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secondo me Laura le ricerche soprattutto se non commissionate solitamente si fanno in basa all'interesse del ricercatore. interesse implica che comunque una mezza idea di ciò che starai andando a studiare devi pure averla, che non intralci la ricerca attraverso giudizi di valore, o per lo meno riducendoli al minimo, è ovvio. se commissionata io mi sarei prima di tutto informato per lo meno per avere un idea di ciò che sarei andato a studiare. non mi sarei presentato come uno che non ne sa niente, ed avrei fatto, prima ancora di porre le domande un analisi dei documenti (i post) per cercare di rintracciare,nei limiti del possibile, sommari indici in virtù degli argomenti della ricerca. Poi avrei attrverso le domande indagato maggiormente sugli aspetti emersi dai documenti, e/o nei avrei trovati di nuovi. nel porre le domande utilizzando un approccio formale avrei spiegato dettagliatamente la ricerca che volevo effettuare nei minimi dettagli, avrei spiegato dettagliatamente le ragioni per la quali la ricerca avrebbe avuto senso di esistere, e poi avrei posto le domande in maniera chiara,sperando in una possibile risposta. oppure avrei utilizzato un metodo informale e avrei posto le domande raccontando prima ciò che pensavo io in virtù di un determinato argomento e poi avrei chiesto il parere altrui. l'empatia di cui ci raccontavano a scuola.
comunque noto che dai primi post sei passata dal formale all'informale, grazie ad un joint... ecco questo è un aspetto della ricerca i joint annullano la distanza tra le persone e creano empatia.
*raccontando :-(
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... un altro aspetto è che i fumatori, coltivatori, o le persone che hanno a che fare in qualsiasi modo con la cannabis indica e non solo, anche sativa, non amano le domande a bruciapelo fatte a caso, come tutti gli altri esseri umani... :biggrin2::biggrin2::biggrin2:
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quoto border,
e aggiungo che un altro sistema, magari anche molto più efficace, sarebbe stato quello del fare lo studio in maniera anonima, non dichiarata.. come se fossi un qualunque utente.
Al massimo presentandomi pure come psicologo o quel che sia, ma senza palesare eccessivamente i miei scopi.
I joint creano empatia perchè creano complicità in un fottuto reato che manco dovrebbe esistere!
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no va bè ma non solo in virtù di un reato... anzi l'empatia dovute a quella situazione è la minimissimissima (non so trovare un termine che descriva una misura più piccola) parte dell'empatia che può creare un joint!!!
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vorrei postare qui un breve passaggio che mi sembra inerente in generale a sto topic , parla di psicoanalisi e di effetti della canapa :
L FUMO RENDE LUCIDI
di Lester Grinspoon
Non riesco a rendere l’idea della varietà di cose che la canapa mi aiuta ad apprezzare, a considerare, a penetrare sotto altri punti di vista. Ma voglio mettervi a parte di alcune circostanze, non troppo personali.
Ad esempio, vi voglio raccontare della peggiore scelta che abbia mai fatto nella mia carriera professionale: la decisione di far domanda presso l’Istituto di Psicoanalisi di Boston come candidato per il training da psicoanalista. Cominciai questo training - enormemente dispendioso sia per il tempo che per i soldi - nel 1960 e mi diplomai sette anni dopo. Già durante il training nutrivo qualche scetticismo circa certi aspetti della teoria psicanalitica, ma ciò non bastò a smorzare l’entusiasmo con cui iniziai a prendere pazienti in analisi nel 1967 (per coincidenza, lo stesso anno in cui cominciai a studiare la canapa). Solo verso la metà degli anni Settanta, il crescente scetticismo circa l’efficacia della psicoanalisi cominciò a farmi sentire a disagio.
Un disagio su cui la canapa agì come catalizzatore. Le sere in cui fumo, la marijuana mi fornisce lo spunto - tra le altre cose - per passare in rassegna le idee significative, i fatti e i rapporti della giornata trascorsa: il lavoro coi pazienti è sempre un punto in agenda. Questa rivisitazione della giornata insieme alla canapa è quasi sempre autocritica, spesso duramente autocritica, e i parametri di questa critica risultano molto ampliati. I miei pazienti in psicoterapia - quelli che mi sedevano di fronte, a contatto di sguardo e che potevano dialogare liberamente - sembravano fare più progressi dei pazienti in psicoanalisi. In genere, ero soddisfatto del mio lavoro coi primi, mentre, invariabilmente, con i pazienti sul lettino, mi ritrovavo ad essere prima impaziente e poi insoddisfatto perché non facevano progressi. Senza dubbio, fu l’effetto cumulativo di queste autocritiche sotto l’effetto della canapa a spingermi alla fine, nel 1980, a non accettare più nuovi pazienti in analisi. Ciononostante, continuai a pagare le quote d’iscrizione all’Istituto Psicoanalitico di Boston perché pensavo che il problema fosse mio; con altri psicoanalisti, la cosa funzionava, ma in qualche modo non poteva funzionare con me. Ci pensai ancora su per molto, sia da sobrio che da “fatto”, nel corso di alcuni anni, e finalmente arrivai alla conclusione che il problema non era mio, ma della psicoanalisi che come terapia non era molto utile: a quel punto rassegnai le dimissioni dall’Istituto.
Ripensandoci ora, non credo di aver fatto peggio di altri psicoanalisti. Gli analisti non si preoccupano per i mancati progressi dei pazienti perché protetti dalla comune aspettativa che il processo sarà lungo, e, ancora di più, dalla potenza del transfert che, tra l’altro, gratifica il narcisismo dell’analista e sostiene la fantasia del paziente (nonché spesso del terapeuta) sull’onniscienza dell’analista. In queste circostanze, è difficile per lo psicoanalista essere critico sul proprio lavoro. Per farlo, deve esser provvisto di un potente detector di “stronzate”. Sono convinto che la canapa mi aiuta ad affinare questo detector e questa capacità potenziata mi ha fatto capire che avevo fatto un enorme errore a decidere di fare lo psicoanalista. La decisione di dimettermi dall’Istituto fu molto difficile, un po’ come divorziare dopo dieci anni di matrimonio. Ma non ho dubbio che è stato il solo modo per venire a capo del mio crescente disagio e per correggere quello che vedevo allora chiaramente come un errore. Alcuni dei miei colleghi psicoanalisti di allora potrebbero pensare, tra le altre cose, che ho semplicemente sostituito il coinvolgimento in ciò che consideravo un sistema di macro inganno con una micro versione di segno opposto. Anche se c’è questa possibilità, sono debitore alla canapa per l’aiuto che mi ha dato a raggiungere la chiarezza necessaria per arrivare a questa difficile decisione.
Lester Grinspoon, psichiatra, Professore emerito alla Harvard Medical School è autore di numerosi e fondamentali scritti sulle droghe: in Italia sono stati pubblicati nel 1995 Marijuana, la medicina proibita (coautore James B. Bakalar); nel 1996 Marijuana.
fonte: Viaggio nella canapa. Il movimento internazionalemper gli usi terapeutici, Fuoriluogo
copy pasta from psiconautica.tk
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Complimenti, bel post davvero!:specool:
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Post che una psicologa che si accinge ad una ricerca del genere, dovrebbe conoscere come l'Ave Maria (:biggrin2: appunto)
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Citazione:
Originariamente Scritto da
khmerpc
qualsiasi cosa vuoi sapere posso dirti il mio punto di vista....ciao quello che posso dirti con certezza a proposito di psicologia è che se la cannabis non fosse vietata in questo forum saremmo forse la metà....e i fumatori ricreativi sarebbero molti meno....
Per quale motivo?
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effetti opposti del proibizionismo, ci son teorie secondo le quali uno sostanza legalizzata ha meno fan della stessa proibita :icon_lol: