La nuova proposta di legge di iniziativa popolare dei Radicali
Desidero svolgere qualche riflessione sulla proposta di legge di iniziativa popolare presentata dai Radicali, che ho letto con piacere e con attenzione.
Rilevo - e la considerazione è puramente personale - in primo luogo la felice opzione riguardante la correzione dell'art. 72 del dpr 309/90 attraverso il mutamento della rubrica ("Uso personale ed uso terapeutico") e a contestuale introduzione del comma 1 (già abrogato) che riporta la doverosa precisazione della desanzionalizzazione dell'uso personale (proprio ciò che da tempo sostengo).
Particolarmente importante e decisivo risulta, poi, l'art. 3.
Condivido quelle previsioni del 1° comma che
a) individuano in 5 piante il limite perchè la coltivazione sia libera e legale b) nelle persone maggiorenni, i soggetti legittimati alla coltivazione.
Credo, però, che la coltivazione dovrebbe essere sempre indicata come discrimine per la liceità della condotta, di modo che il numero delle piante sia ritenuto un complemento.
Nutro, invece, perplessità su altre due indicazioni contenute nella norma in questione.
1) Da un lato, mi pare peccare di indeterminatezza la parte che non quantifica l'ammontare del prodotto della coltivazione che il produttore sarebbe autorizzato a detenere. Esiste, infatti, un serio rischio che anche quantitativi non derivati dalla coltivazione possano, invece, illecitamente ed indebitamente, venire assimilati ad essa.
Verrebbe vanificato, così, l'indirizzo della legge.
La previsione di un tetto massimo di sostanza (indicando espressamente un quantitativo) avrebbe, invece, facilitato l'applicazione del principio, creando una presunzione a favore del coltivatore, che avrebbe determinato effetti positivi, paralizzando qualsiasi ipotetica (ma non improbabile) iniziativa giudiziaria.
Ove tale tetto fosse superato il detentore potrebbe, comunque, dimostrare la liceità della condotta, provando l'uso personale.
2) Dall'altro, non appare chiaro il meccanismo di dimostrazione del collegamento fra sostanza e attività di produzione.
Mi spiego.
Se il coltivatore dovesse subire la "capricciosa" (uso un eufemismo) scelta di una perquisizione di polizia giudiziaria (situazione tutt'altro che peregrina) e gli venisse contestata la detenzione illecita della sostanza derivata dalla cannabis, egli non potrebbe - stando alla norma così come concepita - invocare affatto a proprio favore alcun tipo di automatismo.
Si aprirebbe un procedimento penale e si dovrebbe dare, così, corso ad una consulenza tossicologica per accertare la correlazione e la provenienza della sostanza.
Dunque, in assenza di una previsione che costituisca una forma di presunzione in favore del produttore (con assenza di dimostrare la propria buona fede), le indagini penali, così iniziate potrebbero comunque - formalmente - proseguire a carico del coltivatore, che sarebbe indagato.
Quale utilità allora? Nessuna.
Il previsto divieto di svolgere attività di lucro, poi, non mi pare sufficiente, in quanto esso dovrebbe essere sostituito dal divieto di cessione a qualsiasi titolo...se parliamo di uso personale è evidente che qualsiasi condotta differente da questo - nessuna esclusa - non possa essere minimamente ammessa.
Non condivido, poi, affatto, la previsione del comma 2° (che introduce l'autorizzazione per la coltivazione tra 6 e 10 piante).
Penso che sia assolutamente sufficiente limitare a 5 piante la coltivazione individuale (o comunque non formalmente associata), senza introdurre nuovi segmenti intermedi che possono solo provocare situazioni di inutile confusione.
La previsione dell'autorizzazione mi pare pleonastica e superflua anche nei confronti delle forme associate, sol che si pensi alla circostanza che il successivo art. 5 le regolamenta con sufficiente previsione.
Si tratta, pertanto, di una disposizione inutile - e di conseguenza tale è da ritenersi anche il successivo articolo 4.
Questa norma si caratterizza, poi, perchè alla lett. c) del comma 2° prevederebbe - se non ho compreso male - la sola sanzionabilità amministrativa di tutte le forme coltivative indiscriminatamente sopra le 10 piante.
La ratio di questo stravagante indirizzo sfugge.
La previsione pare non tenere conto del fatto che così opinando, in questo modo sicuramente verrebbero equiparate la grandi coltivazioni (agrarie) e quelle modeste (domestiche).
Se lo scopo indubitabile e condivisibile della proposta di legge è quello di desanzionalizzare la coltivazione di prodotti destinati all'uso personale è, però, evidente che tale fine non può essere raggiunto con una liberalizzazione indiscriminata, che potrebbe, invece, rivelarsi viatico per depenalizzare condotte, in realtà, fortemente criminose.
Ho già detto che condivido il contenuto dell'art. 5, mentre i successivi articoli che intendono regolare la produzione a fini di commercializzazione di cannabis e l'attività di vendita all'ingrosso ed al dettaglio meritano una riflessione a parte, per la complessità ed ampiezza degli ambiti cui si dirigono.
Allo stato mi interessava fermarmi su quelle condotte che devono trovare una soluzione per essere sottratte al rilievo penale cui attualmente sono sottoposte.
Ben vengano le varie iniziative, anche se temo che questo procedere in ordine sparso e queste fughe in avanti non giovino più di tanto.
Qualsiasi ipotesi futura normativa deve prevedere una struttura concettuale che ruoti attorno al concetto di consumo personale.