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Discussione: novità giurisprudenziali

  1. #141
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    Citazione Originariamente Scritto da Randagio Visualizza Messaggio
    Mi scusi avvocato, in ogni caso non trovo il nesso tra "alta percentuale di principio attivo" e "spaccio"...

    Se i 45gg fossero stati di buiona erba al 18% per esempio l'assoluzione sarebbe stata più difficile? Ma per quale motivo?

    anzi, onestamente per assurdo penso che più è alto il principio attivo più lo reputo "per uso personale"! Il consumatore è più attento alla "qualità" di uno spacciatore... quindi il possesso di cannabis ad alto principio attivo, magari di diverse qualità, dovrebbero farmi risultare un "appassionato consumatore" che ci tiene a quello che fuma! IMHO
    Attualmente il parametro ponderale (vale a dire il peso lordo) assieme alla quantità di principio attivo costituiscono parametri certamente importanti per il giudizio di destinazione al consumo personale.
    Per quanto riguarda il THC, poi, in caso di detenzione uno dei canoni che si usano è quello del rapporto con la q.m.d. di principio attivo, pari a mg 500.
    La giurisprudenza ritiene che tale indicatore possa essere superato, ma che il superamento non debba essere di proporzioni eccessive.
    Non vi è un tetto massimo prestabilito, quindi, il superamento - sempre che non sia ingente - può essere liberamente apprezzato dal giudice unitamente ad altri criteri oggettivi e soggettivi.
    Condivido il suo ragionamento, ma lei deve tenere conto che, purtroppo, sino allo stato attuale, i giudici hanno conferito importanza asettica la peso, senza approfondire riflessioni quale quella che lei formula.
    Tenga conto che ancora oggi in presenza di più distinti reperti, con percentuali differenti fra loro, i periti ed i giudici fanno la somma aritmetica dell'insieme!
    Lei ha mai visto sommare tra bottiglie di vino che - pur del medesimo colore - presentino percentuali di alcol differenti?
    Oppure ritiene corretto prendere ad esempio cinque arance. pesarne una sola, prelevare da essa il succo e poi - senza operare allo stesso modo con le altre quattro - moltiplicare i dati ottenuti da essa per cinque, per sostenere conclusivamente il peso complessivo lordo e del succo?

  2. #142
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    Ci si domanda, da più parti, quali siano, ad un esame non superficiale, le effettive conseguenze della recente sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del DL 272/2005, convertito nella L. 49/2006 (denominata FIN-GIOVANARDI), e ci si interriga se le stesse introducano innovazioni rilevanti e significative nel sistema di governo giuridico della materia degli stupefacenti.
    Credo – a titolo estremamente personale – che si debba operare una duplice valutazione.
    Sul piano della politica giudiziaria appare indubbio il messaggio di censura all’operato del legislatore, da parte della Consulta.
    Vengono biasimate – relativamente alla procedura di adozione dei provvedimenti legislativi – le scelte dell’esecutivo di ricorrere, in primo luogo, allo strumento del decreto legge (attesa l’assenza di una minima ragione di urgenza ed indifferibilità, che costituiscono presupposti necessari per attivare l’istituto di cui all’art. 77 Cost. ), in secondo luogo, di avere stravolto, in modo assolutamente surrettizio, l’originario testo del D.L. 272/2005, attraverso modifiche strutturali che, rispetto allo stesso, appaiono prive di correlazione (si pensi che nel testo definitivo si vennero a prevedere ben 23 articoli, pur a fronte dell’unico originario articolo concepito nel DL in questione) ed, in terzo luogo, di avere occultato un intervento normativo così corposo, all’interno del decreto di rifinanziamento delle olimpiadi del 2006 di Torino.
    Per quello che interessa in questa sede, è, dunque, importantissimo rilevare che la declaratoria di incostituzionalità, permette di ripristinare il regime precedente – quello sancito ab origine – proprio della JERVOLINO VASSALLI, il quale prevedeva un duplice, decisivo e distinto trattamento sanzionatorio fra droghe pesanti e droghe leggere.
    Per queste ultime, quindi, si perviene ad un’attenuazione delle pene previste, posto che, in tal modo, si ritorna al regime di cui al comma 4° dell’art. 73 dpr 309/90 che prevede una pena da 2 a 6 anni (prima era da 6 a 20) oltre alla multa.
    Questo tipo di sanzione può, quindi, essere applicata anche retroattivamente, in quanto più favorevole all’imputato.
    Vale, pertanto, a dire che anche per condotte illecite commesse prima delle pronunzia del giudice delle leggi (12 – 25 febbraio 2014 pubblicata in G.U. il 6 marzo 2014), la pena da prendere a parametro, in caso di affermazione di penale responsabilità, è quella ripristinata a seguito della sentenza n. 32.
    Si tratta di un indubbio vantaggio per tutti i procedimenti in materia marijuana ed hashish.
    Per le droghe pesanti (cocaina, eroina extasy etc.), invece, il discorso appare del tutto differente, in quanto la riviviscenza del regime del dpr 309/90, determina, invero ed all’opposto, un inasprimento della sanzione detentiva che ora prevede un minino di 8 anni di reclusione (in luogo dei 6), fermo il massimo di 20 anni.
    In questo caso e per questi motivi, come già affermato con uno recentissimo studio dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, la legge abrogata – che era, quindi, certamente ed indubbiamente più favorevole – continua a produrre effetto sino alle date sopra indicate (quanto meno al 6 marzo 2014 data di pubblicazione).
    Quindi, solo per i fatti commessi dopo il 6 marzo 2014, riprende vigenza il più grave trattamento sanzionatorio.
    Per quanto concerne, invece, il comma 5° dell’art. 73, norma che governa l’istituto della lieve entità, sono insorti dubbi che sono stati risolti nei termini che andrò a spiegare.
    In primo luogo, si deve osservare che questa disposizione è stata modificata, recentemente dall’art. 2 D.L. 146/2013, convertito nella L. 10/2014, che ha modificato l’ipotesi lieve, portandola da circostanza attenuante ad effetto speciale in reato autonomo.
    Se, dunque, siamo dinanzi ad una decisione strutturalmente condivisibile, non può, però, sfuggire a critica, la tempistica e le modalità dell’intervento che ha provocato e provoca tuttora una serie di problemi anche di natura costituzionale.
    Per tutti, si deve osservare che l’attuale testo del comma 5°, che regola i casi insorti a partire dal 24 dicembre 2013, prevede una unica pena per qualunque sostanza stupefacente, in aperta contraddizione, quindi, con l’intonazione di fondo dell’art. 73, che – invece – distingue inequivocabilmente le sostanze.
    Sorge, quindi, per tale elementare ragione, un evidente e profondo dubbio di costituzionalità, che avrebbe potuto essere evitato, solo che il governo LETTA avesse saputo e voluto attendere – per la modifica normativa in questione – la decisione della Corte Costituzionale, evitando di cercare – frettolosamente - facili ed inutili consensi, che hanno, di fatto, solo complicato il quadro legislativo.
    Lo stesso Parlamento in ambito di conversione del DL 146/2013 avrebbe potuto intervenire, ma sembra che i nostri deputati e senatori, sempre assai convinti della loro preparazione di base, nello specifico frangente abbiano – invero – mostrato sia la scarsa conoscenza che il loro superficiale approccio allo specifico tema.
    Riguardo al comma 5°, in relazione alla conseguenze introdotte dalla sentenza n. 32, si deve osservare che, per quanto attiene alla droghe leggere, vige il discorso fatto in precedenza, in relazione all’ipotesi ordinaria.
    Vale a dire che il regime ripristinato, introduce un trattamento di evidente maggiore favore (pena da sei mesi a quattro anni di reclusione, oltre multa), che ha anche operatività retroattiva.
    Per le droghe pesanti andranno, invece, effettuate alcune distinzioni.
    Si deve, infatti, rilevare che la JERVOLINO-VASSALLI prevedeva anch’essa una pena della reclusione da uno a sei anni (oltre multa), sicchè, da un confronto fra i due testi, si deve concludere che non risulta differenza alcuna tra i due sistemi, in relazione ai fatti commessi a tutto il 23 dicembre 2013.
    Per i fatti, invece, commessi dopo il 24 dicembre, l’art. 2 della L. 10/2014 appare di maggior favore, rispetto all’altra previsione normativa, perché il massimo edittale è di cinque anni, in luogo di sei.
    Ovviamente tale norma non può, però, disporre retroattivamente.
    Nulla muta, invece, ad avviso della scrivente, sia per la coltivazione, che per la detenzione.
    1) Per la coltivazione resta la teorica previsione di reato di cui all’art. 73 dpr 309/90.
    Uso il termine teorica, in quanto sempre più giudici di merito (e qualche timida decisione della Suprema Corte di Cassazione) aprono alla possibilità di ritenere che in specifiche situazioni la coltivazione non costituisca reato, sulla base dell’utilizzo di due parametri alternativi.
    Il primo di essi è quello (propugnato da sempre dallo scrivente) che impone una valutazione peritale di natura individuale di ciascuna delle piante che vengano rinvenute e sequestrate.
    Allo stato attuale, purtroppo, in troppi processi la consulenza tossicologica, viene svolta commettendo due errori prospettici fondamentali.
    Il primo consiste nel fatto che, talora, si reputi sufficiente una verifica qualitativa, vale a dire che ci si accontenta di certificare la sola presenza generica di thc nei reperti.
    Si tratta di opzione inaccettabile processualmente.
    La presenza generica di thc non è affatto sufficiente a :
    - precisare il sesso della pianta
    - certificare la percentuale e l’effettivo quantitativo del principio attivo contenuto.
    Questi due sono, infatti, dati fondamentali ed imprescindibili, onde comprendere, preliminarmente a qualsiasi altra valutazione, (qualunque sia il numero di piante), quali di esse potessero essere già in grado di produrre sostanze psicoattive.
    Va sottolineato, poi, che non si può pensare presuntivamente che due o più piante possano essere identiche tra loro sul piano organolettico, anche se provengono dalla medesima tipologia di semi, anche se la semina è avvenuta nello stesso periodo.
    E’ necessario, quindi, accertare in concreto – perché la coltivazione ove ritenuta reato, va considerata reato di pericolo concreto – tutti i caratteri genetici che contraddistinguono ogni vegetale.
    Non esiste, quindi, una proprietà transitiva in base alla quale ciò che risulta in capo ad un reperto deve essere inteso come espressione comune ed identica per tutti i reperti, astrattamente della stessa specie.
    Il secondo riguarda, invece, la contestazione della scelta di offrire conclusivamente una valutazione aritmetica di carattere globale e non di tipo individuale in ordine al thc rinvenuto.
    Tale modus operandi, parte dal presupposto che è insito nell’utilizzo, indiscriminato, dell’improprio risultato di una somma dei singoli principi attivi contenuti in vegetali tra loro differenti.
    Come detto in precedenza, non si può, affatto, operare un’indebita omologazione di una pluralità di piante, giacchè è dall’esame individuale di ciascuna di esse (e dalla verifica della rispondenza delle stesse agli stereotipi valutativi, scientifici, in essere) che si può pervenire all’individuazione di un’ipotesi di reato meno.
    Quindi, affermare che, complessivamente inteso, il materiale coltivato (laddove si sia in presenza di più piante) presenti un certo principio attivo, oppure una certa percentuale di principio attivo, costituisce – ad avviso di chi scrive, per le ragioni dianzi esposte – l’espressione di un palese errore di carattere sistematico.
    Sotto altro aspetto, si deve, poi, rilevare che si deve continuare a seguire la strada della relazione fra coltivazione ed uso personale.
    In questo senso, al di là dei principi introdotti dalle notissime sentenza del G.M. di Ferrara o del GUP di Cremona, anche la Corte di Cassazione (sent. 12612/13 – 18 marzo 2013 Sez. Sesta) ha posto l’accento sul problema della offensività della condotta.
    Si è, così, precisato che laddove il comportamento dell’agente (la coltivazione), anche se astrattamente idoneo a violare la norma, si riveli, in realtà, indirizzato a scopi di versi da quelli oggetto della tutela giuridica, non vi è reato.
    Poiché la finalità teleologica del dpr 309/90 è quella di evitare la diffusione degli stupefacenti, una coltivazione che si orienti univocamente a soddisfare necessità personali del solo coltivatore, appare non confliggente con gli scopi tutelati.
    Per la detenzione ritengo continuino a potere essere utilizzabili i criteri precedentemente previsti, in quanto – nonostante la sentenza n. 32/2014 – si tratta di criteri, taluni dei quali privi del carattere della tassatività, frutto anche di elaborazione fattiva giurisprudenziale, vero esempio di diritto vivente.
    Vale, quindi, a dire che la sola detenzione di quantitativi non eccessivi (diciamo sino ad un centinaio di grammi, laddove il thc non sia particolarmente elevato) può essere ritenuta destinata al consumo personale, ove si sia in assenza di elementi che possano essere assunti come prove logiche di una predisposizione di attività di spaccio o, comunque, di cessione a terzi (sostanza da taglio, contatti personali o telefonici con terzi assuntori, presenza di strumenti per il confezionamento di singole dosi,), oppure laddove il detentore non risulti – a propria volta – assuntore.
    Negli ultimi tempi questo indirizzo si concretizzato, tant’è che posso segnalare, in attesa della loro pubblicazione, le sentenze dei GUP di Lecco, di Pisa e ieri di Cuneo, che hanno concluso nel senso che prospetto.

  3. #143
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    Desidero segnalare che La Corte Suprema di Cassazione SETTIMA SEZIONE all'udienza CAMERA DI CONSIGLIO del 02/04/2014 ha annullato una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna, in secondo grado rispetto al GUP presso il Tribunale di Ravenna a carico di un mio assistito R.I., in materia di detenzione di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, rinviando, così, il procedimento ad altra Sezione della stessa Corte territoriale, per un nuovo giudizio in punto di quantificazione della pena. La sentenza in questione appare meritevole di segnalazione, in quanto si tratta di una delle primissime applicazioni degli effetti giuridici che derivano dalla sentenza n. 32 del 12-25 febbraio 2014 resa dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità del D.L. 272/2005 convertito nella L. 49/2006 (FINI-GIOVANARDI). In buona sostanza, appare assolutamente rilevante l'osservazione che che la Corte di Cassazione abbia considerato - facendo, così, buon governo dei principi dettati dal Giudice delle Leggi e ricordati espressamente da questo difensore con memoria scritta ad hoc tempestivamente depositata - che il ripristino della distinzione di pena fra droghe leggere e droghe pesanti, regime sanzionatorio previsto in epoca anteriore alla novella del 2006, sia in toto decisivo e del tutto assorbente rispetto a qualsiasi altra questione di diritto (in assenza di elementi che potessero orientare il Collegio ad un annullamento con nuovo esame in punto alla responsabilità), si che la pena in precedenza inflitta debba essere riconsiderata e rideterminata perchè divenuta "illegale". La operatività del principio di riviviscenza della pena prevista dalla legge JERVOLINO-VASSALLI (regime anteriore alla L. 49/2006) appare, inoltre addirittura prevalente rispetto alla eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso.

  4. #144
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    Avvocato scusi la mia ignoranza, ma in questo caso annullare la sentenza fà finire tutto o viene aperto un altra procedimento?
    "Se per vivere devi strisciare, alzati e muori."

  5. #145
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    Citazione Originariamente Scritto da Randagio Visualizza Messaggio
    Avvocato scusi la mia ignoranza, ma in questo caso annullare la sentenza fà finire tutto o viene aperto un altra procedimento?
    Caro Randagio, la sua è domanda molto pertinente.
    In questo caso l'annullamento è con rinvio, vale a dire che si ritorna in appello e che il procedimento di secondo grado viene rifatti, secondo le indicazioni ed i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione.

  6. #146
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    Da tempo sostengo che le perizie tossicologiche in materia di stupefacenti, spesso non vengono redatte in maniera corretta, in quanto i consulenti utilizzano criteri errati.
    In materia di coltivazione, infatti, è assai raro che si dia corso ad una verifica di ogni singola pianta, venendo, invece, preferito il ricorso ad un criterio superficialmente qualitativo, teso ad acclarare la generica presenza di thc nei vegetali. E', invero, doveroso verificare il sesso di ogni pianta, lo stato di maturazione di ogni pianta, nonchè sia la percentuale che l'effettiva quantità di principio attivo di ciascuna pianta, onde inferire la idoneità concreta di ciascuno arbusto a produrre sostanza drogante. Non è ammissibile, dunque, un dato puramente generico. Per quanto attiene alla detenzione, invece, in presenza di più reperti, il consulente sovente opera un esame o campione (prendendo un solo reperto ed estendendo presuntivamente agli altri i dati, i risultati ottenuti), oppure compie una somma algebrica dei singoli risultati, anche in presenza di percentuali tra loro differenti e sostanziali diversità organolettiche. Deriva da ciò (ad esempio) che un reperto che ha una percentuale di thc del 3% viene impropriamente sommato ad un altro che presenta un thc del 4%, e, quindi, oltre alla somma si opera una inammissibile media ponderale percentuale tra prodotti non assimilabili.
    Queste osservazioni sono state odiernamente recepite dalla Corte di Appello di Brescia, che in un procedimento, ove la perizia di primo grado era incorsa in errori del tipo di quelli sopra indicati ha disposto una nuova perizia sullo stupefacente. Nella fattispecie, infatti, a fronte della circostanza che erano stati rinvenuti 7 reperti di marijuana, era stato esaminato uno solo di essi, mentre in presenza di due campioni di hashish, uno solo degli stessi era stato analizzato. In buona sostanza il consulente aveva ritenuto che fosse sufficiente l'esame di uno solo di essi, per desumere le caratteristiche di tutti, operando un sillogismo del tutto inaccettabile, attraverso la presunzione che tutti fossero identici. Per quanto, invece, concerneva la coltivazione si era proceduto ad una disamina generica di presenza di tracce di thc. Vi è solo da chiedersi a distanza di molti mesi quali saranno le risultanze peritali, ammesso che le sostanze e le piante non siano state già distrutte.

  7. #147
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    Allego la sentenza del GUP di Lecco in materia di coltivazione di cui ho parlato nei giorni scorsi. Purtroppo lo scanner di casa non permette un unico file. Chiedo scusa
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  8. #148
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    Io non capisco xè in Germania hanno già fatto il salto della staccionata gli avvocati
    I documenti del pignoramento di governi e enti ecc ecc nessuno se li va a leggere sul sito dell u.c.c ?

  9. #149
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    Citazione Originariamente Scritto da Ilfrl Visualizza Messaggio
    Io non capisco xè in Germania hanno già fatto il salto della staccionata gli avvocati
    I documenti del pignoramento di governi e enti ecc ecc nessuno se li va a leggere sul sito dell u.c.c ?
    Scusi se non la comprendo, probabilmente e' colpa mia, ma quale staccionata dovrei saltare come avvocato per essere simile ai tedeschi?
    A quali documenti si riferisce ?
    Cosa e' l'u.c.c. ?
    Grazie
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 10-04-14 alle 18:20

  10. #150
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    Vi segnalo la sentenza n. 16019 della Sesta sezione della Cassazione depositata in data odierna, in materia di coltivazione.
    Si tratta purtroppo di un grave arresto giurisprudenziale, che fa rivivere un'impostazione che si riteneva superata e che punisce la coltivazione prescindendo da una valutazione finalistica della condotta, ma ancorando la stessa esclusivamente all'astratta idoneità drogante delle piante.
    Viene giudicato irrilevante sia il fine di produzione ad uso,personale (anche quando sua plausibile), sia la circostanza oggettiva del grado di maturazione dei singoli vegetali all'atto del controllo.
    Quest'ultimo parametro oggettivo viene escluso perché ad avviso dei giudici di legittimità tradurrebbe un criterio i punibilità differita seconda del l'effettivo completamento del percorso di germinazione delle infiorescenze.
    Come avrò modo di spiegare in un commento ad hoc, si tratta di una presa di posizione assai opinabile che esaspera il concetto di astrattezza e contrasta con il principio della stanzio abolita solo di quelle condotte che risultino offensive in concreto.
    Un grosso passo indietro giurisprudenziale, che lascia assai perplessi.
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    Ultima modifica di Avv. Zaina; 10-04-14 alle 22:48

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