Vado un po' OT nel contesto della presentazione del nuovo numero di DV ma rimango in tema con la disperata situazione delle carceri in Italia di cui la rivista ne fa tema principale per il prossimo numero in uscita.

La lettera che segue è stata scritta da un detenuto condannato all'ergastolo al Presidente della Repubblica al quale oggi stesso è stata consegnata. E' molto dura e fa profondamente riflettere. A ciascuno le proprie considerazioni.

Signor Presidente della Repubblica,
ci sono delle sere che il pensiero che possiamo rimanere in carcere per tutta la vita non ci fa dormire. E la speranza è un’arma pericolosa. Si può ritorcere contro di noi. Se però avessimo un fine pena… Se sapessimo il giorno, il mese e l’anno che potessimo uscire… Forse riusciremo a essere delle persone migliori, forse riusciremo a essere delle persone più buone, forse riusciremo a essere delle persone più umane, forse riusciremo a non essere più delle belve chiuse in gabbia.

Signor Presidente della Repubblica,
noi “uomini ombra” non possiamo avere un futuro migliore, perché noi non abbiamo più nessun futuro. E per lo Stato noi non esistiamo, siamo come dei morti. Siamo solo come carne viva immagazzinata ad una cella a morire. Eppure a volte, quando ci dimentichiamo di essere delle belve, noi ci sentiamo ancora vivi. E questo è il dolore più grande per degli uomini condannati ad essere morti. A che serve essere vivi se non abbiamo nessuna possibilità di vivere? Se non sappiamo quando finisce la nostra pena? Se siamo destinati a essere colpevoli e cattivi per sempre?

Signor Presidente della Repubblica,
molti di noi si sono già uccisi da soli, l’ultimo proprio in questo carcere il mese scorso, altri non riescono ad uccidersi da soli, ci aiuti a farlo Lei. E come abbiamo fatto anni fa, Le chiediamo di nuovo di tramutare la pena dell’ergastolo in pena di morte.



Luglio 2011

Carmelo Musumeci