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Visualizza Versione Completa : Sentenza della corte di cassazione in materia di vendita (online) di semi di cannabis



Avv. Zaina
15-03-15, 18:16
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

UDIENZA PUBBLICA DEL 19/01/2015
REGISTRO GENERALE
N. 18848/2014

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GAETANINO ZECCA Presidente
Dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI Consigliere -
Dott. PATRIZIA PICCIALLI Rel. Consigliere-
Dott. EUGENIA SERRAO Consigliere -
Dott. MARCO DELL'UTRI Consigliere -

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
F.M. avverso la sentenza n. 365/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del 6/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito i1Procuratore Generale in persona del Dott. Sante Spinelli
che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore Avv. Carlo Alberto Zaina

Ritenuto in fatto
F.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe con cui la Corte di merito, giudicando su appello del solo imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, ha riqualificato il fatto originariamente ritenuto nella sentenza di primo grado come istigazione all'uso di sostanze stupefacenti [articolo 82 del dpr n. 309 del 1990] quale istigazione alla coltivazione di piante di cannabis [articoli 414 c.p. e 73 del dpr n. 309 del 1990].
Per l'effetto, la Corte di merito ha rideterminato in melius il trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in anni uno di reclusione, rispetto alla pena stabilita dal primo giudice nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione e euro 2000 di multa, inoltre rispetto alla prima decisione, e state concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
All'imputato era state contestato, nella qualità di titolare e webmaster di tre domini e siti internet, di avere pubblicizzato la vendita di semi di canapa indiana, fornendo informazioni e istruzioni per la coltivazione delle piante che sarebbero nate impiantando i semi, “magnificando" altresì i sapori e gli effetti allucinogeni delle varie tipologie di marijuana.
La Corte ha adottato la propria decisione, sostanziatasi nella riqualificazione del fatto, avvalendosi dei poteri concessi dall'articolo 597, comma 3, c.p.p. e richiamando, in diritto, la sentenza 18 ottobre 2012- 7 dicembre 2012 n. 47604, Proc. Rep. Trib. Firenze in proc. Bargelli ed altro, rv. 253550, con cui le Sezioni unite hanno affermato, innovativamente rispetto alla giurisprudenza precedente [attestata, per lo più, nella qualificazione di tale condotta ex articolo 82 del dpr n. 309 del 1990: cfr. ex pluriuso Sezione I V 1 7 gennaio 2012- 22 febbraio 2012, Proc. Rep. Trib. Firenze in proc. Bargelli, rv. 251953] che l'offerta in vendita di semi di piante dalle quali e ricavabile una sostanza drogante, corredata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato di istigazione all'uso di sostanze stupefacenti di cui all'articolo 82 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per configurare il reato previsto dall'articolo 414 c.p. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti.
Secondo le Sezioni unite, come e noto, il fatto, che non si limiti ad una propaganda "asettica" e "neutra", sanzionabile ex articolo 84 del dpr n. 309 del 1990, può integrare il reato di cui all'articolo 414 c.p., ossia il reato di istigazione a delinquere, in relazione alla condotta illecita di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti. Non sarebbe ravvisabile, invece,il reato di cui all'articolo 82 del dpr n. 309 del 1990, che punisce l'istigazione all'uso di sostanze stupefacenti, per difetto di tipicità della condotta e per l'impossibilita di estendere l'applicazione della norma in via analogica. L'articolo 82, secondo il ragionamento della Corte, punisce l'istigazione all'uso di stupefacenti, che sarebbe condotta diversa da quella in esame, dove l'istigazione riguarda la condotta di coltivazione di piante, dalle quali, solo "con determinati procedimenti chimici neppure menzionati nella pubblicità", e poi ricavabile la sostanza drogante vietata. Non sarebbe così consentito estendere analogicamente l'articolo 82 ad una condotta - quale appunto quella della coltivazione delle piante - che solo indirettamente ed eventualmente conduce al consumo di sostanze droganti.
La Corte di merito ha recepito tale impostazione e, dopo avere invitato le parti ad "interloquire" sul portato della decisione delle Sezioni unite, ha ritenuto di poter riqualificare il fatto ex articolo 597, comma 3, c.p.p., nei termini della ravvisata ipotesi incriminatrice di cui all'articolo 414 c.p. .
I l giudice ha peraltro evidenziato che già il fatto come contestato delineava il fatto tipico della istigazione alla coltivazione di cannabis, mentre con riferimento alla necessaria pericolosità della condotta istigatoria l'ha argomentata come sussistente valorizzando, da un lato, che la pubblicità era accompagnata dalla messa in vendita di una svariatissima tipologia di sementi nonchè di strumentazioni e concimi, sicchè "l'azione istigatrice non rimaneva su un piano di mera astrattezza, ma si concretizzava nella effettiva disponibilità di tutto quanto era necessario per la coltivazione" delle piante; e, dall'altro, la circostanza che i siti fornivano "dettagliatissime" informazioni su come ottenere dalla coltivazione il miglior prodotto, reclamizzandosi anzi alcune specie da cui poteva ricavarsi marijuana con significativo principio attivo.
Con il ricorso, ci si duole della "riqualificazione" del fatto che si assume avrebbe integrato una violazione del principio di correlazione fra il fatto costituente l'accusa effettivamente contestata all'imputato e il reato ritenuto nel corso del giudizio, per il quale è stata pronunciata condanna. Si argomenta in proposito che l’ “interlocuzione difensiva" cui aveva proceduto la Corte di merito, sollecitando le parti a discutere il tema della diversa qualificazione, non avrebbe comunque soddisfatto le esigenze defensionali ne rispettato il principio del contraddittorio, perchè si sarebbe realizzata una radicale trasformazione del fatto.
Ci si duole della mancata qualificazione del fatto a titolo di mero illecito amministrativo ex articolo 84 del dpr n. 309 del 1990, argomentato dal giudice di appello sul rilievo che il divieto sanzionato dall'articolo 84 sarebbe esclusivamente riferito alle sostanze tabellarizzate e quindi vietate, fra le quali non rientrano però i semi di cannabis oggetto della condotta incriminata e sull'ulteriore rilievo che, comunque, la pubblicità sanzionata solo amministrativamente sarebbe solo quella "asettica", ciò che qui doveva escludersi in presenza di un messaggio "enfatico" ed "allettante", tale da "magnificare" i sapori e le caratteristiche allucinogene.
Si sostiene, invece, che tale interpretazione non troverebbe conforto nella surrichiamata decisione delle Sezioni unite e comunque che, in fatto, non poteva sostenersi che il messaggio pubblicitario non fosse asettico.
Ci si duole anche della ravvisata sussistenza del dolo, dimostrata dalla corte di merito attraverso una disamina delle controverse vicende giudiziarie che, per fatto analogo, aveva visto l'imputato come protagonista. Proprio tali vicende, che pure avevano portato alla assoluzione, dovevano accreditare la consapevolezza della illiceità dei fatti contestatigli.
Sul punto la difesa evoca l'errore ex articolo 47 c.p. .
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato
La Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi delle Sezioni unite, attraverso il pertinente ricorso ai poteri di cui all'articolo 597, comma 3, c.p.p. .
Rientra, infatti, nei poteri del giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato e ferma restando, in tal caso, la pena irrogata, quello di dare al fatto la corretta qualificazione giuridica, anche più grave di quella ritenuta dal prime giudice, ovviamente sulla base delle circostanze di fatto già contenute nella sentenza di primo grado di condanna dell'imputato, sempre che il reato ritenuto nella sentenza di appello non superi la competenza del giudice di prime grado (Sezione I 29 gennaio 2008- 25 marzo 2008 n. 12680, Giorni).
Non viola quindi il divieto della reformatio in peius la sentenza di appello che, su impugnazione dell'imputato, dia al fatto una definizione giuridica più grave (Sezione II, 19 settembre 2013, 7 ottobre 2013 n. 41142, Rea ed altri, rv. 257338).
Qui, anzi, deve osservarsi che la riqualificazione e stata effettuata applicando una disposizione incriminatrice il cui trattamento sanzionatorio è più favorevole rispetto a quello stabilito per l'originaria fattispecie incriminatrice: tanto è vero che la pena finale è stata riformata in melius .
Non solo. Con particolare attenzione la Corte di merito si è soffermata sul tema della mutazione del fatto, evidenziando, con considerazioni ampie, logiche e non rinnovabili fattualmente, che già risultava contestato all'imputato un fatto corrispondente alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti, così qui dovendosi escludere alcun pregiudizio informativo per la difesa, anche a non voler soffermare l'attenzione sull’ “interlocuzione'' cui il giudicante, tuzioristicamente, ha voluto procedere prima della decisione.
Non è inutile ricordare, allora, che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso I' iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr. Sezioni unite, 15 luglio 2010, Carelli).
Mentre, del resto, la possibilità per l'imputato di esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione, anche in sede di legittimità, esclude qualsiasi violazione degli articoli 111 della Costituzione e 6 della CEDU (Sezione III, 20 maggio 2014- 16 settembre 2014 n. 37843, Laccetti ed altri).
Tale principio risulta qui ampiamente rispettato, vuoi perchè non vi e stata quell'immutazione radicale ipotizzata dalla difesa, ma motivatamente esclusa dalla Corte vuoi perchè vi è stato ampio spazio per la difesa, con la richiamata interlocuzione in appello e poi con il presente ricorso.
Corretto e motivato in fatto, quanta all'apprezzamento del contenuto del messaggio "pubblicitario", è il diniego della derubricazione della condotta a titolo di illecito amministrativo ex articolo 84 del dpr n. 309 del 1990.
Deve infatti ritenersi [alla luce di quanta precisato dalla richiamata decisione delle Sezioni unite; ma v. anche in precedenza: Sezione IV, 17 gennaio 2012, Proc. Rep. Trib. Firenze in proc. Bargelli ed altro, cit.] che può rientrare nell'ambito dell'illecito solo amministrativo solo la propaganda "asettica", cioè non finalizzata alla vendita del prodotto stupefacente, perchè, diversamente, un'attività di tal genere, siccome finalizzata all'offerta in vendita di una sostanza stupefacente, sarebbe penalmente rilevante perché dovrebbe direttamente applicarsi il disposto dell'articolo 73 dello stesso dpr, che appunto, tra le condotte sanzionate, comprende anche quella dell'offerta di sostanze stupefacenti.
In questo senso del resto, le Sezioni unite affermano in modo chiaro che rientra nella propaganda pubblicitaria sanzionabile ex articolo 84 solo "la condotta di chi si limita in mode asettico e neutro a rendere note al pubblico l'esistenza della sostanza veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all'uso di stupefacenti".
Ciò che qui è stato motivatamente escluso, nei termini suddetti, con apprezzamento fattuale non rinnovabile.
Argomentato è anche l'apprezzamento sul dolo del reato.
Proprio la prospettazione difensiva, che vorrebbe accreditare un dubbio in capo all'imputato, determinate dalle richiamate ondivaghe vicende processuali esclude tout court che possa esservi lo spazio per applicare il disposto dell'articolo 47 c.p., ove si consideri che la causa di giustificazione in questione è esclusa dalla sussistenza nell'agente del dubbio in merito al fatto: invero, mentre l'errore determina il convincimento circa l'esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, il dubbio determina per contro uno stato di incertezza, una possibilità di differente valutazione la quale, permanendo, impedisce il formarsi dell'erronea certezza richiesta dalla norma (cfr. Sezione II, 9 novembre 2011- 15 febbraio 2012, Lamia ed altro, rv. 252697).
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosl deciso in data 19 gennaio 2015

Avv. Zaina
15-03-15, 18:17
Pubblico una recentissima sentenza della Quarta Sezione della Corte di Cassazione che ha posto termine ad una complicata vertenza che ha coinvolto un commerciante che vendeva semi di cannabis online.
La soluzione del giudice di legittimità, che conferma la condanna inflitta dalla Corte di Appello di Trento, non può non suscitare perplessità.
La Corte esclude, infatti, che nella fattispecie si verta in ambito di illecito amministrativo ex art. 84 - come sostenuto dal sottoscritto -
perchè la pubblicità posta in essere dall'imputato non sarebbe "asettica".
Si legge, infatti, in sentenza che la propaganda "asettica", è quella "non finalizzata alla vendita del prodotto stupefacente, perchè, diversamente, un'attività di tal genere, siccome finalizzata all'offerta in vendita di una sostanza stupefacente, sarebbe penalmente rilevante perché dovrebbe direttamente applicarsi il disposto dell'articolo 73 dello stesso dpr, che appunto, tra le condotte sanzionate, comprende anche quella dell'offerta di sostanze stupefacenti"
Appare evidente che la Corte confonda, nello specifico, il fine con il modo.
La propaganda asettica è quella manifestazione impersonale, priva di accenti che esaltino o decantino positivamente il prodotto.
Dunque una condotta che non deve essere considerata in funzione dello scopo ultimo (l'eventuale commercializzazione del prodotto), quanto piuttosto in funzione delle metodica con cui il messaggio viene divulgato.
Va, infatti, evidenziato che, ove sia ravvisabile un'attività di magnificazione dell'esito di una coltivazione del seme posto in vendita, si potrebbe ravvisare il reato di istigazione alla coltivazione (art. 414 c.p. in relazione all'art. 73 dpr 309/90).
Non pare, quindi, cogliere nel segno la considerazione secondo la quale una propaganda non asettica a fini commerciali configurerebbe il reato di offerta in vendita di sostanze stupefacenti, per il semplicissimo motivo che i semi di cannabis non sono stupefacenti (non contengono principi attivi), ne costituiscono propriamente un antecedente.
Pare, quindi, omettere di considerare la Corte che la nozione di stupefacente - nel nostro ordinamento - ha carattere legale, e presuppone, quindi, l'inserimento tabellare della sostanza specifica.
Ciò non di meno, al di là di questi rilievi si deve concludere nel senso che - attualmente - il commerciante (sia che operi online, sia che operi tradizionalmente) non deve, a mio avviso, abbinare alla messa in vendita di semi, alcuna altra attività che possa costituire espressione deliberata di un invito a coltivare - per mezzo dei semi venduti -.
Dunque, porre in commercio - al contempo con la stessa struttura od organizzazione di vendita - trattati di coltivazione, fertilizzanti, strumenti coltivativi (vanghe, zappe), lampade, strutture per serre, vasi etc. può costituire elemento che il giudice può valutare come sintomatico di una volontà istigativa.
Allo stesso modo - dunque sfavorevolmente - può essere valutato il comportamento del commerciante che fornisca consigli su come procedere alla semina ed alla coltivazione.

midril
15-03-15, 19:26
Grazie Avv. Zaina, chiarissimo!
Mi auguro che le corti Italiane, e di altri paesi, non arrivino a considerare Sole, Terra, Acqua e Aria come non Asettiche(ed infatti non lo sono) nel passaggio da seme (senza principi attivi, non stupefacente) a pianta con inflorescenze e stupefacente. E per fortuna che questi ultimi quattro non sono ne persone fisiche o giuridiche altrimenti già intravedevo un processo ai quattro elementi della Natura. Qui si sfiora la follia!
Mi limito a queste "battute" e la ringrazio ancora sperando che chi vende semi non venda altro, almeno qui in Italia.

iovaporizzo
16-03-15, 00:25
Mi limito a queste "battute" e la ringrazio ancora sperando che chi vende semi non venda altro, almeno qui in Italia.

Non conosco growshop che non venda anche semi... :P

moran
16-03-15, 10:03
Non conosco growshop che non venda anche semi... :P

Infatti.
Mi domando come si possa interpretare la legge,in modo cosi arbitrario, ma soprattutto come sia possibile la sua applicazione!? :icon_rolleyes: