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Visualizza Versione Completa : Incostituzionale punire la coltivazione di piante di cannabis? Quali prospettive?



Avv. Zaina
16-01-16, 00:49
Il prossimo 9 marzo la Consulta sarà chiamata a decidere sulla questione di costituzionalità, sollevata dalla Corte di Appello di Brescia il 10 marzo 2015, in relazione alla “esclusione della condotta (di coltivazione n.d.a.) tra quelle suscettibili della sola sanzione amministrativa, qualora finalizzate al solo uso personale dello stupefacente”.jk
Inutile dire che si tratta di una questione di diritto – in teoria e all’apparenza - assai rilevante.
Nella pratica, però, credo che i riflessi di una eventuale (ed auspicabile) pronunzia di incostituzionalità dell’art. 75 comma 1 ed 1 bis dpr 309/90, da parte del giudice delle leggi, la quale giungesse, pertanto, ad inserire anche la coltivazione di piante di cannabis nel contesto delle condotte esenti da sanzione penali, se finalizzate (o strumentali al consumo personale), determinerebbe – a mio parere – modesti mutamenti giurisprudenziali.

a) GLI SCENARI IPOTIZZABILI

E’ di tutta evidenza che, in estrema sintesi, due sono gli scenari che si possono ipotizzare quale esito del giudizio della Corte Costituzionale.
Ovviamente e logicamente essi si contrappongono.

a1) RIGETTO PER MANIFESTA INFONDATEZZA DELL’ECCEZIONE

Se intervenisse un pronunzia di manifesta infondatezza della questione sollevata dalla Corte di Appello di Brescia, l’unico profilo che potrebbe suscitare un deciso interesse, consisterebbe nell’esame delle ragioni effettivamente addotte.
Sarebbe, infatti, rilevante, nell’ipotesi di diniego, comprendere se la Consulta abbia inteso mantenersi nel solco tracciato dalla pronunzia n. 360/1995 (che rigettò a propria volta una analoga questione) o se altri saranno i motivi posti a base del rifiuto.
E’ opportuno rilevare che uno dei maggiori ostacoli ermeneutici, che potrebbero ostacolare una decisione favorevole della Corte Costituzionale, è proprio dato dalla sentenza appena citata, la quale, per il proprio contenuto negativo, ha sempre condizionato pesantemente l’approccio giurisprudenziale al tema della non sanzionabilità della coltivazione di cannabis.
Essa ha trovato sponda anche nella famosa sentenza SSUU 28605 del 10 luglio 2008, che per molti aspetti è sempre stata evocata (anche discutibilmente) come pietra miliare per negare la liceità della coltivazione non autorizzata.
In realtà, nell’ipotesi negativa, la attuale situazione – in diritto - non subirebbe specifici mutamenti in concreto.
Per vero, la giurisprudenza, ben potrebbe trarre spunto dalla pronunzia di non accoglimento, per escludere tassativamente – dal novero dei criteri elaborati recentemente (Cfr. Cass. Sez. 4 n. 9156/2015 e Cass. Sez. 3 n. 49386/2015) – la destinazione del prodotto della coltivazione ad uso personale, con una stretta interpretativa non indifferente.
In questo modo il giudizio del giudice delle leggi potrebbe assumere un valore spiccatamente formalistico, in applicazione del principio ubi lex voluit dixit (ove la legge vuole, indica).
Sotto l’aspetto strettamente lessicale, la norma sospettata di incostituzionalità (l’art. 75 co. 1 ed 1 bis dpr 309/90) continuerebbe, quindi, a ricomprendere una serie precisa e determinata di condotte (importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo o comunque detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope) ed a produrre l’effetto esimente solo in relazione a queste ultime.
Dunque la giurisprudenza potrebbe operare un revirement, restringendo e limitando, così, l’ambito dei canoni utilizzabili per potere valutare l’offensività della attività coltivativa.

a2) ACCOGLIMENTO CON DECLARATORIA DI INCOSTITUZIONALITA’ DELLA NORMA NEI TERMINI PROSPETTATI.

Anche nell’ipotesi di un accoglimento dell’eccezione rimessa dal giudice di merito non penso potrebbero esservi mutamenti rivoluzionari dei criteri ermeneutico/giurisprudenziali in materia di coltivazione.
Si deve, infatti, osservare che, anche se la coltivazione venisse ad essere equiparata alle condotte individuate dall’art. 75 comma 1 (importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo o comunque detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope) che sono definite – dalla norma - illecite, ma che non risultano penalmente rilevanti, non si potrebbe creare affatto una situazione di automatica depenalizzazione della condotta.
Il giudizio in ordine alla riconducibilità della coltivazione al fine dell’uso personale non potrebbe, infatti, mai prescindere dalla valutazione e dall’accertamento che il giudice sarebbe chiamato ad operare rispetto al comma 1 bis lett. a) dell’art. 75.
Tale norma recita : “1-bis. Ai fini dell'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze:
a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche antidroga, nonché della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell'azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale.”
Dunque, risulta pacifico che una eventuale equiparazione della coltivazione, rispetto alle condotte sanzionate solo in via amministrativa, siccome ritenute compatibili con il consumo personale dello stupefacente, in virtù del riconoscimento della paventata irragionevolezza della disparità di trattamento tra condotte pienamente tra loro assimilabili, non determinerebbe mai, però, un’automatica depenalizzazione della condotta.
Per quanto, infatti, una pronunzia di incostituzionalità dell’art. 75 possa definitivamente porre termine al contrasto insorto con il principio di offensività, la riconducibilità della coltivazione alla esimente dell’uso personale costituirebbe sempre importante attività interpretativa che non potrebbe essere sottratta alla sfera del giudice, quale sua prerogativa istituzionale.
E’ certamente possibile che l’allargamento della cornice delle condotte sanzionabili solo amministrativamente, con l’inserimento della coltivazione, dovrebbe indurre a nuovi “approdi giuridici creativi” da parte sia dei PM che dei giudici.
Così come avviene – da un poco di tempo a questa parte – in occasione della promulgazione di nuovi istituti giuridici (V. ad esempio la messa alla prova o la particolare tenuità), potrebbero proliferare documenti e protocolli di Uffici inquirenti o giudicanti, contenenti linee guida per un approccio costituzionalmente orientato ad episodi di coltivazione.
E’, peraltro, indubbio, che – come dimostrato in relazione alla condotta di detenzione di droghe – mai potrebbe essere raggiunta una auspicabile elevatissima uniformità di pensiero fra i vari uffici.
Non dimentichiamo, infatti, ad esempio, che la giurisprudenza di merito e di legittimità concernente la detenzione di sostanze stupefacenti finalizzata al consumo personale non pare avere ancora acquistato un equilibrio stabile, si da creare una piattaforma decisoria univoca e superare squilibri e contrasti.
Non dimentichiamo, inoltre, che i canoni contenuti nel comma 1 bis dell’art. 75 – utili all'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa – sono stati concepiti esclusivamente in funzione delle condotte attualmente scriminate, le quali, sul piano esclusivamente dinamico, presentano caratteri differenti dalla coltivazione.
Questi criteri paiono di non semplice applicazione per la coltivazione e, comunque, a parere di chi scrive, la eventuale scelta di procedere all’assimilazione della coltivazione alla importazione, alla esportazione, all’acquisto, alla ricezione e alla detenzione, impone una integrazione ed un ampliamento degli stessi.
Va, infatti, rilevato che, anche se appare equo porre la coltivazione sul medesimo piano giuridico/fattuale delle altre condotte scriminate dall’art. 75/1 bis – in relazione alla plausibilità del denominatore comune dato dal consumo personale – appare evidente che la natura di reato di pericolo, che caratterizza marcatamente il reato di coltivazione illecita, impone l’adozione di prospettive e criteri esimenti diversi o comunque supplementari a quelle in essere.
Da questa osservazione – al di là della indubbia fondatezza concettuale della questione sollevata dalla Corte di Appello – potrebbe sorgere un ostacolo per la decisione che la Consulta è chiamata a prendere, specialmente se orientata in senso favorevole all’eccezione..
Il bastione potrebbe, infatti, consistere nella circostanza che, la declaratoria di incostituzionalità della norma denunziata investirebbe solo la dedotta irragionevolezza del differente trattamento (in presenza di consumo personale), senza, però, creare quel mutamento in melius delle metodiche da usare per affermare la strumentalità della condotta al successivo consumo.
Certamente andrebbe precisata (e recuperata) con grande nettezza la tematica concernente il pericolo che la coltivazione del singolo possa creare un accrescimento dell’offerta di stupefacente sul mercato illecito, parametro che la giurisprudenza ha elaborato per pervenire al giudizio finale di illiceità (o di liceità) penale dell’azione.
Il rapporto fra il prodotto ottenuto dal singolo coltivatore e l’ampiezza della platea potenziale di destinazione – canone genetico di valutazione - negli ultimi tempi è stato, invece, sorprendentemente, sempre più trascurato dalla giurisprudenza.
Vi è da temere che, forse, si stesse rivelando un criterio fattuale troppo favorevole all’imputato.
Si deve, però, osservare, ad onor del vero che, indubbiamente, l’accoglimento della eccezione di incostituzionalità proposta potrebbe costituire viatico per superare posizioni giurisprudenziali, aprioristicamente negative e proibizioniste.
La situazione che si verrebbe, così, a creare, imporrebbe, infatti, al giudice una disamina più attenta e profonda della condotta e dei vari che la possano connotare.
In pari tempo, poi, verrebbe maggiormente ribadito e (si spera) rispettato il principio dell’onere della prova, che incombe al PM e verrebbe, altresì, escluso – come avvenuto per il possesso (Cfr. ex plurimis Cass. pen. Sez. VI, 10-01-2013, n. 6571) - che sussista una presunzione di destinazione allo spaccio della sostanza.
La coltivazione, quindi, dovrebbe venire giudicata muovendo da un ‘ottica totalmente opposta a quella che la magistratura – in gran parte – adotta.
Si dovrebbe, quindi, approcciare la tematica, sulla base di una presunzione di liceità della condotta coltivativa ( e non escludere a priori – come invece, tuttora avviene – tale possibilità), per, poi, valutare l’effettiva offensività della stessa e affermare la sua rilevanza penale solo in presenza di prove – fornite dall’accusa – che escludano la destinazione all’uso personale e permettano di ritenere esistente il pericolo di accrescimento del quantum di stupefacente immettibile sul mercato.
Effetti, comunque, sempre molto minori di quanto fosse lecito attendersi.

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Pur nella speranza di una pronunzia favorevole, rimango dell’idea che sia necessaria una nuova legge.
Una sentenza di incostituzionalità potrebbe, certamente, costituire uno sprone per accelerare in tale senso.

mozart
16-01-16, 14:43
Essere costretti a districarsi tra una miriade di cavilli e interpretazioni, comprese quelle inerenti ad approvazioni o giudizi chiaramente soggettivi cercando di prevenirli e spiegandone le eventuali motivazioni, davvero si sfiora l'assurdo.
Non la invidio avvocato, ma la sostengo in pieno. :)