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Visualizza Versione Completa : FABRIZIO PELLEGRINI : Una storia italiana



Avv. Zaina
03-08-16, 09:44
Fabrizio Pellegrini è assurto - suo malgrado - a vittima/simbolo di un'Italia giudiziaria inesorabilmente sorda al tema della compatibilità fra malattia, cura e carcere.
La vicenda è sin troppo nota per ripercorrerla anche solo sinteticamente.
Giovi solamente osservare che, nel caso specifico, come d'altronde, purtroppo, in casi ancor più eclatanti, si è assistito - in prima battuta - ad una serie di rigetti, da parte dei magistrati competenti, di istanze de libertate (fondate su conclamati motivi di salute).
La circostanza che nel nostro paese troppi imputati eccellenti abbiamo usato l'escamotage della salute per tentare di evitare il carcere, non dovrebbe, però, rendere prevenuti i magistrati, i quali dovrebbero veramente riflettere sulle reali condizioni di salute dei detenuti.
Non conta il reato commesso, conta che effettivamente l'indagato, l'imputato, il condannato siano in una condizione psico-fisica che permetta loro di vivere temporaneamente in modo corretto e consapevole la misura estrema, già di per sè pesante.
Tale riflessione dovrebbe essere imposta anche - e soprattutto - ai sanitari che operano all'interno delle carceri, i quali troppe volte (per superficialità, per timore o per cos'altro?), invece, negano situazioni di incompatibilità che appaiono conclamate, e condannano ala carcere, persone che dovrebbero essere, invece, ammesse a regimi detentivi cautelari o espiativi attenuati.
Ma nel caso concreto tutto è bene quel che finisce bene perchè FABRIZIO PELLEGRINI ha riacquistato, seppur in forma limitata una minima libertà.
Dunque, tutto è bene ciò che finisce - seppure in ritardo perchè talune persone, quelle estranee a dinamiche criminali escono dal carcere sempre troppo in ritardo - bene.
Bene , quindi, la scarcerazione del condannato.
Bene la sensibilità mostrata dal magistrato di sorveglianza.
Bene la mobilitazione del mondo politico.
Bene gli scioperi della fame.
Eppure in questo trionfo del bene un poco di amarezza mi resta.
Credevo che rispondere a richieste pubbliche di aiuto (tali erano i post pubblicati in modo tambureggiante sui social da chi si era fatto porta voce della vicenda), attraverso la mia esortazione a che la classe forense sostenesse una persona condannata e sostenesse, altresì, i suoi difensori, raccogliendo, così, significative adesioni di avvocati di tutta Italia (mai, però, da parte dei maitre a pensier o di organizzazioni di categoria) avrebbe dovuto creare un ponte di condivisione anche solo e soprattutto privata con coloro che per primi hanno sollevato il problema del sig, Fabrizio Pellegrini
Si trattava e si tratta tuttora di una battaglia per la difesa dei diritti civili, per la salvaguardia delle norme che governano il rapporto fra carcere e malattia e che troppo spesso vengono disattese platealmente nella pratica quotidiana.
Si trattava e si tratta di fare sentire alta la voce di chi conosce l'obbrobrio della sofferenza di persone detenute per un equivoco, o per scarsa conoscenza di norme, o per carenza di capacità economica, e che per giunta sono malate.
Ed invece no, le iniziative di cui anch'io nel mio piccolo sono stato promotore - azioni disinteressate e fondate sull'ulteriore convincimento che in carcere non si debba mai andare se coltivatori ad uso personale e, soprattutto, se malati, che usano la cannabis per lenire le proprie patologie - sono state ignorate da chi ha gestito in prima persona politicamente la vicenda.
Lo scopo da me (e dagli altri avvocati che avevano aderito) perseguito non era certo quello di essere ringraziato, nè io (e gli altri aderenti) ero alla ricerca di un nuovo assistito o di visibilità mediatica.
Personalmente volevo metterci (e ci ho messo) la faccia per aiutare a sollevare un problema (che sicuramente si ripeterà anche se non dovrebbe mai ripetersi) e per vedere se il fronte antiproibizionista fosse in grado di compattarsi in occasioni del genere, dove è importante il gruppo e non vi possono essere primi della classe.
Sono un illuso, mi sono sbagliato per l'ennesima volta e non ho ancora imparato nulla.
Mi getterò ancora in queste battaglie ideali, dimenticando che qualcuno la propria bandierina sulla vetta dell'Everest deve pur sempre apporla in solitaria.