GIURISPRUDENZA E RIFLESSIONI AGGIORNATE SEMPRE IN AMBITO DI COLTIVAZIONE

Ho avuto oggi un'importante conferma di un convincimento che ho maturato, negli ultimi mesi, in relazione ai procedimenti penali che hanno come oggetto la condotta della coltivazione di piante di cannabis.
Parto dall'idea che mi sono fatto e, poi, vi esporrò rapidamente il caso ed il felice esito.
Ritengo - spero non a torto - che ormai si sia intrapreso ed adottato un indirizzo giurisprudenziale, che giustificherà, a mio parere, la futura depenalizzazione della coltivazione ad uso personale, seppure a precise condizioni.
La quotidiana esperienza forense mi ha permesso di verificare che i giudici di merito, con apprezzabile pragmatismo, hanno affrontato - di massima - il tema in questione (la coltivazione) valorizzando - allo scopo di riconoscere ed applicare, eventualmente, concretamente l'esimente della destinazione del prodotto ricavato - il dato del numero delle piante coltivate.
Vale a dire che è interessante osservare che alcune pronunzie (su tutte quella del Tribunale di Ferrara del marzo 2013) hanno ritenuto che una quantità di 4 piante appaia una sorta di discrimine entro il quale la destinazione del prodotto coltivato al consumo personale opera efficacemente.
E' intuitivo che tale modesto numero di vegetali viene ritenuto del tutto congruo e ragionevolmente compatibile (anche - e soprattutto - in relazione al quantitativo di principio attivo che può venire ricavato) con il successivo uso privato del coltivatore-assuntore.
Altrettanto interessante risulta la considerazione che, per altre sentenze (Cfr. GUP presso il Tribunale di Caltanisetta dello scorso gennaio 2014) quantitativi di piante che rientrino nel limite di 20, pur non mandando esente da responsabilità il coltivatore, vengono ricondotti all'autonoma ipotesi di reato di lieve entità, contenuta nel comma 5 dell'art. 73 (oggetto di plurime modifiche, tra le quali l'ultima è quella della L. 79/2014), con inflizione di una pena contenuta.
In questo caso quell'offensività (vale a dire la pericolosità della condotta, che assurge a disvalore penale) che può venire totalmente esclusa, sino od al di sotto di 4 piante, è ritenuta permanere anche, se a livelli non particolarmente elevati e, comunque, compatibili con un giudizio di minimo allarme sociale, che costituisce proprio l'essenza dell'istituto della lieve entità di cui al comma 5 (pena da 6 mesi a 4 anni di reclusione oltre alla multa).
In buona sostanza, mentre un numero limitatissimo di piante o piantine sembra apparire elemento sintomatico, sul piano logico-giuridico (ma anche storico) dell'inequivocabile fine di coltivatore per fini di esclusiva fruizione personale, il superamento - in termini modici (non oltre le 15 piante) - di tale limite numerico pare porsi come circostanza che rende penalmente rilevante la condotta, seppure senza esasperarne la pericolosità e riconducendo la condotta, comunque, ad uno spessore di minima portata giuridica quale quello del comma 5° dell'art. 73.
Si può, pertanto ritenere che solo in casi in cui si verta in ipotesi che va oltre la quindicina di piante, appaia plausibile e proporzionata la contestazione dell'ipotesi di cui al comma 4° dell'art. 73 (che prevede una pena da 2 a 6 anni di reclusione, oltre alla multa).
Va precisato - a doveroso corollario esplicativo - che i parametri in esame possono venire influenzati anche dalle dimensione delle singole, piante, posto che appare evidente la rilevanza positiva di possibili ravvisabili minime dimensioni delle stesse, nonchè di una condizione di inizio del ciclo di maturazione e fioritura.
Taluno potrà fondatamente sostenere che lo scopo dell'uso personale, quando dimostrato, attraverso lo screaning delle circostanze dell'azione (sia oggettive che soggettive), dalla struttura domestica dell'azione oppure per mezzo dell'esclusione di elementi che dimostrino la possibile immissione del coltivato sul mercato illecito, dovrebbe risultare decisivamente assorbente rispetto a qualsiasi calcolo o parametro matematico.
Certo è che questa tacito discrimine venutosi a stabilire quale barriera fra lecito ed illecito appare frutto di una positiva elaborazione della giurisprudenza, che fa da battistrada alla politica, che pare sempre inseguire.
Quest'ultima, però, pare avere recepito proprio il principio quantitativo relativo al numero delle piante che renderebbe legale la coltivazione (e dovrebbe essere questo un elemento qualificante del progetto di legge dell'on.FERRARESI).
Nel caso che ho trattato e discusso stamane innanzi al GUP presso il Tribunale di Trieste, l'imputato era stato sorpreso a coltivare nella propria abitazione 17 piante (di dimensioni tra loro assai diverse - da 80 a 15 cm. - ) tutte contenenti THC.
Esse presentavano percentuali di tetraidrocananbinolo che oscillavano dal 20%, al 16,5%, al 3,15% all''1,17%, con un complessivo principio attivo di circa 39 grammi.
In pari tempo l'imputato deteneva anche circa 250 grammi di marjiuana (divisa in tre reperti, uno dei quali di scarsa qualità, ma due, invece, di elevato contenuto).
Tralascio tutta una serie di considerazioni di corollario favorevoli all'inquisito, posto che è apparso inequivoco, anche sulla base delle considerazioni svolte con memoria rivolta al PM, già in sede di indagine, che entrambe le condotte (sia coltivativa, che detentiva) pur non risultando di proporzioni minimali erano, comunque, orientate a soddisfare il fabbisogno dell'interessato.
Il riconoscimento da parte del GUP dell'ipotesi autonoma del reato di lieve entità e la condanna alla pena di 6 mesi di reclusione, con i benefici di legge - in attesa delle motivazioni che verranno depositate nei prossimi giorni - inducono, in ogni caso a confermare il giudizio di modestissima pericolosità della condotta complessiva.
In buona sostanza è ragionevole ritenere che la prevalenza conferita, a fini decisori, dal giudice al dato quantitativo - si che il numero delle piante ed principio attivo contenuta nella sostanza sono apparsi inconciliabili giuridicamente con il riconoscimento formale della scriminante del consumo personale - sia stata, però, temperata, proprio dal fatto che nessuna prova l'accusa ha fornito in ordine ad una destinazione alla spaccio.
Dunque, anche se siamo dinanzi ad una rigida applicazione della norma in merito alla illiceità della coltivazione, a questo approccio, però, si abbina una valutazione discrezionale in ordine all'effettivo disvalore della condotta, che si traduce in una pena ancorata ai minimi edittali.