Desidero svolgere alcune osservazioni relativamente alla proposta di legge che vede primo firmatario l’on. CIVATI.
Pur non sfuggendo neppure tale proposta ad una fondamentale critica di metodo – e cioè che la materia degli stupefacenti deve essere regolamentata in modo globale e non con interventi contingenti e limitati solo ad alcuni aspetti - reputo che vi siano alcuni interessanti spunti, che meritano apprezzamento, anche se altri suscitano elevate perplessità.
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In primo luogo si rileva la cd. legalizzazione della distribuzione (meglio sarebbe dire delle modalità di circolazione) delle droghe leggere, prevista all’art. 1.
A) E’ molto interessante ed importante che la norma si indirizzi al governo di tutto quel ciclo che va dalla produzione naturale alla commercializzazione ufficiale di prodotti della coltivazione di piante di cannabis.
Si viene, così a prevedere un doppio binario normativo.
Esso prevede, a fianco della depenalizzazione della coltivazione domestica ad uso personale – cui fa riferimento il successivo art. 6 –, la legalizzazione della diffusione, con modalità di commercio lecito e controllato, dei prodotti che a tale scopo vengano prodotti tramite una coltivazione imprenditoriale.
L’autorizzazione per i privati pare costituire un naturale accorgimento, per garantire una deroga a principi di carattere monopolistico, aprendo, così il mercato della coltivazione e commercializzazione a tutti i privati.
B) Va, altresì, condivisa – a mio parere – la previsione che tutti i passaggi della sequenza commerciale, che porta all’acquirente finale (descritti al comma 1 dell’art. 1), siano sottoposti ad una forma di autorizzazione amministrativa, atteso lo scopo imprenditoriale (e di lucro) di tali attività.
C) Non altrettanto chiara, però, è l’indicazione delle condotte che si assumono come legalizzate, attraverso il rilascio dell’autorizzazione all’attività imprenditoriale-commerciale.
Se, infatti, non suscitano problemi interpretativi locuzione del tipo “…la coltivazione ai fini di commercio…” e ”.. la vendita di cannabis indica o di prodotti da essa derivati…”, non mi pare, invece, sufficientemente e minimamente preciso il riferimento sia all’acquisto che alla produzione.
In relazione all’acquisto, infatti, si deve certamente escludere – sul piano logico - che ci si riferisca all’utente finale, che non necessita certa di autorizzazioni di sorta.
Non si comprende, però, se con il termine acquisto si identifichi la sola assunzione – da parte del commerciante - del prodotto ceduto dal coltivatore, o quale altro passaggio.
E’ necessario, poi, comprendere esattamente il significato del termine produzione.
Esso, infatti, a propria volta, nella fattispecie, potrebbe costituire un’inutile duplicazione del più specifico termine “coltivazione”, a meno che, non si intenda, con tale accezione, però, estendere la legalizzazione anche riguardo a prodotti derivati da elaborazioni chimiche di cannabinoidi (situazione che susciterebbe certamente perplessità perché assolutamente differente dalla coltivazione).
Certo è che un’eventuale decisione di rendere ammissibile la diffusione di prodotti derivati per sintesi chimica, ad esempio i sedicenti profumatori, (molti che rientrano nel concetto di precursori, categoria disciplinata dall’art. 70 dpr 309/90 modificato dal d.l.vo n. 50 del 24 marzo 2011) costituirebbe scelta che dovrebbe essere maggiormente ponderata proprio per evitare contrati fra la norma prospettata e quella vigente ed attesa la differenza sostanziale di tali prodotti rispetto ai frutti della coltivazione.
Ad ogni buono conto appare assolutamente necessaria una spiegazione sul piano terminologico per evitare confusione.
D) La stessa circoscrizione delle previsioni normative alla sola cannabis indica pare incomprensibile.
Al di là delle varie terminologie che si sono susseguite nel tempo (ad esempio nel 1924 il botanico sovietico Janichewsky classificò tre diverse specie: la Cannabis sativa che era rappresentata da una specie alta, poco ramificata e con portamento spiccatamente piramidale; la Cannabis indica con un portamento più contenuto e cespugliosa e la Cannabis ruderalis molto contenuta di volume non più alta infatti di 50 cm e senza rami. Nel 1976 i canadesi Small e Cronquist hanno ripreso l'originale classificazione di Linneo individuando una sola specie, la Cannabis sativa L. divisa però in due sottospecie: la Cannabis sativa e la Cannabis indica che si differenziano tra loro per la qualità e la quantità di cannabinoidi (soprattutto THC) presenti che vengono prodotti dalle ghiandole dei peli sotto forma di latice che costituisce quindi un carattere tassonomico) , si deve accogliere la differenziazione sostanziale in due categorie INDICA e SATIVA, laddove addirittura non si intenda aderire all’orientamento espresso nel 2002 da Clarke e Watson, i quali individuano una sola specie, la C. sativa con diverse varietà, in particolare quelle usate per la produzione di hashish e marijuana, che andrebbero raggruppate nella specie C. indica.
Dunque si deve parlare solamente di cannabis.
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Il secondo comma dell’art. 1, pur se concepito a fini di naturale coerenza rispetto alle novità introdotte con il primo, si risolve in un meccanismo esclusivamente burocratico, di pesante attuazione e, dunque, per nulla agevole.
A) Troppi organismi, tra loro eterogenei e differenti, sono chiamati a dare il loro parere in relazione a quei presupposti per l’attivazione delle autorizzazioni e l’organizzazione della distribuzione commerciale dei prodotti ricavati dalla coltivazione della cannabis, che devono essere pochi e chiari.
Il timore di protagonismi e conflitti fra enti, situazioni che possano ritardare e compromettere l’effettiva attuazione del progetto, è, quindi, tutt’altro che remoto.
Tra l’altro i due Ministeri maggiormente interessati al problema (quello della Giustizia e quello della Salute) paradossalmente non vengono contemplati nel lungo elenco!
Sarebbe, invece, sufficiente che fossero proprio questi due ultimi Ministeri ad essere ritenuti competenti per l’emissione di un DM congiunto per l’indicazione dei criteri e delle modalità operative per lo svolgimento dell’attività commerciale in questione.
B) Poco chiara, inoltre, appare l’indicazione per la quale “..il quantitativo massimo acquistabile in un’unica soluzione da un singolo soggetto è di cinque grammi..”.
In primo luogo, va chiarito cosa si intenda per quantitativo, vale a dire che si deve chiedere se ci riferisca a quello lordo od al principio attivo, [anche se, forse la soluzione del problema potrebbe (il condizionale è d’obbligo per la non felicità della dizione usata) essere desunto dal testo del comma 3°].
In secondo luogo, questa previsione non tiene conto del problema dell’acquisto (od uso) di gruppo.
Anche in questa ipotesi vale il limite, che si riferisce ad un singolo individuo (il quale però potrebbe acquistare anche su mandato di altri)?
Urgono anche qui convincenti chiarimenti e coordinamento con giurisprudenza e norma vigenti.
C) Il comma 3° ed il comma 4° non presentano particolari problemi interpretativi.
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L’art. 2 punisce – al primo comma - la vendita a minori prevedendo sanzioni penali, mentre al secondo comma viene prevista la sanzione accessoria della revoca delle autorizzazioni.
In relazione a quest’ultima, non è dato comprendere se l’inflizione di tale sanzione debba avvenire da parte del giudice, con l’eventuale sentenza di condanna, oppure debba avvenire da parte di un organo amministrativo (ma non è individuato nessun organo di controllo al rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione) solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.
Non è, inoltre, individuata esattamente la natura della sanzione prevista e questo costituisce elemento decisivo.
Una sanzione amministrativa, a differenza della pena accessoria, infatti, impedisce che questa sia oggetto, in caso di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.) di accordo fra le parti ed esula dal disposto di cui all'art. 445, 1° comma, c. p. p., il quale stabilisce l'inapplicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza con la sentenza che dispone l'applicazione della pena su richiesta.
Ergo, anche questo specifico aspetto va perfezionato.
Ad avviso del sottoscritto, si deve riconoscere espressamente la natura di sanzione amministrativa a quanto previsto dal comma 2°, conferendo potere al giudice di dare tale ordine in sentenza, anche ni caso di patteggiamento.
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L’art. 3, a propria volta, punisce coloro che, senza l’autorizzazione prevista dall’art. 1, coltivino, acquistino , producano, vendano e cedano (cannabis indica o prodotti di essa) .
Non vengono specificate le condotte che possano risultare illecitamente derogatorie ai principi dettati dall’art. 1, ma l’assenza di previsione tassative esemplificative non pare elemento di ostacolo ad una corretta applicazione della norma.
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L’art. 4 appare una superflua inutile riproduzione dell’odierno art. 84, rispetto al quale si sovrappone, posto che detta norma si rivolge alle sostanze previste nelle tabelle di cui all’art .14 e la cannabis è indicata al comma 1 lett. a) n. 6, che concerne la tab. 1.
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