Il problema che intendo sollevare in relazione alle proposte di legge che riguardano la legalizzazione della coltivazione, attiene principalmente all'individuazione del reale paradigma che deve fingere da limite tramite il quale si possa affermare la liceità della condotta coltivativa. Ora le varie proposte vengono ancorate al numero di piante, si che una volta superato tale numero massimo (5) automaticamente si incorre in un reato. Credo, invece, che il solo utilizzo di un limite quantitativo non sia corretto, perchè può crerare gravi incertezze e discriminazioni. Il numero delle piante è certamente importante come parametro, ma può e deve assumere una veste diversa. La liceità della coltivazione non deve dipendere esclusivamente dal numero delle piante coltivate, cioè dall'estensione della coltivazione.
Un soggetto potrebbe coltivare un numero di piante inferiore a 5 e potrebbe farlo (teoricamente) per scopi differenti dal consumo personale. Il denominatore comune deve, invece e quindi, essere il consumo personale del coltivatore/assuntore - condizione che individua la volontà genetica del singolo che presiede alla condotta materiale e la condiziona - . Il consumo personale diviene così il principio scriminante fondamentale così come lo è divenuto per la condotta detentiva. Una volta individuato in termini generali il fine che sancisce la inoffensività della condotta coltivativa, si può dare ad esso un parametro partner (quantitativo) che lo specifichi maggiormente. A mio avviso la condizione scriminante (destinazione al fabbisogno personale) potrebbe venire quindi presunta ove la coltivazione fosse costituita da un numero di piante inferiore ad esempio a 5.
Ove la coltivazione superasse tale numero, ritengo che non debba essere precluso al giudice il potere di affermare la operatività della scriminante dell'uso personale, ove il PM non riesca a dimostrare
1) che il quantitativo prodotto possa accrescere la disponibilità dell'offerta illecita sul mercato della zona in cui è situato il luogo della coltivazione 2) che comunque l'attività coltivativa non soddisfa integralmente ed esclusivamente il fabbisogno del coltivatore (assuntore), ma sia destinata anche alla immissione sul mercato (attraverso l'acquisizione di prove di una attività di spaccio). E' di tutta evidenza che a carico dell'indagato/imputato sussiste un onere di allegazione delle proprie ragioni scriminanti, che possono essere analoghe - per schemi e metodologia - a quelle utilizzate per la detenzione. Per rendere più comprensibile il mio pensiero richiamo l'esempio delle indicazioni che le SSUU hanno dato in materia di ingente quantità. Sancendo il limite soglia delle 2000 volte la quantità massima detenibile (che per la cannabis è di mg. 500), sotto la quale è esclusa la ricorrenza dell'aggravante dell'ingente quantità (art. 80 co. 2), la Corte ha, però, affermato che ove tale limite fosse superato, il giudice possa - esercitando il proprio potere discrezionale - valutare la sussistenza dell'aggravante in esame e possa escluderla.
Vale a dire che non vi deve essere alcun tipo di automatismo,che porti ad affermare de plano la illiceità della condotta coltivativa in ipotesi di superamento della soglia individuata dalla Corte di legittimità. E' evidente, pertanto, che la riproduzione di questa metodica interpretativa, trasponendola alla coltivazione nei termini che ho sopra indicato potrebbe essere utile in casi ove il superamento del numero/limite di piante sia minimo ed ove alcune di esse siano ancora in fase di iniziale gestazione.