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Visualizza Versione Completa : Qualche riflessione sui possibili effetti pratici della futura pronunzia della corte



Avv. Zaina
14-03-15, 17:00
Qualche giorno or sono ho commentato con favore, ma anche con cautela, la decisione della Corte di Appello di Brescia di demandare alla Consulta la valutazione in ordine alla costituzionalità della previsione del combinato disposto dagli artt. 73 comma 1 e 75 comma 1 dpr 309/90, nella parte in cui esso prevede che, a differenza di quanto sancito già per la detenzione per uso personale di sostanze derivate dalla cannabis, la coltivazione delle piante, da cui tali sostanze si ricavano, sia sanzionata penalmente, anche quando tale condotta appaia evidentemente strumentale al soddisfacimento del consumo personale.
Si tratta di una ordinanza significativa e rilevante, ma è necessario non farsi prendere da facili entusiasmi, comprendendo esattamente quali possono essere le effettive conseguenze che un eventuale giudizio di incostituzionalità delle due norme, tra loro in combinato, può determinare.
Proverò, quindi, a percorrere sinteticamente le due principali ipotesi, con la doverosa premessa che - non potendosi ipotizzare con esattezza, allo stato, gli eventuali termini di accoglimento della questione - quelle esposte costituiscono considerazioni generali e didattiche, con i limiti che tali valutazioni, in tutta evidenza, manifestano.
1) GIUDIZI DI COGNIZIONE IN CORSO AL MOMENTO DELLA EVENTUALE PRONUNZIA.
Come ho già avuto modo di anticipare in un mio precedente intervento, non credo che una eventuale incostituzionalità delle norme che puniscono la coltivazione - ad uso personale - possa comportare la automatica conseguenza della non indagabilità e processabilità del coltivatore/assuntore.
In concreto, ritengo che, ove fosse riconosciuta - analogamente alla condotta di detenzione, di importazione, di esportazione e di acquisto - la valenza scriminante della destinazione ad uso personale, del prodotto della coltivazione, tale modifica normativa non escluderebbe, però, che il coltivatore possa essere, comunque, processato, o, comunque, indagato.
L'effetto concreto di un intervento demolitorio della Corte Costituzionale opererebbe, non già a monte, bensì a valle.
Esso munirebbe, cioè, il giudice di merito o di legittimità del potere di applicare una scriminante effettivamente prevista ex lege (già per altre condotte), a seguito di una valutazione del fatto nella sua essenza.
Chiunque si trovasse ad essere giudicato (in primo grado, in appello oppure in Cassazione) ben potrebbe ottenere che il giudice dovesse valutare la operatività della giustificazione addotta e, ove ravvisata, pronunziare sentenza di assoluzione.
Ma, come detto, è presupposto un giudizio in sede penale.
Chi spera, quindi, che la eventuale pronunzia di incostituzionalità possa fungere da equazione rispetto al desiderio di potere coltivare liberamente, senza correre rischi penale di sorta, è, a mio avviso completamente fuori strada.
Dunque - analogamente a come avviene tuttora e quotidianamente in materia di detenzione di sostanze stupefacenti - solo in ambito di contraddittorio
a) si potrà dimostrare l'incolpevolezza o la colpevoezza dell'indagato/imputato,
b) sarà onere dell'accusa - in casi di coltivazione di un limitato numero di piante - dimostrare la destinazione a fini diversi dal consumo personale del prodotto della coltivazione,
c) a carico della difesa persisterà solo un onere di allegazione (cioè la facoltà di dimostrare) in relazione a tutti quegli elementi che possano confermare il consumo personale (ad es. prova che il coltivatore è assuntore, disponibilità economica in relazione agli oggetti usati per coltivare...etc.).
2) GIUDIZI GIA' DEFINITI CON SENTENZA PASSATA IN COSA GIUDICATA.
In questa ipotesi - diversamente da quella precedente che suppone la non definitività del giudizio - appare, invece, necessario e pregiudiziale vincere la forza preclusiva di intangibilità del giudicato formatosi.
Vale a dire che, una volta intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza (sia formale, che sostanziale) che sancisca la colpevolezza dell'imputato, è necessario azionare uno valido strumento procedimentale che intacchi e scardini il valore - seppure sempre relativo - della definitività ed esecutività della sentenza, non più suscettibile di impugnazioni ordinarie.
Il codice di rito prevede l'art. 673 che recita testualmente :
" Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti [att. 193].
Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento [529-532] o di non luogo a procedere [425] per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità".
Lo strumento cui si opera riferimento sarebbe, pertanto,quello della promozione di un incidente di esecuzione di carattere specifico.
Si tratta di una procedura che dovrebbe essere celebrata innanzi al giudice che ebbe a decidere la questione di merito.
Sul piano sostanziale,laddove intervenisse l'auspicata pronunzia di rango costituzionale, la quale giungesse ad equiparare quelle plurime condotte, oggi richiamate dal comma 1 dell'art. 75 dpr 309/90, alla coltivazione, quest'ultima ipotesi verrebbe, così, in toto equiparata alla detenzione, importazione, esportazione ed acquisto, potendo giovarsi del valore scriminante del consumo personale.
Temo che, però, che, per quanto tutto vero, non sia tutt'oro ciò che apparentemente luccica.
Anche in questo caso, infatti, ritengo che esisterebbero, comunque, circostanze di carattere strutturale, che possono portare ad escludere ogni sorta di automatismo e che richiedono l'attivazione di procedimenti di rivisitazione del giudizio.
Se, infatti, la eventuale novità dell'abrogatio criminis, concerne l'estensione del valore della destinazione ad uso personale della droga, anche alla condotta coltivativa, in sede di promosso incidente di esecuzione si dovrà, comunque, discutere dell'applicabilità concreta della esimente alla fattispecie sottoposta a ricognizione.
Dunque, un simile giudizio dovrà, a fortiori, coinvolgere anche i parametri sanciti dall'art. 75 comma 1 bis, che risultano assolutamente dirimenti per ogni tipo di giudizio, sia favorevole, che sfavorevole ("Ai fini dell'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze:
a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche antidroga, nonché della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell'azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale;
b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto)
Credo, pertanto, che il giudice dell'esecuzione dovrebbe
1) verificare che già in sede di cognizione se la destinazione ad uso personale sia stata oggetto di specifica valutazione. Se, infatti, essa fosse stata espressamente esclusa, la questione non potrebbe venire riproposta, perchè coperta da un giudicato sostanziale, che coinvolgerebbe anche la ricostruzione del fatto nella sua essenza.
(V. per analogia di principio la previsione del comma 1 dell'art. 671 cpp in materia di continuazione che facultizza il giudice dell'esecuzione "sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione").
2) se, invece, la sentenza di condanna si fondasse esclusivamente sul principio della sanzionabilità della coltivazione ex sè, o sul principio che la condotta sia, comunque, sempre punibile in presenza di minimi contenuti di THC dalla potenzialità drogante, ecco che il problema della destinazione all'uso personale potrebbe e dovrebbe venire affrontato dal giudice dell'esecuzione.
Questi ben potrebbe venire chiamato a considerare, in fatto, se la fattispecie, oggetto di incidente di esecuzione, rientri nel novero di quelle che tollerino la applicabilità della scriminante in parola.
Il giudizio rescissorio di revisione del giudicato, quindi, presupporrebbe il conferimento di un potere di valutazione discrezionale di merito in ordine allo specifico punto di diritto.

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Credo, pertanto - e mi perdonerete se ripeto concetti che ho già espresso in altri miei scritti - che il coinvolgimento della Consulta costituisca un passo rilevante, ma non decisivo, perchè già alcune sentenze della Corte di Cassazione hanno segnato il solco ove il seme della giurisprudenza dovrebbe cadere e maturare e, comunque, sono sempre più persuaso che sia assolutamente necessario un intervento radicale di carattere legislativo.