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Avv. Zaina
23-11-16, 16:37
Le sentenze di condanna sino a che non passano in giudicato vanno discusse dagli avvocati solo con gli eventuali mezzi di impugnazione ammessi.
Una volta definitive possono e devono, se ve ne sono le condizioni, essere discusse.
Questa sentenza pone il problema dell'esistenza della Corte di Cassazione.
Se il giudice di legittimità si arrocca in posizioni antistoriche (ed illogiche) e si trincera dietro la apparente correttezza formale di argomenti che, in realtà, mostrano gravi difetti di ordine sostanziale, non si comprende a quale funzione assolva la Corte Suprema.
49222/16
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Dott. VINCENZO ROMIS
Dott. FAUSTO IZZO
Dott. EUGENIA SERRAO
Dott. VINCENZO PEZZELLA
Dott. DANIELE CENCI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.N. e G.N.
avverso la sentenza n. 5516/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 13/10/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/10/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DANIELE CENCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1. Il 13 ottobre 2015 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza, assolutoria con la formula "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", del Tribunale di Bologna (FERRARA n.d.a.) del 20 marzo 2013, ha riconosciuto N.B. e N.G. responsabili del reato di illecita coltivazione di stupefacenti, fatto contestato come accertato il 1° marzo 2013.
2.Va premesso, in punto di fatto, che entrambe le sentenze di merito danno per accertato che gli imputati coltivarono n. 4 piante di marijuana di altezza di circa 40-60 centimetri, in una serra artigianale all'interno dell'abitazione in Ferrara, di proprietà della mamma di B., dove vivevano i due imputati, i quali ammettevano di avere provato a coltivare le piante, acquistando i semi e curando la crescita, perché stufi di doversi procurare per strada lo stupefacente, con i connessi rischi e con l'inconveniente di alimentare traffici loschi (v. spec. p.1 della sentenza di primo grado). Dalle analisi tecniche svolte emergeva inoltre che dalle quattro piante in sequestro erano ricavabili circa 134 dosi medie singole (p. 3 della sentenza di appello).
3.Ciò posto, la pronuncia assolutoria, incentrata meramente sulla sostanziale inoffensività della coltivazione domestica di poche piante verosimilmente destinata ad uso esclusivamente personale, coltivazione sicuramente di entità tale da non concorrere ad aumentare la quantità di stupefacente in circolazione e con modalità (all'interno di abitazione) tali da prevenire radicalmente l'incontrollabile diffusione delle piante nell'ambiente
naturale, e sulla assenza di prova circa l'esistenza di quantità di principio attivo sufficiente ad esplicare un'efficacia drogante, è stata riformata in secondo grado, su appello del P.M., sulla base delle considerazioni che di seguito si sintetizzano.
4.Ha ritenuto la Corte territoriale, richiamata giurisprudenza costituzionale e numerosi precedenti di legittimità ( pp. 2-4 della sentenza), tra i quali, soprattutto, la nota sentenza delle Sezioni Unite del 2008, rie. Di Salvia (Sez. U. n. 28605 del 24/04/ 2008, Di Salvia, Rv. 239921), che, proprio alla stregua del principio puntualizzato dalla decisione della S.C. in qualificata composizione, la verifica in concreto rimessa al giudice di merito sulla idoneità o meno della sostanza a produrre un effetto drogante rilevabile, conduce alla constatazione che la ricavabilità di ben 134 dosi medie singole, superando abbondantemente il valore soglia, preclude nel caso di specie la qualificazione in termini di inoffensività della condotta (p. 3 della sentenza).
Ha, inoltre, sottolineato la Corte di appello che nella vicenda in esame plurimi elementi di fatto (individuati nel rinvenimento nell'abitazione di una bilancia grammometrica, di una ciotola in metallo con tracce di stupefacente, di un cilindro in metallo utilizzato per sminuzzare marijuana e di un barattolo in vetro contenente marijuana, stimata destinata al consumo personale e non oggetto dell'imputazione del Pubblico Ministero) evidenziano il concreto pericolo di diffusione dello stupefacente (p. 3 della sentenza).
Ha, infine, escluso (p. 4) che sussistano i presupposti per la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., richiesta dal P.G. in udienza, in quanto «le modalità della condotta (coltivazione professionale in serra di ben quattro piante con elevato principio attivo) manifestano un pericolo tutt'altro che esiguo, come tutt 'altro che esiguo è il danno costituito dalla produzione di un elevato numero di dosi, con ulteriore pericolo di diffusione dello stupefacente (sintomatico di detto pericolo la presenza di bilancino grammometrico e del barattolo con parte del raccolto)».
5.Ricorrono per cassazione il B. ed il G., con unico atto di impugnazione a mezzo del comune difensore, affidando le loro doglianze a due motivi, con i quali deducono promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale, e chiedono l'annullamento della sentenza impugnata.
5.1.Con il primo motivo si denunzia violazione di legge e falsa ed erronea applicazione dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, attesa la stimata insufficienza ed infondatezza dei criteri utilizzati per l'affermazione di penale responsabilità degli imputati per il reato di illecita coltivazione, e falsa ed erronea applicazione del principio di offensività in relazione alla condotta di coltivazione.
Richiamati plurimi precedenti giurisprudenziali di legittimità ed evidenziato che si noterebbe una tensione tra un orientamento pronto a sostenere la inoffensività in concreto della condotta di coltivazione in presenza di un ventaglio di situazioni, oggettive ed oggettive, individuate in singole pronunzie, ed un altro che, invece, in sostanza, sanzionabile la coltivazione solo in presenza di ipotesi eccezionali; precisato che la coltivazione sarebbe da considerare un reato di pericolo concreto e non già solo presunto, si assume che la Corte di appello avrebbe illogicamente stimato offensiva la condotta in esame, mentre precisi argomenti deporrebbero per la sicura irrilevanza penale della condotta.
Nello specifico, richiamati gli elementi valorizzati nella sentenza di appello, li si sottopone a critica : quanto al superamento del valore soglia, si fa presente, richiamata la distinzione tra le nozioni di dose media singola e di quantità massima detenibile o "valore-soglia", che la quantità in concreto ricavabile dalle piante in sequestro, cioè circa 134 dosi medi singole, è superiore al valore-soglia di circa 5/6 volte e che ciò sarebbe ben compatibile con il concetto di scorta personale dei due imputati; quanto al numero delle piante (quattro), se ne sottolinea l'esiguità; quanto alla produttività potenziale delle piantine, si sottolinea che occorre fare riferimento alla capacità al momento dell'intervento della polizia giudiziaria e non già a possibili sviluppi futuri, in quanto ciò contrasterebbe con i principi di attualità e concretezza, contrastando prognosi attitudinali di produzione fondate su basi ipotetiche o presuntive con la necessaria certezza dell'illecito; quanto, infine, alla compresenza nell'abitazione di vari oggetti sequestrati (bilancia, ciotola etc.), se ne sottolinea la non significatività in chiave diffusiva potendo, invece, ben essere utilizzati in funzione di consumo personale.
Si censura, inoltre, la motivazione della Corte territoriale per non avere tenuto in adeguata considerazione i parametri di creazione giurisprudenziale che valorizzano, nella verifica sulla sussistenza di una coltivazione punibile, il numero limitato delle piante, la ridotta presenza di sostanza, la influenza o meno della quantità di prodotto rispetto ai quantitativi che vengono posti sul mercato, parametri che - si assume - ove correttamente applicati avrebbero condotto, specialmente tenuto conto della zona geografica di riferimento (Ferrara), ad una valutazione di irrilevanza penale della coltivazione.
5.2.Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge ed insufficienza motivazionale in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.
Si assume che gli elementi valorizzati dalla Corte (riferiti al punto n. 4) sarebbero, in parte, incongrui rispetta alla verifica demandata al giudice (gli oggetti, bilancino e barattolo, ben potendo essere destinati all'uso personale) e, in altra parte, eccessivamente enfatizzati, con sostanziale duplicazione del giudizio di disvalore: gravità del fatto / pericolosità della condotta (trattandosi di reato di pericolo) sulla base, comunque, di un numero non elevato di dosi, senza tenere in adeguata considerazione la verifica della condotta di vita degli imputati, senza approfondire se essi abbiano precedenti tenui o della stessa indole o con oggetto condotte plurime, abituali, reiterate ovvero se siano incensurati.
CONSIDERATO IN DI RITTO
1.I ricorsi sono infondati.
1.1.Quanto al primo motivo, alla luce della fondamentale pronunzia delle Sezioni Unite del 2008, secondo cui «Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (Conforme, Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta, non massimata). (Vedi Corte cast. n. 360 del 1995 e n. 296 del 1996)» (Sez. U., n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239921),
ritiene il Collegio di dover aderire, per la persuasività dell'apparato argomentativo, e di dover dare continuità a plurimi precedenti giurisprudenziali, anche recenti, che valorizzano, in primis, anche se non esclusivamente, la valutazione sulla quantità di principio attivo ricavabile dalle piante coltivate.
Si consideri infatti: che «La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa soltanto se il giudice ne accerti l'inoffensività "in concreto", ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (In motivazione la Corte ha precisato che non è sufficiente considerare il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, dovendosi valutare anche l'estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno una produzione potenzialmente idonea ad incrementare il mercato)» (così Sez. 4, n. 3787 del 19/01/2016, Festi, Rv. 265740); che «Deve escludersi la sussistenza del reato di coltivazione non autorizzata di piante da cui sono ricavabili sostanze stupefacenti qualora il giudice accerti l'inoffensività in concreto della condotta, per essere questa di tale minima entità da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (Fattispecie in cui la 5.C. ha escluso il reato per la coltivazione di due piante di canapa indiana e la detenzione di 20 foglie della medesima pianta, in presenza di una produzione che, pur raggiungendo la soglia drogante, era "assolutamente minima")» (così Sez. 6, n. 5254 del 10/11/ 2015, dep. 2016, Pezzato e altro, Rv. 265641); che «La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa al/archè il giudice ne accerti l'inoffensività "in concreto", nel senso che la condotta deve essere così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente irrilevante la coltivazione di due piantine di marijuana contenenti un principio attivo inferiore al quantitativo massimo detenibile)» (così Sez. 6, n. 33835 del 08/04/ 2014, Piredda, Rv. 260170); che «In tema di coltivazione di sostanze stupefacenti, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, il dato ponderale può assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull'offensività della condotta, la quale però non può essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall'art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990» (così Sez. 4, n. 43184 del 20/09/ 2013, Carioti e altro, Rv. 258095).
Ebbene, la sentenza impugnata valorizza, non illogicamente, il numero delle piante (quattro), l'altezza delle stesse (40 - 60 centimetri), le modalità non disorganizzate di coltivazione (in serra), la ricavabilità di ben 134 dosi medie singole, tali da superare abbondantemente il valore soglia, la compresenza di oggetti potenzialmente destinati alla cessione, con ragionamento congruo ed immune da vizi censurabili in cassazione.
1.2.Quanto al motivo di ricorso incentrato sull'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., va premesso che la Suprema Corte può rilevare, anche di ufficio ai sensi dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto (Sez. U, n. 13681 del 25/02/ 2016, Tushaj, Rv. 266593), riconoscendo o escludendo la particolare tenuità del fatto sulla base degli elementi desumibili dalla sentenza impugnata (Sez. U, n. 13681 del 25/02/ 2016, Tushaj, Rv. 266594), valutando complessivamente tutte le peculiarità della fattispecie concreta e tenendo conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile, dell'entità del danno e del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/ 2016, Tushaj, Rv. 266590) e, sotto il profilo soggettivo, dell'abitualità del comportamento (Sez. U, n. 13681 del 25/02/ 2016, Tushaj, Rv. 266591).
Nel caso di specie, tuttavia, deve prendersi atto che la motivazione reiettiva sullo specifico punto è fondata dal giudice di merito sulle modalità della condotta (coltivazione indicata come professionale in serra), sul numero delle piante, sulla quantità di principio attivo e sulla compresenza di bilancino grammometrico ed inoltre che si dà atto (ultima pagina della sentenza) della presenza di qualche precedente penale: discende l'assenza delle condizioni per il riconoscimento della sussistenza della causa di non punibilità in parola.
2.Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M .
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 06/10/ 2016.
Il Presidente