti fra loro, i periti ed i giudici fanno la somma aritmetica dell'insieme!
Lei ha mai visto sommare tra bottiglie di vino che - pur del medesimo colore - presentino percentuali di alcol differenti?
Oppure ritiene corretto prendere ad esempio cinque arance. pesarne una sola, prelevare da essa il succo e poi - senza operare allo stesso modo con le altre quattro - moltiplicare i dati ottenuti da essa per cinque, per sostenere conclusivamente il peso complessivo lordo e del succo?

Avv. Zaina
05-04-14, 15:24
Ci si domanda, da più parti, quali siano, ad un esame non superficiale, le effettive conseguenze della recente sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del DL 272/2005, convertito nella L. 49/2006 (denominata FIN-GIOVANARDI), e ci si interriga se le stesse introducano innovazioni rilevanti e significative nel sistema di governo giuridico della materia degli stupefacenti.
Credo – a titolo estremamente personale – che si debba operare una duplice valutazione.
Sul piano della politica giudiziaria appare indubbio il messaggio di censura all’operato del legislatore, da parte della Consulta.
Vengono biasimate – relativamente alla procedura di adozione dei provvedimenti legislativi – le scelte dell’esecutivo di ricorrere, in primo luogo, allo strumento del decreto legge (attesa l’assenza di una minima ragione di urgenza ed indifferibilità, che costituiscono presupposti necessari per attivare l’istituto di cui all’art. 77 Cost. ), in secondo luogo, di avere stravolto, in modo assolutamente surrettizio, l’originario testo del D.L. 272/2005, attraverso modifiche strutturali che, rispetto allo stesso, appaiono prive di correlazione (si pensi che nel testo definitivo si vennero a prevedere ben 23 articoli, pur a fronte dell’unico originario articolo concepito nel DL in questione) ed, in terzo luogo, di avere occultato un intervento normativo così corposo, all’interno del decreto di rifinanziamento delle olimpiadi del 2006 di Torino.
Per quello che interessa in questa sede, è, dunque, importantissimo rilevare che la declaratoria di incostituzionalità, permette di ripristinare il regime precedente – quello sancito ab origine – proprio della JERVOLINO VASSALLI, il quale prevedeva un duplice, decisivo e distinto trattamento sanzionatorio fra droghe pesanti e droghe leggere.
Per queste ultime, quindi, si perviene ad un’attenuazione delle pene previste, posto che, in tal modo, si ritorna al regime di cui al comma 4° dell’art. 73 dpr 309/90 che prevede una pena da 2 a 6 anni (prima era da 6 a 20) oltre alla multa.
Questo tipo di sanzione può, quindi, essere applicata anche retroattivamente, in quanto più favorevole all’imputato.
Vale, pertanto, a dire che anche per condotte illecite commesse prima delle pronunzia del giudice delle leggi (12 – 25 febbraio 2014 pubblicata in G.U. il 6 marzo 2014), la pena da prendere a parametro, in caso di affermazione di penale responsabilità, è quella ripristinata a seguito della sentenza n. 32.
Si tratta di un indubbio vantaggio per tutti i procedimenti in materia marijuana ed hashish.
Per le droghe pesanti (cocaina, eroina extasy etc.), invece, il discorso appare del tutto differente, in quanto la riviviscenza del regime del dpr 309/90, determina, invero ed all’opposto, un inasprimento della sanzione detentiva che ora prevede un minino di 8 anni di reclusione (in luogo dei 6), fermo il massimo di 20 anni.
In questo caso e per questi motivi, come già affermato con uno recentissimo studio dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, la legge abrogata – che era, quindi, certamente ed indubbiamente più favorevole – continua a produrre effetto sino alle date sopra indicate (quanto meno al 6 marzo 2014 data di pubblicazione).
Quindi, solo per i fatti commessi dopo il 6 marzo 2014, riprende vigenza il più grave trattamento sanzionatorio.
Per quanto concerne, invece, il comma 5° dell’art. 73, norma che governa l’istituto della lieve entità, sono insorti dubbi che sono stati risolti nei termini che andrò a spiegare.
In primo luogo, si deve osservare che questa disposizione è stata modificata, recentemente dall’art. 2 D.L. 146/2013, convertito nella L. 10/2014, che ha modificato l’ipotesi lieve, portandola da circostanza attenuante ad effetto speciale in reato autonomo.
Se, dunque, siamo dinanzi ad una decisione strutturalmente condivisibile, non può, però, sfuggire a critica, la tempistica e le modalità dell’intervento che ha provocato e provoca tuttora una serie di problemi anche di natura costituzionale.
Per tutti, si deve osservare che l’attuale testo del comma 5°, che regola i casi insorti a partire dal 24 dicembre 2013, prevede una unica pena per qualunque sostanza stupefacente, in aperta contraddizione, quindi, con l’intonazione di fondo dell’art. 73, che – invece – distingue inequivocabilmente le sostanze.
Sorge, quindi, per tale elementare ragione, un evidente e profondo dubbio di costituzionalità, che avrebbe potuto essere evitato, solo che il governo LETTA avesse saputo e voluto attendere – per la modifica normativa in questione – la decisione della Corte Costituzionale, evitando di cercare – frettolosamente - facili ed inutili consensi, che hanno, di fatto, solo complicato il quadro legislativo.
Lo stesso Parlamento in ambito di conversione del DL 146/2013 avrebbe potuto intervenire, ma sembra che i nostri deputati e senatori, sempre assai convinti della loro preparazione di base, nello specifico frangente abbiano – invero – mostrato sia la scarsa conoscenza che il loro superficiale approccio allo specifico tema.
Riguardo al comma 5°, in relazione alla conseguenze introdotte dalla sentenza n. 32, si deve osservare che, per quanto attiene alla droghe leggere, vige il discorso fatto in precedenza, in relazione all’ipotesi ordinaria.
Vale a dire che il regime ripristinato, introduce un trattamento di evidente maggiore favore (pena da sei mesi a quattro anni di reclusione, oltre multa), che ha anche operatività retroattiva.
Per le droghe pesanti andranno, invece, effettuate alcune distinzioni.
Si deve, infatti, rilevare che la JERVOLINO-VASSALLI prevedeva anch’essa una pena della reclusione da uno a sei anni (oltre multa), sicchè, da un confronto fra i due testi, si deve concludere che non risulta differenza alcuna tra i due sistemi, in relazione ai fatti commessi a tutto il 23 dicembre 2013.
Per i fatti, invece, commessi dopo il 24 dicembre, l’art. 2 della L. 10/2014 appare di maggior favore, rispetto all’altra previsione normativa, perché il massimo edittale è di cinque anni, in luogo di sei.
Ovviamente tale norma non può, però, disporre retroattivamente.
Nulla muta, invece, ad avviso della scrivente, sia per la coltivazione, che per la detenzione.
1) Per la coltivazione resta la teorica previsione di reato di cui all’art. 73 dpr 309/90.
Uso il termine teorica, in quanto sempre più giudici di merito (e qualche timida decisione della Suprema Corte di Cassazione) aprono alla possibilità di ritenere che in specifiche situazioni la coltivazione non costituisca reato, sulla base dell’utilizzo di due parametri alternativi.
Il primo di essi è quello (propugnato da sempre dallo scrivente) che impone una valutazione peritale di natura individuale di ciascuna delle piante che vengano rinvenute e sequestrate.
Allo stato attuale, purtroppo, in troppi processi la consulenza tossicologica, viene svolta commettendo due errori prospettici fondamentali.
Il primo consiste nel fatto che, talora, si reputi sufficiente una verifica qualitativa, vale a dire che ci si accontenta di certificare la sola presenza generica di thc nei reperti.
Si tratta di opzione inaccettabile processualmente.
La presenza generica di thc non è affatto sufficiente a :
- precisare il sesso della pianta
- certificare la percentuale e l’effettivo quantitativo del principio attivo contenuto.
Questi due sono, infatti, dati fondamentali ed imprescindibili, onde comprendere, preliminarmente a qualsiasi altra valutazione, (qualunque sia il numero di piante), quali di esse potessero essere già in grado di produrre sostanze psicoattive.
Va sottolineato, poi, che non si può pensare presuntivamente che due o più piante possano essere identiche tra loro sul piano organolettico, anche se provengono dalla medesima tipologia di semi, anche se la semina è avvenuta nello stesso periodo.
E’ necessario, quindi, accertare in concreto – perché la coltivazione ove ritenuta reato, va considerata reato di pericolo concreto – tutti i caratteri genetici che contraddistinguono ogni vegetale.
Non esiste, quindi, una proprietà transitiva in base alla quale ciò che risulta in capo ad un reperto deve essere inteso come espressione comune ed identica per tutti i reperti, astrattamente della stessa specie.
Il secondo riguarda, invece, la contestazione della scelta di offrire conclusivamente una valutazione aritmetica di carattere globale e non di tipo individuale in ordine al thc rinvenuto.
Tale modus operandi, parte dal presupposto che è insito nell’utilizzo, indiscriminato, dell’improprio risultato di una somma dei singoli principi attivi contenuti in vegetali tra loro differenti.
Come detto in precedenza, non si può, affatto, operare un’indebita omologazione di una pluralità di piante, giacchè è dall’esame individuale di ciascuna di esse (e dalla verifica della rispondenza delle stesse agli stereotipi valutativi, scientifici, in essere) che si può pervenire all’individuazione di un’ipotesi di reato meno.
Quindi, affermare che, complessivamente inteso, il materiale coltivato (laddove si sia in presenza di più piante) presenti un certo principio attivo, oppure una certa percentuale di principio attivo, costituisce – ad avviso di chi scrive, per le ragioni dianzi esposte – l’espressione di un palese errore di carattere sistematico.
Sotto altro aspetto, si deve, poi, rilevare che si deve continuare a seguire la strada della relazione fra coltivazione ed uso personale.
In questo senso, al di là dei principi introdotti dalle notissime sentenza del G.M. di Ferrara o del GUP di Cremona, anche la Corte di Cassazione (sent. 12612/13 – 18 marzo 2013 Sez. Sesta) ha posto l’accento sul problema della offensività della condotta.
Si è, così, precisato che laddove il comportamento dell’agente (la coltivazione), anche se astrattamente idoneo a violare la norma, si riveli, in realtà, indirizzato a scopi di versi da quelli oggetto della tutela giuridica, non vi è reato.
Poiché la finalità teleologica del dpr 309/90 è quella di evitare la diffusione degli stupefacenti, una coltivazione che si orienti univocamente a soddisfare necessità personali del solo coltivatore, appare non confliggente con gli scopi tutelati.
Per la detenzione ritengo continuino a potere essere utilizzabili i criteri precedentemente previsti, in quanto – nonostante la sentenza n. 32/2014 – si tratta di criteri, taluni dei quali privi del carattere della tassatività, frutto anche di elaborazione fattiva giurisprudenziale, vero esempio di diritto vivente.
Vale, quindi, a dire che la sola detenzione di quantitativi non eccessivi (diciamo sino ad un centinaio di grammi, laddove il thc non sia particolarmente elevato) può essere ritenuta destinata al consumo personale, ove si sia in assenza di elementi che possano essere assunti come prove logiche di una predisposizione di attività di spaccio o, comunque, di cessione a terzi (sostanza da taglio, contatti personali o telefonici con terzi assuntori, presenza di strumenti per il confezionamento di singole dosi,), oppure laddove il detentore non risulti – a propria volta – assuntore.
Negli ultimi tempi questo indirizzo si concretizzato, tant’è che posso segnalare, in attesa della loro pubblicazione, le sentenze dei GUP di Lecco, di Pisa e ieri di Cuneo, che hanno concluso nel senso che prospetto.

Avv. Zaina
07-04-14, 16:17
Desidero segnalare che La Corte Suprema di Cassazione SETTIMA SEZIONE all'udienza CAMERA DI CONSIGLIO del 02/04/2014 ha annullato una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna, in secondo grado rispetto al GUP presso il Tribunale di Ravenna a carico di un mio assistito R.I., in materia di detenzione di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, rinviando, così, il procedimento ad altra Sezione della stessa Corte territoriale, per un nuovo giudizio in punto di quantificazione della pena. La sentenza in questione appare meritevole di segnalazione, in quanto si tratta di una delle primissime applicazioni degli effetti giuridici che derivano dalla sentenza n. 32 del 12-25 febbraio 2014 resa dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità del D.L. 272/2005 convertito nella L. 49/2006 (FINI-GIOVANARDI). In buona sostanza, appare assolutamente rilevante l'osservazione che che la Corte di Cassazione abbia considerato - facendo, così, buon governo dei principi dettati dal Giudice delle Leggi e ricordati espressamente da questo difensore con memoria scritta ad hoc tempestivamente depositata - che il ripristino della distinzione di pena fra droghe leggere e droghe pesanti, regime sanzionatorio previsto in epoca anteriore alla novella del 2006, sia in toto decisivo e del tutto assorbente rispetto a qualsiasi altra questione di diritto (in assenza di elementi che potessero orientare il Collegio ad un annullamento con nuovo esame in punto alla responsabilità), si che la pena in precedenza inflitta debba essere riconsiderata e rideterminata perchè divenuta "illegale". La operatività del principio di riviviscenza della pena prevista dalla legge JERVOLINO-VASSALLI (regime anteriore alla L. 49/2006) appare, inoltre addirittura prevalente rispetto alla eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Randagio
07-04-14, 17:04
Avvocato scusi la mia ignoranza, ma in questo caso annullare la sentenza fà finire tutto o viene aperto un altra procedimento?

Avv. Zaina
07-04-14, 18:52
Avvocato scusi la mia ignoranza, ma in questo caso annullare la sentenza fà finire tutto o viene aperto un altra procedimento?

Caro Randagio, la sua è domanda molto pertinente.
In questo caso l'annullamento è con rinvio, vale a dire che si ritorna in appello e che il procedimento di secondo grado viene rifatti, secondo le indicazioni ed i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione.

Avv. Zaina
08-04-14, 15:11
Da tempo sostengo che le perizie tossicologiche in materia di stupefacenti, spesso non vengono redatte in maniera corretta, in quanto i consulenti utilizzano criteri errati.
In materia di coltivazione, infatti, è assai raro che si dia corso ad una verifica di ogni singola pianta, venendo, invece, preferito il ricorso ad un criterio superficialmente qualitativo, teso ad acclarare la generica presenza di thc nei vegetali. E', invero, doveroso verificare il sesso di ogni pianta, lo stato di maturazione di ogni pianta, nonchè sia la percentuale che l'effettiva quantità di principio attivo di ciascuna pianta, onde inferire la idoneità concreta di ciascuno arbusto a produrre sostanza drogante. Non è ammissibile, dunque, un dato puramente generico. Per quanto attiene alla detenzione, invece, in presenza di più reperti, il consulente sovente opera un esame o campione (prendendo un solo reperto ed estendendo presuntivamente agli altri i dati, i risultati ottenuti), oppure compie una somma algebrica dei singoli risultati, anche in presenza di percentuali tra loro differenti e sostanziali diversità organolettiche. Deriva da ciò (ad esempio) che un reperto che ha una percentuale di thc del 3% viene impropriamente sommato ad un altro che presenta un thc del 4%, e, quindi, oltre alla somma si opera una inammissibile media ponderale percentuale tra prodotti non assimilabili.
Queste osservazioni sono state odiernamente recepite dalla Corte di Appello di Brescia, che in un procedimento, ove la perizia di primo grado era incorsa in errori del tipo di quelli sopra indicati ha disposto una nuova perizia sullo stupefacente. Nella fattispecie, infatti, a fronte della circostanza che erano stati rinvenuti 7 reperti di marijuana, era stato esaminato uno solo di essi, mentre in presenza di due campioni di hashish, uno solo degli stessi era stato analizzato. In buona sostanza il consulente aveva ritenuto che fosse sufficiente l'esame di uno solo di essi, per desumere le caratteristiche di tutti, operando un sillogismo del tutto inaccettabile, attraverso la presunzione che tutti fossero identici. Per quanto, invece, concerneva la coltivazione si era proceduto ad una disamina generica di presenza di tracce di thc. Vi è solo da chiedersi a distanza di molti mesi quali saranno le risultanze peritali, ammesso che le sostanze e le piante non siano state già distrutte.

Avv. Zaina
08-04-14, 21:08
Allego la sentenza del GUP di Lecco in materia di coltivazione di cui ho parlato nei giorni scorsi. Purtroppo lo scanner di casa non permette un unico file. Chiedo scusa

Ilfrl
08-04-14, 22:11
Io non capisco xè in Germania hanno già fatto il salto della staccionata gli avvocati
I documenti del pignoramento di governi e enti ecc ecc nessuno se li va a leggere sul sito dell u.c.c ?

Avv. Zaina
09-04-14, 10:02
Io non capisco xè in Germania hanno già fatto il salto della staccionata gli avvocati
I documenti del pignoramento di governi e enti ecc ecc nessuno se li va a leggere sul sito dell u.c.c ?

Scusi se non la comprendo, probabilmente e' colpa mia, ma quale staccionata dovrei saltare come avvocato per essere simile ai tedeschi?
A quali documenti si riferisce ?
Cosa e' l'u.c.c. ?
Grazie

Avv. Zaina
10-04-14, 21:55
Vi segnalo la sentenza n. 16019 della Sesta sezione della Cassazione depositata in data odierna, in materia di coltivazione.
Si tratta purtroppo di un grave arresto giurisprudenziale, che fa rivivere un'impostazione che si riteneva superata e che punisce la coltivazione prescindendo da una valutazione finalistica della condotta, ma ancorando la stessa esclusivamente all'astratta idoneità drogante delle piante.
Viene giudicato irrilevante sia il fine di produzione ad uso,personale (anche quando sua plausibile), sia la circostanza oggettiva del grado di maturazione dei singoli vegetali all'atto del controllo.
Quest'ultimo parametro oggettivo viene escluso perché ad avviso dei giudici di legittimità tradurrebbe un criterio i punibilità differita seconda del l'effettivo completamento del percorso di germinazione delle infiorescenze.
Come avrò modo di spiegare in un commento ad hoc, si tratta di una presa di posizione assai opinabile che esaspera il concetto di astrattezza e contrasta con il principio della stanzio abolita solo di quelle condotte che risultino offensive in concreto.
Un grosso passo indietro giurisprudenziale, che lascia assai perplessi.

sasso
10-04-14, 22:27
:icon_sad::icon_sad:

Da quello che ho capito è stato coinvolto il coniuge anche questa volta e viene perseguito l'atto della coltivazione indipendentemente dal fine ultimo...
Che tristezza.

Comunque grazie per la segnalazione.

KGB
11-04-14, 00:46
sasso ho l'impressione che quella sentenza sia un refuso dell'epoca fini-giovanardi (vedi data d'emissione)


Un grosso passo indietro giurisprudenziale, che lascia assai perplessi.

non mi pare un "passo indietro" dato che non può essere confrontata con sentenze recenti...

Certo la sentenza è vergognosa ma è stata emessa l'anno scorso quando ancora c'era la fini-giovanardi, quindi in tutt'altro contesto.

La data di deposito in cancelleria è del 10 aprile 2014, però la decisione (la sentenza) è stata presa in data 31 ottobre 2013 (ovvero ben 5 mesi fa) quindi non è confrontabile con sentenze attuali, maturate in un contesto legislativo ben diverso, o sbaglio?

Ilfrl
11-04-14, 06:02
Scusi se non la comprendo, probabilmente e' colpa mia, ma quale staccionata dovrei saltare come avvocato per essere simile ai tedeschi?
A quali documenti si riferisce ?
Cosa e' l'u.c.c. ?
Grazie

http://onepeoplefactory.org/per-cominciare-zero-capire-oppt/

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cozzaro
11-04-14, 10:22
e viene perseguito l'atto della coltivazione indipendentemente dal fine ultimo...
Che tristezza. Quote sasso
Che sia una tristezza non e di certo in dubbio, ma questo dice la legge in materia di coltivazione, poi un giudice può accettare di dichiarare una coltivazione a uso personale, ma per la legge potrebbe benissimo non farlo, anzi, la legge sulla coltivazione credo nemmeno preveda l'uso personale, al limite delle attenuanti tipo la lieve entità (anche questo a discrezione del giudice, credo, non dalla quantità della sostanza).
Da che ho capito io l'abolizione della legge fini Giovanardi quando si parla di coltivazione va a toccare solamente il periodo minimo e massimo della pena, per quanto concerne l'applicazione della legge non cambia nulla.
Qui sto parlando di coltivazione non di possesso di sostanze, nel secondo caso, si, cambia proprio la legge e la sua applicazione.
Vorrei un parere dell'avvocato perche forse mi sbaglio, per quanto riguarda l'applicazione della legge (sulla coltivazione)il "contesto" dovrebbe essere sempre quello da anni...cambia solo la durata della detenzione giusto?
Poi se ne gli ultimi tempi alcuni giudici sono più accondiscendenti, riguardo alla coltivazione, che in passato, questo non c'entra con la legge.

KGB
11-04-14, 10:57
Da che ho capito io l'abolizione della legge fini Giovanardi quando si parla di coltivazione va a toccare solamente il periodo minimo e massimo della pena, per quanto concerne l'applicazione della legge non cambia nulla.
secondo me cambiando il contesto cambia (e dovrebbe cambiare) l'approccio da parte dei giudici.
La legge "precedente", ovvero la finigiovanardi, toglieva ai giudici parte della possibilità d'interpretare la legge (la fini-giov. aveva appunto questo scopo). Cioè la legge diceva "è così e basta, a prescindere dai casi" ora col ripristino della 309/90 i giudici tornano a interpretare caso per caso... e le differenze si vedono: lo dimostrano le recenti sentenze che, pare, siano nettamente più lievi rispetto a quelle dell'anno scorso :polliceu:

(ovviamente con questo non voglio dire che la 309/90 "sistema tutto", ma solo che c'è stato un passo indietro e ora la legge crea un po' meno danni)

Avv. Zaina
11-04-14, 11:18
Scusate leggo osservazioni interessanti, ma che presentano sostanziali e gravi inesattezze. In materia di coltivazione non vi è' alcuna differenza fra L. 49/2006 e DPR 309/90:coltivare e' sempre reato. Non è poi affatto vero che vi siano differenze di potere interpretativo tra i due regimi legislativi, perché i giudici hanno sempre interpretato caso per caso.
La sentenza non è un refuso dell'epica precedente perché sotto quella legge abbiamo invece avuto sentenze favorevoli (cfr. Trib. Fe 20.3.2013, GUP Cremona 13.10.2013).
Prendiamo atto della sentenza e cerchiamo di superare queste decisioni.
In pratica, prima di lanciarsi in affermazioni piuttosto generiche, inviterei a tenere conto del fatto che la giurisprudenza, sia di merito, che talora la stessa Cassazione (Sez. Terza 18.3.2013), hanno operato valutazioni favorevoli alla non punibilità della coltivazione, già prime dell'abrogazione del Dl 272/2005.
La materia, però, allo stato presenta pronunzie assai contraddittorie, sia prima che dopo.
Bisogna continuare a lottare giurisprudenzialmente per smontare la tesi sostenuta dalla Suprema Corte.

KGB
11-04-14, 16:57
La sentenza non è un refuso dell'epica precedente perché sotto quella legge abbiamo invece avuto sentenze favorevoli (cfr. Trib. Fe 20.3.2013, GUP Cremona 13.10.2013).
[...]
In pratica, prima di lanciarsi in affermazioni piuttosto generiche, inviterei a tenere conto del fatto che la giurisprudenza, sia di merito, che talora la stessa Cassazione (Sez. Terza 18.3.2013), hanno operato valutazioni favorevoli alla non punibilità della coltivazione, già prime dell'abrogazione del Dl 272/2005.

Nel mio post intendevo semplicemente dire che la sentenza in questione non rappresenta affatto un'inversione di marcia, dato che rispetto a quelle favorevoli, di cui si è parlato di recente, questa ha una data precedente.
Se non ricordo male le ultime due sentenze positive in cassazione, di cui s'è parlato in topic, sono del novembre e dicembre 2013 mentre la sentenza negativa di cui parliamo ora è di ottobre 2013 cioè prima della svolta positiva delle più recenti sentenze.
Per questo parlavo di "sentenza vecchia/ininfluente".

tutto qui.
:hippy:

-------------
Devo ammettere che, all'inizio, la notizia della sentenza mi fece prendere uno spavento :icon_lol:
Direi invece che possiamo tirare un sospiro di sollievo, dato che il trend di sentenze positive è intatto :polliceu:
:icon_smoke:

Avv. Zaina
11-04-14, 17:33
Si è vero, ma temo comunque che il segnale non sia favorevole.

sasso
11-04-14, 17:45
A me preoccupa molto l'ostinazione a coinvolgere coinquilini\coniugi anche quando questi si dichiarano estranei :icon_sad:

Avv. Zaina
11-04-14, 19:10
Si tratta di un caso particolare. Usualmente la posizione del coniuge o del convivente e' definita connivenza non punibile e ci sono numerose sentenze in tale senso.

sasso
11-04-14, 20:41
Grazie per la rassicurazione Avvocato, l'aveva già chiarito in un altro post, ma continuo a leggere testimonianze del contrario. Non ho NESSUN dubbio che lei dica il vero, ma ho ENORMI dubbi che FDO e giudici applichino SEMPRE quanto previsto per legge.

Avv. Zaina
11-04-14, 21:09
Una bellissima esperienza con gli amici della Camera Penale di Prato; un'occasione per discutere senza ipocrisie dell'attuale situazione determinata dalla pronunzia della Corte Costituzionale, che ha abrogato il D.L. 272/2005.
Interessantissimi spunti di discussione e riflessione da parte del dott. DAVID MONTI.
Un grazie di cuore agli avvocati COSTANZA MALERBA e FEDERICO FEBBO.

Avv. Zaina
14-04-14, 10:20
Le conseguenze della pronunzia della Corte Costituzionale, che ha abrogato alcune significative ed importanti sezioni della L. 49 del 2006, meglio conosciuta come Fini-Giovanardi, si stanno continuando a manifestare in modo , sempre. più imprevisto ed imprevedibile .
Al di la', infatti, di quegli effetti cd. evidenti e diretti, che hanno formato oggetto sia di dissertazioni dottrinali, che di prime caute applicazioni giurisprudenziali, emergono nuove tematiche destinate a suscitare obbligate prese di posizione a livello interpretativo .
Desidero soffermarmi, in particolare, sul tema delle tabelle delle sostanze stupefacenti , allegate agli artt. 13 e 14 del DPR 309/90, caducate a propria volta, in forma indiretta, dalla pronunzia del giudice delle leggi, siccome esse costituiscono naturale emanazione di tali disposizioni, così come modificate dall'art. 4 vicina ter del Dl 272/2005.
Or bene, il governo ha cercato di porre rimedio alla scabrosa situazione venutasi a creare - come detto l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 vicies ter ha comportato la riviviscenza in toto dell'ancien regime governato dalla legge JERVOLINO/VASSALLI e, quindi, anche delle 4 tabelle precedenti - con il DL 36 del 20 maggio 2014, il quale assolverebbe al dichiarato scopo di garantire una continuità rispetto ai decreti che si sono succeduti nel tempo e che hanno introdotto nel contesto tabellare nuove sostanze precedentemente non inserite.
L'intervento normativo in questione, però, appare del tutto vano rispetto agli ambiziosi fini prefissati, in relazione al periodo temporale che decorre dal febbraio 2006 al 21 marzo 2014, potendo la disposizione di legge operare esclusivamente a far data dal 21 marzo 2014 e non potendo assumere vigenza di retroattività,giusta il disposto dell'art. 25 comma 2 Cost. .

Come sostenuto, in modo assai puntuale da VIGANO' (Droga : il governo corre ai ripari con un d.l. sulle tabelle, ma la frittata e' fatta in wwww.dirittopenalecontemporaneo.it 24 marzo 2014), le tabelle esistenti precedentemente alla L. 49/2006 non sono state validamente abrogate dalla Fini-Giovanardi, sicché non potranno essere a loro volta "..considerati validi i successivi decreti ministeriali di aggiornamento delle tabelle emanati sulla base dell'art. 13 t.u. nella formulazione modificata dalla Fini-Giovanardi".
Consegue, pertanto, che, ad esempio fra tutte, soprattutto quelle sostanze contenenti cannabinoidi sintetici (ad esempio tutta la famiglia dei JWH o degli AM) potrebbero non essere ritenuti fuori legge sino al 21 marzo 2014.
Se - come pare - una simile conclusione si rivelasse fondata, si aprirebbero concrete possibilità di ricorso allo strumento dell'art. 673 CPP per tutti quei casi già definiti,con sentenza passata in giudicato. e di assoluzione per coloro tuttora imputati di reati concernenti la commercializzazione e di prodotti contenenti tali principi attivi (soprattutto i famigerati profumato di di ambiente).
Ma vi è di più.
L'abrogazione del comma 1 bis dell'art.73 DPR 309/90, che introduceva, seppure con una sintassi estremamente contorta, la condizione di non punibilità dell'uso esclusivamente personale e che modulava tale ipotesi anche attraverso il parametro della quantità massima detenibile, potrebbe comportare la disapplicazione di tale parametro proficuamente utilizzato ad oggi -sia in funzione dell'uso personale, sia per la determinazione dell'ingente quantità' (art. 80 co. 2) .
E' noto che le SS.UU. con la sentenza 24 maggio 2012 sancirono quale canone valutativo e criterio soglia quello di 2.000 volte la Q.M.D.,al di sotto del quale non è ravvisabile la circostanza aggravante in questione.
Poiché il Q.M.D. costituisce un canone interpretativo di natura politica, derivante dalla moltiplicazione della dose media giornaliera per un moltiplicatore stabilito per convenzione normativa (seppure basata su pareri scientifici) e diverso per ogni sostanza ed appare diretta emanazione del testo dell'art. 73 comma 1 bis(il quale introduceva espressamente paradigmi utili alla individuazione del consumo personale) l'abrogazione della norma di riferimento comporta, a cascata, l'inutilizzabilita di criteri essa strettamente collegati
Dunque si paventa un gravissimo vuoto normativo, in relazione a due istituti (la detenzione e la ingente quantità) che quotidianamente sagomo materia centrale nei tribunali italiani.

Avv. Zaina
14-04-14, 15:15
La giurisprudenza di merito dimostra di non condividere le posizioni assunte talora dalla Corte di Cassazione e di essere concreta espressione di un diritto vivente in linea con l'evoluzione della società ed anticipatore delle incertezze e dei tentennamenti della politica.
Esempio in tal senso e' la pronunzia del Giudice Monocratico presso il tribunale di Monza, che ha appena assolto un mio assistito accusato di coltivazione e detenzione di marijuana.
La coltivazione veniva contestata in relazione ad una pianta, mentre la detenzione concerne a 263 grammi di marijuana.
La pianta presentava una percentuale di thc pari al 2,27%, cioè sufficiente secondo i parametri della Corte di Cassazione a configurare la coltivazione punibile.
I reperti di sostanza detenuta, invece, avevano l'uno un tasso percentuale del 4,58% e l'altro del 5,18%, così che il principio attivo complessivo ammontava - stando alla consulenza - a gr. 10 circa (pari a quasi 20volte la quantità massima detenibile che è' di mg. 500).
Il Tribunale monocratico di Monza ha ritenuto che il fatto non sussiste(per quanto attiene alla coltivazione) e che il fatto non e' previsto dalla legge come reato (riguardo la detenzione), a fronte di una richiesta di condanna a 2 anni ed 8 mesi di reclusione.
In attesa delle motivazioni (depositate fra 90 giorni) si può ipotizzare che il giudicante abbia ritenuto, seppure, sotto differenti profili, operante la scriminante teleologica della destinazione dello stupefacente al consumo personale.
E', altresì, ipotizzabile che rilevanti siano risultate le osservazioni concernenti l'assenza di beni o strumenti funzionali allo spaccio, la mancanza di elementi investigativi tali da attestare che il giovane avesse contatti con ambienti devianti, la sua incensuratezza, la prova che egli non aveva necessità alcuna (sul piano economico) di cedere a terzi e la produzione di alcune note sentenze in materia.
Un altro passo avanti.

Avv. Zaina
16-04-14, 21:51
Temo che politica e giurisprudenza, in un'ottica che affronta il tema della cannabis, solo sotto il profilo della punizione e criminalizzazione di condotte che, probabilmente - senza la lente del pregiudizio ideologico -, non costituirebbero alcun tipo di illecito (ne' penale, ne' amministrativo), abbiano perso di vista il problema sociale della lotta al dolore.
Soffermandosi, infatti, solo sull'indirizzo, impropriamente definito come ludico (quasi che chi usa marijuana od hashish lo faccia esclusivamente per divertirsi) ci si è - volutamente - dimenticato di approfondire la questione della tutela di coloro che detengano o coltivino per potere costituire una piccola scorta di carattere medicamentoso, siccome colpiti da gravi e disparate patologie.
Considerato che l'accesso dei malati ai farmaci a base di cannabis (e soprattutto ad esempio al Bedocan- cannabis flos) appare sempre più difficile per i costi elevati di queste medicine, e per la indisponibilità del SSN - assai rigoroso quando non di tratti di scialare - la soluzione ottimale deve essere concepita nel senso di aprire forme di procedere alla sperimentazione di coltivazione destinata ad uso personale.
Credo che simili iniziative permetterebbero di sottrarre risorse finanziarie al mercato illecito, di evitare la commistione di tante persone per bene con gli ambienti criminali dello spaccio organizzato, perseguendo uno degli scopi fondamentali del DPR 309/90 e cioè quello di evitare la immissione ex novo, la diffusione e la proliferazione della presenza di sostanze droganti sul mercato.
E' evidente che questa serie di argomenti potrebbe costituire un denominatore comune sia per la ipotesi della coltivazione ad uso privato non terapeutico che ad uso privato terapeutico.
Nell'attesa che chi sarà discutendo in Parlamento di questi temi capisca che non è' accettabile un approccio superficiale e fortemente disinformato (come ho dovuto purtroppo constatare da parte ci numerosi parlamentari) forse sarà opportuno pensare ad una serie di azioni civili, in special modo, a tutela dei malati.
Le regioni, inoltre, alla luce delle modifiche introdotte dalla sentenza 32 della Consulta, dovranno rivedere taluni passaggi dei loro resti,giacché il riferimento al tabella II B (introdotta quale allegato dall'abrogato art. 4 vicies ter DL 272/2005) non è più fondato e vs modificato alla luce del DL 36/2014 e delle tabelle reintrodotte.
Consegue ed e' consigliabile, comunque, a mio avviso, in attesa di un futuro chiarimento legislativo, la esperibilita' di ricorsi ex art. 700 CPC dinanzi al giudice del lavoro, per ottenere un'ingiunzione a carico dell'AUSL di competenza.
Sto valutando, infatti, sia l'opzione di ricorsi individuali, che di un eventuale class-action, anche se ritengo che le specifiche peculiarità di ogni malattia, risultino di ostacolo all'azione di carattere comune.
Ritengo, infatti, che la tutela della salute propria dell'art. 32 Cost. non possa essere messa da parte.

Avv. Zaina
17-04-14, 15:12
Desidero segnalare un'interessante pronunzia della Corte di Cassazione in materia di di coltivazione, che si pone in controtendenza rispetto all'orientamento che parrebbe vigente.
La Sez. II ha, infatti, confermato l'assoluzione dell'imputato dal reato di coltivazione di 15 piante, sul presupposto sia dell'esiguità del numero delle piante in questione, ma anche in funzione della minimalità del principio attivo contenuto.
Si tratta di un passo avanti nella direzione giusta, cioè nel senso di procedere alla valorizzazione del principio dell'offensività, si da permettere di ritenere che il reato di coltivazione non costituisca più un illecito penale di pericolo astratto, bensì di pericolo concreto.
L'approdo a questo tipo di categoria concettuale (e l'inserimento della fattispecie in tale classificazione) permetterebbe, poi, di procedere sul cammino di un sempre maggiore apprezzamento dell'offensività della condotta, sino a pervenire al traguardo dell'esclusione del carattere di offensività, anche in forza di una analisi teleologicamente orientata della condotta.
Si può, comunque, già affermare che la sentenza recide definitivamente qualsiasi vincolo con quell'indirizzo ermeneutico (seguito dalla Corte di Cassazione in passato), in base al quale la sola semina già, di per sè sola costituiva condotta facente parte del concetto di coltivazione, prescindendo dall'attecchimento del seme, dalla verifica in ordine al sesso della pianta, alla capacità di sviluppo effettivo della stessa.
La Corte, infatti, esaltava esclusivamente - con questa impostazione - la potenzialità della coltivazione, sulla base di un presupposto valutativo del tutto errato (V. SS.UU. 28 aprile 2008) che sarebbe consistito nella convinzione che il solo predisporre una coltivazione - ancorchè domestica - era sicuramente funzionale all'immissione sul mercato dello spaccio di nuova sostanza.
Dimenticava il giudice di legittimità un'elementare verità e cioè che chi coltiva per uso personale, lo fa proprio per evitare di sostenere - con l'apporto finanziario dell'acquisto - il mercato e per fare cadere la richiesta di sostanza stupefacente.
Proprio l'esatto opposto di quanto sostenuto dai supremi Giudici.
Ed adesso attendiamo l'ulteriore passo avanti giurisprudenziale

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 dicembre 2013 – 3 aprile 2014, n. 15191
Presidente Gallo – Relatore Cervadoro
Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 novembre 2003, il Gip del Tribunale di Vallo della Lucania dichiarò B.C. responsabile del reato previsto dall'art. 73 dpr 309/90 e lo condannò alla pena di mesi sei di reclusione ed € 4000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l'imputato, e la Corte d'Appello di Salerno, in accoglimento dell'appello, assolveva il C. perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato. Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore Generale, questa Corte, sezione VI, con sentenza in data 9.12.2009, annullava la sentenza della Corte d'Appello, rilevando un vizio di motivazione in ordine alla non offensività della condotta (coltivazione di 15 piante di marjuana).
La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 18.10.2012, pronunciando in sede di rinvio, assolveva il C. dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Napoli, deducendo l'erronea applicazione dell'art. 73 d.p.r. 309/90 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell'art. 606, co. 1, lett. b) ed e) c.p.p. rilevando che ogni riferimento alla offensività della condotta, pur legittimo in via di principio, appare del tutto inconferente e che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
Chiede pertanto l'annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e va rigettato.
E' principio pacificamente affermato da questa Corte (v. Cass. Sez. VI, sent. n. 22110/2013 Rv. 255773; S.U. sent. n. 28605/2008 Rv. 239921) che, ai fini della punibilità della coltivazione, non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha ritenuto non dimostrata l'offensività della condotta, né l'idoneità della stessa a porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, in considerazione non solo del numero esiguo delle piantine di marijuana, ma anche del quantitativo minimo di sostanza dalle stesse estraibile. E pertanto, la sentenza non appare censurabile in quanto rispettosa dei principi di diritto in materia affermati da questa Corte e non illogicamente motivata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Avv. Zaina
18-04-14, 22:14
Succede, talora, di imbattersi in pronunzie giurisprudenziali che suscitano non poche perplessità, atteso che risultano contraddire – inspiegabilmente – orientamenti ed insegnamenti, non solo pacifici, ma, indubbiamente muniti di caratteri di logicità.
E' il caso della sentenza n. 17008/14 resa lo scorso 25 febbraio 2014 (ma depositata il 17 aprile 2014) dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, la quale, dichiarando inammissibile un ricorso avverso una decisione della Corte di Appello di Napoli, in materia di applicazione dell’istituto della lieve entità, ai sensi del comma 5° dell'art. 73, (concernente un fatto commesso nel marzo 2013), non tiene, però, in debito conto i reali effetti quoad poenam prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32.
In buona sostanza, il Collegio di legittimità, per individuare quale possa essere la norma da applicare alla fattispecie, pone in comparazione la L. 49/2006 – abrogata – solamente con il DL. 146/2013 (che ha innovato radicalmente il regime dell'istituto della lieve entità portandolo da circostanza aggravante ad effetto speciale a reato autonomo), omettendo, invece, di considerare che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis DL 272/2005 - che coinvolge direttamente l'art. 73 (e, quindi, anche il comma 5°) - determina l’effetto della riviviscenza del testo vigente anteriormente alla data del 28 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della L. FINI-GIOVANARDI).
Dunque, il giudizio di valenza, che avrebbe dovuto essere, comunque, svolto dal giudice di legittimità anche in presenza di un ricorso per cassazione che si potesse rivelare inammissibile [Cfr. Prime riflessioni sulle possibili ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sul trattamento sanzionatorio in materia di sostanze stupefacenti (a cura di: Matilde Brancaccio, Giorgio Fidelbo, Raffaele Piccirillo, Roberta Zizanovich)] avrebbe dovuto utilizzare, quali fondamentali termini di paragone, da un lato, l’aart. 73 come modificato dalla L. 49/2006 – disposizione in base alla quale era stata emessa la sentenza soggetta ad impugnazione – e, dall'altro, l'art. 73 nella formulazione JERVOLINO-VASSALLI, costituendo quest'ultima edizione della norma la lex mitior da prendere in esame (prevedendo al comma 5° una pena per gli stupefacenti di cui alle tabelle II e IV della reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre alla multa).
Incomprensibilmente, quindi, il Supremo Collegio – pur sollevando opportunamente l’argomento della determinazione in concreto di quale avrebbe potuto essere la legge da applicare effettivamente al caso concreto – non considerano la retroattività dell’intervento demolitorio del giudice delle leggi, che permette di ritenere come sempre vigente la norma che era stata sostituita dalla disposizione dichiarata incostituzionale.
La sentenza non considera, inoltre, che le SS.UU. (con la sentenza 22 marzo 2005 n. 232428 Bracale) ebbero ad affermare che l'inammissibilità di un'impugnazione, pur precludendo la possibilità di fare valere specifiche cause estintive del reato (quale la la prescrizione), ammettono, però, la cognizione del giudice dell'impugnazione in relazione “all'accertamento dell'abolitio criminis o della dichiarazione di costituzionalità della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione”.
In aderenza a tale principio proprio la Sez. VI (16 maggio 2013, n. 21982, Ingordini), in una situazione analoga a quella in esame, pur rilevando l'inammissibilità del ricorso, ha annullato la sentenza impugnata, in quanto nella more del giudizio di cassazione era stata dichiarata la incostituzionalità del divieto di prevalenza dell'allora circostanza attenuante della lieve entità (art. 73 co. 5) sulla recidiva ex art. 99 co. 4 cp .
Ritiene, pertanto, chi scrive che, in relazione alla questione risolta con la sentenza in commento, la Corte Suprema avrebbe dovuto
1) procedere alla preliminare comparazione fra il DPR 309/90, il DL 272/2005 conv. in L. 49/2006 ed il DL. 146/2013 conv. in L. 10/2014, onde inferire tra i tre testi richiamati la legge più favorevole;
2) individuare, quindi, nel testo originario del comma 5° dell'art. 73, la norma da applicare al caso concreto, in virtù del ripristino – nel lasso di tempo che va dal 28 febbraio 2006 al 24 dicembre 2013 – della JERVOLINO-VASSALLI, vale a dire la lex mitior, atteso il trattamento sanzionatorio di maggiore favore.
Come osservato dallo studio sopra richiamato (Prime riflessioni sulle possibili ricadute cit.) se il divieto di irretrotattività della legge penale sfavorevole deriva dall’art. 25/2° Cost. , il principio di retroattività della lex mitior, a propria volta, “è insediato nel principio di uguaglianza, che……impone di equiparare il trattamento dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice”
Sia consentito osservare che la circostanza che alla data dell'udienza (25 febbraio 2014) non fosse stata pubblicata espressamente la sentenza n. 32 (o meglio fosse conosciuta informalmente ed ufficiosamente, con il deposito in Cancelleria), avrebbe dovuto indurre tutte le parti (Corte in primis) ad un prudente differimento dell'udienza.

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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Sent. n. sez. 583
UP - 25/02/ 2014
R.G.N. 49682/ 2013

Composta dai Sigg.ri Magistrati Dott. Alfredo Teresi - Presidente
Dott. Mario Gentile - Consigliere
Dott. Aldo Aceto
Dott. Vincenzo Pezzella
Dott. Alessio Scarcella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
s e n. a NAPOLI

avverso la sentenza della Corte d'Appello di NAPOLI in data 4/03/ 2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; udite per il ricorrente le conclusioni dell'Avv. M. Bru no, non comparso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza della Corte d'Appello di NAPOLI, pronunciata in data 4/03/2013, depositata in data 16/07/ 2013, è stata confermata la sentenza del tribunale di NAPOLI, con cui, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990, il ricorrente veniva condannato, in esito al giudizio abbreviato richiesto ed esclusa la recidiva contestata, alla pena di un anno di reclusione ed € 2 .000,00 di multa, per aver detenuto, al fine di cederla a terzi, sostanza stupefacente del tipo hashish, del peso complessivo di gr. 22,70 lordi; fatto commesso in Napoli il 12/03/2013.

2. Con tempestivo ricorso, proposto personalmente dal ricorrente, viene dedotto un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale motivo, la violazione dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen.; in sintesi1 , si duole il ricorrente poiché dagli atti processuali non sarebbe emerso alcun elemento tale da giustificare una sentenza di condanna; in particolare, la mancanza di gravi elementi indiziari avrebbe dovuto indurre il giudice a pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
La motivazione, poi, sarebbe ad avviso del ricorrente mancante o insufficiente, in ordine alle ragioni di fatto e di diritto su cui è basata la condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per genericità e, comunque, per manifesta infondatezza .
4. E', anzitutto, generico, in quanto il ricorrente si limita ad una affermazione sostanzialmente negatoria, asserendo che "dagli atti processuali" non sarebbe emerso alcun elemento atto a giustificare la condanna e che la sentenza sarebbe priva di motivazione o insufficientemente motivata in ordine alle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la condanna.
E' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, in particolare quando - come nel caso in esame - risultano sia intrinsecamente indeterminati (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 - dep. 26/06/2013, Sammarco, 2 Rv. 255568), che carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
E, comunque, manifestamente infondato, in quanto la Corte d'appello da specificamente conto degli elementi di prova su cui è stato fondato il giudizio di responsabilità, essendo stato colto il ricorrente in possesso di un pezzo di hashish e di quattro dosi nonché nella disponibilità di un bilancino di precisione; in sentenza si da, altresì, atto che egli ha ammesso di vendere droga, giustificandosi con la sua di1sagiata condizione economica e la necessità di provvedere al sostentamento del nucleo fam iliare.

6. Non è ravvisabile, peraltro, alcuna violazione del principio di legalità della pena (motivo per il quale è consentito a questa Corte decidere sulle questioni rilevabili d'ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen.), alla luce del recente intervento legislativo modificativo della fattispecie di cui al comma quinto dell'art. 73 T.U. Stup. (D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 10), né l'intervenuta declaratoria di incost ituzionalità della disciplina contenuta nella c.d. legge Fini - Giovanardi, che ha dichiarato illegittima la equiparazione del trattamento sanzionatorio tra droghe c.d. leggere e droghe c.d . pesanti (Corte cost., sentenza 25 febbraio 2014, n. 32), della quale, osserva il Collegio, questa Corte deve tener conto d'ufficio anche ove la sentenza medesima non sia ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ma soltanto preannunciata da un comunicato stampa o comunque pubblicata mediante il mero deposito in cancelleria, avvenuto in data odierna, giorno di decisione della presente sentenza.
Ed invero, rispetto ai fatti di lieve entità commessi dopo il 28 febbraio 2006 e prima del 24 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del d.I. n. 146/2013, convert ito in I. n. 10/2014), e dunque sotto il vigore della legge dichiarata illegittima, è necessario determinare in concreto quale sia la norma più favorevole tra quella incostituzionale e quella successiva, in ragione del carattere inderogabile del principio della irretroattività della norma penale ( rectius, della tutela dell'affidamento del singolo sulla norma penale apparentemente vigente al momento del fatto, principio a sua volta deducibile da quello di prevedibilità della sanzione penale che si deduce dall'art. 25, comma secondo, Cost., interpretato alla luce dell'art. 7 CEDU e dalla pertinente giurisprudenza di Strasburgo). Nel caso di specie, la soluzione è peraltro abbastanza agevole.
L'imputato ha commesso, nel marzo 2013, un fatto di lieve entità concernente una droga "leggera" (hashish); l'attenuante di cui al quinto comma nella versione allora vigente (che prevedeva la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000) era stata riconosciuta dal giudice di merito escludendo la recidiva contestata, sottraendola dunque al giudizio di bilanciamento. Il giudice ha assunto pertanto a base del calcolo la pena di anni uno e mesi sei di reclusione e della multa di € 3.000,00, sulla quale aveva applicato la diminuzione per il rito determinando la pena finale di un anno di reclusione ed € 2.000,00 di multa.
Tale base di calcolo deve anche oggi ritenersi legittima, dal momento che la /ex mitior sopravvenuta (il nuovo quinto comma dell'art. 73, T.U. Stup. così come modificato dal d.I. 146/ 2013), prevede oggi una pena da uno a cinque anni di reclusione e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
7. Il ricorso dev'essere, dunque , dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2014

Pawan Kumar - ASCIA
24-04-14, 11:01
Una notizia molto interessante da Pisa, voglio proprio vedere se alla fine ci risarciranno... ho parecchi dubbi. Avv. Zaina, sarà una conseguenza della conferenza che avete fatto poco fa a Prato, che è da quelle parti? Allora qualcuno ha ancora orecchie per intendere!:sm_clapper:

http://www.lanazione.it/pisa/cronaca/2014/04/18/1054494-droghe-leggere-revoca-sentenza.shtml?fb_action_ids=651989694874216&fb_action_types=og.likes

Droghe leggere, prima revoca di una sentenza

La decisione di un giudice pisano dopo che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata illegittima
- di Federico Cortesi

Pisa, 18 aprile 2014 - MIGLIAIA di sentenze di processi, celebrati negli ultimi otto anni per le cosiddette droghe leggere, potrebbero essere ‘riviste’ dopo la decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa Guido Bufardeci, che in queste ore ha accolto il ricorso dell’avvocato Alberto Marchesi che aveva presentato istanza di revoca parziale di una sentenza del 2012 in cui un tossicodipendente pontederese era stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione per aver detenuto poco meno di mezzo chilo di hashish.

Questo perché nel febbraio scorso la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità della «legge Fini-Giovanardi» che equiparava le droghe leggere a quelle pesanti, ristabilendo la differenziazione. Queste le ricadute. Per i processi in corso nessun problema, il giudice applicherà la normativa più favorevole.

IL PROBLEMA che si è posto il gip pisano è stato quello di trovare il rimedio per i processi già definiti con sentenza irrevocabile, in quanto il giudicato può essere modificato solo in conseguenza di abrogazione della norma incriminatrice, che è rimasta tale seppur punita con pene inferiori. Il giudice Bufardeci è stato di diverso avviso e ha provveduto al riconteggio della pena. Questa decisione “pilota” (è la prima in Italia) apre la strada alla parziale revisione di migliaia di processi, che potranno essere riaperti sia pure limitatamente al trattamento sanzionatorio.

Ci sarà in seconda battuta da valutare l’impatto del provvedimento sulle persone che, per effetto di una legge incostituzionale, hanno subìto un’ingiusto periodo di detenzione (anche qui siamo nell’ordine delle migliaia, i quali potrebbero in teoria avviare un’azione risarcitoria contro lo Stato o riccorrere alla Corte di Giustizia europea per farsi indennizzare.



("riccorrere" mi fa immaginare un ricorso per indennizzo con il quale si potrebbe diventare ricchi :roflmao:)

StRaM
24-04-14, 13:40
Spero di fare cosa gradita condividendo con voi un paio di articoli:




20 aprile 2014

Assolto dal giudice. Un uomo di 42 anni, da 18 sulla sedia a rotelle a causa di una lesione alla spina dorsale, l’anno scorso era stato arrestato a Giarre, in provincia di Catania, perché in casa aveva una piccola serra di cannabis indica e mezzo chilo di marijuana. Secondo il giudice monocratico di Catania, Alessandro Centonze, “il fatto non costituisce reato”.

In sede di giudizio abbreviato, dunque, è passata la linea difensiva: quella droga aveva scopo terapeutico. La pubblica accusa aveva chiesto una condanna a due anni e quattro mesi di reclusione. L’uomo, in attesa del processo, era ai domiciliari. “Il mio assistito è stato assolto ai sensi dell’articolo 530 Comma 1 perché il fatto non costituisce reato; in attesa del deposito della motivazione, ritengo che il giudice abbia preso nella dovuta considerazione la circostanza che la coltivazione e la detenzione della marijuana trovata presso l’abitazione dell’imputato fosse destinata, indipendentemente dal non lieve quantitativo, all’uso personale”. Così il difensore del disabile, l’avvocato Enzo Iofrida.
Quest’ultimo, durante il dibattimento, aveva presentato al giudice una dettagliata certificazione medica dimostrando che il suo cliente, affetto da grave patologia, riuscisse solo attraverso la marijuana che produceva in casa ad alleviare i dolori lancinanti dei quali è vittima da anni, da quando un incidente stradale lo ha costretto sulla sedia a rotelle.

Ancora Iofrida: “Con questa sentenza penso che il giudice, superando il limite quantitativo e qualitativo della sostanza sequestrata, abbia sostanzialmente anticipato il legislatore, che ormai a breve dovrebbe legiferare sull’uso terapeutico della cannabis. In tanti auspicano che questa norma arrivi presto”. E una volta tanto, la giustizia italiana non è stata pachidermica.

http://cronacaeattualita.blogosfere.it/post/513331/produceva-cannabis-in-casa-assolto-disabile-siciliano-era-a-scopo-terapeutico

ed un'altra.....




A casa di Michele due agenti trovano due piante di marijuana che lui fuma "perché affetto da problemi psichiatrici". Accusato di spaccio, viene assolto in primo grado. E' la prima volta in Italia che un giudice riconosce la cannabis come "terapia"

ROMA - Michele ha vinto la sua battaglia "per la libertà di cura". Rischiava fino a vent'anni di carcere per coltivazione e detenzione di marijuana a fini di spaccio. Ma in realtà lui, ragazzo di 25 anni, coltivava erba per poter curare i suoi problemi psichiatrici. Affetto da depressione, aveva anche tentato il suicidio più volte.

Una sentenza storica perché è la prima volta che succede in Italia. Un risultato che sarà utile anche per coloro che si trovano nella stessa condizione di Michele. In ogni caso fino al 17 aprile, giorno in cui è uscita la sentenza del suo caso, la sua quotidianità non è stata semplice.

Per tre anni Michele è stato in cura portando avanti una terapia farmacologia prescritta per la sua patologia. "Io sono, come si dice in gergo, pluritentato suicida. Gli psicofarmaci mi facevano diventare un vegetale e non mi è mai piaciuto perdere il controllo. Mi sentivo sedato da Valium, Seroquel, Tranquirit, Entact e altro ancora. Per questo ho deciso di curarmi così" ci spiega. Una decisione ponderata, dopo tanto tempo passato a informarsi e a parlare con esperti. Non a caso in casa sua c'era un tipo di marijuana specifica, la "cannabis indica", quella utilizzata proprio per lo scopo terapeutico.

I miglioramenti di Michele sono sotto gli occhi di tutti finché il 5 gennaio, alle 9, la polizia irrompe in casa sua. La porta del suo appartamento era stata lasciata aperta e una vicina, convinta che fossero entrati dei ladri, aveva chiamato gli agenti. I due poliziotti trovano in un armadio un impianto artigianale per coltivare marijuana. In tutto ci sono due piante. Michele si sente in buona fede: "Fumo per rilassarmi, sono un malato psichico” e anche la sua cartella clinica conferma quello che dice.

Ma i documenti non bastano: viene portato in questura e rimane in cella in stato di fermo per 48 ore. Con la notte arrivano anche i primi attacchi di panico. In quei momenti non ha con sé le medicine, non può chiamare lo psicologo. Poco dopo il giudice convalida l’arresto ma non dispone le misure cautelari. Così Michele torna libero ma deve affrontare un processo con l'accusa di coltivazione e detenzione a fini di spaccio, rischiando da 6 a 20 anni di carcere.

Solo dopo più di quattro mesi la buona notizia: Michele è assolto in primo grado. La documentazione fornita ha mostrato come i suoi fini fossero l'uso personale e medico. La perizia tossicologica, richiesta dall'avvocato difensore, ha confermato quanto riportato dalla sua cartella clinica. "Spero che la mia esperienza possa essere d'aiuto. Il diritto alla salute non si può negare a nessuno, si avvicina al diritto alla vita. E' vero e proprio rispetto per l'essere umano. La libertà di scelta e di cura sono sacrosante. Lo dico per chi è affetto da patologie come sclerosi multipla o Sla e per chi, come me, è affetto da patologie psichiatriche". Tra novanta giorni verranno rese pubbliche le motivazioni della sentenza, una delle prime dopo che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale dalla Cassazione.

http://www.today.it/cronaca/fumare-marijuana-terapia-assolto.html

Randagio
24-04-14, 14:05
Interessante soprattutto il riconoscimento dello scopo terapeutico per "problemi psichici"....

Avv. Zaina
24-04-14, 14:29
Tutte ottime notizie.
La sentenza di Pisa non mi stupisce perchè il dott. BUFARDECI aveva già avuto modo di assolvere un mio assistito - lo scorso 2 aprile - dal reato di detenzione e coltivazione.
Sicchè mi ero reso conto che una certa linea processuale da me proposta era stata accolta.
Quanto alle altre decisioni, speriamo che siano battistrada per un orientamento nuovo, ma che si vada a costruire definitivamente.

Avv. Zaina
30-04-14, 18:56
Segnalo un'interessante pronunzia che concerne l'effetto estensivo dell'annullamento della sentenza di patteggiamento pronunziata sotto l'imperio della L. 49/2006.
Si tratta di un procedimento che aveva ad oggetto condotte di cessione e detenzione di hashish, gli imputati avevano definito la rispettive posizioni attraverso la applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. .
Solo alcuni, però avevamo, poi, interposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento.
Il Collegio di legittimità ha ritenuto, in primo luogo, che l'impugnazione proposta - alla luce del diverso e più favorevole regime sanzionatorio formatosi in relazione alle droghe cd. leggere, a seguito della sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il DL 272/2005 - permettesse, comunque, un intervento di annullamento della sentenza di patteggiamento, con la conseguenza che le parti vengono rimesse davanti al Tribunale per l'ulteriore corso del procedimento e per la rideterminazione della pena.
In secondo luogo, ed è questo il profilo di ulteriore interesse specifico, la Corte ha ritenuto che gli effetti di annullamento - provocati dall'accoglimento dei ricorsi presentati - si estendano anche nei confronti degli imputati non ricorrenti.
In buona sostanza è stato ritenuto - dalla Corte - che non sarebbe stato possibile intervenire solamente su alcuni patteggiamenti e non su tutti, in quanto la cd. "illegalità della pena" (conseguente alla incostituzionalità della Legge FINI-GIOVANARDI) costituiva carattere comune a tutti.
Sicchè nella fattispecie è apparso corretto applicare l'art. 587 comma 1° c.p.p., attesa la ricordata comunanza della ragione in base alla quale l'annullamento della sentenza è intervenuto, condizione che giova anche agli altri imputati.

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REPUBBLICA ITALI AN A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


TERZA SEZIONE PENALE

UDIENZA PUBBLICA DEL 27/03/2014
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. ALDO FIALE - Presidente - SENTENZA
Dott. RENATO GRILLO - Consigliere - N. 870/2014
Dott. SILVIO AMORESANO - Consigliere -
Dott. SANTI GAZZARA - Rel. Consigliere -
Dott. ALDO ACETO - Consigliere - REGISTRO GENERALE
N. 41262/2013


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da :
CC N. I L (...)
A C N. I L (...)
avverso la sentenza n. 968/2012 Giudice udienza preliminare di SCIACCA, del 29/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in pubblica udienza del 27/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANTI GAZZARA
Udito il Procuratore Generale i:n persona del Dott. FULVIA BALDI che ha concluso per la inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv.
Udito il difensore Avv.

RITENUTO IN FATTO

Il Gip presso il Tribunale di Sciacca, con sentenza del 29/03/2013, su concorde richiesta delle parti, ha applicate, concesse le attenuanti generiche, a CC c e A C, imputati del reato ex art. 73, d.P.R.. 309/.90, per detenzione illecita di stupefacente tipo haschish,. a pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 14.000100 di multa al primo; anni 3, mesi 4 di reclusione e di euro 14.000,00 di multa alla seconda.
Con la medesima pronuncia veni vano applicate nei confronti dei correi GM e RM anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 14.0.00,00 di multa ciascuno.
Propongono autonomi ricorsi per cassazione la difesa del CC e, personalmente la A C eccependo travisamento della prova, per inadeguata valutazione da parte del decidente delle emergenze istruttori e a carico dei prevenuti, che se corretta mente lette avrebbero permesso di pervenire ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. .

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va rilevato che i motivi di annullamento, formulati nell'interesse dei prevenuti nei rispettivi atti di ricorso, sono manifesta mente infondati.
Osservasi però, che occorre prendere atto della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale, n. 32/2014, con la quale e stata dichiarata la non conformità costituzionale del d.l. 272/05, convertito in L. 49/06, con cui era stata eliminata, ai fini del condannato, la distinzione tra droghe leggere e pesanti.
Nel caso di specie, il decidente ha ratificato il negozio processuale pattizio partendo da un parametro sanzionatorio di gran lunga superiore a l massimo ex lege previsto anni 6 di reclusione, (per A C, G M e R M anni 8 e mesi 3 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa; per la A C anni 7, mesi 6 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa ), cosi che le pene applicate risultano illegali.
Orbene la pronuncia di incostituzionalità, ut supra richiamata determina conseguentemente l'applicazione al caso in esame delle fattispecie incriminatrici così come previste e regolate dalla precedente normativa ex d.P.R. 309/90, con particolare riguardo al trattamento sanzionatorio relativo ai reati concernenti le sostanze incluse nelle tabelle H e IV, allegate alla legge.
Appare, quindi del tutto evidente che il trattamento sanzionatorio,applicate ai prevenuti è stato dal giudice valutato congruo avendo come punto di riferimento i parametri edittali della pena, in vigore al momento della decisione e non quelli minori, risultanti a seguito della richiamata pronuncia della Consulta.
Quanto osservato incide in nuce sulla validità del negozio pattizio processuale, proposto dalle parti ratificato dal giudice di merito, e impone l'annullamento della sentenza senza rinvio, in dipendenza del la illegalità della pena applicata, anche nei confronti degli altri coimputati ex art. 587 cod. proc. pen., con restituzione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso, così rimettendo le parti nelle condizioni di determinarsi: alla luce della vigente normativa.
P. Q. M .
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di CC e AC e per l’effetto estensivo anche nei confronti di G M; dispone restituirsi gli atti al Tribunale di Sciacca per l’ulteriore corso
Così deciso in Roma li, 27/3/2014 .

Avv. Zaina
11-05-14, 09:38
Pubblico la sentenza del GUP di Cuneo di cui avevo già fatto menzione in precedenza, e che concerne la tematica della detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti.

R.G. N. 100571/ 13 G.I.P.
R.G. N. 101063/ 13 SENTENZA
N. 179/2014 del 4/04/ 2014


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI CUNEO

IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE
Dott. Alberto BOETTI
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nel procedimento pena le nei confronti di

F.M. nato a S. (CN) il ............ dichiaratamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. in S.A. (CN) via M. n. .......

presente
Assistito e dlfeso di fiducia dall'avvocato Carlo Alberto ZAINA del foro di Rimini, con studio in Rimini in via Flaminia n. 171/B

I M P U T A T O

del reato p. e p. dall'art. 73, commi 1 e 1 bis, D.P.R. n. 309/1990, perchè senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, deteneva illecitamente nella propria abitazione sita in S.A. in via M. n. 3
N. 1 vaso in vetro con chiusura sotto vuoto con all'interno sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 7,860) pari a gr. 0,135 di principio attivo;
N. 1 busta in nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 5,736) pari a gr. 0,363 di principio attivo;
N. 1 vaso in vetro con chiusura sotto vuoto con all'interno, confezionate, due buste iii nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 14,625 e grammi 14,689) pari a gr. 2,874 di principio attivo;
N. 1 busta di nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (gramml 3,041) pari a gr. 0,022 di principio attivo;
N. 1 frammento di sostanza stupefacente del tipo hashish (grammi 0,792) pari a gr. 0,078 di principio attivo;
N. 32 semi di canapa indiana, privi di principio attivo;
N. 1 contenitore per la deframmentazione della sostanza stupefacente in metallo marca BABA con tracce di sostanza stupefacente.
Per complessivi grammi 45,952 di sostanza stupefacente del tipo marijuana pari a gr. 3,472 di principio attivo. Sostanza stupefacente che. per quantità, qualità, e circostanze del rinvenimento, appariva destinata ad uso non esclusivamente personale.
Reato commesso in S.A.S. in data 08/07/13.

Con l'intervento del Pubblico Ministero Dr. Bolla e dell'avv. C. A. Zaina del foro di Rimini


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All'udienza preliminare, l'imputato avanzava richiesta di rito abbreviato:
L.a richiesta veniva accolta e, terminata la discussione, il Giudice pronunciava sentenza, dando lettura immediata del dispositivo.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. II padre di P. allertava i CC sapendo che il figlio aveva una serra di cannabis.
l CC si recavano a casa del giovane e trovavano questa serra.
P. diceva di aver acquistato l'attrezzatura su internet.
Durante la perquisizione veniva trovata la ricevuta della consegna della serra.
La ricevuta indicava come destinatario F.M. ed il luogo di consegna coincideva con l'indirizzo di quest'ultimo in S.A., Via M..
A casa di F. venivano trovate 4 buste di cannabis ed un tranciatore di stupefacente.
2. In materia di stupefacenti, il mero data quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l'onere della prova a carico dell'imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sin pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione. (Cass.12146/09).
Nel caso di specie, appare plausibile la tesi della precostituzione di una scorta per uso personale da parte dell'imputato, assuntore abituale di droghe "leggere", tenuto conto della modica quantità e del reddito documentato.
E' pur vero che l'attrezzatura per la coltivazione era stata spedita a lui ma egli non ne ha trattenuto neppure un pezzo, sicchè è credibile che egli abbia voluto fare un piacere al suo fornitore abituale P..
3. La sostanza stupefacente sequestrata va sottoposta a confisca, ex art. 85 comma 3 D.P.R. 309/90, ed avviata alla distruzione come prevede il successivo art. 87 comma 4.
Ai sensi dell'art. 240 c.p.p., apparendo strumentale alla preparazione cli spinelli, si ritiene di dover confiscare tutto il materiale sequestrato.

P.Q.M.
Visti gli artt. 442, 530 c.p.p., assolve l'imputato perchè il fatto non costituisce reato.
Visti gli artt. 85 co 3 e 87 comma 4 - D.P.R. 309/90, confisca la sostanza in sequestro e ne ordina la distruzione.
CUNEO, 4 aprile 2014

Avv. Zaina
15-05-14, 21:47
Quotidianamente constato che la vera e sostanziale "innovazione", introdotta dalla recente dichiarazione di incostituzionalità del DL 272/2005, riposa nel ripristino della corretta differenziazione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere. Questa riviviscenza appare oltremodo ragionevole perché permette di mitigare quelle conseguenze in punto di pena, (in tema ad es. di marijuana ed hashish) che il regime normativo abrogato e precedente, che puniva indiscriminatamente con la medesima sanzione (la reclusione da 6 a 20 anni, oltre alla multa), rendeva pesantemente sproporzionate in relazione all'oggettività della condotta ed alla soggettività della personale. L'esperienza forense quotidiana, infatti, mi permette di rilevare che la differenza tipologica che intercorre fra il consumatore di cannabis e quello di cocaina (od eroina), riverbera evidenti effetti sul piano criminologico, perché ne caratterizza decisivamente la condotta e permette di distinguere ulteriormente il diverso spessore di pericolosità.
Si potrebbe quindi, affermare - evocando un parametro criminologico assai in uso nel passato - che ogni sostanza supponga concretamente uno specifico"tipo di consumatore" così come di sosteneva che specifici reati presupponevano particolari "tipi di autore".
Una distinzione di pericolosità che si palesa sia oggettivamente (quanto ai differenti effetti psicoattivi delle varie sostanze sulle persone) che soggettivamente (proprio per quelle differenze personali sopraccennate).
Dunque, il potere ottenere interinalmente un sensibile ridimensionamento del trattamento sanzionatorio (pur non tralasciando affatto la concreta prospettiva di ambire ad una sentenza di proscioglimento per uso pedonale, in relazione a condotte coltivative o detentive) costituisce, quanto meno, un passaggio che mette l'imputato al riparo da nefaste e tutt'altro che astratte future conseguenze carcerarie,
Ad esempio oggi la Corte di Appello di Trento, sezione di Bolzano, in un processo per la coltivazione di 6 piante e la detenzione di circa kg1,224 di marijuana e gr. 10 di hashish, ha ridotto la pena inflitta in primo grado, da 2 anni ed 8 mesi ad 1 anno (con la sospensione condizionale)ad entrambi i miei due assistiti.
Per vero devo confessare che non sono pienamente soddisfatto del risultato, perché ritengo che la fattispecie si prestasse anche ad una assoluzione sia per la detenzione, che per la coltivazione, che avrebbero potuto entrambe fruire dell'esimente dell'uso personale.
E' evidente che il processo presenta lacune investigative, di ordine metodologico, in relazione agli accertamenti peritali di natura chimico-tossicologica , che, però, non sono riuscito a fare cogliere appieno alla Corte (accertamenti effettuati solo sotto il profilo qualitativo e non quantitativo per le piante, assimilazione di tutti i reperti sequestrati che, invece, devono essere esaminati individualmente, senza effettuare la somma aritmetica del peso lordo e del Thc e la media percentuale del principio attivo).
Certo è che questo tipo di verifica ed eccezione dovrebbe venire prospettato già in coro di consulenza od immediatamente dopo, ma troppo spesso noi avvocati siamo troppo distratti, poco attenti ed ammettiamolo poco o reparti o superficialmente preparati.

Yomi
16-05-14, 07:18
Quotidianamente constato che la vera e sostanziale "innovazione", introdotta dalla recente dichiarazione di incostituzionalità del DL 272/2005, riposa nel ripristino della corretta differenziazione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere. Questa riviviscenza appare oltremodo ragionevole perché permette di mitigare quelle conseguenze in punto di pena, (in tema ad es. di marijuana ed hashish) che il regime normativo abrogato e precedente, che puniva indiscriminatamente con la medesima sanzione (la reclusione da 6 a 20 anni, oltre alla multa), rendeva pesantemente sproporzionate in relazione all'oggettività della condotta ed alla soggettività della personale. L'esperienza forense quotidiana, infatti, mi permette di rilevare che la differenza tipologica che intercorre fra il consumatore di cannabis e quello di cocaina (od eroina), riverbera evidenti effetti sul piano criminologico, perché ne caratterizza decisivamente la condotta e permette di distinguere ulteriormente il diverso spessore di pericolosità.
Si potrebbe quindi, affermare - evocando un parametro criminologico assai in uso nel passato - che ogni sostanza supponga concretamente uno specifico"tipo di consumatore" così come di sosteneva che specifici reati presupponevano particolari "tipi di autore".
Una distinzione di pericolosità che si palesa sia oggettivamente (quanto ai differenti effetti psicoattivi delle varie sostanze sulle persone) che soggettivamente (proprio per quelle differenze personali sopraccennate).
Dunque, il potere ottenere interinalmente un sensibile ridimensionamento del trattamento sanzionatorio (pur non tralasciando affatto la concreta prospettiva di ambire ad una sentenza di proscioglimento per uso pedonale, in relazione a condotte coltivative o detentive) costituisce, quanto meno, un passaggio che mette l'imputato al riparo da nefaste e tutt'altro che astratte future conseguenze carcerarie,
Ad esempio oggi la Corte di Appello di Trento, sezione di Bolzano, in un processo per la coltivazione di 6 piante e la detenzione di circa kg1,224 di marijuana e gr. 10 di hashish, ha ridotto la pena inflitta in primo grado, da 2 anni ed 8 mesi ad 1 anno (con la sospensione condizionale)ad entrambi i miei due assistiti.
Per vero devo confessare che non sono pienamente soddisfatto del risultato, perché ritengo che la fattispecie si prestasse anche ad una assoluzione sia per la detenzione, che per la coltivazione, che avrebbero potuto entrambe fruire dell'esimente dell'uso personale.
E' evidente che il processo presenta lacune investigative, di ordine metodologico, in relazione agli accertamenti peritali di natura chimico-tossicologica , che, però, non sono riuscito a fare cogliere appieno alla Corte (accertamenti effettuati solo sotto il profilo qualitativo e non quantitativo per le piante, assimilazione di tutti i reperti sequestrati che, invece, devono essere esaminati individualmente, senza effettuare la somma aritmetica del peso lordo e del Thc e la media percentuale del principio attivo).
Certo è che questo tipo di verifica ed eccezione dovrebbe venire prospettato già in coro di consulenza od immediatamente dopo, ma troppo spesso noi avvocati siamo troppo distratti, poco attenti ed ammettiamolo poco o reparti o superficialmente preparati.

E questo punto, miei cari enjointers, mi preme sottolinearlo, per rimarcare l'importanza della presenza, qui tra noi, del dottor Zaina:
prima di conoscere enjoint e lei avvocato, avevo molte più paranoie (anche se, devo ammettere, con la mia invalidità, la stomia, mi sento più sicuro, un po' egoisticamente, da sbandierare alle autorità il "sono malato, ciò certificato"). Ora invece, almeno so come muovermi, almeno so di avere qualche ora di tempo per far arrivare un legale o un testimone, so che i fusti e le foglie, li devono separare dai fiori, eccetera.

Quindi, ringrazio Enjoint e ringrazio il dottor Zaina.

Sperando un giorno, di vedere i balconi fioriti, come succede da decenni, nella vicina Spagna.

:hippy: :PACE:

Avv. Zaina
16-05-14, 09:42
Caro Yomi lei è' troppo gentile e la ringrazio davvero. Io cerco di fare quel che posso nel limite delle mie capacità e della disponibilità dei giudici a rapportarsi ai problemi che poniamo.

shisui
17-05-14, 20:47
prima di conoscere enjoint e lei avvocato, avevo molte più paranoie (anche se, devo ammettere, con la mia invalidità, la stomia, mi sento più sicuro, un po' egoisticamente, da sbandierare alle autorità il "sono malato, ciò certificato"). Ora invece, almeno so come muovermi, almeno so di avere qualche ora di tempo per far arrivare un legale o un testimone, so che i fusti e le foglie, li devono separare dai fiori, eccetera.
giustissimo...conoscere bene la legge fa si che sia molto più semplice farsi riconoscere i propri diritti

Avv. Zaina
19-05-14, 10:44
COMMENTO AL DL 36/2014.

I commi 24 ter e 24 quater dell’art. 1 del DL 20 marzo 2014 n. 36 (in G.U. n. 67 del 21 marzo 2014) incidono sulla struttura del combinato disposto dagli artt. 73 e 75 del DPR 309/90, in quanto mirano (in special modo la nuova edizione dell’art. 75) a definire e tratteggiare i confini entro i quali vada ravvisata l’operatività del concetto di uso esclusivamente personale, nonché le modalità attraverso le quali tale scriminante possa effettivamente produrre effetti in relazioni a casi di detenzione che può essere generica oppure qualificata (importazione od esportazione, acquisto o, comunque, ricezione).
Anche l’intervento ulteriormente modificativo che si rivolge all’art. 73 comma 5° merita attenzione, anche se, pare di poter affermare, si tratta di un’occasione perduta.

1. PRIME CONSIDERAZIONI DI NATURA METODOLOGICA E NOVITA’ SEMANTICHE.
1.1 LA RIABILITAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE E LA SUA NUOVA FORMULAZIONE DI TESTO.

Un primo elemento caratterizzante il DL 36/14 è dato dal definitivo collocamento del concetto di “uso esclusivamente personale” (che viene espressamente recuperato, dopo l’abrogazione del comma 1 bis dell’art. 73, da parte della sentenza 32 della Corte Costituzionale) nel corpo dell’art. 75.
Si è dato corso, quindi, ad una duplice scelta normativa, che suscita perplessità.
Da un lato, viene ribadita la formula “uso esclusivamente personale”, la quale contiene anche l’avverbio “esclusivamente”, che già ha formato oggetto di critiche per la usa assoluta superfluità.
Dall’altro, viene dato luogo allo spostamento del concetto scriminante, dalla sua sede naturale – la norma incriminatrice per eccellenza, l’art. 73 (dove era collocato al comma 1 bis) – al testo dell’art. 75, che, invece, disciplina il sistema della sanzioni amministrative.
In relazione all’istituto in esame si deve, inoltre, osservare che il DL 36/14, all’art. 1 comma 24 quater, reintroduce e riproduce una serie di paradigmi (già presenti nella dizione del comma 1 bis dell’art. 73) che il giudice può discrezionalmente utilizzare per pervenire alla decisione concernente la destinazione dell’uso personale dello stupefacente .
Rimane il fatto che, allo stato, manca ancora una precisa definizione dei cd. “limiti massimi” di sostanza stupefacente (la QUANTITA’ MASSIMA DETENIBILE), introdotti a suo tempo con il DM 11 aprile 2006.
Per colmare detto lacuna (che riverbera pesanti effetti anche in relazione al concetto di ingente quantità, così come modellato nel 2012 dalle SSU) il legislatore ha dovuto prevedere l'emanazione, da parte del Ministro della salute di concerto con il Ministro della giustizia, dei relativi decreti che, come detto, erano già previsti dall'art. 73 co. 1-bis lett. a), abrogato con la sentenza n. 32/2014.
Or bene, al di là della sostanziale riabilitazione di canoni ermeneutici, la cui codificazione era, peraltro, naturale conseguenza della esperienza quotidiana forense, deve essere rilevato il nuovo e radicale mutamento di impostazione che connota la normativa.
Si opera, infatti, una vera rivoluzione di lessico e di indirizzo.
Il legislatore muove, infatti, (abbandonandola), da una pregressa concezione, in base alla quale l’“uso esclusivamente personale” poteva essere ravvisato, solo in via residuale, dopo la formulazione di un giudizio negativo, cioè di esclusione – in capo all’agente – delle attività penalmente punibili , e perviene, così, all’enunciazione di un principio che, pur identico nel fine e nella sostanza, all’opposto, ribalta, però, i termini di valutazione e giudizio.
Ciò avviene, tramite l’esclusione preliminare di ogni tipo di riferimento sanzionatorio e l’adozione di una struttura lessicale che indica espressamente i paradigmi interpretativi che il giudice possa usare – nell’ambito dell’esercizio della propria discrezionalità -.
I canoni valutativi vengono, così, proposti quale metro strumentale e positivo di decisione in ordine alla eventuale sussistenza dell’esimente.
E’ questa, dunque, l’unica innovazione che possa rimanere immune da critiche, perché essa introduce una definizione in luogo di una non-definizione qual’era l’uso esclusivamente personale nella L. 49/2006.


1.2 LA COLLOCAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE NEL TESTO DELL’ART. 75; PERPLESSITA’. LE CONDOTTE SCRIMINATE.

Il legislatore, pur ribadendo – senza particolare convinzione (e forse obtorto collo) – la sola depenalizzazione del consumo personale di sostanze stupefacenti, opta, poi, per una scelta che eleva il comma 1 dell’art. 75 a paradigma centrale ed a volano interpretativo del giudizio di applicabilità della scriminante dell’uso personale rispetto ai casi specifici.
Questa nuova impostazione strutturale e sistematica non pare, però, convincente.
Risulta, infatti, assai singolare che l’eventuale riconoscimento della liceità penale di una serie di condotte tassativamente individuate (ed altrimenti sanzionate), condizione che dipende dalla loro effettiva correlazione al fine del consumo personale e giudizio che investe la struttura precettiva della norma incriminatrice (l’art. 73), debba, invece, venire desunto per relationem et aliunde.
La unità strutturale del sistema governato dal DPR 309/90, il quale individua la condotte ritenute penalmente illecite e, in pari tempo, esclude, tassativamente, da tale novero alcune altre (detenzione, importazione, esportazione, acquisto e ricezione) viene, così, illogicamente ripartita su più norme tra loro autonome, venendosi a provocare una vera frammentazione.
La ricordata traslazione del concetto di “uso esclusivamente personale” dall’art. 73 all’art. 75, appare un segno evidente di rafforzamento della logica che ispira la previsione del sistema delle sanzioni amministrative.
Certamente più razionale e più utile, sul piano esegetico, sarebbe stata la scelta di costruire una unica norma, (con la rimeditazione della trama dell’art. 73), scegliendo di ricomprendere in tale ambito – allo stesso tempo - sia il riferimento sanzionatorio, che quello esimente e riservando all’art. 75 un ruolo di testo collegato naturalmente consequenziale, la cui applicazione apparisse di natura residuale e sussidiaria rispetto al giudizio che il giudice formuli riguardo alla effettiva sussistenza, nel caso concreto, dell’uso personale.
L’indirizzo ideologicamente proibizionista, che sostiene il complesso normativo del DL 36/14 è ravvisabile anche in virtù dell’uso dell’avverbio “illecitamente” abbinato alle successive condotte indicate, il quale non lascia dubbio alcuno in ordine alla circostanza che, pur rimanendo estranee al contesto penalistico, le varie ipotesi comportamentali, regolate dall’art. 75, sono sempre oggetto di un giudizio di disvalore, che le qualifica come illecito amministrativo (assoggettandole alle relative sanzioni ed escludendo qualsiasi timida idea di depenalizzazione).
Si deve , inoltre, rilevare che la norma introdotta con il comma 1 bis dell’art. 75 non muta il numero e le tipologie di condotte che vengono scriminate dalla destinazione all’ uso esclusivamente personale, rispetto al regime precedentemente vigente.
Nessuna sorpresa, dunque, sul mancato inserimento in tale contesto della coltivazione, giacchè esso sarebbe stato un atto di troppo grande rottura ed evoluzione, rispetto alla imperante e ridotta visione proibizionista, quello di considerare l’opportunità di cogliere l’assist fornito dalla giurisprudenza più illuminata (Cfr. Cass. Sezione Sesta n. 12612/13 18 marzo 2013) che ha posto l’accento sul tema dell’offensività globale e concreta in relazione alla condotta coltivativa.
Dunque, la questione coltivazione rimane impregiudicata e sarà ancora oggetto dei vibrati contrasti che l’hanno connotata negli ultimi anni.
Semmai, si deve osservare che la riproposizione della locuzione “riceve a qualsiasi titolo”, quale norma di chiusura e sintesi rispetto alle altre precedenti e più specifiche condotte, ripresenta i dubbi di genericità, peraltro, già evidenziati all’atto della promulgazione della L. 49/2006.
Si può solo ritenere che con l’espressione in oggetto, il legislatore ha inteso elaborare una disposizione che copra situazioni nelle quali la dazione materiale della sostanza avvenga con modalità e causali differenti da quelle tipiche dell’acquisto.
Vale a dire che la perifrasi è concepita per abbracciare tutte quelle ipotesi di passaggio dello stupefacente da un soggetto ad un altro, che si perfezionino gratuitamente o per liberalità.

Avv. Zaina
19-05-14, 10:44
2. IL REATO PREVISTO DAL COMMA 5° DELL’ART. 73 CONTINUA IL MUTAMENTO.

Il DL 36/2014 ci offre, inoltre, l’ennesima performance modificativa del comma 5° dell’art. 73 del DPR 309/90, norma sottoposta nell’ultimo arco d’anno ad una stressante serie di interventi di restiling, che, talora, come nel caso di quello in esame, paiono del tutto stravaganti ed incomprensibili per l’assenza di un profilo di strategia logico-giuridica.
L’esito partorito appare, infatti, un vero pateracchio compromissorio di basso livello logico-giuridico.
Immediatamente, infatti, si può affermare che non è affatto vera la categorica affermazione che la rimodulazione della pena nel massimo edittale, fissando il relativo limite a quattro anni, impedirà che l’indagato venga arrestato.
Si continua, quindi, nonostante le assicurazioni, a perpetuare nocivi effetti in tema di libertà personale l’art. 381 comma 1 cpp (che regola l’arresto facoltativo in flagranza e legittima il processo per direttissima); certo, non potrà essere applicata dal giudice la misura della custodia in carcere, ma questa appare una conseguenza del tutto minima e residuale, alla luce della esperienza quotidiana forense.
Un piccolo vantaggio deriva dal fatto che il condannato potrà godere del diritto alla sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., venendo meno la circostanza ostativa della costanza di stato di custodia cautelare di cui al co. 9 lett. b) del medesimo art. 656 .
E’ ben vero, inoltre, che il limite massimo di pena di quattro anni, permetterà l’accesso dell’imputato/indagato alla possibilità di richiedere l’applicazione della messa alla prova di cui al nuovo art. 168 bis c.p. (introdotto con L. 67 del 28 aprile 2014), ma questa è, comunque, un’opzione che – almeno per quanto attiene coloro che fossero stati denunziati per fatti commessi sino al 23 dicembre 2013 (data di entrata in vigore della L. 146/2013) in relazione alla cannabis - era già possibile.
E’, comunque, del tutto inconcepibile – sul piano razionale - che il legislatore, il quale si accredita (e si vanta) come portatore di un disegno che mira a sanzionare tutti i comportamenti riguardanti le droghe (non dimentichiamo che le condotte non propriamente reato del comma 1 bis dell’art. 75, sono pur sempre contemplate come illeciti sanzionati amministrativamente) proceda, poi, ingiustificatamente alla diminuzione del trattamento sanzionatorio comune a tutti i fatti di lieve entità (abbassandoli ai livelli di pena che la il dpr 309/90, nella versione originaria JERVOLINO-VASSALLI prevedeva solo per le droghe leggere) pur di non ammettere una ovvia, quanto razionale, distinzione sanzionatoria fra sostanze psicoattive di differente pericolosità.
Il paradosso è, dunque, solare.
Invece di incentivare il contrasto alla diffusione delle droghe pesanti (di per sé, all’evidenza, assai pericolose e letali), il legislatore (o, comunque, una precisa fascia parlamentare) ossessionato esclusivamente ed irragionevolmente dal tema cannabis, giunge inspiegabilmente, addirittura, a diminuire le pene riguardanti le violazioni del comma 5°, con una sorprendente, quanto contraddittoria – rispetto ai proclami - scelta al ribasso.
La rimodulazione della pena nei termini appena indicati, non è, però, l’unica schizofrenia ideologico-politica, che sia ravvisabile nel testo del DL 36/2014.
Emerge e sconcerta, infatti, la immotivata pervicacia che la quale il governo (a taluno che lo sostiene) ha insistito affinchè venisse ribadito il concetto dell’unicità del trattamento sanzionatorio, qualunque fosse la tipologia della sostanza.
L’argomento principe utilizzato – a vaga giustificazione - è quello che la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale ha abrogato il DL 272/2005 e la conversione nella L. 49/2006, solo per motivi di natura formale, non essendo stato formulato un vero e proprio giudizio di costituzionalità della norme in esso contenute.
L’osservazione è all’apparenza – ma solo all’apparenza – parzialmente veridica.
In realtà, chiunque si approcci alla decisione del giudice delle leggi in buona fede, legge nella decisione della Consulta – che abbraccia per implicito anche il merito della legge – una pesante censura senza appello sul disinvolto modo di legiferare dei padri del DL 272/2005, che risulta caratterizzato dalla mistificata evocazione della infondata sussistenza di motivi di urgenza ed indifferibilità, che ha legittimato la scelta di dare corso ad un decretazione di urgenza (violazione dell’art. 77 Cost.).
Dunque la sentenza della Corte Costituzionale costituisce un vero tsunami che mette a nudo la assenza di correttezza della procedura legislativa, che ha ecceduto la delega normativa, il difetto dei presupposti evocati e, al contempo, la necessità che materie come quella in oggetto siano caratterizzate da un dibattito parlamentare ampio e profondo.
Ciò posto, si deve rilevare che la riformulazione del comma 5° dell’art. 73 (pur nella conferma di tale opinabile assimilazione sanzionatoria già fatta propria dal DL. 23 dicembre 2013 n. 136 conv. in L. 21 febbraio 2014 n. 14) trasuda molteplici profili di incostituzionalità.
Al di là delle considerazioni generali, si ripresentano i dubbi di compatibilità con l’art. 77 comma 2° Cost. per il ricorso alla decretazione di urgenza in una materia come quella dell’ipotesi di lieve entità, modificata dall’art. 1 comma 24 ter DL 36/2014, atteso che non si comprende quali siano le effettive ragioni di impellenza ed indifferibilità che abbiano consigliato l’adozione l’inserimento di tale disposizione in un contesto variegato e di maggiore ampiezza .
Non si dimentichi che l’intervento modificativo, prescindendo dal palese sospetto di incostituzionalità di merito, appare insipiente, se non – addirittura – inutile perchè si limita a ridurre i minimi e di massimi edittali di una pena.
Né si può seriamente sostenere che la diminuzione del massimo edittale da 5 a 4 anni, pur determinando la non più assoggettabilità alla applicazione di misura cautelari, ma comunque, la permanenza della possibilità di arresto della fattispecie, costituisse una modifica da attuarsi con un urgenza assoluta e solo con il mezzo del decreto legge .
Ulteriore profilo di contrasto della norma – sotto il profilo dalla logica e della ragionevolezza- involge l’art. 3 Cost. .
A) L’ipotesi lieve governa una situazione di fatto, la quale differisce dall’ipotesi ordinaria solamente in funzione di un giudizio soggettivo di minima offensività della condotta, che si esprime attraverso parametri tipicizzati.
B) L’incipit “Salvo che il fatto costituisca più grave reato” [che è stato introdotto quale elemento qualificante la natura di reato autonomo in luogo di circostanza aggravante, (cfr. Cass. Sez. Terza sent. 16029 17 aprile 2014 e Sesta sent. 14288 26 marzo 2014)] appare sintomatico indice della strettissima ed intima sintonia ed analogia sia fattuale che giuridica che intercorre fra le fattispecie contemplate ai commi 1, 4 e 5 dell’art. 73.
C) Di particolare rilievo, se non risolutiva, nel senso della fondatezza della tesi di incostituzionalità che si prospetta, appare, poi, la formulazione del precetto “Chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo…”, posto che tale perifrasi dimostra che non vi è alcuna differenza materiale in ordine alle condotte ritenute penalmente rilevanti dal comma 5, rispetto a quelle previste dai commi 1 e 4.

Se, dunque, non è ravvisabile alcuna significativa differenza tra il reato concernente le condotte di lieve entità e quello contenuto nel testo riguardante l’ipotesi ordinaria di base dell’art. 73, non pare affatto accettabile, nè condivisibile la scelta di adottare un parametro sanzionatorio ad hoc per l’ipotesi di lieve entità.
Ad avviso di chi scrive, risulta illogico e contrario a principi di giustizia sostanziale che l’impostazione fondamentale, che individua – in relazione al reato base - una duplicazione di sanzioni, stabilendo una pena ad hoc per le sostanze inserite in specifiche tabelle riguardo al caso concreto, subisca una deroga in dipendenza di un giudizio successivo, che involge il livello puramente soggettivo di gravità del fatto stesso.
Ci troviamo di innanzi ad una norma (l’art. 73) che, esaminata nella sua complessività, si manifesta, quindi, come tutt’altro che coerente sul piano della metodica sanzionatoria.
Il discrimine riguardante l’offensività di sostanze tra loro differenti (che si traduce in concreto in trattamento sanzionatori diversi) deve costituire un principio di natura permanente e costante, che non può patire eccezioni di sorta, soprattutto se le eccezioni discendono da elementi accidentali del reato, i quali non inficiano la struttura sostanziale della fattispecie.
Il comma 5° è un reato minor, ma è pur sempre (sia materialmente, che formalmente) il medesimo reato descritto nei comma 1 e 4 dell’art. 73, perché medesime sono le condotte materiali.
Altro argomento che, reputo, merita essere considerato a sostegno della critica che si avanza, si desume dal ripristino di una pluralità di tabelle, all’interno della quale collocare – separatamente – le singole sostanze.
La circostanza che la cannabis sia stata inserita nella tabella II, conferma, infatti, la differenza e di tale sostanza da quelle inserite nella tabella I (per definizione droghe pesanti).
La distinzione, così, operata, non risponde (né può rispondere) ad un mero canone di carattere formale, bensì esso è elemento di base e costitutivo delle previsioni sanzionatorie contenute nell’art. 73 co. 1 e co. 4, posto che ciascuna di tali disposizioni opera un preciso ed in equivoco riferimento tabellare , l’una alla tabella I, l’altra alla tabella II.
Il doppio binario venutosi, così, a creare per la scelta legislativa in commento, non appare, quindi, affatto fondato e giustificato.

3. IL RECUPERO DEL COMMA 5 BIS .

Un effetto deleterio, indiretto, della decisione della Corte Costituzionale era consistito nella abrogazione dell’art. 73 comma 5 bis , norma che introduceva misure alternative al carcere, in relazione a condanne che fossero state pronunziate, in relazione a vicende rientranti nel contesto della lieve entità, che avessero visto come imputate persone tossicodipendenti o assuntrici di sostanze psicoattive.
Nella più generale ed ampia visione ed impostazione che mira ad introdurre nel nostro sistema penale forme alternative al carcere sia di natura preventiva (ad esempio la messa alla prova di cui all’art. 168 bis e segg. c.p., prevista dalla L. 67 del 28 aprile 2014 , che si palesa come metodo di definizione del giudizio in sostituzione delle altre ipotesi di celebrazione dello stesso), che successive al vero e proprio giudizio penale (ad esempio il comma 9 bis dell’art. 186 o il comma 8 bis dell’art. 187 CdS), il recupero di questo istituto – che rientra indubbiamente nella categoria dei rimedi successivi determinando la conversione di una pena inflitta – appare una scelta condivisibile.
Per vero, si deve rilevare che la previsione del comma 5 bis, non aveva avuto una capillare applicazione in questi anni, ottenendo un apprezzamento indubbiamente inferiore alle attese createsi.
Il nuovo tentativo di prevedere, in ipotesi di impossibilità di riconoscere all’imputato la sospensione condizionale della pena che gli venga inflitta, una soluzione che precluda l’accesso al carcere, pare meritevole, comunque, di sostegno.
Circoscrivere tale opzione ai soli fatti di lieve entità, pare – ad avviso dello scrivente – un’opzione corretta, in quanto marca in modo preciso il valore del reato di cui al comma 5°, che spesso, è assunto come discutibile formula definitoria di carattere compromissorio di situazioni borderline, vale a dire episodi posti sullo spartiacque tra liceità ed illiceità.

Avv. Zaina
27-05-14, 18:22
Desidero segnalare una sentenza che giudico già ad una prima sommaria lettura (con riserva di meglio approfondirla) stranamente contraddittoria.
Da un lato la S.C. riconosce che il giudice debba verificare in concreto l'offensività della condotta la quale pero non può essere esclusa se i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, bensì solo quando risultino inidonei a produrre alterazioni psicotrope ed un effetto drogante.
E sin qui, purtroppo nulla di nuovo.
Dall'altro, però, si afferma che nel compiere la verifica relativa all'offensività, il giudice si deve soffermare sul quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, sul loro grado di maturazione, su ulteriori circostanze, quali l'estensione e la struttura organizzata del la piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.
(Sez. 3, Sentenza n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174, De Vita).
E qui, invece, si verificherebbe una interessante apertura a criteri di valutazione spesso reietti nelle sentenza di legittimità e di merito.
Ci si deve allora domandare quale sia l'effettivo principio sancito dalla Corte Suprema, perchè delle due l'una.
Se dovesse avere valore tranciante il primo paradigma, e cioè quello dell'efficacia minimamente drogante del THC contenuto) ci si deve, infatti, porre il quesito di quale utilità avrebbe, quindi, tutta la attività di ricognizione di quegli elementi elencati nel secondo.
D'altronde in prosieguo la sentenza della Corte rileva un ulteriore indizio che potrebbe fare propendere per una cauta apertura e cioè il rilievo che nella fattispecie si sarebbe verificata "la sussistenza di una coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e, dall'altro, la idoneità delle piante sequestrate a produrre effetto stupefacente. Gli effetti de! narcotest devono, infatti, essere letti unitamente all'ingente quantitativo di piante sequestrate (95 di cui alcune in pieno sviluppo e alte due metri)".
Considerazioni, quindi, che non rendono peregrina la tesi del riaffacciarsi della distinzione fra coltivazione imprenditoriale e coltivazione domestica, quale ennesimo canone per decidere sulla rilevanza penale della coltivazione.

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta penale


composta dai signori: dott. Antonio Agro Presidente
dott. Vincenzo Rotundo Consigliere
dott. Emanuele Di Salvo Consigliere
dott. Orlando Villoni Consigliere
dott. Guglielmo Leo Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto nell'interesse di PS, nato a X ii 31-3-84, avverso la
sentenza in data 15-4-13 della Corte d'Appello di Milano, sez. V penale.
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed ii ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere, dott. Vincenzo Rotundo.
Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen., dott.ssa Fodaroni, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul trattamento sanzionatorio e per ii rigetto del ricorso nel resto.
Udita l 'avv.ssa Alessandra Stefano, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, associandosi in via subordinata alle richieste del P.G.

FATTO E DIRITTO
1 .-. II difensore di PS ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Milano in data 15- 4-13 ha confermato la condanna pronunciata nei confronti del predetto in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato e previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro dodicimila di multa per ii reato di cui all'art. 73 DPR 309/90 per avere coltivato marijuana (accertato in Borgo Priolo I' 1 1-7-12).
II ricorrente deduce in primo luogo violazione di legge e vizio d i motivazione in punto di affermazione della sua responsabilità, sostenendo che non sarebbe stata dimostrata la reale offensività della condotta posta in essere, non essendo stato disposto alcun accertamento tossicologico ex art. 360 c.p.p. sulle sostanze sequestrate .
In secondo luogo eccepisce la illegittimità costituzionale dell'art . 73 DPR 309/90, come modificato dall 'art. 4 bis della Legge n. 49 del 2006, per contrasto con gli artt. 77, secondo comma, 3 e 1 17, primo comma, Cost.
2 .-. II primo motivo di ricorso e infondato.
E' pur vero che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. (Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008, Rv. 239921, Di Salvia; e da ultimo sez. 6, Sentenza n. 12612 del 10/12/2012, Rv. 254891, Floriano). Nel compiere tale verifica, il Giudice deve avere riguardo non soltanto al quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, ma anche ad u lteriori circostanze, quali l'estensione e la struttura organizzata del la piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Sez. 3, Sentenza n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174, De Vita). In particolare, in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, ii dato ponderale può assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull'offensività della condotta, la quale pero non puo essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall'art. 14 del d.P.R. n. 309 de! 1990 (Sez. 4, Sentenza n. 43184 del 20/09/2013, Rv. 258095, Carioti).
Come correttamente rilevato dalla Corte di Appello, nel caso in esame le risultanze probatorie hanno permesso di accertare da un lato la sussistenza di una coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e, dall'altro, la idoneità delle piante sequestrate a produrre effetto stupefacente. Gli effetti de! narcotest devono, infatti , essere letti unitamente all'ingente quantitativo di piante sequestrate (95 di cui alcune in pieno sviluppo e alte due metri), dalle quali era stata ricavata la sostanza pronta all'uso (pure sequestrata), nonchè alle significative dichiarazioni dello stesso imputato, che ha parlato di una attività che andava avanti da circa un anno con raccolta ed essiccamento delle infiorescenze ogni due o tre mesi.
Ne deriva che, date le caratteristiche della piantagione , la Corte di merito, nel ritenere nella fattispecie configurabile ii reato, ha ineccepibilmente applicato i principi ed i criteri enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sopra sinteticamente riportati.

3 .-. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che ii Giudice delle Leggi con la sentenza n. 32 de! 2014 ha, nel frattempo, già dichiarato incostituzionali le disposizioni della Legge n. 49 del 2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, cosi ripristinando ii previgente regime precettivo e sanzionatorio. A seguito di questa decisione, la pena inflitta al prevenuto, essendo stata determinata in base a parametri oggi costituzionalmente illegittimi , necessita di una rivalutazione, cui dovrà procedere ii Giudice di merito in base alla forbice edittale di attuale riferimento.

4 .-. Per le considerazioni sopra svolte si impone l'annullamento della sentenza impugnata in parte qua, e cioè Iimitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano e con rigetto nel resto de! ricorso.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto ii ricorso.
Cosi deciso in data 4-4-2014.

Avv. Zaina
31-05-14, 17:23
Desidero segnalare che la decisione delle SSUU della Corte di Cassazione dello scorso 29 maggio determina, quindi, la possibilità per chiunque sia stato condannato per reato connessi ad hashish e marjiuana, di chiedere la revoca della sentenza passata in giudicato - attraverso l'attivazione del rimedio processuale previsto dall'art. 673 c.p.p. -, anche nell'ipotesi nelle quali attinte dalla declaratoria di incostituzionalità siano le norme penali incidenti sul trattamento sanzionatorio.
E' da ritenere che esse siano state considerate "analoghe alle norme incriminatrici".
Dunque, pare di potere ricavare il principio per cui l'intervento delle SSUU riconosca la facoltà di richiedere la rimodulazione della sanzione inflitta sulla base di una pena, dichiarata illegale (come avvenuto per la legge FINI GIOVANARDI), basandosi su di una lettura corretta della L. n. 87 del 1953, art. 30, commi 3 e 4, la quale presenta una previsione più ampia dell'art.673 c.p.p. e che rimane lo strumento processuale per riproporre la questione al giudice dell'esecuzione.
Non è corretto affermare, come fanno alcuni organi di stampa, che la decisione attiene solo a situazioni di lieve entità.
Come al solito i giornalisti si dimostrano non all'altezza perchè si limitano a leggere senza capire che era il caso specifico attinente alla lieve entità e non è la sentenza che limita l'efficacia a tali casi, e perchè riportano acriticamente questo dato ingenerando confusione.
Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento al 3339030931.

Avv. Zaina
06-06-14, 18:09
Il dibattito sulla liceità o meno della coltivazione di piante che producano derivati della cannabis si arricchisce di un nuovo pronunziamento reso dal GUP presso il Tribunale di Avellino, (che si allega) relativo ad una vicenda che vedeva tre persone imputate in relazione ad una piantina di dimensioni assai limitate, che - stando al capo di imputazione - sembrerebbe essere stata addirittura priva di principio attivo.
Volendo prescindere, quindi, dalla considerazione che una situazione di fatto, del tipo di quella descritta, comporterebbe a fortiori, il proscioglimento degli imputati, non essendo venutosi a realizzare l'evento illecito tipico, che rende la condotta penalmente rilevante e cioè la produzione di principio attivo (THC), la sentenza appare, però, interessante per alcune considerazioni sviluppate dal GUP sulla sempre viva questione della necessità di stabilire quali siano i limiti entro i quali la condotta di coltivazione risulti priva di offensività.
Il GUP riconduce, infatti, il concetto di offensività a quei termini "ortodossi" che trovano la loro massima espressione nella nota sentenza delle SSUU n. 28605 (28 aprile - 10 luglio 2008) e che fanno coincidere la pericolosità della coltivazione (vale a dire l'idoneità di tale comportamento ad assumere rilevanza penale) esclusivamente o con il non completamento del ciclo di maturazione, oppure con una presenza di principio attivo inidoneo a produrre effetti droganti.
La destinazione del prodotto ad uso personale, quindi, appare - purtroppo - esclusa dal novero degli elementi che il giudice è chiamato a considerare per valutare la attitudine della coltivazione a porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla legge sugli stupefacenti e che consiste sia in via primaria nella difesa della salute pubblica, sia in via sussidiaria nella preservazione della sicurezza e dell'ordine pubblico.
Argomenti, che militerebbero nel senso di privare di valore esimente la coltivazione ad uso personale, si rinverrebbero sia nella struttura dell'art. 75 (che non ricomprende nell'elenco delle condotte che possono formare oggetto di sanzioni amministrative - siccome scriminate dall'uso personale - la coltivazione), sia nell'adesione incondizionata ai principi della sentenza delle SS.UU. del 2008 già citata, che ebbe a sostenere pervicacemente (attraverso il richiamo alla sentenza 360/1995 della Corte Costituzionale) la arbitrarietà della distinzione fra "coltivazione domestica" e "coltivazione agraria", e la peculiare differenza tra detenzione ad uso personale e coltivazione ad uso personale (sulla base di considerazioni astratte e piuttosto irrealistiche, quale ad esempio il convincimento che il detentore abbia una relazione più diretta con lo stupefacente di quanto non l'abbia il coltivatore con la pianta ed il prodotto ottenuto).
Sia consentito rilevare che l'evocazione della sentenza delle SS.UU. del 2008 pare - in questo come in altri arresti giurisprudenziali - una sorta di foglia di fico, dietro la quale pudicamente nascondersi per reprimere preventivamente ogni spinta evolutiva del pensiero giuridico, che richieda un approccio differente al tema della offensività, basato sulla necessaria centralizzazione del tema del consumo personale.
E' inutile e gravemente riduttivo ricondurre l'evoluzione del principio di legalità "nullum crimen sine iniuria" solamente alle risultanze eventualmente positive di un'analisi tecnica che accerti il livello qualitativo/quantitativo del THC che la pianta (o le piante) è in grado di produrrre all'atto del sequestro.
Si deve, infatti, osservare che circoscrivere a tali termini l'inoffensività (o l'offensività) della condotta coltivativa, comporta la aprioristica esclusione esclusione della valutazione della volontà dell'agente e dello scopo che questi persegue con il proprio comportamento.
Non si può continuare a navigare nell'equivoco.
Se il bene giuridico presidiato dalle norme penali ed amministrative contenute nel dpr 309/90 - ed in modo speciale dall'art. 73 - è di carattere plurimo, desunto dalla combinato dato dalla salute pubblica, dalla sicurezza e dall'ordine pubblico appare necessario che questi tre scopi asseritamente tutelati dal compendio normativo vengano posti in correlazione paradigmatica anche (e soprattutto) con la volontà che induce il singolo cittadino alla coltivazione per il proprio esclusivo fabbisogno.
La spinta motiva, il fine perseguito non possono, pertanto, rimanere confinati in un limbo, che impedisce loro di produrre concreti effetti positivi sul piano ermeneutico.
Se, infatti, il dpr 309/90 è posto a contrastare la diffusione delle sostanze stupefacenti, la coltivazione domestica e privata del singolo costituisce espressione chiara e non equivocabile di una idea di produzione che esaurisce il proprio iter e raggiunge il proprio acme all'interno della sfera privatistica dell'agente e non deborda, nè esorbita dalla stessa.
L'assenza di proiezione e di conseguenze ab externo - il prodotto della coltivazione, quindi, non viene posto sul mercato e non aumento il potenziale di sostanza illecita offerto ai terzi - rivestono caratteri decisivi in una prognosi di non offensività e, pertanto, di liceità della coltivazione.
Per quanto riguarda l'argomento legislativo, cioè il testo dell'art. 75, corre l'obbligo di osservare che le modifiche introdotte dalla L. 79/2014 - che la sentenza non ha potuto richiamare perchè anteriore al provvedimento legislativo in questione - continuano a costituire un baluardo giuridico alla omologazione della coltivazione a tutte quelle condotte che geneticamente illecite, invece, trovano una loro giustificazione proprio per la loro strumentalità con il fine del consumo personale.
Si tratta di una triste realtà che potrà essere superata solo con una vera volontà politica di modifica della vigente legislazione.

wall-e
08-06-14, 23:19
buona sera Avvocato,
mi permetto di farle una domanda perchè c'è una cosa che non riesco a capire pur avendo letto decine di post a riguardo, quello che non riesco a capire è se una persona condannata con l'articolo 73 comma 5 ha diritto ad un ricalcolo della pena o se questo comma non prevede un ricalcolo.
Sul web ci sono articoli che dicono di si e altri che dicono di no, purtroppo non riesco a comprendere bene i termini che vengono usati negli articoli che ho letto, quindi se fosse così gentile da fare chiarezza su questo punto le sarei grato.
nel caso il comma 5 non prevedesse il ricalcolo mi spiegherebbe cortesemente il perchè?

la ringrazio anticipatamente.

Avv. Zaina
12-06-14, 15:20
Pubblico le motivazioni della sentenza resa dal GUP di Pisa che lo scorso 2 aprile ha assolto un mio assistito dall'accusa di coltivazione illecita di 4 piantine.
Buona lettura!

jointer
12-06-14, 16:09
Pubblico le motivazioni della sentenza resa dal GUP di Pisa che lo scorso 2 aprile ha assolto un mio assistito dall'accusa di coltivazione illecita di 4 piantine.
Buona lettura!

vi è andata benissimo:biggrinthumb:
immagino la scena di sto tipo che si lancia dalla finestra con le piantine:roflmao:

Avv. Zaina
12-06-14, 21:53
buona sera Avvocato,
mi permetto di farle una domanda perchè c'è una cosa che non riesco a capire pur avendo letto decine di post a riguardo, quello che non riesco a capire è se una persona condannata con l'articolo 73 comma 5 ha diritto ad un ricalcolo della pena o se questo comma non prevede un ricalcolo.
Sul web ci sono articoli che dicono di si e altri che dicono di no, purtroppo non riesco a comprendere bene i termini che vengono usati negli articoli che ho letto, quindi se fosse così gentile da fare chiarezza su questo punto le sarei grato.
nel caso il comma 5 non prevedesse il ricalcolo mi spiegherebbe cortesemente il perchè?

la ringrazio anticipatamente.

Non vedo perché non si debba in teoria operare un ricalcolo della pena anche in relazione al comma 5. All'atto pratico la vicenda, però, e' meno scontata di quanto si pensi perché le differenze fra le pene della Fini Giovanardi e quelle anteriori erano minimali, e, dunque, la ride terminazione potrebbe incidere impercettibilmente

Galagone
15-06-14, 11:45
Pubblico le motivazioni della sentenza resa dal GUP di Pisa che lo scorso 2 aprile ha assolto un mio assistito dall'accusa di coltivazione illecita di 4 piantine.
Buona lettura!

Complimenti avvocato :sm_clapper: e in bocca al lupo al suo assistito,sperando che non si debba piu buttare dal balcone...

wall-e
17-06-14, 08:04
Non vedo perché non si debba in teoria operare un ricalcolo della pena anche in relazione al comma 5. All'atto pratico la vicenda, però, e' meno scontata di quanto si pensi perché le differenze fra le pene della Fini Giovanardi e quelle anteriori erano minimali, e, dunque, la ride terminazione potrebbe incidere impercettibilmente

ok, capito..
grazie del chiarimento

Avv. Zaina
19-06-14, 14:20
Segnalo con soddisfazione la sentenza emessa in data odierna dal GUP presso il Tribunale di Milano (dott. Vanore) che -accogliendo le mie richieste - ha assolto D.B. dall'accusa di coltivazione di tre piante di cannabis e di detenzione di 22 grammi di marijuana .
In attesa delle motivazioni, che saranno rese note tra 90 giorni, e' ragionevole ipotizzare che il giudice abbia operato una valutazione ampia ed approfondita del concetto di offensività, ritenendo che il numero non elevato di piantine non configuri una forma di vera e propria coltivazione intesa in senso tecnico.
Desidero, infatti, richiamare una giurisprudenza invalsa - tra l'altro proprio anni fa a Milano - la quale, pur nel formale rispetto della sentenza delle SSUU del 2008, oppone una distinzione distanzia le fra la coltivazione vera e propria (espressione di un'attività articolata ed organizzata) e la messa a dimora domestica (rudimentale e circoscritta a pochissime piante).
Nella fattispecie avevo, inoltre, contestato la metodica peritale che, come spesso accade, non aveva sottoposto ad analisi individuale le singole piante, ma aveva cumulato le stesse, operando una media percentuale di Thc ed un'indebita somma del principio attivo.
Va, inoltre rilevato che appare rilevante ai Fini dell'intervenuta assoluzione anche la dichiarazione del B. Di essere un assuntore incensurato, dotato di risorse economiche tali da escludere la necessità di cedere a terzi i prodotti della coltivazione.
In conclusione un altro piccolo passo avanti di cui sono molto orgoglioso.

moran
19-06-14, 14:30
D.B. certo la ringrazierà tantissimo...certo che pero' e' ridicolo di come si sprechino risorse anche economiche alla fine per istruire processi di questo tipo.
Fossi un rappresentante delle forze dell'ordine, cosa impossibile proprio per principio, seppur zelante ed ambizioso, davanti a queste cose legge o non legge, mi girerei proprio dall'altra parte...gia' ma io una coscienza forse ce l'ho.:)

Avv. Zaina
19-06-14, 15:00
D.B. certo la ringrazierà tantissimo...certo che pero' e' ridicolo di come si sprechino risorse anche economiche alla fine per istruire processi di questo tipo.
Fossi un rappresentante delle forze dell'ordine, cosa impossibile proprio per principio, seppur zelante ed ambizioso, davanti a queste cose legge o non legge, mi girerei proprio dall'altra parte...gia' ma io una coscienza forse ce l'ho.:)

Eppure Moran lei dimentica che il 90% dei processi concernenti la coltivazione e' proprio analogo a quello di cui vi ho parlato....sicché è evidente che non è questione di coscienza, bensì di leggi da applicare.

StRaM
20-06-14, 09:07
Meglio precisare......leggi INGIUSTE e SENZA SENSO da applicare.......

Sappiamo tutti che l'offensività e i problemi sociali / sanitari causati da alcol e gioco d'azzardo son ben peggiori che quelli da cannabis!

moran
20-06-14, 09:24
Eppure Moran lei dimentica che il 90% dei processi concernenti la coltivazione e' proprio analogo a quello di cui vi ho parlato....

purtroppo non lo dimentico...infatti io ho specificato che quel mestiere non lo potrei fare...sono anni luce lontano dal pensiero del soldatino.
So bene che il mio mondo e' spesso ben distante dalla realta' (molto piu' triste e molto meno altre cose...) una cosa vera pero' non e' detto che sia anche giusta.



sicché è evidente che non è questione di coscienza, bensì di leggi da applicare.

direi di leggi che e' possibile applicare o impegno da dedicare a casi come quelli citati...se non si usa in questi casi la coscienza. tanto vale lasciare a casa il cervello...basta uscire con un arma, le manette e la lista della cose da fare.
E' solo un'opinione...e le cose non cambieranno per questo.

moran
20-06-14, 09:26
Meglio precisare......leggi INGIUSTE e SENZA SENSO da applicare.......

Sappiamo tutti che l'offensività e i problemi sociali / sanitari causati da alcol e gioco d'azzardo son ben peggiori che quelli da cannabis!

che sarebbero...?

Avv. Zaina
26-06-14, 17:52
RIDETERMINAZIONE DELLA PENA PER I REATI CONCERNENTI LA CANNABIS, PRIME CONTRASTI INTERPRETATIVI DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO.

Prime applicazioni concrete degli effetti della sentenza n. 32 della Corte Costituzionale (che ha abrogato gli artt. 4 bis e 4 vicies ter del DL 272/2005) alle sentenze passate in cosa giudicata.
Da un lato l'ordinanza del Tribunale di Agrigento, dall'altro il GUP presso il Tribunale di Perugia.
Entrambe rideterminano le pene detentive e pecuniarie, precedentamente inflitte – nel corso dei giudizi cognitivi -, ma pervengono a tale conclusione attraverso due distinti (e diametralmente opposti) percorsi argomentativi.
E', comunque, indubbio che la valutazione di entrambi i giudici – di cui si riportano in allegato le decisioni – abbia preso a paradigma il recentissimo autorevole intervento delle SS.UU. (29 maggio 2014, in attesa di pubblicazione), il quale – ponendo definitivamente termine ad una diatriba ermeneutica insorta all'interno della 1° Sezione della Corte di Casssazione – ha squarciato quel velo di intangibilità che avrebbe avvinto, per communis opinio, il giudicato, attribuendo – così – un'alea di immodificabilità ad una pena divenuta illegale, o riconosciuta tale con efficacia ex tunc.
Va evidenziato che un ulteriore punto di incontro fra le due ordinanze – un vero denominatore comune alle stesse - si rinviene nella considerazione che entrambe si rifanno geneticamente alla pronunzia n. 977/2011 della Sez. 1 della Corte di Cassazione, la quale ebbe ad affermare il principio generale che la pena, contenuta nella sentenza di condanna passata in cosa giudicata, rimane, comunque, sub judice, in uno stato quasi di sospensione limbica.
E', infatti, preciso dovere che incombe a carico di uno Stato di diritto, quello di essere pronto a rimuovere (legislativamente o giurisdizionalmente) qualsiasi titolo normativo, in forza del quale venga applicata ed eseguita ingiustamente una pena che esula dal solco della legalità.
Deriva, dunque – in modo specifico dall'esame dell'ordinanza del GUP presso il Tribunale di Perugia – una analitica ricostruzione di quel percorso giurisprudenziale che ha avuto il proprio acme nella richiamata sentenza SS.UU. 29 maggio 2014 (passando necessariamente per la nota ordinanza 10 settembre 2012 nel procedimento penale più noto come quello dei cd. “figli minori del caso Scoppola”), e che ha valorizzato l'art. 30 comma 4° L. 87/1953, norma troppo presto impropriamente pensionata e disapplicata, sulla scorta di un'improvvida, quanto illogica, interpretazione dell'art. 673 c.p.p., per la quale la promulgazione di quest'ultima norma avrebbe provocato l'abrogazione della prima, sostituendola in toto.
E', invece, vero – e questo è il reale nocciolo della questione – che le due norme in esame si posizionano su piani di intervento, tra loro, del tutto autonomi ed indipendenti e ciò, non solo perchè l'una (l'art. 30/4°) presenta caratteri sostanzialistici, mentre l'altra (l'art. 673) manifesta inclinazioni proceduralistiche.
L'aspetto che distingue le due disposizioni in esame attiene, infatti, allo scopo che ciascuna di esse persegue.
L'art. 673 c.p.p. costituisce, infatti, uno strumento processuale concepito per la revoca di una sentenza di condanna, a seguito della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della relativa norma incriminatrice.
In pratica, la revoca della sentenza risulta naturale conseguenza della espunzione del fatto commesso dal condannato, dal novero di quelli che costituiscono reato.
L'art. 30 comma 4° della L. 87/1953, a propria volta, invece, si sofferma su di una prospettiva di maggiore respiro – costituzionalmente ispirata sia all'art. 27, che all'art. 25 co. 2 - in quanto esso “..si presta...ad essere letto nel senso di impedire anche solamente una parte dell'esecuzione quella relativa alla porzione di pena che discendeva dall'applicazione della norma poi riconosciuta costituzionalmente illegittima”.
Dopo l'univoca e comune premessa, le due ordinanze divergono, però, sulla metodica da applicare al fine di rideterminare la pena divenuta illegale.
La decisione del Tribunale di Agrigento – che prendeva in esame una pena finale (assai severa invero) di 6 anni di reclusione per la cessione di circa gr. 56 di hashish - opera un ricalcolo aritmetico della pena che può essere definito come “meccanicamente proporzionale”1.
Il giudice, infatti, partendo dalla considerazione che la sentenza oggetto di rivisitazione quoad poenam ha stabilito la pena finale, fissandola nel limite minimo edittale all'epoca vigente (anni 6 di reclusione), conclude nel senso che – ferma la stauizione concernente il giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche rispetto alla aggravante della recidiva, valutazione assolutamente ultronea al campo di applicazione della sentenza n. 32 – “la sanzione congrua deve necessariamente individuarsi nel limite edittale” corrispondente a quello a suo tempo utilizzato (vale a dire nel limite minimo di due anni previsto dal comma 4° dell'art. 73).
L'automatismo metodologico – di carattere matematico - adottato, viene giustificato con la sussistenza di un non meglio precisato limite che il giudice dell'esecuzione incontrerebbe nel giudicato formatosi.
Dunque, l'adesione all'interpretazione resa dalla decisione del Tribunale di Agrigento, porterebbe a definire come tassativamente vincolanti, in sede di esecuzione, le valutazioni operate in tema di commisurazione parametrale della pena (base) dal giudice in sede di cognizione.
Questo orientamento viene, poi, sostenuto e confermato da una pronunzia del GUP presso il Tribunale di Lecce (17 giugno 2014)2, la quale esclude che ci si possa discostare da “un percorso meramente aritmetico (basato sostanzialmente nell'operare un calcolo proporzionale che individui la pena oggi costituzionalmente corretta sulla base dei limiti minimi e massimi edittali previsti dalla fattispecie astratta nella sua formulazione precedente alla modifica dichiarata incostituzionale, applicando una pena che corrisponda – in proporzione – all'entità di pena applicata in sentenza commisurata all'epoca in rapporto tra i minimi ed i massimi edittali)..”.
La ordinanza che si richiama, a conferma di quella principale oggetto di disamina, circoscrive, inoltre, in termini del tutto minimi, gli spazi di discrezionalità attribuiti al giudice (attinenti – in pratica - al solo riconoscimento del beneficio della sospensione condzionale della pena), ritenendo che ogni facoltà, riconducibile all'applicazione degli artt. 132 e 133 c.p.p, sia stata esaurita nel giudizio di cognizione.
Si tratta di un indirizzo ermeneutico, che viene, però, disatteso dall'ordinanza del GUP presso il Tribunale di Perugia, il quale risulta portavoce di una visione giurisprudenziale, peraltro, già palesatasi con le ordinanze del GUP presso il Tribunale di Pisa3 (15 aprile 2014) e del GUP presso il Tribunale di Vicenza (11 giugno 2014)4.
Tale orientamento – pur muovendo dalla premessa che la decisione del giudice di merito deve essere ritenuta irrevocabile e non discutibile, in relazione ai passaggi tramite i quali si perviene alla pena da irrogare in concreto (concessione ed eventuale giudizio di valenza fra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, etc.) - afferma che la “rivisitazione della pena deve rispondere ai criteri ex art. 133 c.p.”, superando, in questo modo, la opposta tesi dell'automatismo delibativo e di calcolo.
Questa impostazione postula, pertanto, l'esercizio di una valutazione che, nel rispetto dell'intangibilità del giudicato in relazione all'iter logico che ha legittimato i passaggi seguiti dal giudice della cognizione per la quantificazione della pena finale, deve, però, muovere da un giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della pena, non potendo apparire sufficiente la mera riconduzione della pena base all'interno della cornice sanzionatoria prevista attualmente dall'art. 73 comma 4° dpr 309/90.
Il giudice dell'esecuzione, nell'esercizio della propria funzione di rideterminazione della pena, appare, quindi, munito del potere di optare per una pena base – da cui partire per il calcolo successivo – che sfugga a qualsiasi tipo di proporzionalità e comparazione matematica rispetto a quella utilizzata in sede cognitiva.
E' evidente, infatti, che diverse sono le condizioni oggettive e soggettive in base alle quali i due diversi giudizi hanno luogo ed esito.
Non dimentichiamo, infatti, che sotto la spada di Damocle della L. 49/2006, il minimo edittale dell'art. 73 comma 1 – previsione comune a qualsiasi specie di sostanza – appariva oggettivamente elevato (6 anni di reclusione).
Per tale motivo, in materia di delitti aventi ad oggetto la cannabis (proprio per la differente offensività degli stessi rispetto a quelli concernenti le cd. droghe pesanti) si è, perciò, sovente scelto di ancorare al minimo edittale, la pena base, onde potere pervenire ad una quantificazione finale, che, seppur parzialmente, potesse, in qualche modo, temperare l'obbiettiva asprezza della sanzione da irrogare.
Ripristinata – con la recente declaratoria di incostituzionalità del DL 272/2005, che ha determinato la riviviscenza del comma 4 dell'art. 73 - un'area sanzionatoria, maggiormente circoscritta (2 – 6 anni di reclusione), la quale prevede come apice, quella quantità di pena che, in precedenza costituiva, invece, la previsione minima (e, in pari tempo, un minimo di pena tre volte inferiore a quello precedente), appare evidente la pluralità di canoni cui il giudice può ispirarsi nell'identificazione della pena da applicare.
Lo stesso giudizio di gravità oggettiva del fatto, o di pericolosità sociale del condannato, oppure di riprovevolezza della di lui condotta processuale, possono e (forse) devono formare oggetto di riconsiderazione da parte del giudice dell'esecuzione, il quale, quindi, è del tutto libero – secondo i criteri dell'art. 133 c.p. - di individuare la piattaforma di pena che reputa più adeguata al caso di specie.
Soprattutto, ciò che maggiormente rileva, è l'osservazione che non può apparire elemento esaustivo il giudizio di rideterminazione della pena, la circostanza che la pena inflitta in sede di cognizione e di cui si richiede il ricalcolo possa rientrare nel range del comma 4° dell'art. 73, in quanto essa costituisce il risultato di un calcolo concernente una pena definita (medio tempore) illegale.
Va, pertanto condivisa pienamente la espressa rivendicazione della facoltà del giudice dell'esecuzione di “modificare la pena base, perchè altrimenti verrebbe ugualmente posta in esecuzione la pena incostituzionale”, contenuta nell'ordinanza del Tribunale di Perugia, che appare indice sintomatico del radicale diniego di qualsiasi forma di ricomputo statico della sanzione, legato all'adozione di criteri di mera e notarile proporzionalità fra pena abrogata e pena ripristinata.
Pur propendendo per la tesi che ricusa l'opzione di rimodulazione della pena in termini di un adeguamento matematico, che operi una riduzione assolutamente proporzionale, [e prenda a specifico parametro la pena utilizzata quale piattaforma, sulla quale il giudice della cognizione abbia operato aumenti o riduzione in virtù del natura percorso delibativo (che comprende circostanze attenuanti, aggravanti, continuazione etc.)], ritiene chi scrive che potrebbe creare una distonia sempre maggiore fra i due orientamenti opposti.
Non sarebbe, forse inutile sollecitare un ulteriore intervento chiarificatore del Supremo Collegio.

Rimini, lì 26 giugno 2014

Avv. Carlo Alberto Zaina

Avv. Zaina
27-06-14, 17:08
SEMPRE IN TEMA DI RIDETERMINAZIONE DELLA PENA

Colgo l'occasione, per ritornare sul tema della rideterminazione della pena contenuta in una sentenza passata in giudicato.
Il GUP presso il Tribunale di Como, con la ordinanza che allego in calce (e che concerne un caso che ho trattato direttamente), infatti, ha sancito un principio assai interessante in relazione ad un'ipotesi di lieve entità.
Il caso atteneva, infatti, ad un originario patteggiamento alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione (oltre a 4.000 euro di multa) che riguardava una vicenda che era stata ricondotta nella cornice sanzionatoria del comma V dell'art. 73.
Or bene, il giudice dell'esecuzione riducendo la pena ad 1 anno e 2 mesi di reclusione (oltre alla multa di 1.600 euro) ha implicitamente sancito il principio che non può avere alcun valore preclusivo all'accoglimento dell'istanza, la circostanza che la pena presa - a suo tempo - come base per pervenire all'inflizione della sanzione finale, di cui si chiede il ricalcolo, rientri, comunque all'interno della forbice relativa alla pena ripristinata.
L'ordinanza, quindi,opera una rigorosa cesura rispetto al quadro sanzionatorio edittale usato – all'epoca - nel giudizio di cognizione (e contenuto nella norma abrogata), oggetto di rivisitazione.
L'incostituzionalità di quest'ultima, infatti, rende, in re ipsa, illegale - a propria volta - la cornice di pena presa a parametro e, di conseguenza, ineseguibile (anche solo astrattamente) quella sanzione irrogata in concreto all'esito del processo di calcolo, in quanto esulante dal solco della legalità.
Va ricordato, inoltre, che il giudicato quoad poenam appare sempre sub judice e l'illegalità della pena applicata appare, soprattutto, la naturale conseguenza del travolgimento di un quadro edittale con effetto ex tunc dalla pronunzia di illegittimità costituzionale.
Viene, in tal modo confermato il principio per cui deve essere, dunque, dichiarata illegittima “la pena determinata sulla base della forbice edittale introdotta dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49 che andrà sostituita con la pena determinata sulla base del ripristinato range edittale” (Cfr. Tribunale Treviso, 18 giugno 2014 pubblicato in www.dirittocontemporaneo.it ).

Avv. Carlo Alberto Zaina


TRIBUNALE DI COMO
UFFICIO DI ESECUZIONE

Il Giudice per le Indagini Preliminari, in funzione di giudice dell' esecuzione,
all'esito del procedimento in camera di consiglio instaurato ai sensi dell'art. 666 c.p.p. ed a scioglimento della riserva;
considerato che la pena irrogata con la sentenza di patteggiamento emessa a carico dell'imputato e divenuta oggi illegale alla luce dei nuovi
parametri edittali introdotti con il Dl 36/2014 (per i fatti contestati la pena prevista dall'art. 73 del DPR 309/90 come rivisitato va da sei mesi a quattro anni di reclusione e da 1.032 euro a 10.329 euro di multa);
preso atto del nuovo accordo negoziale intervenuto tra le parti (pena base anni due e mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, ridotta per le generiche ad anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, aumentata per la continuazione di un mese di reclusione ed euro 400,00 di multa, ridotta per il rito ad anni uno e mesi due di reclusione ed euro 1.600,00 di multa);

P.Q.M.

RIDETERMINA

La sanzione da infliggere a Z.C. con la sentenza di patteggiamento n° 614/2012 in un anno e mesi due di reclusione ed euro 1.600,00 di multa.

Manda alla cancelleria per ogni adempimento di competenza ed al Pm per l'esecuzione.

Como , 25.6.2014


Il Giudice per le indagini preliminari