Marcello di Bordeaux, I farmaci, IX (77)

Lega la radice di canapa al tuo braccio destro: di preferenza, avvolgici tutto il braccio, ma se ne hai poca, allora fattene un amuleto da sospendere al collo. Per farti capire quanto è potente questo rimedio: se leghi la radice come ti ho spiegato, il flusso del sangue si fermerà immediatamente, e si rimetterà a scorrere quando la slegherai e leverai la radice.

Empirico e magico, il quarto secolo si conclude con un gigante dello spirito occidentale, che non possiamo tralasciare in questa nostra storia: Agostino, vescovo di Ippona. Non saprei dire se nei suoi 100 trattati, 300 lettere e 700 sermoni sant'Agostino abbia mai avuto occasione di menzionare la canapa indiana. Ha però certamente parlato di allucinazioni e di sostanze (piante?) che le procurano, e cosí facendo ha marcato in modo definitivo il pensiero europeo su tale questione per almeno dieci secoli; cioè fino a quando un nuovo evento, l'invenzione della stregoneria, cambierà di nuovo radicalmente la situazione.
Per il pensiero premoderno, in una pianta la capacità di agire sul corpo umano, modificandolo, è effetto della natura intima della pianta stessa, natura che si manifesta sotto forme molteplici: nella sua anatomia, nel suo habitat, nella sua storia mitica e, naturalmente, in quelle che oggi chiamiamo, stricto sensu, le sue azioni farmacologiche. Tale natura si può definire divina, ma soltanto nella misura in cui l'aggettivo è usato in senso animista: la pianta è sí dimora d'una divinità, ma d'una divinità che le è propria. Il fatto poi che un'erba o una radice producano allucinazioni e delirio dà alla loro natura numinosa un carattere particolare: spesso una pianta psicotropa è abitata da figure semidivine legate al mondo dei morti, della medicina e della divinazione, per esempio le Ninfe; proprio come i pazzi e gli stolti, che sono "colpiti dalle Ninfe" (nympholeptoi).
Con Agostino, si sancisce un allontanamento radicale dalla suddetta visione animista: interrogatosi sulla natura delle allucinazioni (La città di Dio, XVIII, 18), egli risponde riallacciandosi all'esegesi cristiana, secondo cui il mondo naturale è divino non "juxta propria principia", cioè secondo principi che gli sono intimi, ma in quanto specchio di realtà celesti e teatro dello scontro tra le forze del bene e quelle del male. Per Agostino, perciò, ogni allucinazione (anche quelle prodotte da "arti magiche" o da "veleni") è frutto di una ludificazione diabolica che opera sulla fantasia dell'uomo: il diavolo, che nulla può creare, trasforma l'immagine delle cose create da Dio perché sembrino all'uomo ciò che esse non sono (si ricordi che il diavolo è pur sempre di natura angelica, "licet


proprio vitio sit maligna": 'anche se resa malvagia dal suo errore').
Questo cambiamento di prospettiva avrà conseguenze che non mancheremo di sottolineare piú avanti.


Il rapporto problematico che esiste tra gli storici della scienza e il mondo tardoantico è ben descritto nel saggio di Lelia Cracco Ruggini, "Scienze pure ed applicate nella cultura tardoantica", in Storia di Roma: L'età tardoantica (Torino, Einaudi, 1993), in cui purtroppo le scienze mediche sono solo brevemente accennate. Il lettore interessato potrà trovare qualche informazione su Marcello di Bordeaux, Oribasio di Pergamo e Teodoro Prisciano in AA.VV., Storia del pensiero medico occidentale: 1. Antichità e medioevo, (Bari, Laterza, 1993), e nel bel libro di Jacques André, Être médecin à Rome (Parigi, Les Belles Lettres, 1987), oppure alle voci corrispondenti nella Realenzyclopädie der Altertumswissenschaft di Pauli-Wissowa. Altrimenti, dovrà rivolgersi ai testi originali: Theodori Prisciani, Euporiston libri III, edito da V. Rose, Teubner, 1894; Marcelli Empirici, De medicamentis liber, edito da G. Helmereich, Teubner, 1889; Oribasii, Synopsis ad Eustathium: Libri ad Eunapium, edito da J. Raeder, Teubner, 1926; Pseudo-Apuleii, Herbarius, edito da E. Howald e H.E. Sigerist (Corpus medicorum latinorum vol. 4, Teubner, 1927). Devo le idee concernenti "l'etica diversa" del mondo tardoantico alla lettura di Ranuccio Bianchi-Bandinelli, "Gusto e valore dell'arte provinciale", in Storicità dell'arte classica (Roma, De Donato, 1973, p. 381-413), e quelle sul ruolo del sacro a Peter Brown, specialmente in The Making of Late Antiquity (Cambridge Mass., Harvard University Press, 1978). Agostino e la teoria cristiana delle allucinazioni sono discussi in Jean-Claude Schmitt, Les Révenants: Les vivants et les morts dans la société médiévale (Parigi, Gallimard, 1994). Il lettore interessato alla formazione del simbolismo naturalistico cristiano leggerà con piacere il lucido saggio introduttivo di Francesco Zambon a Il fisiologo (Milano, Adelphi, 1975).
L'identificazione di un recettore cannabinoide espresso nei linfociti è in Munro, S., Thomas, K.L., Abu-Shaar, M., "Molecular Characterization of a Peripheral Receptor for Cannabinoids", Nature n. 365 (1993), p. 61-65.

UNA BADESSA, UN PAPA E UN MERCANTE (XII - XIV SECOLO)

Anche per la canapa indiana il Medioevo fu un'età buia. E nel buio, ha osservato Carlo Maria Cipolla nel suo classico studio "Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo", accadono cose strane.
In quei secoli difficili, "per sfuggire alle calamità incombenti la gente si divise in tre parti. Una si incaricò di pregare il Signore Domineddio. La seconda si dedicò al commercio e all'agricoltura. Ed infine, per proteggere le due suddette parti da ingiustizie e da aggressioni furono creati i baroni" (Filippo di Vitry, 1295-1361).
Impegnati com'erano a difendere gli oppressi e a procurarsi pepe in Terrasanta, i baroni non avevano tempo per occuparsi della canapa. Gli agricoltori, poi, che magari qualcosa potevano saperne perché la coltivavano, avevano altre gatte da pelare e assai poco agio per scrivere delle loro esperienze psichedeliche (ed è un peccato, perché pare che ne avessero talora di interessanti). Restano quindi il clero e i mercanti: a loro ci rivolgiamo nella speranza di trovarvi un barlume di luce, in tanta oscurità.
Il clero dell'epoca faceva di tutto un poco, e ogni lettore di Umberto Eco sa che non c'era convento che non fosse anche farmacia e ospedale. Un ignoto amanuense del nono secolo, per esempio, tracciando la mappa del grande monastero benedettino di San Gallo in Svizzera vi incluse un infirmarium e un herbularius (giardino dei semplici) diviso in sedici appezzamenti, ciascuno contrassegnato dal nome della pianta officinale che avrebbe dovuto ospitare. Ma dissoltesi le grandi scuole mediche dell'antichità e smarritane in gran parte la lezione, che medicina si poteva mai praticare in un monastero? In prima approssimazione, un amalgama di tradizioni folcloriche locali e di terapeutica greco-romana, mediato da traduzioni latine di Dioscoride, dall'Erbario di Apuleio Platonico e da altri due o tre testi di minore importanza. Soprattutto dove il peso dell'eredità romana era piú debole e l'influenza grecizzante degli arabi risentita piú lentamente, lontano dall'Italia per esempio, la tradizione popolare e la medicina folclorica ispiravano con forza tutta particolare i ricettari farmaceutici e i testi di terapia.
Il passo che proponiamo descrive appunto un uso medicinale della cannabis certamente originato dalla tradizione folclorica: è stato scritto, in un latino piú che zoppicante "inconsciamente bilingue", da Hildegarda, badessa nel convento benedettino di Bingen, e santa estatica.


Hildegarda di Bingen, La medicina semplice, I (11)

La canapa ["hannf"] è calda, e cresce quando l'aria non è né molto calda né molto fredda, e anche la sua natura è cosí, e il suo seme è salutare, e mangiarlo fa bene alle persone sane, ed è leggero per lo stomaco e utile, perché ne scaccia lo slim ed è digeribile, e diminuisce i cattivi umori e rafforza i buoni umori. Tuttavia, chi ha testa malata e cervello vuoto ["cerebrum vacuum"] se mangia della canapa avrà facilmente dei dolori di testa. Chi invece ha la testa sana e il cervello pieno non riceverà male. Ma chi invece è molto malato avrà anche mal di stomaco. Se invece è poco malato, non ne riceverà male

Che la canapa rafforzi il buon umore, sono ancora oggi in tanti a crederlo, ma invece di essere santificati, come accadde a Hildegarda, vengono processati per direttissima. È vero che i tempi sono cambiati: le visioni estatiche di Hildegarda di Bingen, ineffabili per bellezza e luminosità e tuttavia da lei cosí magistralmente descritte nel Liber divinorum operum e nello Scivias, sono attribuite dalla medicina moderna a quella particolare condizione, nota col nome di "aura", che accompagna gli attacchi di emicrania ed epilessia.
Un altro segno dell'inesorabile mutare dei tempi è che, durante quei secoli bui, neppure le altissime sfere ecclesiastiche erano immuni da certe esperienze. Eccone un esempio: il Pontefice Giovanni XXI, al secolo Pietro Ispano, "lo qual già luce in dodici libelli", oltre ad avere composto le dodici Summulae logicales che Dante mostra di apprezzare, è stato l'autore di un fortunatissimo trattatello di medicina pratica intitolato Il tesoro dei poveri, un condensato di varie autorità mediche antiche e tardoantiche accessibile non già ai poveri, che naturalmente non sapevano né leggere né scrivere, ma a quei monaci che della salute corporale dei poveri si occupavano. La ricetta che segue prescrive il cascame della pettinatura della cannabis come antidolorifico nelle otiti: un impiego che potrebbe avere la sua base razionale nell'effetto analgesico del delta-9-tetraidrocannabinolo e di altri cannabinoli, e che era già stato suggerito da Dioscoride, Plinio e Marcello di Bordeaux.