Detenzione di stupefacenti ad uso personale: i confini della non punibilità
Cassazione penale , sez. IV, sentenza 21.06.2013 n° 27346
La Suprema Corte - Quarta Sezione – con la sentenza n. 27346/13 coglie l'occasione per ribadire la fondatezza di quei criteri ermeneutici, che permettono di ricondurre una situazione di detenzione di stupefacenti, nel solco della non punibilità, quando essa venga configurata come ad uso esclusivamente personale.
I punti salienti di diritto della pronunzia si sostanziano in tre osservazioni.
La L. 49/2006 :
1 . – pur avendo adottato una formulazione semantica del tutto “infelice” - “non contiene elementi di sostanziale novità rispetto al disciplina previgente, che sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti, che non fosse finalizzata all'uso personale”;
2. non ha per nulla introdotto, nei confronti della persona che venga sorpresa nella detenzione di quantitativi che eccedano i limiti tabellari
a) “nè una presunzione, sia pura relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale”,
b) “nè un'inversione dell'onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost comma 2 e art. 27 Cost. Comma 2”;
3. non ha, inoltre, innovato affatto “i parametri indicati per apprezzare la destinazione ad uso non esclusivamente personale” della sostanza detenuta, già in passato adottati.
La Corte di legittimità, dopo avere enucleato le premesse richiamate, sottolinea, in prosieguo, altri due argomenti di diritto, i quali appaiono dirimenti in relazione al caso di specie.
A) In primo luogo, i parametri dati dalla quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell'azione, “non vanno considerati singolarmente o isolatamente”.
Sicchè la presenza anche di uno solo di essi – e la Corte evoca, a titolo esemplificativo, il superamento del limite tabellare – non è sufficiente a conferire alla condotta automaticamente rilevanza penale.
B) Indi, proprio ricollegandosi all'esempio tipico del superamento del limite tabellare (il cui richiamo dimostra come il dato ponderale risulti sempre di particolare rilevanza prognostica), la Suprema Corte evidenzia che tale situazione non risulta, di per sé sola, sintomatica di uso non esclusivamente personale di sostanze stupefacenti.
Per potere sostenere l'illiceità della detenzione, la situazione di eccedenza del citato limite tabellare deve essere supportata e corroborata dalla effettiva sussistenza di qualcuno fra gli altri paradigmi valutativi che l'art. 73/1 bis dpr 309/90 prevede.
Per potere pervenire, pertanto, ad una prognosi sfavorevole all'imputato, appare, infatti, necessario che anche le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione congiurino in senso di escludere convincentemente una destinazione a fini di consumo strettamente personale.
Ciò posto, appare pacifico che rimane immutato il principio che ascrive sempre al PM l'onere di dimostrare l'illecito, escludendosi che la novella del 2006 abbia determinato una qualche forma di inversione dell'onere della prova.
Per meglio comprendere il punto di diritto, si deve precisare che il caso di specie riguardava una persona rinvenuta in possesso di gr. 7,5 di eroina e che era stata condannata – previa concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall'art. 73 comma 5° dpr 309/90.
I giudici di merito avevano posto a base della propria decisione due osservazioni.
La prima consisteva nell'escludere che il quantitativo rinvenuto potesse integrare una scorta per uso proprio, in quanto, secondo i giudici di merito, l'imputato – per le sue buone capacità economiche – non avrebbe avuto necessità alcuna di costituire scorte consistenti.
La seconda concerneva, invece, la scarsa convenienza dell'acquisto, attesa la scadente qualità della droga.
Le due dedotte circostanze, unitamente alle modalità della condotta tenuta dall'imputato, avrebbero deposto – ad avviso della Corte territoriale - per la destinazione, anche solo parziale, a terzi dello stupefacente.
L'intervento della Corte Suprema ha, invece, definito assolutamente illogiche le deduzioni dei giudici di appello quando sostengono :
1. che la sussistenza di una buona capacità economica, concreti condizione incompatibile con la volontà di effettuare un acquisto, determinato da un prezzo di favore;
2. che non sia conveniente acquistare sostanza stupefacente che si riveli di scarsa qualità.
Nel primo caso, infatti, non pare ragionevolmente sindacabile la scelta del singolo di disporre autonomamente del proprio danaro, quando tale opzione venga effettuata liberamente e senza generalizzazioni di sorta.
Nel secondo caso, invece, l'eventuale qualità scadente del compendio drogante, costituisce un'informazione che il compratore acquisisce in maniera ipotetica e solo ex post.
L'eventuale condizione di recidivo, inoltre, viene superata dalla dimostrazione dello stato di tossicomania del soggetto.
Unico neo della sentenza in commento riposa nel fatto che venga utilizzato, come parametro concernente il principio attivo contenuto nei 7,5 grammi di sostanza stupefacente in questione, il criterio della dose media giornaliera, si da derivare 48 d.m.g. .
In realtà, si osserva che, vertendo in ipotesi di indubbia condotta detentiva, il canone ermeneutico corretto avrebbe dovuto essere quello della quantità massima detenibile.
E', infatti pacifico che, mentre la d.m.g. (pari a 25 mg. di principio attivo) appare strumento originale, di carattere interpretativo, funzionale a quantificare la capacità diffusiva di un campione di stupefacenti, in relazione al quale si ha la certezza di una destinazione allo spaccio verso terzi; la q.m.d. costituisce un parametro di costruzione complessa (dato dalla d.m.g. moltiplicata per 20) che va utilizzata esclusivamente in presenza di condotte inerti, quale il possesso o la coltivazione.
Soccorre, inoltre l'orientamento richiamato, la considerazione che proprio la motivazione della sentenza in commento, quando afferma che il superamento del limite tabellare, di per sé solo, determina la rilevanza penale della detenzione, indubbiamente utilizza il parametro della quantità massima detenibile, il quale, non a caso, coincide con 500 mg. di principio attivo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
Sentenza 21 giugno 2013, n. 27346
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
L.G.D. ;
avverso la sentenza n. 1649/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del 10/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2013 la relazione fatta
Udito il Procuratore Generale che ha concluso per inammissibilità del ricorso.
udito il difensore .
Svolgimento del processo
1. La corte di appello di Genova, giudicando a seguito di annullamento con rinvio da parte di questa Corte, ha confermato la sentenza in data 8.2.2007 del tribunale di Genova che aveva condannato L.G.D. alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 10000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Secondo la corte di appello le circostanze e modalità della condotta dell'imputato, unitamente alle sue stesse condizioni personali, depongono per la destinazione a terzi, quand'anche, in ipotesi, parzialmente, dello stupefacente.
Il ricorrente, tossicodipendente, era stato trovato in possesso di 48 dosi di eroina che non potevano ritenersi una scorta per uso proprio atteso che l'imputato, per sua stessa ammissione, aveva condizioni economiche che gli consentivano di procurarsi agevolmente quanto necessario alle sue esigenze di tossicodipendente, senza necessità di fare scorte consistenti, che potevano trovare giustificazione solo in difficoltà economiche di recarsi più volte nei luoghi di approvvigionamento; inoltre l'acquisto era stato poco conveniente per la scarsa qualità della droga e per il rischio di essere trovato in possesso dello stupefacente.
2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.
Il ricorrente lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità. L'imputato era stato trovato in possesso di 7,5 gr. di eroina mentre si trovava su un treno proveniente da (OMISSIS) sul quale stava regolarmente viaggiando; non tentava di vendere la sostanza a terzi; non deteneva strumenti tipici del soggetto che vuole frazionare e vendere lo stupefacente (bilancini o altro); non deteneva somme di denaro ingenti o comunque in misura tale da potersi ritenere provento di spaccio; consegnava spontaneamente ai verbalizzanti in occasione del controllo di polizia la parte più consistente dello stupefacente in suo possesso, mentre altra più piccola veniva rinvenuta in esito a perquisizione; non aveva occultato lo stupefacente sulla sua persona con particolari accorgimenti, bensì lo deteneva semplicemente in tasca e nel portafogli; dichiarava fin dalla udienza di convalida dell'arresto di avere acquistato lo stupefacente per un prezzo non cospicuo con lo scopo di fame uso personale per qualche tempo; dimostrava (certificazione SERT allegata al verbale di udienza di primo grado) di essere assuntore abituale dello stupefacente da oltre venti anni;
dimostrava di possedere beni patrimoniali e redditi che gli consentono di avere un buon tenore di vita. Sì tratta - sottolinea la difesa - di elementi atti a sostenere l'uso personale che esclude il reato atteso che l'onere della prova della sussistenza del reato è a carico della pubblica accusa, essendo la destinazione allo spaccio elemento costitutivo del reato che deve essere rigorosamente provato, non essendo in alcun modo prevista una presunzione di destinazione allo spaccio sulla base del rinvenimento di una quantità di stupefacente anche di una certa consistenza, di per sè non incompatibile con un uso personale. Con un secondo motivo si duole della eccessività della pena.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
Questa Corte, con la sentenza n. 12164 del 2009 della 6^ sezione, ha chiarito i principi cui deve uniformarsi l'accertamento della penale responsabilità di chi sia trovato in possesso di sostanza stupefacente dopo l'entrata in vigore della L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha convertito con modificazioni il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272. In particolare si è precisato che la modificazione introdotta dall'art. 4 bis, secondo cui la detenzione di sostanze stupefacenti costituisce reato se le sostanze detenute "appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale", al di là dell'infelice verbo utilizzato, non contiene elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina previgente, che, in base al combinato disposto del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 75, sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti che non fosse finalizzata all'"uso personale" (cfr. Cass. 6, n. 17899/08, PM c/ Cortucci). In realtà, la modificazione normativa intervenuta non ha introdotto nei confronti dell'imputato che detiene un quantitativo di sostanza stupefacente in quantità superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale nè una presunzione, sia pure relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale, né un'inversione dell'onere della prova, costituzionalmente inammissibile ex art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 2.
I parametri indicati per apprezzare la destinazione ad uso "non esclusivamente personale" (quantità, modalità di presentazione o altre circostanze dell'azione) costituiscono criteri probatori non diversi da quelli che già in passato venivano impiegati per stabilire la destinazione della sostanza detenuta. Tali parametri non vanno considerati singolarmente e isolatamente, sicchè non è sufficiente la sussistenza di uno solo di essi (in ipotesi, il superamento quantitativo dei limiti tabellarmente previsti) affinchè la condotta di detenzione sia penalmente rilevante: pur in presenza di quantità non esigue, il giudice può e deve valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano da escludere un uso non esclusivamente personale (cfr. Cass. 6, n. 17899/08, rv. 239932; n. 19788/08, rv 239963; n. 27330/2008, rv 240526; n. 40575/2008, rv 241522). Fermo restando che (sez. 4, 25.9.2008 n.399262 rv. 241468) la destinazione allo spaccio è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa, e pertanto deve essere provata dalla pubblica accusa sulla base degli indici fissati dalla norma e dei principi fissati da questa Corte.
E' stato pure ribadito che la valutazione sul punto del giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. n. 44419/2008, ced 241604; n. 19788/2008, rv 239963).
Tanto premesso, nel caso di specie la corte di appello ha ritenuto provata la destinazione allo spaccio sulla base di una illogica valutazione della tesi difensiva e cioè quella di ritenere che la circostanza di disporre di una buona condizione finanziaria sia incompatibile con la scelta di voler effettuare un acquisto, una scorta, a prezzo vantaggioso. La disponibilità economica non esclude infatti che il soggetto utilizzi le proprie sostanze in modo oculato, rientrando una tale valutazione tra le scelte che ogni individuo liberamente compie secondo una serie di parametri che non si prestano a generalizzazioni del tipo di quelli utilizzati, non essendo dunque sostenibile l'esistenza di una massima di esperienza che esclude che il soggetto benestante vagli attentamente la convenienza della sua scelta economica; parimenti illogico aver escluso la convenienza dell'acquisto sulla base della scarsa qualità della sostanza acquistata, atteso che si tratta di informazione evidentemente acquisita solo ex post, nonchè il riferimento alla condizione di recidivo specifico, attesa la pacifica qualità di tossicodipendente dell'imputato; ne deriva che a sostegno della responsabilità rimane solo un unico argomento, quello del rischio dell'intervento delle forze dell'ordine, argomento che non è certamente tale da poter sostenere il giudizio di colpevolezza.
A fronte di due giudizi di merito che non hanno evidenziato elementi sufficienti a sostenere l'accusa formulata nei confronti dell'imputato deve dunque concludersi per l'assoluzione del medesimo, non giustificandosi un ulteriore rinvio al predetto giudice.
2. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2013