Era del 1993 il referendum che depenalizzava il consumo di tutte le
sostanze e nei primi anni del 2000 era forte e diffusa la convinzione che
la legalizzazione della cannabis non solo era una cosa possibile ma forse
anche imminente. Nel 2000 alla prima conferenza governativa sulle droghe
partecipava anche il primo gruppo di persone che dette vita a CANAPISA, in
rete con il neonato Movimento Di Massa Antiproibizionista. Quella
conferenza, presieduta dall'ora ministro delle politiche sociali Livia
Turco, aveva fatto credere che la strada della legalizzazione della
cannabis e della messa in campo di politiche pragmatiche in materia era
stata concretamente intrapresa e che avrebbe condotto al superamento di
quel proibizionismo repressivo ispirato ad una ipocrita retorica
su una società libera dalle droghe.
Con il passare degli anni ed il susseguirsi delle edizioni di Canapisa, la
strada intrapresa si è vanificata ed i discorsi fatti nella prima
conferenza rimasero tali: proclami che non si sono tramutati in azioni
concrete. La strada immaginata è stata percorsa solo sperimentalmente ed in
maniera estemporanea, localizzata in un specifico territorio, molto spesso
in maniera clandestina, raramente riconosciuta. Esempi possono essere il
pill testing, la cannabis terapeutica, il safety rooms (drop in), la
riduzione del danno nei luoghi di consumo.
L'azione istituzionale invece di avanzare in direzione di visioni più
pragmatiche, ha proseguito al sua folle corsa in direzione del moralismo e
alla messa al bando di qualsiasi discorso al riguardo che non fosse di ma
trice repressiva. Questa tendenza istituzionale si è realizzata pienamente
ed ufficialmente nella legge fini Giovanardi: equiparazione di tutte le
sostanze illecite ed aggravamento delle sanzioni penali ed amministrativi
per il semplice possesso di piccole quantità e del consumo. Da quel momento
la situazione ha cominciato a precipitare precipitosamente su più fronti:
aumento degli arresti e delle sanzioni; diffusione di vecchie e nuove
droghe sempre più capillare e radicato in tutti gli strati sociali e nei
più disparati ambienti della vita quotidiana, quasi a diventare un elemento
indispensabile al mantenimento degli stili di vita più in voga, una vera e
propria moda degli integrati, non più la moda dei marginali e dei diversi,
un abitudine dei disadattati, ma un'attività per restare al passo con i
tempi. La criminalità organizzata, senza scrupoli di sorta, ha beneficiato
enormemente da questo inasprimento delle pene detentive per il traffico
delle droghe leggere (aumento del prezzo di mercato: più rischio nello
spaccio maggiore costo del servizio per i consumatori) ed il relativo
sgravio per quelle più pesanti (relativamente più a buon mercato per i
consumatori e , a parità di rischio, più redditizie nello spaccio, essendo
queste di maggior valore al grammo di quelle leggere). Nel complesso fonti
di polizia stimano una crescita dei volumi complessi nel commercio di
droghe illecite, in particolare di quelle più pesanti. Invece, a fronte di
un aumento degli arresti per cannabis risultano ridotti i quantitativi
sequestrati di quest'ultima.
La legge Fini Giovanardi paradossalmente può essere assimilata ad una
legge di politica economica che impone un mutamento negli assetti del
mercato nero delle droghe. Vuole imporre una certa riduzione dello spaccio
per le strade, pur non riuscendo ad eliminarlo, e fa crescere i circuiti
insospettabili, specialmente di cocaina. Essendo per sua natura fuori
legge, un mercato nero è completamente liberalizzato, l'unica regola che è
uguale per tutti è quella della pena. Al di là di questo fatto, nel mercato
nero non esistono regole che valgono per tutti; dove ci sono regole queste
sono imposte e definite non dal buon senso, dal libero accordo e
dall'onesta’, come in un mercato alla luce del sole, ma dal sopruso, dalla
violenza, dall'inganno e dalla forza da parte di gente senza scrupoli
spesso facenti parte di minoranze militarmente e politicamente organizzate.
La questione della cannabis è legata a quelle delle altre droghe solo a
causa del proibizionismo, all'interno del movimento antiproibizionista
questa consapevolezza è sempre rimasta viva, conferendo al discorso sulla
cannabis una sua propria peculiarità.

Ma la memoria sembra essere sempre più corta. Mentre l'antiproibizionismo
porta avanti una critica legittima e necessaria affinché le cose
migliorino, il Comune di Pisa in armonia con la politica del Governo
scaglia gravi accuse al movimento antiproibizionista, attaccando
frontalmente il diritto stesso a manifestare. La critica alla legislazione
in materia di sostanze stupefacenti e la libera discussione sull'argomento
è oggi additata come istigazione al consumo. Il Comune di Pisa si allinea
alla strategia antidroga di Giovanardi e Fini, i redattori dell'ultima
modifica in senso punitivo della legislazione italiana in materia. Ancora
una volta le istituzioni mostrano la loro ottusità e chiusura ad ogni
cambiamento. Non avendo discorsi validi da usare per affrontare la vicenda,
si sceglie la via della chiusura totale del dialogo, negando il diritto
stesso a manifestare liberamente il dissenso. Questa è cultura
proibizionista. L'atteggiamento di totale chiusura delle istituzioni nei
confronti di Canapisa non permette di discutere della vera questione che è
oggetto della manifestazione: le politiche proibizioniste convengono solo
ai narcotrafficanti.
Per il comune di Pisa la vicenda riguarda solo le istituzioni
“competenti”, che se ne occupano con “attenzione (SIC!) e serietà” . Invece
la questione del proibizionismo riguarda proprio tutti, in primis tutti
quelli che vivono da vicino o direttamente le problematiche legate
all'abuso di sostanze, compreso l'alcol.
I giovani spesso usano linguaggi incomprensibili e forme molto criticabili
per esprimere il loro pensiero, ma sta alla lungimiranza della classe
politica il compito di interpretare ed intercettare le istanze in esse
contenute. L'amministrazione locale di Pisa sta mostrando una scarsissima
capacità in questa direzione. Non è con la proibizione che si affrontano le
questioni, è una scorciatoia dal corto respiro. Ai posteri l'ardua
sentenza.