Pubblico una recentissima sentenza della Quarta Sezione della Corte di Cassazione che ha posto termine ad una complicata vertenza che ha coinvolto un commerciante che vendeva semi di cannabis online.
La soluzione del giudice di legittimità, che conferma la condanna inflitta dalla Corte di Appello di Trento, non può non suscitare perplessità.
La Corte esclude, infatti, che nella fattispecie si verta in ambito di illecito amministrativo ex art. 84 - come sostenuto dal sottoscritto -
perchè la pubblicità posta in essere dall'imputato non sarebbe "asettica".
Si legge, infatti, in sentenza che la propaganda "asettica", è quella "non finalizzata alla vendita del prodotto stupefacente, perchè, diversamente, un'attività di tal genere, siccome finalizzata all'offerta in vendita di una sostanza stupefacente, sarebbe penalmente rilevante perché dovrebbe direttamente applicarsi il disposto dell'articolo 73 dello stesso dpr, che appunto, tra le condotte sanzionate, comprende anche quella dell'offerta di sostanze stupefacenti"
Appare evidente che la Corte confonda, nello specifico, il fine con il modo.
La propaganda asettica è quella manifestazione impersonale, priva di accenti che esaltino o decantino positivamente il prodotto.
Dunque una condotta che non deve essere considerata in funzione dello scopo ultimo (l'eventuale commercializzazione del prodotto), quanto piuttosto in funzione delle metodica con cui il messaggio viene divulgato.
Va, infatti, evidenziato che, ove sia ravvisabile un'attività di magnificazione dell'esito di una coltivazione del seme posto in vendita, si potrebbe ravvisare il reato di istigazione alla coltivazione (art. 414 c.p. in relazione all'art. 73 dpr 309/90).
Non pare, quindi, cogliere nel segno la considerazione secondo la quale una propaganda non asettica a fini commerciali configurerebbe il reato di offerta in vendita di sostanze stupefacenti, per il semplicissimo motivo che i semi di cannabis non sono stupefacenti (non contengono principi attivi), ne costituiscono propriamente un antecedente.
Pare, quindi, omettere di considerare la Corte che la nozione di stupefacente - nel nostro ordinamento - ha carattere legale, e presuppone, quindi, l'inserimento tabellare della sostanza specifica.
Ciò non di meno, al di là di questi rilievi si deve concludere nel senso che - attualmente - il commerciante (sia che operi online, sia che operi tradizionalmente) non deve, a mio avviso, abbinare alla messa in vendita di semi, alcuna altra attività che possa costituire espressione deliberata di un invito a coltivare - per mezzo dei semi venduti -.
Dunque, porre in commercio - al contempo con la stessa struttura od organizzazione di vendita - trattati di coltivazione, fertilizzanti, strumenti coltivativi (vanghe, zappe), lampade, strutture per serre, vasi etc. può costituire elemento che il giudice può valutare come sintomatico di una volontà istigativa.
Allo stesso modo - dunque sfavorevolmente - può essere valutato il comportamento del commerciante che fornisca consigli su come procedere alla semina ed alla coltivazione.