Gli effetti psicologici della cannabis includono euforia, stati oniroidi, calma e sonnolenza.
... L'intossicazione accresce la sensibilità agli stimoli esterni, svela dettagli che sarebbero ordinariamente ignorati, fa apparire piú ricchi e brillanti i colori e aumenta la sensibilità soggettiva alla musica e all'arte. Il tempo sembra rallentare, e una quantità maggiore di cose sembra avvenire in un tempo dato. Altri sintomi sono: aumento dell'appetito, secchezza delle fauci e tachicardia. Stranamente, si prova spesso una separazione della personalità: mentre ci si sente high, si è anche osservatori obiettivi della propria intossicazione.
Si possono sviluppare sintomi di paranoia e si può, nello stesso tempo, riderci sopra. Si possono inoltre produrre depersonalizzazione e derealizzazione. Se gli ingredienti attivi della marijuana raggiungono livelli ematici molto elevati, il soggetto può subire allucinazioni simili a quelle prodotte da droghe quali l'acido lisergico dietilamide (LSD). Questi effetti includono percezione distorta del corpo, aberrazioni spaziali e temporali, aumentata sensibilità al suono, sinestesia, accresciuta suggestionabilità, e stato di profonda consapevolezza.

Al di là dell'esattezza puntigliosa delle sue descrizioni, Moreau propone un'interpretazione neuropsichiatrica degli effetti dell'hashish che corrisponde, in sostanza, all'interpretazione "morale" che ne dà Baudelaire nelle ultime pagine di Les Paradis artificiels.
Secondo Moreau, noi viviamo nel presente grazie a un atto della volontà che dirige la nostra attenzione verso tutti quegli oggetti e quei fenomeni che hanno per noi un interesse attuale; è un concetto che sarà in parte ripreso da Henri Bergson in Matière et mémoire (1896). Attraverso la memoria viviamo nel passato, e attraverso l'immaginazione, nell'avvenire. L'hashish, indebolendo la volontà, cioè riducendo quella "forza intellettuale che domina le idee, le associa e le lega tra loro", lascia campo libero alla memoria e all'immaginazione: passato e avvenire prendono cosí il sopravvento e causano uno stato di dissociazione delle idee che, per Moreau, non è soltanto sintomo primario dell'intossicazione da hashish, ma anche modificazione, "fatto primordiale" (fait primordial), alla base sia dello stato di sonno sia delle piú diverse forme di alienazione mentale.


J. Moreau, L'hashish e l'alienazione mentale (1845)

Nello stato regolare o normale [delle nostre facoltà intellettuali], quando vogliamo pensare qualcosa, meditare su un soggetto, cioè considerarlo sotto i suoi diversi punti di vista, succede quasi sempre che ne siamo distratti da qualche idea estranea. Ma quest'idea non fa che traversare il nostro spirito, senza lasciare tracce, oppure la si può scacciare facilmente, senza che la serie regolare dei nostri pensieri sia interrotta.
Uno dei primi effetti apprezzabili dell'hashish è l'indebolimento graduale e sempre piú marcato del potere che
abbiamo di dirigere i nostri pensieri a nostro piacimento. Insensibilmente, ci sentiamo invasi da idee estranee al soggetto sul quale vogliamo fissare la nostra attenzione. Queste idee che la volontà non ha evocato, e che sorgono nel nostro spirito non si sa né come né perché, diventano sempre piú numerose, piú vive, piú sorprendenti.
... Noi viviamo nel presente grazie a un atto della volontà che dirige la nostra attenzione verso degli oggetti che hanno per noi un interesse attuale.
Grazie alla memoria, viviamo nel passato; grazie a essa possiamo, in un certo senso, ricominciare la nostra esistenza dal punto preciso in cui essa ha cominciato con la coscienza di noi stessi.
Grazie all'immaginazione viviamo nell'avvenire; grazie a essa possiamo crearci un mondo nuovo e, se posso usare un'espressione la cui precisione giustificherà forse il barbarismo, una nuova esteriorità. Grazie a essa, reagendo su sé stesso, l'io sembra potersi trasformare, cosí come essa modifica, cambia a suo piacimento le cose, le persone, il tempo e i luoghi.
Poiché l'azione dell'hashish va a indebolire la volontà - la forza intellettuale che domina le idee, le associa e le lega tra loro -, memoria e immaginazione prendono il sopravvento, le cose presenti ci diventano estranee, e cadiamo in balia del passato e del futuro.
La coscienza apprezza diversamente questi effetti, secondo il grado di violenza del disordine intellettuale provocato dall'agente modificatore.
Finché questo disordine non ha passato certi limiti, si riconosce facilmente l'errore nel quale siamo stati indotti, non già nel momento stesso in cui ci domina, il che implicherebbe una contraddizione, ma immediatamente dopo che, rapido come il fulmine, esso ha traversato la mente. Ne risulta allora una successione di idee false e di idee vere, di sogni e di realtà, che costituisce una sorta di stato intermedio tra follia e ragione, e fa sí che un individuo possa essere, se non in realtà almeno in apparenza, nello stesso tempo pazzo e sano di mente.

Le analogie che Moreau stabilisce tra sintomi dell'intossicazione da hashish e psicosi lo convincono, con logica da "chiodo scaccia chiodo" che sfugge a noi come a molti dei suoi contemporanei, a studiare gli effetti terapeutici della cannabis su un piccolo gruppo di pazienti ricoverati a Bicêtre. In calce a L'hashish e l'alienazione mentale, Moreau descrive sette di questi esperimenti, in cui la somministrazione orale di hashish a pazienti affetti da schizofrenia avrebbe prodotto una remissione completa dei sintomi. Vediamone uno: quello del parrucchiere parigino D.
Giovane e di robusta costituzione fisica, D. ha sofferto per qualche tempo, e senza alcuna causa esterna apparente, di forti dolori alla testa e di ronzii agli orecchi. Il suo carattere ha anche subito, all'improvviso, un cambiamento violento: a tal punto che la moglie afferma di non riconoscerlo piú e di temere qualche disgrazia. Si crede ricco, geniale, poeta. Passa il tempo a scribacchiare versi sui muri della sua stanza, asserendo che le sue poesie farebbero "crepare d'invidia" (sono parole sue) Corneille e Racine, se fossero ancora vivi.
Il 16 Febbraio 1842 lo portano a Bicêtre, dove D. riceve la dose canonica di bagni prolungati, ventose alla nuca e purganti, fino a quando Moreau incomincia a interessarsi a lui. Da quel momento, il trattamento cambia. Il medico non esita a sperimentare una terapia d'assalto: trenta grammi di hashish per os, a digiuno, accompagnati da qualche tazza di caffè (che, come si ricorderà dalla lettura di Gautier, ne accelera e ne potenzia gli effetti). Dopo un'ora e mezzo dalla somministrazione del preparato, D. mostra tutti i sintomi dell'intossicazione - euforia, stato oniroide, sonnolenza -, sintomi che durano fino a sera, quando egli cena normalmente, si ritira, e passa una notte calma e senza sogni. L'indomani, lo stato generale di D. è cosí migliorato e i sintomi della sua malattia sono cosí drasticamente diminuiti da permettere il suo trasferimento immediato alla fattoria di Sant'Anna (nella zona sud di Parigi), che era allora un centro di convalescenza per pazienti neuropsichiatrici, da cui sarà dimesso poco piú tardi.
Che dire di questa miracolosa guarigione, e delle altre sei che Moreau ci descrive? Che di miracoli siffatti, ahimè, sono pieni gli annali della storia della medicina, con le piú varie terapie (viene in mente la polvere di corno d'alce, usata dal medico illuminista svizzero Tissot per curare l'epilessia; oppure, piú di recente, la "psicochirurgia" che pretendeva di curare disturbi della personalità distruggendo chirurgicamente aree piú o meno grandi dell'encefalo). In casi del genere lo scetticismo non è mai troppo.
Bisogna aggiungere che tra i contemporanei di Moreau non molti ne condividevano le intemperanze terapeutiche: di là dalla Manica, per esempio, vari esponenti della scuola farmacologica britannica - ancora ai suoi primi passi, ma destinata a un avvenire glorioso - avevano compreso il potenziale terapeutico della cannabis, ma lo esploravano con ben piú cauto empirismo.