Tutto chiaro... sembra molto logico.
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Tutto chiaro... sembra molto logico.
Desidero riagganciarmi al commento di ieri per fornire una sommaria indicazione metodologica ulteriore in tema di coltivazione, che potremo, magari privatamente, approfondire.
Vorrei fare presente che in caso di sequestro di piante di canapa, un elemento che deve essere privilegiato è quello dell'accertamento della tipologia specifica dell'arbusto.
Vale a dire, che non può essere sufficiente che le ff.oo. dichiarino empiricamente che si tratta di piante di canapa, perchè il reato sia accertato ed un eventuale arresto sia legittimamente operato.
Stando, infatti, all'orientamento della Cassazione di cui alla sentenza 13 novembre 2013, è necessario, anche al fine di valutare un 'ipotetica idoneità - peraltro opinabile e che continuo a contestare - delle piante a produrre sostanze stupefacenti, che venga accertata concretamente la circostanza relativa la fatto che le stesse siano (o meno) riconducibili alla categoria delle femmine o dei maschi oppure degli ermafroditi.
La circostanza che solo le prime, a differenza dei secondi, sono in grado di produrre un THC ad effetto stupefacente, costituisce elemento che giustifica l'accertamento in questione.
Tutti voi sapete che la differenza di sesso tra le piante, ove non si dia corso ad un'immediata perizia, che usualmente non è possibile svolgere nell'immediatezza del sequestro, non può essere accertata se non da esperti botanici e certamente non dai Carabinieri all'impronta.
Dunque, è necessario eccepire espressamente tale aspetto, chiedere espressamente un'immediata verifica, così che un eventuale arresto del coltivatore, effettuato in assenza di certezza dell'appartenenza della pianta alla categoria botanica atta a produrre cannabis, potrebbe apparire illegittimo.
In altra sezione del sito, PAWAN KUMAN solleva un'intelligente tematica concernente l'omicidio stradale.:sm_clapper:
Condivido in toto le preoccupazioni che ha espresso e che, seppure sotto altri profili ho - a mia volta - espresso martedì 2 gennaio, in un'intervista che ho rilasciato a Radio Capital sullo specifico tema.
Mi permetto di sottoporvi alcune brevissime riflessioni.
Lo stato dell'arte relativo all'accertamento delle condizioni di sottoposizione a stupefacenti da parte di un conducente in Italia e', attualmente ad un livello confuso e, comunque, poco chiaro.
Qualsiasi accertamento tecnico non permette, infatti, di individuare il dato fondamentale e cioè di definire esattamente il momento di assunzione della cannabis da parte dell'interessato, in quanto ciascuna forma di controllo tramite analisi non permette di superare lo spettro temporale retroattivo che risulta ampio.
Per le droghe pesanti, esso e' di circa 96 ore, per la cannabis può giungere addirittura a 40 giorni.
Sussiste invece, necessità di identificare esattamente e con certezza scientifica lo stato di abilità o disabilità temporanea del conducente, che apparentemente ha assunto in precedenza al controllo cannabis, per evitare esiti cd. falsi positivi.
Nel dubbio la Cassazione, dovendo accogliere questo dato metodologico scientifico (che risulta favorevole ai cittadini), si basa (quando i verbalizzanti lo scrivono) sulle percezioni soggettive dirette, vale a dire "occhi rossi, pupille dilatate, frasi sconnesse, andatura traballante".
Ci si trova ,quindi, alla merce' delle capacità percettive delle ff.oo. (e della loro ottima fede).....
Sempre meglio, passano da braccio armato di uno stato corrotto a giudici e medici!! Belle storie -.-
Desidero farvi conoscere le motivazioni della sentenza di Cagliari, che aveva assolto un mio assistito per detenzione di marjiuana, di cui vi aveva anticipato l'emissione prima di Natale.Aggiungo anche un breve preliminare commento. Buona lettura.
La destinazione al consumo esclusivamente personale – quale circostanza scriminante - può formare oggetto di deduzione anche in presenza di un quantitativo lordo non modico di stupefacente, ove, però, il principio attivo risulti oggettivamente modesto ed idoneo a permettere di ottenere un numero di dosi (meglio, però, sarebbe usare il criterio della Q.M.D.) effettivamente ridotto ed appaia coerente con un fabbisogno del detentore.
Questo canone interpretativo, unitamente alla allegazione-dimostrazione, da parte dell'indagato, di essere abituale assuntore di cannabis, è stato, quindi, posto a base dell'assoluzione di un giovane (accusato di detenere 237 grammi lordi di cannabis indica), pronunziata dalla Corte di Appello di Cagliari, con la sentenza n. 1510 del 4/19 dicembre 2013.
La sentenza appare, inoltre, anche di specifico interesse, perchè il Collegio – ai fini della propria decisione – pone una inusuale attenzione all'effettivo comportamento generale dell'imputato – condannato, invece, in primo grado –.
Da tale esame la Corte territoriale estrapola, infatti, ulteriori argomenti, che risultano convergenti, nel senso di dimostrare la sussistenza dell'evocata scriminante dell'uso esclusivamente personale.
Dal reperimento di una minima quantità di stupefacenti (circa 250 mg.) nella camera del giovane, la Corte perviene, pertanto, alla considerazione, che l'indagato potesse fare uso cadenzato della sostanza complessivamente trovata in suo possesso, attraverso un prelevamento, ogni volta, dal compendio generale, di quanto gli servisse effettivamente per il proprio contingente fabbisogno.
Questa valutazione si dimostra assolutamente corretta metodologicamente.
Essa viene, poi, corroborata e rafforzata anche dalla circostanza che, nel caso concreto, non è stata ravvisata quella tipologia di modalità di confezionamento (ad esempio ripartizione della marjiuana in più dosi), che può, invece, congiurare per escludere il consumo personale d indurre a ritenere esistente un'ipotesi di destinazione alla cessione in favore di terzi.
Altri ulteriori elementi che la Corte distrettuale ha valorizzato per la propria pronunzia, consistono, poi,
1.sia nell'assenza dell'attrezzatura usualmente rinvenibile nella disponibilità di colui (o coloro) che venga identificato nella figura del pusher – bilancine di alta precisione, strumenti per ripartire in dosi lo stupefacente, cellophane per il confezionamento etc. -,
2.sia nella dimostrata capacità economica del giovane, condizione di autosufficienza economica che contrasta efficacemente qualsiasi ipotesi accusatoria avversa.
Si può, quindi, affermare che l'onere di allegazione di elementi a discarico da parte dell'imputato – pur non venendo equiparato dalla giurisprudenza ad un vero e proprio adempimento dell'onus probandi - nella fattispecie appare atteggiamento difensivo proficuo e decisivo.
Da ultimo si osserva che neppure il rinvenimento di semi coltivabili – condotta che, peraltro, non costituisce di per sé illecito di alcun tipo – può venire assunto come sintomatico di una rilevanza penale della detenzione accertata (semmai, al limite, avrebbe potuto configurare situazione preliminare alla coltivazione, che, peraltro, non può essere contestata nelle forme del tentativo).
Desidero segnalarvi un'importantissima sentenza, in via di pubblicazione della Corte di Cassazione che ha stabilito che (a seguito della modifica del regime della lieve entità da circostanza attenuante a reato autonomo) la prescrizione della nuova ipotesi di reato del comma 5 dell'art. 73 non sia più commisurata sulla pena prevista dall'art. 73 comma 1 (dunque da 20 - termine breve -a 25 anni -termine lungo -, salvo ulteriori aumenti per ipotesi di recidiva), bensì venga ridotta a 6 - termine breve - oppure a 8 anni - termine lungo - con effetto retroattivo.
Vale, quindi, a dire che questo computo più favorevole di prescrizione si applica anche a casi che si siano verificati precedentemente all'entrata in vigore del d.l. 146 del 23 dicembre 2013.
Una buona notizia!
STUPEFACENTI – FATTO DI LIEVE ENTITA’ – NUOVA FORMULAZIONE DELL’ART. 73, COMMA 5, D.P.R. N. 309 DEL 1990, INTRODOTTA DAL D.L. 23 DICEMBRE 2013, N. 146
– IPOTESI AUTONOMA DI REATO – SUSSISTENZA – CONSEGUENZE – TERMINE DI PRESCRIZIONE DI SEI ANNI – APPLICABILITÀ ANCHE AI FATTI ANTERIORMENTE COMMESSI - SUSSISTENZA Con sentenza emessa l’8 gennaio 2014 – di cui è stata fornita l’informazione provvisoria – la Sesta sezione della Corte di cassazione ha affermato che la nuova formulazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, introdotta dall’art. 2 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, configura un titolo autonomo di reato per fatti di lieve entità riconducibili alle altre previsioni contenute nel medesimo art. 73, precisando che il più breve termine di prescrizione di sei anni previsto per tale reato ex art. 157 comma 1 cod. pen., debba applicarsi anche retroattivamente, a norma dell’art. 2, comma quarto, cod. pen.
Cosa comporterebbe questo? Una riduzione di pena, a chi condannato anche precedentemente?
Questo orientamento comporta la conseguenza che il tempo prescrivere il reato viene congruamente ridotto e viene finalmente rapportato all'effettiva portata criminosa della vicenda.
Prescrivere significa, in sintesi,che il giudice pur riconoscendo la colpevolezza dell'imputato, non pronunzia, però, nei di lui confronti una sentenza di condanna, e non applica una pena in concreto, perchè, al momento della pronunzia della sentenza, è trascorso troppo tempo dalla data di commissione del fatto-reato.
Sino ad oggi, anche se la condotta od il fatto illecito, concernente gli stupefacenti, fossero stati considerati modesti o di scarso rilievo - e dunque fosse stata riconosciuta la lieve entità del comma 5 dell'art. 73, con riduzione di pena rispetto all'ipotesi ordinaria - i termini di prescrizioni rimanevano, comunque, quelli (lunghissimi) del comma 1.
Si trattava di una conseguenza ingiusta, ma ineccepibile, purtroppo, perchè direttamente consequenziale alla natura della lieve entità, che era stata concepita dal legislatore come circostanza attenuante.
Ora, tale conseguenza non è più applicabile e vi è un rapporto di corretta proporzionalità fra fatto e prescrizione.
Grazie, è stato chiarissimo.
Con la sentenza 1251/14, la Sesta Sezione della Suprema Corte interviene nuovamente sul tema della detenzione ad uso esclusivamente personale di sostanze stupefacenti.
Lo fa, attraverso l'annullamento di una duplice pronunzia di condanna dei giudici di merito di Catania, che avevano ritenuto – nei due gradi di giudizio – che la detenzione di tre dosi di marjiuana legittimasse una affermazione di responsabilità ed una condanna per la violazione del comma 1 ed 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90.
I principi esposti dal Supremo Collegio appaiono chiari ed univoci.
In primo luogo (ed in relazione alla errata affermazione di rilevanza penale della condotta detentiva) si osserva che appare dirimente, per la pronunzia di annullamento della sentenza, l'adempimento dell'onere di allegazione che compete all'imputato.
Nella fattispecie tale onere era stato assolto, tramite la dimostrazione dello stato di dipendenza da droghe del minore imputato – circostanza di cui, invece, i giudici distrettuali non solo non avevano dato atto, ma che, incomprensibilmente avevano negato -.
In presenza di un quantitativo assai modesto – come quello del caso di specie – la prova dello stato di assuntore dell'imputato costituisce elemento significativo per ritenere acclarata la destinazione a fini personali dello stupefacente.
In secondo luogo, i giudici di legittimità si soffermano sul concetto di lieve entità, escluso dalla Corte di merito sulla base della presunzione che l'imputato svolgesse un'attività di spaccio non occasionale ed episodica.
Tale presunzione si fondava sia sul rinvenimento dello stupefacente, che sul possesso – da parte dell'imputato – di 120 euro (somma definita dalal sentenza di Appello “importante”).
La Corte, invocando l'uso di criteri di proporzionalità e ragionevolezza fra offensività del fatto e pena inflitta, ha censurato l'indirizzo assunto dalla Corte di Appello, sul presupposto della compatibilità fra fatto lieve e l'attività di spaccio non occasionale, in quanto il dpr 309/90 prevede l'ipotesi del comma 6 dell'art. 74 (associazione per delinquere per fatti di lieve entità).
Questa espressa previsione normativa suppone, infatti, una struttura illecita che operi con una sua continuità e stabilità, requisiti propri della non occasionalità.
Dunque, nel caso di specie, è proprio la specifica lettera della legge che smentisce l'assunto dei giudici.
Si parono, quindi, per l'imputato prospettive sia di assoluzione, che, in ipotesi negativa di inflizione di una pena minima.
Segnalo una recentissima novità in materia di coltivazione.
La Terza Sezione Penale della Cassazione ha rigettato il ricorso del Pm presso il Tribunale di Ancona, avverso il proscioglimento pronunziato dal GIP ex art. 425 cpp.
L'importanza della pronunzia deriva dal fatto che appare rilevante la circostanza che non sia stato calcolato e periziato il thc estraibile dalle due piante.
Ciò significa che, in questa caso, la Corte non ha ritenuto che la coltivazione - quale illecito penale - si perfezioni già con la messa a dimora del seme, bensì sia necessario comprendere se la pianta (o le piante) sia in grado di produrre effettivamente sostanza drogante.
La circostanza che tale accertamento non sia stato possibile, preclude qualsiasi altra valutazione, però, credo che si tratti di un passo avanti sul cammino di una valutazione giurisprudenziale che si incentri sulla effettiva offensività della condotta e non già su di una offensività teorica.
In questo senso si potrebbe arrivare - se non mutasse la legge - a valutare l'importanza e la liceità della coltivazione ad uso personale, proprio perché non destinata a produrre effetti al di fuori della sfera privata del coltivatore-assuntore.
Pulisco la discussione, evitiamo di andare fuori tema in un 3d cosi importante :a045:
Ho trovato questa interessante notizia fresca fresca di sentenza di assoluzione:
http://www.ilgiorno.it/como/cronaca/...ana-vaso.shtml
Marijuana coltivata sul balcone di casa, il giudice: se cresce nel vaso non è reato
Luisago, mini piantagione a uso strettamente personale: assolto un 35enne
di Paola Pioppi
Luisago (Como), 28 gennaio 2014 - Coltivava marijuana sul balcone della sua abitazione, ed era finito a processo per produzione di sostanze stupefacenti. Ma il gup di Como, in applicazione di una serie di recentissimi indirizzi della Corte di Cassazione, lo ha assolto. Nicolò Marino, 35 anni di Luisago, nel luglio 2012 era stato trovato dai carabinieri di Fino Mornasco in possesso di sei piantine di cannabis, il cui principio attivo, così come rilevato dalle consulenze disposte dal Tribunale, variava dall’uno per cento fino a quasi l’otto per cento. Un riscontro positivo, anche se non elevatissimo, a cui si aggiungevano circa cinquanta grammi di foglie già essiccate trovate in un cassetto di un mobile in casa. Di fatto, la coltivazione di sostanze stupefacenti, è sempre stata ritenuta dalla legge “penalmente rilevante”, a prescindere dalla destinazione personale o per terzi, e dal quantitativo che poteva anche essere non eccessivo. Di fatto, la produzione attraverso coltivazione è sempre stata ritenuta più grave della semplice detenzione o spaccio.
Tuttavia il difensore di Marino, Davide Brambilla, ha depositato una memoria difensiva nella quale argomentava dettagliatamente sul concetto di “coltivazione”, partendo innanzi tutto dal presupposto che «l’assimilazione tout court della coltivazione industriale o semi-industriale della coltivazione della marijuana alla coltivazione domestica» è stata giudicata discutibile in più occasioni. Inoltre, quando si parla di «coltivazione», si intende abitualmente un’attività agricola in larga scala, destinata poi all’utilizzo a favore di terze persone. Non certo a «modesti quantitativi di piante messe a dimora in modo rudimentale in vasetti sul terrazzo di casa». Già il Tribunale di Milano aveva precisato, in una precedente sentenza, che «coltivare non significa allestire vasi e vasetti, ma governare un ciclo di preparazione del terreno, semina, sviluppo delle piante e raccolta del prodotto».
Inoltre, una ulteriore sentenza, aveva stabilito che «la condotta di coltivazione non può ritenersi in concreto offensiva allorché essa, esclusa la volontà di cedere a terzi le foglie una volta tagliate dalle piante, non metta a repentaglio la salute pubblica». In altre parole, una destinazione d’uso rivolta la consumo personale, come in questo caso, dove i carabinieri non avevano trovato nulla che potesse essere utilizzato per il confezionamento di dosi destinate a terze persone. Accogliendo le istanze della difesa, il gup Maria Luisa Lo Gatto ha stabilito che la non rilevanza penale può essere riconosciuta non solo quando le piante sono prive di principio drogante, ma anche quando non ci siano le condizioni per creare un danno alla salute pubblica, o quando la coltivazione non ha caratteristiche tali da incrementare il mercato. Marino è così stato assolto perché il fatto, così configurato, non costituiva reato.
di Paola Pioppi
La stessa notizia riportata dal Corriere di Como:
http://www.corrierecomo.it/index.php...4:prima-pagina
MARTEDÌ 28 GENNAIO 2014
La piaga della droga
Si è conclusa la vicenda giudiziaria di un 35enne di Luisago
«La coltivazione di piante di marijuana (che per la precisione erano sei, ndr) era talmente modesta che, a prescindere dal fatto che fosse o meno di mero uso personale, la condotta difetta di una apprezzabile potenzialità offensiva».
Il fatto è dunque «penalmente irrilevante» e l’imputato per questo motivo «deve essere assolto».
Quella appena riportata è la sintesi della motivazione della sentenza che ha portato il giudice delle indagini preliminari di Como a dar ragione alla difesa in merito a una vicenda che risale al luglio del 2012, quando in un blitz nella casa di un 35enne di Luisago, le forze dell’ordine trovarono in balcone sei piante di marijuana e in più, in un cassetto del mobile dell’abitazione stessa, altri 48 grammi e mezzo della stessa sostanza stupefacente.
Motivo per cui era stato aperto in quell’occasione un procedimento penale a carico dell’imputato accusato sia della detenzione dello stupefacente sia della coltivazione della marijuana.
La procura, dopo la scelta del rito Abbreviato da parte della difesa - avvocato Davide Brambilla - aveva invocato la pena di due anni di carcere più 6 mila euro di multa, oltre naturalmente alla confisca della marijuana.
Ma alla fine, il giudice ha optato per l’assoluzione dell’uomo in quanto, pur essendo verificato che nei vasi sul balcone tenesse piante di marijuana, queste ultime non potevano avere - vista la loro esiguità - una «apprezzabile potenzialità offensiva».
In pratica, l’estensione ridotta della piantagione («che non può nemmeno essere definita come tale in senso tecnico», ma al massimo «una messa a dimora in vasi») e la sua struttura organizzata erano tali che non era «potenzialmente idonea a incrementare il mercato».
E questo nonostante sia stata appurata «la presenza di un effetto stupefacente della sostanza coltivata». La tesi conclusiva è dunque perentoria, anche se ancora discussa a livello di giurisprudenza: «Le piante di marijuana erano in assenza di altra strumentazione idonea all’innaffiamento, al riscaldamento, all’illuminazione, o comunque finalizzata a favorire la crescita e lo sviluppo della coltivazione».
E soprattutto «il numero modesto delle piante e il principio attivo ricavabile sono tutte circostanze che, a prescindere dal fatto che fosse destinata al meso uso personale, consentono di escludere che la condotta nel suo complesso abbia avuto una apprezzabile potenzialità offensiva».
Da qui, dunque, l’assoluzione dell’imputato. Accogliendo, tra l’altro, la tesi difensiva che l’avvocato Davide Brambilla aveva sostenuto nella propria memoria presentata al giudice.
M.Pv.
I giornalisti sono una categoria fantastica, soprattutto, quando non capendo nulla scrivono quello che pare loro.
Il secondo articolo e' un condensato di contraddizioni rispetto al primo che viene da domandarsi che processo hanno visto i due giornalisti e chi effettivamente abbia visto il vero processo.
Mi permetto di segnalarvi una sentenza n. 2881/14 della Terza Sezione della Corte di Cassazione in data 19/11/2013 - 22/1/2014 in tema di criteri che permettono di affermare la detenzione ad uso personale.
Per vero, si tratta di una complessa vicenda che attiene a stupefacenti del tipo cocaina, ma credo che risulti a chiunque evidente che i principi di diritto che il Collegio di legittimità afferma - in materia di detenzione a fine di consumo personale - presentino il carattere della comunanza e dell'applicabilità a qualsiasi tipo di sostanza.
La Corte di Cassazione, infatti, ha escluso che detenere circa gr. 50 di sostanza - cioè il dato strettamente ponderale - non sia di per sè condotta significativa dell'attività di spaccio, quando si versi in presenza di indizi di segno avverso, quali ad esempio l'assenza di materiale da taglio o confezionamento, di intercettazioni telefoniche, di chiamate in reità di terzi, di avvistamenti o risultanze dalle quali desumere che il detentore sia inserito in un contesto di cessioni a terzi.
Parimenti una minima capacità economica dell'imputato determinata da introiti leciti, la dimostrazione di un'abitudine del detentore ad assumere sostanze anche se non necessariamente con cadenze regolari, costituisca dati che permettono al giudice di ritenere che sia effettivamente provata la destinazione all'uso personale, anche quando il quantitativo ecceda limiti di modicità.:polliceu:
Un solo spinello (accertato) non blocca l’accesso al pubblico impiego
Il mero ammonimento della prefettura per il consumo occasionale di cannabis non determina l’esclusione dal concorso, anche nelle forze dell’ordine, per mancanza del requisito di moralità
di VANESSA RANUCCI
Un unico episodio di assunzione di marijuana non configura l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego: l’uso di sostanze stupefacenti non accompagnato dallo spaccio non esclude il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro. Lo ha sancito il tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con la sentenza 675/2014, ha accolto il ricorso di un aspirante finanziere che era stato escluso dalla procedura concorsuale in quanto non in possesso del requisito di moralità e di condotta di cui all’articolo 2 comma 1 lett. b) della determinazione 44636/13 (bando di concorso): tale esclusione era basata sul fatto che l’uomo è stato trovato in possesso di un grammo di sostanza stupefacente di tipo marijuana.
Uno sguardo al passato
L’unico episodio imputato al ricorrente di possesso di sostanze stupefacenti fu considerato da parte dell’autorità di governo di Napoli di natura “tenue” della violazione concludendo il procedimento ex art. 75 Dpr 309/90 con il mero ammonimento a non far più uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Per il Tribunale laziale tale il provvedimento impugnato dall’amministrazione non può costituire motivo per escludere il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro: si legge al riguardo che «per l’accesso al lavoro in generale, può essere positivamente valutata anche per l’accesso alle forze di polizia, nonostante la particolare posizione che vengono a rivestire i soggetti a esse appartenenti, sotto il profilo della peculiarità delle funzioni loro affidate. E invero la “ratio” che fa assumere valenza preclusiva all’uso di sostanze stupefacenti è la presenza non di un comportamento saltuario (e peraltro abbastanza lontano nel tempo) ma di un comportamento ripetuto nel tempo e con continuità tale da permettere la formulazione una prognosi sfavorevole di una possibile sua ripetizione, ma nella posizione di appartenente al corpo reclutante che il concorrente aspira ad assumere».
Insomma, l’addebitato possesso di sostanze stupefacenti è complessivamente insufficiente a giustificare l’esclusione dal concorso: la semplice assunzione di sostanze stupefacenti non accompagnata dallo spaccio non può, in mancanza di ulteriori elementi negativi, determinare l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego. E ancora, la detenzione e anche il modico uso personale di sostanze stupefacenti, poiché non integra un’ipotesi di condotta illecita, non può legittimare un giudizio di insussistenza del requisito morale. Pertanto, il provvedimento impugnato è stato annullato.
Vanessa Ranucci
(Cassazione.net Riproduzione riservata)
Prime pronunzie che si riferiscono alla nuova formulazione del comma 5 dell'art. 73 – così come derivata dalla novella di cui all'art. 2 del D.L. 21 dicembre 2013 n. 146.
La nuova espressa qualificazione dell'istituto come reato autonomo, in luogo della precedente accezione – circostanza attenuante ad effetto speciale – introduce una serie di elementi di maggiore favore nei confronti dell'imputato, che possono essere valutati ai sensi dell'art. 2 comma 4° c.p. .
La sentenza 7363/14 della Quarta Sezione Penale del Supremo Collegio (9 gennaio 2014) si sofferma sul profilo della prescrizione, che muta sostanzialmente i suoi termini di decorrenza.
In virtù della autonomia di cui, ora, è munita la nozione di lieve entità, punita con la reclusione da 1 a 5 anni, il nuovo termine di base – a mente dell'art. 157 comma 1 c.p. - è pari a 6 anni.
Ove vada applicato il comma 2° dell'art. 161 c.p., il quale regola il regime delle interruzioni, il termine massimo (per imputati nei confronti dei quali non vada contestata la recidiva) è di 7 anni e 6 mesi, derivato dall'aumento di ¼ del tempo necessario a prescrivere.
Si tratta, pertanto, di una conseguenza che non era ritenuta possibile, quando la lieve entità era qualificata come circostanza attenuatrice del reato.
Non è però solo questo aspetto che richiama l'attenzione sulla norma in questione, perchè vi sono ulteriori aspetti che meritano approfondimento.
In primo luogo la nuova configurazione permette di evitare che l'istituto della lieve entità venga posto in bilanciamento – come invece prima avveniva – con eventuali circostanze aggravanti che vengano contestate all'imputato, con il rischio che un possibile giudizio di prevalenza di queste ultime, privasse di qualsiasi valore la citata qualificazione giuridica del fatto, (che è sinonimo di modesta gravità del fatto) e determinasse l'applicazione di sanzioni penali del tutto sproporzionate all'azione.
In secondo luogo, però, l’applicazione tout court del testo di legge antecedente alle norme dichiarate incostituzionali1, incontra un limite che attiene proprio al comma 5° dell’art. 73 e che deriva dalla contemporanea esistenza anche delle disposizioni introdotte dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 art. 2.2
Ciò premesso, si crea una problema di individuazione della norma che debba formare oggetto di applicazione nel caso concreto.
Va, infatti, osservato in parallelo, che :
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, depurato dalle modifiche introdotte dalla L. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale :
A)prevede una trattamento sanzionatorio differenziato (pena ad hoc) per le condotte illecite riguardanti le droghe previste dalle tabelle II e IV dell’art. 14 ,
B)tale pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329,
C)la lieve entità continua a costituire una circostanza attenuante ad effetto speciale, da sottoporre al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti eventualmente contestate,
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, così come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 :
A) prevede un trattamento sanzionatorio unitario e comune a tutte le tipologie di sostanze stupefacenti
B) tale pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000,
C) l’unicità della pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, che però non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale, ma prima della pronunzia relativa, se non di per sé incostituzionale, comunque in palese contrasto con il testo del comma 5° tornato vigente,
D) come già evidenziato la lieve entità diviene reato autonomo e, come tale, sottratto, quindi, a qualsiasi giudizio di valenza o bilanciamento con circostanze aggravanti,
E) come già osservato, il termine prescrizionale dello specifico reato è più breve di quello riguardante il reato di cui all'art. 73 nella previsione ordinaria (comma 1 e 4), in quanto esso è di sei anni – se breve – e di sette anni e sei mesi – se lungo - .
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Consegue dalle considerazioni che precedono, la necessità di individuare quale debba essere, tra le due ipotesi afferenti al comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90, la norma che effettivamente vada concretamente applicata allo stato attuale.
Seguendo, sotto il profilo metodologico, i principi generali di natura costituzionale, si dovrebbe tenere conto del cd. criterio cronologico, in quanto entrambe le norme in questione provengono, infatti, da fonti ordinarie del medesimo tipo (l’una un DPR , l’altra un D.L.).
Il criterio in questione, al fine di eliminare tutte le eventuali antinomie, farebbe si che non si debba applicare (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, bensì quella successiva (lex posterior derogat legi priori).
Si deve, però, osservare che, nella fattispecie, ove – accedendo al principio generale suesposto - si dovesse ritenere prevalente la dizione dell’art. 73 comma 5°, così come formulata dal D.L. 146/2013, ci troveremmo a dovere ictu oculi rilevare – per le ragioni già esposte – la sospetta incostituzionalità del dettato normativo, per l’illegittima equiparazione sanzionatoria delle varie e differenti sostanze stupefacenti – allo stato – ripartite in quattro tabelle portate dall’art. 14.
Ma questo non sarebbe (o non è) l’unico ostacolo a che la norma successiva prevalga, nonostante alcune sue indubbie peculiarità di grande favore per l'imputato.
In pari tempo, si deve, infatti, osservare che nessuna delle due norme si pone in un rapporto di genus ad speciem rispetto all’altra.
Vale a dire, che né la norma precedente – quella ora vigente – né quella successiva presentano un carattere speciale o eccezionale rispetto all’altra.
Nello specifico caso si verifica, pertanto, una situazione di assoluta incompatibilità strutturale della disciplina pregressa rispetto a quella nuova.
Quest’ultima, proprio perché concepita e promulgata intempestivamente dal Governo, non ha potuto tenere (nè tiene) conto della sopravvenuta riviviscenza sia del testo dell’art. 14 (ante riforma del 2006), con la scissione delle tabelle e la loro suddivisione, sia della bipartizione generale ad effetti sanzionatori.
Ritiene, inoltre, chi scrive – a complemento delle precedenti osservazioni - che, in una simile opera identificativa, si debba tenere in debita considerazione, sul piano metodologico, anche dell’applicabilità del principio del favor rei.
Su tale abbrivio, si deve, pertanto, osservare che
1)la nuova (o precedente) formulazione dell’art. 73 comma 5°, certamente ed intuitivamente, si fa preferire quoad poenam, (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329), ma, al contempo, essa continua a subire il genetico condizionamento, determinato dalla propria natura di circostanza attenuante, suscettibile di dovere essere posta in situazione di bilanciamento con eventuali aggravanti;
2)il testo dell’art. 73 comma 5° ricavato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, a propria volta, pur meno favorevole in punto di pena e pur sospettabile di incostituzionalità, per l’omogeneo trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e droghe leggere (oltre che in irreversibile contrasto con la struttura della norma allo stato vigente, che prevede due tipologie di pena), modifica la natura dell’istituto in parola in quella di reato autonomo, determinando una sua configurazione giuridica di maggior favore per l’indagato/imputato, a tacere delle rilevante circostanza del nuovo computo prescrizionale che riduce i relativi termini.
Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.
A me tutta 'stà farsa di leggi PARE disorientante.....poi speriamo che la giurisprudenza abbia fatto orienteering........che bel sport!!!!!
Citazione:
http://www.carlogiovanardi.it/sito/m...ticle&sid=2643
Ansa dal sito di Giovanardi.
Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.
Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).
http://www.carlogiovanardi.it/sito/m...ticle&sid=2643
Ansa dal sito di Giovanardi.
Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.
Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).
Intervengo solamente perché si tratta di un commento al mio thread in materia di giurisprudenza, in CORNER AVVOCATO, non avendo io più intenzione intervenire in altre discussione concernenti i progetti di legge, in quanto non desidero essere più coinvolto in stucchevoli, quanto inutili polemiche che altri ad arte sollevano sistematicamente.
Leggendo un'affermazione del genere, francamente io non so se l'on. Giovanardi manifesti maggiormente una condizione di ignoranza (nell'ovvio senso di non conoscenza e non comprensione) di elementari questioni diritto o se egli versi in stato di malafede.
Se penso che egli sarebbe stato - in un passato remoto - anche avvocato mi domando se egli abbia mai esercitato la professione e, in caso positivo, come abbia fatto a superare l'esame di Stato se mostra di non tenere in debito conto norme con l'art. 2 codice penale che sono essenziali.
Sostenere, infatti, che l'approvazione del D.L. 146 (con conversione in Legge) e nello specifico dell'art. 2, il quale modifica l'art. 73 comma 5 in materia di lieve entità, equivale a confermare la bontà della FINI-GIOVANARDI, significa sostenere una clamorosa sciocchezza giuridica, una vera "falsità", che se fosse sostenuta da uno studente ad un esame di giurisprudenza, comporterebbe la sua immediata bocciatura, con invito a tornare a ripetere la prova non prima di sei mesi.
Temo che l'on. GIOVANARDI ormai sia prigioniero delle proprie convinzioni al punto da non rendersi conto di ciò che afferma.
Egli dovrebbe prendere atto che la Consulta
1) deve ancora depositare le motivazioni e dunque una parte della sentenza potrebbe anche riguardare il merito della legge,
2) ha annullato una legge (la 49/2006), affermando che le modalità con le quali essa è stata promulgata sono gravemente illegittime, perché non esistevano ragioni di urgenza ed indifferibilità.
La Corte Costituzionale, quindi, censura pesantemente l'operato politico legislativo dell'on. GIOVANARDI, che ha violato la sacralità del PARLAMENTO, impedendo all'assemblea (a colpi di voto di fiducia) un contraddittorio minimo ed ha imposto surrettiziamente norme che non avrebbe potuto imporre.
Simile critica appare di una gravità enorme ed inedita, al punto che ritengo che ben raramente il giudice costituzionale si sia spinto a tanto.
L'on GIOVANARDI ne dovrebbe trarre come politico e come cittadino le conseguenze più ovvie.
L'on. GIOVANARDI tenta, invece, astutamente, di spostare l'attenzione su prospettive, che allo stato neppure lui conosce, perché sa bene di essere uno dei due propugnatori di una legge annullata in toto come raramente (e credo forse mai prima d'ora) pare sia avvenuto nella storia dell'Italia repubblicana.
Allo stato attuale, alla luce della decisione della Consulta deve essere applicata la JERVOLINO-VASSALLI; esiste, in realtà un contrasto di norme - in relazione al comma 5° - (ma l'on. GIOVANARDI non se ne è accorto o finge di non accorgersi) che si può risolvere solamente a sfavore della tesi che lui sostiene.
Il Parlamento - troppo preso da personaggi narcisi - non si è posto colpevolmente il preventivo problema di questo contrasto e, senza comprendere la portata giuridica di quanto si stava decidendo, ha votato per la conferma del D.L., dimostrando una gravissima impreparazione giuridica di fondo, ancora più grave in capo a chi - una volta fuori dalla Camera o dal Senato - dovrebbe tornare a fare l'avvocato (magari anche penalista).
Grave è stato anche che tutti i sapienti aspiranti legislatori non si siano accorti di questa rilevantissima contraddizione, che inficia la norma appena approvata.
Non mi risulta che nessuno tra gli esponenti dell'opposizione - così solerti a formulare progetti di legge palesemente incostituzionali - si sia alzato per formulare osservazioni a confutazione.
Complimenti anche a loro.
Sarebbe, quindi, opportuno che in questa occasione l'on. GIOVANARDI fosse zittito, ma temo che i tanti esperti, abili solo ad insultare, non siano realmente capaci - invece - di sfidarlo sul piano dialettico e tecnico, per fargli fare una vera e storica figuraccia.
Certo anche i novelli giureconsulti facessero un poco di autocritica, perché talora il silenzio - dinanzi a norme palesemente errata - è prova di ignoranza assoluta in materia.
In attesa che il legislatore – o chi per lui – si accorga che nel nostro ordinamento, allo stato, coesistono due distinte ed opposte ipotesi di lieve entità, in materia di stupefacenti, posto che la pronuncia della Corte Costituzionale ha, da un lato, determinato la riviviscenza del testo dell’intero art. 73 nella forma ante novella del 2006 e che, in pari tempo, il Parlamento ha convertito in legge il D.L. 146 del 23 dicembre 2013, il quale innova la norma in questione e la trasformando da circostanza attenuante ad effetto speciale, in reato autonomo, intervengono pronunzie giurisprudenziale di legittimità che – contingentemente ed interinalmente – sanciscono l’applicazione di quest’ultima nuova ipotesi.
La sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione n. 5143, siccome pronunziata il 16 gennaio u.s., quindi, prima che fosse decisa dalla consulta la eccezione di costituzionalità, non ha potuto tenere conto della denunziata grave discrasia e – comunque correttamente – ha ritenuto che la modifica introdotta con l’art. 2 del citato DL configuri e determini un mutamento in melius, risultando, così, più favorevole all’imputato.
Oltre alla circostanza che la pena prevista dal DL 146/2013 appare inferiore (da 1 a 5 anni di reclusione oltre alla multa) a quella che era stata precedentemente sancita (il cui massimo edittale era, invece, di 6 anni), elemento di discontinuità ritenuto di specifica rilevanza, appaiono, inoltre, evidenti altri profili che confermano tale giudizio.
La struttura di reato autonomo sottrae, infatti, l’istituto della lieve entità al giudizio di bilanciamento rispetto alle eventuali aggravanti contestate (situazione che aveva in precedenza spesso impedito l’inflizione di pene adeguate e proporzionate) e, altresì, permette di modulare, in termini di maggiore favore il regime prescrizionale, che, ora, viene calcolato secondo i parametri previsti dall’art. 157 c.p. .
Resta, comunque, indubitabile la considerazione che, la situazione di evidente contrasto e conflitto tra le due richiamate norme, venutasi a creare in progresso di tempo, è determinata dalla oggettiva incoerenza delle stesse, di cui il legislatore non pare essersi accorto.
Non è, infatti, pensabile un trapianto tout court del comma 5° - così come concepito dal DL 21 dicembre 2013 n. 146 – nel complessivo modello del rinnovato art. 73.
Se una simile operazione avvenisse ci si troverebbe dinanzi ad una norma obbiettivamente “strabica”, una vera e propria inammissibile contraddizione in termini che verrebbe ad intercorrere fra distinti passaggi della stessa che presentano linee guida sanzionatorie del tutto incompatibili fra loro.
Ci si dovrebbe domandare, perciò, come si potrebbe, così, coniugare e porre, quale esempio di doverosa coerenza intrinseca) della regola in parola, una previsione quale quella dei commi 1 e 4 dell’art. 73, che distinguono (in coerenza con la suddivisione tabellare dell’art. 14) le pene per le sostanze droganti cd. pesanti e quelle cd. leggere, con una disposizione – il comma 5° ex DL 146/2013 – che, invece, unifica nella medesima pena detentiva e pecuniaria, il trattamento sanzionatorio.
Non dimentichiamo che i comma 1, 4, da un lato ed il comma 5, dall’altro, – nel disegno dell’art. 73 ex L. JERVOLINO-VASSALLI – governano le medesime condotte ritenute illecite.
Essi si differenziano esclusivamente per il livello di gravità attribuito alle stesse, (in un caso di carattere ordinario, nell’altra ipotesi espressamente lieve); si tratta di un giudizio che, per tale specifica ragione determina una differente modulazione dell’intervento sanzionatorio.
Ritiene chi scrive, quindi, che l’innesto di una singola previsione normativa, così differente (quale appare l’art. 2 del DL 146/2013) rispetto alla complessiva trama dell’art. 73, costituirebbe scelta destinata a subire un’inevitabile ed irreversibile crisi di rigetto, in quanto essa si accrediterebbe come iniziativa interpretativa che determina una condizione di illogicità interna alla specifica norma.
Il generale stato di incertezza lievita, poi, posto che taluna parte – attraverso un’interpretazione strictu sensu dell’art. 136 comma 1° Cost. che recita “Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione…..” – ritiene che, allo stato attuale, l’intervenuta abrogazione della FINI-GIOVANARDI non produca ancora effetti concreti, dovendosi, così, differire gli stessi – anche a livello retroattivo - solo al momento della effettiva pubblicazione della sentenza della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale.
Dunque, aderendo alla tesi sopra esposta in relazione al comma 1 dell’art. 136 Cost., in questo momento, ogni processo entra in un vero e proprio limbo, nel quale vige tuttora, provvisoriamente, una norma dichiarata incostituzionale, mentre quella ripristinata, invece, non avrebbe ancora vigenza .
Ve ne è abbastanza per auspicare che si ponga termine a questo disordine giuridico e si intenda, finalmente, porre riparo con una nuova organica legge.
Cari amici,
desidero informarvi che sto valutando la fondatezza di una nuova questione di costituzionalità rivolta alla legge JERVOLINO-VASSALLI, e riguardante la mancata previsione dell'uso personale, quale esimente della coltivazione.
Vale a dire che intendo denunziare la disuguaglianza di trattamento fra detentore (che abbia acquistato in piazza per il proprio consumo) e coltivatore che abbia prodotto per il proprio uso.
La Legge JERVOLINO-VASSALLI sotto questo aspetto non è differente dalla L. 49/2006 appena abrogata, ma credo che ci sia un elemento di novità che è dato
1) dalla decisione 757/GAI/2004, che all'art. 2 prevede la non punibilità di tutte quelle condotte che risultino finalizzate all'uso personale, nei paesi dove l'uso personale è depenalizzato (e tra queste la coltivazione).
Non vi sarebbe mai stato un serio confronto fra la norma interna (art. 73) e quella di diritto comunitario.
Da qui la possibile violazione degli artt. 3, 24 e 117 Cost. ;
2) dalla circostanza che l'abrogazione della L. 49/2006, che era stata presa come elemento valutativo dalla sentenza 24 aprile 2008 delle SSUU che aveva negato la possibilità di riconoscere la non punibilità della coltivazione domestica, permette, però, la proposizione di nuove argomentazioni.
Su tutte proprio la sentenza sopra ricordata ha perso efficacia, perché si basava su argomenti che ora non possono più essere - a mio parere - proficuamente utilizzati.
Vi terrò informati, perché, le prime questioni verranno proposte nei prossimi giorni.
In ogni caso credo che sia necessario anche un sostegno a livello di idee e pubblicizzazione a questo serio tentativo di sanzionalizzare questa condotta.
E andasse in porto anche questa ritorneremmo alla legge Mussolini-Oviglio?:biggrin2:
Ovviamente una battuta, inutile dire che ha tutto il nostro sostegno, anche se nel mio piccolo non credo possa fare tutta questa opera di pubblicizzazione
Vede M'agganjo io ricordo quando ci furono le prime discussioni in ordine alla possibilità di attaccare la L. 49/2006 sul piano dell'incostituzionalità e devo riconoscere che ero tra coloro che erano maggiormente scettici sulla possibilità di presentare un'eccezione fondata.
Le insistenze di Giancarlo Cecconi, di Filippo Vona, il successivo appoggio di Ecko, hanno permesso di impostare una questione che sembrava irrealizzabile.
Se ciascuno di noi ci crede.....
Non torneremmo alla Mussolini-Oviglio, ma ci sarebbe una modifica della JERVOLINO-VASSALI nella parte in cui non contempla fra le condotte non punibili la coltivazione ad uso personale.
:biggrinthumb:
Le spiego.
E' vero che la corte ha un potere abrogativo, ma attraverso questo potere, che può investire parzialmente una legge, quest'ultima può venire ad assumere un significato conforme ai principi costituzionali, che prima non aveva.
Nel caso di specie, un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità atterrebbe all'art. 73 comma 1 e 4 DPR 309/90 nella parte in cui tale norma in violazione dell'art. 117 Cost. non prevede la non punibilità della coltivazione di piante di cannabis quando tale condotta sia finalizzata al consumo personale del coltivatore, in quanto non recepisce l'art. 2 della decisione UE 757/GAI/2004.
Se non fossi stato chiaro ditemelo.
Grazie!
Un'ultima domanda:
come funziona la procedura di denuncia di cui parla? Deve nascere da un processo in cui uno è accusato per coltivazione oppure chiunque può avanzare questo tipo di denuncia di propria iniziativa?
Se fosse valido il secondo caso, oltre a farla Lei la denuncia non sarebbe male diffondere una lettera di denuncia pre compilata che chiunque può firmare e inviare per conto suo tramite posta ordinaria, o comunque consegnare di persona in Procura o alle f.d.o come denuncia personale.
Avrebbe una ancor maggiore possibilità di impatto positivo (avrebbe più possibilità di spingere la Corte a valutare la situazione), oltre a portare ad una riapertura del dibattito politico.
Una legge può essere "denunciata" alla corte costituzionale solo dal presidente della repubblica, dal governo, dal parlamento e da un giudice.
O almeno così ricordo mi disse il mio professore di diritto:biggrin2:
ah
quindi conferma il mio sospetto che l'iter da seguire è ancora quello che ha portato alla precedente analisi della finigiovanardi (partendo cioè da ricorsi in processi in corso o appelli)
Ha ragione M'agganjo, la questione di costituzionalità nel nostro caso può venire sollevata nel corso di un processo dal giudice su istanza di una parte.
Reputo, però, necessario abbinare al profilo strettamente giuridico anche una partecipazione generale alla questione, una pubblicizzazione del problema.
E', infatti, necessaria una strategia ampia perché fortissime saranno le resistenze proibizioniste.
Oltre alla fondatezza giuridica della questione, sulla quale sto approfondendo le mie conoscenze, credo si debba cercare - in appoggio - di privilegiare l'informazione ragionata sulla liceità della coltivazione domestica e su alcun sue peculiarità (vantaggi rispetto all'acquisto presso pushers, genuinità del prodotto, controllo del livello di thc etc,).
Come a Tossa de Mar .. 3 piante a testa .. CSC ovunque ... ma possibile che la Spagna sembri su un altro pianeta????:icon_rambo:
@Avv. Zania
Io credo che dal punto di vista logico non faccia una piega sostenere che la 309/90 è in contrasto con la GAI-2004.
Se si riuscirà a ottenere l'attenzione della Corte Costituzionale siam già a metà strada.
Dico "solo" metà strada perchè ho letto il testo delle motivazioni, depositato dalla Corte, e mi pare di capire che dire che una legge è incostituzionale poichè in contrasto col GAI/2004 abbia dei limiti.
Dalle motivazioni (per quel che ne ho capito io leggendole) pare che la Corte abbia detto qualcosa del tipo: (citaz. sintetica, non letterale)
<<La finigiovanardi può essere, o meno, in contrasto con la GAI. Ciò non toglie che la GAI dà indicazioni poco specifiche e quindi pare eccessivo considerare l'incostituzionalità basandoci solo su quest'argomeno [sull'arg. di contrasto fra legge italiana e GAI] >>
Insomma, per quanto riguarda la logica chiunque (anche Giovanardi) può arrivare alla conclusione che la 309/90 (e, a maggior ragione la "vecchia" legge finigiovanardi) è in contrasto coi principi GAI/2004.
Però un conto è la logica, altro conto è il peso effettivo di GAI/2004 sulle leggi degli stati europei:
1) indicazioni generali e poco specifiche
2) non è chiaro se sia solo un parere oppure se è qualcosa di fortemente vincolante.
Questa è l'impressione che m'ha dato la Corte Cost. quando ho letto il loro testo.
È corretto o forse ho mal interpretato? :(
Spero di sbagliarmi
Vede la 757/GAI/2004 e' stata ritenuta dalla Corte Costituzionale un punto fermo, perché se con l'abrogazione della L. 49/2006 non si fosse ripristinata la vigenza del DPR 309/90, l'Italia sarebbe incorsa in una forma di grave contrasto con quelle norme europee che sanzionano alcune condotte.
Da questo punto di partenza dobbiamo muovere perché la 757/GAI/2004 in primo luogo non si può applicare solo per alcuni aspetti e non per altri, ma soprattutto, tale complesso normativo sancisce che tutte le condotte che siano finalizzate all'uso personale, in quegli stati che non puniscono l'uso personale (e l'Italia e' tra questi) non vanno sanzionate.
Dunque è una previsione vincolante - a mio avviso - per il nostro ordinamento, perché esiste la condizione pregiudiziale della non punibilità del consumo.
Quindi e' illogico, irragionevole e crea disparità di trattamento ammettere (come avviene nel DPR 309/90) la esimente dell'uso personale solo in relazione ad alcune condotte e non estenderla a tutte quelle che possono effettivamente essere in un rapporto di interrelazione funzionale (come la coltivazione).
Questo sinteticissimamente il mio ragionamento
grazie per la spiegazione. :polliceu:
Ora mi sento più ottimista.
Quindi mettiamo che entro un breve periodo (giorni/settimane), in un processo in corso riguardante coltivazione personale, un'imputato decidesse di far ricorso alla Corte riguardo l'incompatibilità della 309/90 con GAI/2004...
.. Quanto tempo ci vorrebbe (minimo e massimo) perchè poi arrivi la sentenza della Corte ?
Da "qualche mese" a "un anno o più" ?
È possibile fare una stima/previsione ?
------------------
OT:
Scusate la trepidazione :) ma la notizia mi fa sentir addirittura meglio di un uruguayano.
EUFORIA!!
altro che leggi pro-legalizzazione!
Con Renzi al governo una legge antipro era diventata ormai un lontano miraggio..
E invece ora! questa bella notizia!!
я очень рад!!!!! :yuppi23jz: :dance: :tree: :watchplant: :grow: :ssmokeit: :greenstars: :a_smil12_1_:
Guardi io non desidero suscitare facili entusiasmi, perché la procedura e' sempre condizionata dal fatto che il giudice davanti al quale si celebra il processo decida che la eccezione non e' manifestamente infondata e trasmetta gli atti alla Corte Costituzionale.
Io sono molto cauto perché ho dovuto constatare nell'esperienza precedente - quella che ha portato all'abrogazione della L. 49/2006 - sia per preconcetti, che per poca volontà di accogliere questioni nuove, sia per ignoranza della materia (basti leggere quello che scriveva la Avvocatura di Stato a contrasto dell'eccezione), i giudici hanno opposto ostacoli di sorta impedendo, ritardando e limitando o la trasmissione delle questioni alle Consulta.
Anche per queste ragioni ritengo necessaria una mobilitazione culturale e sociale di supporto alla battaglia giuridica.
@Avv. Zania
Se esiste un forum/associazione di avvocati su Internet (spero esista), fossi in lei diffonderei il più possibile questa informazione.
Non credo siano rari i casi di gente che per autoproduzione finisce nelle grinfie della giustizia, sarebbe quindi utilissimo far girare la voce il più possibile nel suo ambiente, in modo tale che la Corte Costituzionale alla fine riceva non una sola ma parecchie richieste di valutazione.
Aumenterebbero così a dismisura le possibilità di una pronuncia e si ridurrebbe anche il tempo necessario per ottenere risultati :polliceu:
Il mio vuole solo essere un suggerimento, forse questa cosa già la sta facendo..
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Sarebbe utile anche un'azione di passaparola da parte degli utenti che leggono a tutti i conoscenti:
Se l'informazione riesce a raggiungere ogni imputato e ogni potenziale imputato allora ci sarebbero una marea di ricorsi del genere e i tribunali e la Corte Cost. non potrebbero più tirarsi indietro.
ho trovato questo:
http://www.encod.org/info/MANUAL-TO-...IS-SOCIAL.html
(qua la discussione aperta sul forum: http://enjoint.info/forum/showthread...ewpost&t=23308 )
Non è che magari, ora che è tornata la 309/90, un CSC italiano è ancora più possibile?
Desidero informarvi che la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che dichiara la illegittimità costituzionale della L. 49/2006 e' stata pubblicata oggi sulla G.U. N. 11 serie Corte Costituzionale.
Da questo momento - ai sensi dell'art. 136 Cost. - si producono per intero gli effetti della sentenza e quindi possono essere presentati, per chi non lo avesse ancora fatto, gli incidenti di esecuzione ex art. 673 CPP, avverso le sentenze già definitive, senza timore che vengano dichiarati inammissibili.
Segnalo, inoltre, che le nuove problematiche che vanno affrontate non sono solo quelle della coltivazione (come vi ho già anticipato), ma anche quella dell'individuazione della esatta formulazione della lieve entità (comma 5 art. 73) .
Vi è già qualche sentenza della Cassazione che cercherò di illustrarvi.
Segnalo il link che segue e che riguarda la decisione della Regione Abruzzo di autorizzare la prescrizione di farmaci a base di cannabis o di prodotti galenici che contengano cannabinoidi.
http://www.corriere.it/cronache/14_m...70b52ff3.shtml
Avvocato, secondo lei questo si può evolvere in una legge a livello nazionale?