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Visualizza Versione Completa : Sentenza N. 243/16 Reg. Sent. GUP ROVIGO che assolve coltivatore



Avv. Zaina
18-12-16, 19:40
TRIBUNALE DI ROVIGO
Il Gup ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di M.M.
LIBERO PRESENTE
Difeso di fiducia dall'avv. Carlo Alberto Zaina di Rimini
Il PM chiede la condanna alla pena finale di mesi 6 di reclusione ed € 1.100,00, pena sospesa e benefici di legge.
Il difensore chiede sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o comunque con la formula di giustizia.
IMPUTATO
del reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p., 73 co. V D.P.R. 309/1990, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 coltivava in un terreno ubicato nelle adiacenze dell'azienda .. di proprietà della famiglia n. 5 piante di marijuana, nonché deteneva nelle pertinenze della' propria abitazione - all'interno di cinque contenitori riposti nel vano adibito a pompe della piscina - complessivi grammi 135,36 della stessa sostanza stupefacente.
in R. il 27.9.2015.
Omissis
Il presente procedimento trae origine dall'arresto operato dai CC di R. a carico di M.M., per la coltivazione di n.5 piantine di "Marijuana" nonché per la detenzione di gr. 135,36 della stessa sostanza.
Nello specifico..emerge che, il giorno 27.9.2015, i militari della Stazione CC di R. durante un servizio di osservazione, pedinamento e controllo eseguito nella adiacenze della azienda "." sita nel Comune predetto, alla via .. - in cui era stata constatata e segnalata presenza di alcune piantine apparentemente riconducibili a piante di "Marijuana" - coglievano un soggetto nell'atto di tagliare due delle dette piantine, per poi depositarle all'interno di un sacco di plastica; una volta qualificatisi i Carabinieri intimavano al soggetto di non muoversi e procedevano pertanto senza alcuna,difficoltà stante la piena collaborazione alla sua identificazione (tramite carta di identità) nella persona dell'odierno imputato. Seguiva perquisizione veicolare e domiciliare effettuata ai sensi dell'art. 103, co 3°, D.P.R. n.309/90 che dava esito positivo limitatamente all'attività di P.G. svolta presso l'abitazione giacché, grazie alle dichiarazioni spontanee rese dallo stesso imputato, i militari rinvenivano - all'interno del vano adibito alle pompe d'acqua della piscina - un fusto in plastica di colore blu, alto circa cm.45, contenente complessivi gr. 135,36, sostanza risultante essere, a seguito di accertamenti tecnici effettuati mediante "Narcotest Disposakit"; in uso alle forze dell'ordine, stupefacente del tipo "Marijuana", poi sottoposta a sequestro unitamente a semi e altro materiale rinvenuto nel medesimo contesto..
..Si rileva, sulla base degli atti utilizzabili in ragione del rito, che il giorno stesso dell'arresto l'imputato redigeva, di suo pugno, uno scritto in cui spontaneamente confermava l'attività di coltivazione nonché la detenzione della marijuana sequestrata unitamente alle piantine, chiarendo che tale sostanza era destinata ad uso esclusivamente personale in quanto abituale fumatore di marijuana.
Le indagini comunque proseguivano e si connotavano per l'espletamento, da parte del P.M. per il tramite del laboratorio di I.A. e T.F. di Mestre-Venezia di approfondite analisi tossicologiche dei reperti da A) ad E) nonché del reperto A-bis (cfr. per la cui descrizione di rinvia, per ragioni di sintesi espositiva, a pag. 1 di 5 del "rapporto di analisi" cit.) che consentivano di accertare che il materiale repertato dalla P.G. del peso netto pari a gr. 291,90 era presente principio attivo del tipo "Delta9THC" per una quantità assoluto pari a 19500±1400 mg corrispondenti a 780 dosi medie singole superiore di 39 volte al quantitativo massimo detenibile in base alle soglie stabilite dal D.M. 11.4.2006.
Così completate le attività di indagine, il P.M. - evidentemente disattendendo la tesi della inoffensività in concreto della condotta posta in essere dall'arrestato, tesi prospettata dalla difesa già in sede di memoria ex artt. 367 e 415 bis c.p.p., e ritenendo pienamente attendibili gli esiti delle analisi chimiche svolte sulla sostanza in sequestrato - si determinava ad esercitare l'azione penale dei confronti di M.M. per i reati di cui coltivazione e detenzione di sostanze stupefacente..
.....Orbene, gli elementi fattuali sopra accertati, devono essere valutati - anche in tale sede - alla luce dei principi espressi dalla Cassazione e della Corte Cost. con riferimento alla materia trattata.
Con riferimento alla condotta di "coltivazione" occorre richiamare le S.U. della Corte di Cassazione (sent. N.28605, 24.04.2008, Di Salvia), che - risolvendo un contrasto interpretativo sorto proprio in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti - hanno affermato, da un lato, l'irrilevanza della destinazione del prodotto per l'uso meramente personale al fine di escludere la punibilità del fatto e, dall'altro, che comunque spetta ed è onere del giudice di merito verificare l'offensività "in concreto" della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre effetto drogante (cfr. Cass. S.U. 24.04.2008, Valletta).
Tale principio risulta confermato anche dalla successiva giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici (cfr. tra le ultime Cass. Sez. VI n. 5254/2016 e Sez. IV n. 2548/2016) la quale, pur affermando la natura del reato de quo quale ipotesi criminosa di pericolo presunto - giacché la coltivazione, diversamente dalla detenzione di sostanza stupefacente, è sempre vietata ex se in ragione "... del carattere di aumento della disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione.." (cfr. precedenti citati) - ha attenuato tale rigore interpretativo ritenendo che, una volta verificata la sussistenza della azione tipica descritta dal legislatore, il giudice dovrà necessariamente procedere alla verifica in concreto della offensività di tale condotta, affermando nello specifico quanto segue (tratto da Cass. n.5254/2016 ): "Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la coltivazione di una pianta conforme al "tipo botanico", e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacità drogante minima, il giudice potrà e dovrà valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensività in concreto".
D'altra parte si osserva che la necessità di procedere al vaglio in concreto della offensività della condotta ancorché conforme al modello tipico delineato dal legislatore, si pone lungo il solco tracciato dalla Corte Cost. la quale, nella nota sentenza n. 260/2005, al fine di evidenziare la duplice attitudine della offensività - ovvero sia sul lato astratto che su quello concreto - ha affermato che:
"il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto) e dell'applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto) quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato", cosicché il giudice dovrà tenere in considerazione la possibilità che "si verifichino casi in cui alla conformità del fatto al modello legale non corrisponda l' effettiva messa in pericolo dell 'interesse tutelato. Il Giudice chiamato a fare applicazione della norma dovrà pertanto operare uno scrutinio particolarmente rigoroso circa la sussistenza del requisito dell'offensività in concreto".
Più di recente, a conferma di tale principio anche sul piano della valutazione in concreto spettante in capo al Giudice in un'ottica ermeneutica costituzionalmente orientata, la stessa Corte Cost. - con sentenza n. 139/2014 - ha affermato chiaramente quanto segue:
"occorre ricordare che questa Corte ha già precisato che resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare - alla stregua del generale canone interpretativo offerto dalla necessaria offensività della condotta concreta - se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati (sentenza n. 333). Il legislatore ben potrà, anche per deflazionare la giustizia penale, intervenire per disciplinare organicamente la materia, fermo restando il rispetto del citato principio di offensività che ha rilievo costituzionale" . La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, avuto il merito di affermare di recente (Cass. n. 5254/2016) - secondo un percorso argomentativo al quale pienamente si aderisce in quanto conforme ai principi sopra esposti anche in una ottica interpretativa sovranazionale - che il principio in esame (di necessaria verifica da parte del giudice della offensività in concreto della condotta ancorché conforme al modello tipico delineato dal legislatore) non risulta in alcun modo inciso dalla nuova disciplina introdotta con l'art 131 bis c.p. (particolare tenuità del fatto).
E' stato, infatti, efficacemente osservato che tale istituto "non si pone affatto in rapporto con la situazione qui in esame in quanto tale disposizione è applicabile in presenza di un reato perfezionato in tutti i suoi elementi, compresa, quindi, l'offensività": in altri termini, l'applicabilità al caso concreto della disposizione di cui all'art. 131 bis c.p. impone la prioritaria ed indefettibile verifica in ordine alla sussistenza del reato in tutti i suoi elementi, ivi compresa l'offesa, con la conseguenza che laddove manchi l'offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato dovrà concludersi per l'insussistenza dell'ipotesi di reato.
Orbene l'applicazione al caso di specie dei criteri ermeneutici sopra esposti con riferimento alla condotta della "coltivazione" deve essere condotta attraverso gli elementi fattuali rilevabili nella fattispecie concreta sulla base degli elementi raccolti in sede di indagine.
Nello specifico il minimo numero di piante rinvenute, unitamente al luogo di rinvenimento delle stesse - in zona adiacente all'azienda, in posizione pienamente avvistabile e l'assenza di predisposizione di strumenti che possa far propendere ragionevolmente sull'ulteriore sviluppo della coltivazione in atto al momento dell'accertamento della P.G. integrano elementi e circostanze fattuali della condotta che portano a ritenere come l'azione tipica, integrata dalla coltivazione di 5 piantine di marijuana, sia in concreto inidonea - avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, volta ad impedire la creazione di nuova disponibilità di sostanza o comunque di condizioni atte a favorire l'ulteriore sviluppo e diffusione di stupefacente - ad aggredire (offendere) il bene giuridico tutelato dalla norma integrato dalla salute pubblica (cfr. un caso analogo a quello trattato in applicazione Cass. n. 1260, 15.09.2016).
Alla luce di quanto esposto dal punto di vita giuridico e fattuale, e posta l'assenza di elementi probatori offerti dal P.M. sulla base degli atti di indagine utilizzabili in ragione del rito prescelto dall'imputato, deve ritenersi doverosa la pronuncia di sentenza di assoluzione ex art. 530, comma I, c.p.p. perché il fatto non sussiste, stante la mancanza di offensività in concreto della azione ancorché conforme. al modello tipico predisposto dal legislatore.
Quanto alla contestata condotta di detenzione di sostanza stupefacente, occorre avere riguardo all'immanente principio giuridico presso dalla costante giurisprudenza di legittimità, alla quale si intende aderire pienamente (cfr. Cass. Sez. VI n.12146 12.2.2009, Sez VI n.6575 10.1.2013, Sez. VI n.39977 19.9.2013) secondo cui: "In materia di stupefacenti, il mero dato quantitivo del superamento dei limiti tabellari, non vale ad invertire l' onere della prova a carico dell' imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale" in altri termini, il mero dato ponderale non implica di per sé la sussistenza dell'ipotesi di reato ma integra un mero indizio in ordine alla destinazione ad uso non esclusivamente personale della sostanza stupefacente, per cui - anche jn ossequio al principio di natura propriamente processuale secondo cui l'onere della prova con riferimento all'accusa spetta in capo al P.M. - il dato quantitativo assumerà significato probatorio laddove sussistano elementi sintomatici della destinazione a terzi acquisiti all'esito delle indagini, così che valutati "globalmente" siano tali da potere superare ogni ragionevole dubbio circa il fatto che la sostanza sia detenuta per uso esclusivamente personale.
Ebbene, dalle indagini inerenti il caso concretamente trattato non emerge alcuna circostanza concreta che sia sintomatica della destinazione a terzi della sostanza stupefacente detenuta dall'odierno imputato; invero, dagli atti utilizzabili in ragione del rito si rileva che l'imputato è immune da precedenti penali, lo stupefacente era detenuto in un vaso collocato all 'interno di un vano dell'abitazione destinato alle pompe dell'acqua di alimentazione della piscina residenziale, non vi era alcuna suddivisione in dosi della sostanza rinvenuta né sono stati rinvenuti bilancini o altri oggetti che possano portare a ritenere in modi incontrovertibile che la sostanza venisse lavorata per la successiva cessione a terzi . È pur vero che unitamente alla sostanza sono stati rinvenuti un "grinder" nonché una coltello ed una spatola che la P.G. ha ritenuto di ricondurre alla produzione di "hashish", ma è altresì vero che tali "strumenti" ben possono ritenersi compatibili con una lavorazione destinata all'utilizzo prettamente personale della sostanza stupefacente, dovendosi pertanto concludere che tali elementi, anche valutati unitamente al dato ponderale dello stupefacente sequestrato, non ' sono idonei a ritenere superabile ogni ragionevole dubbio circa la destinazione esclusivamente personale della sostanza detenuta dall'imputato.
In termini conclusivi, alla luce di quanto esposto,M.M deve essere mandato assolto dal reato di detenzione di gr. 135,36 di "Marijuana" ai sensi dell'art. 530 comma II c.p.p. secondo la formula "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" giacché il P.M. non ha provato oltre ogni ragionevole dubbio che la sostanza oggetto di sequestro fosse destinata ad un uso diverso da quello esclusivamente personale.
Visti gli artt. 442, 530 comma II c.p.p.
P.Q.M.
ASSOLVE
L'imputato dai reati a lui ascritti perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per la condotta di detenzione, e perché il fatto non sussiste per la condotta di coltivazione.
Rovigo, 28.09.2016