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Discussione: Psicologa - sessuologa

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  1. #1
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    secondo me Laura le ricerche soprattutto se non commissionate solitamente si fanno in basa all'interesse del ricercatore. interesse implica che comunque una mezza idea di ciò che starai andando a studiare devi pure averla, che non intralci la ricerca attraverso giudizi di valore, o per lo meno riducendoli al minimo, è ovvio. se commissionata io mi sarei prima di tutto informato per lo meno per avere un idea di ciò che sarei andato a studiare. non mi sarei presentato come uno che non ne sa niente, ed avrei fatto, prima ancora di porre le domande un analisi dei documenti (i post) per cercare di rintracciare,nei limiti del possibile, sommari indici in virtù degli argomenti della ricerca. Poi avrei attrverso le domande indagato maggiormente sugli aspetti emersi dai documenti, e/o nei avrei trovati di nuovi. nel porre le domande utilizzando un approccio formale avrei spiegato dettagliatamente la ricerca che volevo effettuare nei minimi dettagli, avrei spiegato dettagliatamente le ragioni per la quali la ricerca avrebbe avuto senso di esistere, e poi avrei posto le domande in maniera chiara,sperando in una possibile risposta. oppure avrei utilizzato un metodo informale e avrei posto le domande raccontando prima ciò che pensavo io in virtù di un determinato argomento e poi avrei chiesto il parere altrui. l'empatia di cui ci raccontavano a scuola.
    comunque noto che dai primi post sei passata dal formale all'informale, grazie ad un joint... ecco questo è un aspetto della ricerca i joint annullano la distanza tra le persone e creano empatia.


    *raccontando :-(
    Ultima modifica di BoRdErLiNe; 03-02-12 alle 21:00
    Riciclare Barattare Amare

  2. #2
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    quoto border,
    e aggiungo che un altro sistema, magari anche molto più efficace, sarebbe stato quello del fare lo studio in maniera anonima, non dichiarata.. come se fossi un qualunque utente.
    Al massimo presentandomi pure come psicologo o quel che sia, ma senza palesare eccessivamente i miei scopi.

    I joint creano empatia perchè creano complicità in un fottuto reato che manco dovrebbe esistere!

  3. #3
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    no va bè ma non solo in virtù di un reato... anzi l'empatia dovute a quella situazione è la minimissimissima (non so trovare un termine che descriva una misura più piccola) parte dell'empatia che può creare un joint!!!
    Riciclare Barattare Amare

  4. #4
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    vorrei postare qui un breve passaggio che mi sembra inerente in generale a sto topic , parla di psicoanalisi e di effetti della canapa :


    L FUMO RENDE LUCIDI
    di Lester Grinspoon

    Non riesco a rendere l’idea della varietà di cose che la canapa mi aiuta ad apprezzare, a considerare, a penetrare sotto altri punti di vista. Ma voglio mettervi a parte di alcune circostanze, non troppo personali.

    Ad esempio, vi voglio raccontare della peggiore scelta che abbia mai fatto nella mia carriera professionale: la decisione di far domanda presso l’Istituto di Psicoanalisi di Boston come candidato per il training da psicoanalista. Cominciai questo training - enormemente dispendioso sia per il tempo che per i soldi - nel 1960 e mi diplomai sette anni dopo. Già durante il training nutrivo qualche scetticismo circa certi aspetti della teoria psicanalitica, ma ciò non bastò a smorzare l’entusiasmo con cui iniziai a prendere pazienti in analisi nel 1967 (per coincidenza, lo stesso anno in cui cominciai a studiare la canapa). Solo verso la metà degli anni Settanta, il crescente scetticismo circa l’efficacia della psicoanalisi cominciò a farmi sentire a disagio.
    Un disagio su cui la canapa agì come catalizzatore. Le sere in cui fumo, la marijuana mi fornisce lo spunto - tra le altre cose - per passare in rassegna le idee significative, i fatti e i rapporti della giornata trascorsa: il lavoro coi pazienti è sempre un punto in agenda. Questa rivisitazione della giornata insieme alla canapa è quasi sempre autocritica, spesso duramente autocritica, e i parametri di questa critica risultano molto ampliati. I miei pazienti in psicoterapia - quelli che mi sedevano di fronte, a contatto di sguardo e che potevano dialogare liberamente - sembravano fare più progressi dei pazienti in psicoanalisi. In genere, ero soddisfatto del mio lavoro coi primi, mentre, invariabilmente, con i pazienti sul lettino, mi ritrovavo ad essere prima impaziente e poi insoddisfatto perché non facevano progressi. Senza dubbio, fu l’effetto cumulativo di queste autocritiche sotto l’effetto della canapa a spingermi alla fine, nel 1980, a non accettare più nuovi pazienti in analisi. Ciononostante, continuai a pagare le quote d’iscrizione all’Istituto Psicoanalitico di Boston perché pensavo che il problema fosse mio; con altri psicoanalisti, la cosa funzionava, ma in qualche modo non poteva funzionare con me. Ci pensai ancora su per molto, sia da sobrio che da “fatto”, nel corso di alcuni anni, e finalmente arrivai alla conclusione che il problema non era mio, ma della psicoanalisi che come terapia non era molto utile: a quel punto rassegnai le dimissioni dall’Istituto.

    Ripensandoci ora, non credo di aver fatto peggio di altri psicoanalisti. Gli analisti non si preoccupano per i mancati progressi dei pazienti perché protetti dalla comune aspettativa che il processo sarà lungo, e, ancora di più, dalla potenza del transfert che, tra l’altro, gratifica il narcisismo dell’analista e sostiene la fantasia del paziente (nonché spesso del terapeuta) sull’onniscienza dell’analista. In queste circostanze, è difficile per lo psicoanalista essere critico sul proprio lavoro. Per farlo, deve esser provvisto di un potente detector di “stronzate”. Sono convinto che la canapa mi aiuta ad affinare questo detector e questa capacità potenziata mi ha fatto capire che avevo fatto un enorme errore a decidere di fare lo psicoanalista. La decisione di dimettermi dall’Istituto fu molto difficile, un po’ come divorziare dopo dieci anni di matrimonio. Ma non ho dubbio che è stato il solo modo per venire a capo del mio crescente disagio e per correggere quello che vedevo allora chiaramente come un errore. Alcuni dei miei colleghi psicoanalisti di allora potrebbero pensare, tra le altre cose, che ho semplicemente sostituito il coinvolgimento in ciò che consideravo un sistema di macro inganno con una micro versione di segno opposto. Anche se c’è questa possibilità, sono debitore alla canapa per l’aiuto che mi ha dato a raggiungere la chiarezza necessaria per arrivare a questa difficile decisione.

    Lester Grinspoon, psichiatra, Professore emerito alla Harvard Medical School è autore di numerosi e fondamentali scritti sulle droghe: in Italia sono stati pubblicati nel 1995 Marijuana, la medicina proibita (coautore James B. Bakalar); nel 1996 Marijuana.

    fonte: Viaggio nella canapa. Il movimento internazionalemper gli usi terapeutici, Fuoriluogo

    copy pasta from psiconautica.tk
    Hidden Content Originariamente Scritto da Cartabattesasso
    mio cugino era arrivato a farsi due siringhe di marijuana al giorno e l'hanno dovuto ricoverare in comunità per 6 mesi. la droga è m-erda e morte, pensateci

  5. #5
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    Complimenti, bel post davvero!

  6. #6
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    Post che una psicologa che si accinge ad una ricerca del genere, dovrebbe conoscere come l'Ave Maria ( appunto)

  7. #7
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    come no! amen!

  8. #8
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    io penso che se fosse legale,magari ci sarebbero meno fumatori (certo non in principio dopo anni e ani di proibizionismo)ma le generazioni future sarebbero meno a fumare proprio come in olanda ;) mentre nel forum ci sarebbero il doppio delle persone per parlare e confrontarsi dei propri raccolti senza avere il timore di essere portato via come un terrorista delle torri gemelle
    Chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola

  9. #9
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    sono d'accordo.. e come questo ci sarebbero tantissimi altri forum ad'ospitare amanti e coltivatori di cannabis. Pieni il doppio!

    Laura infatti nn è da prendere in considerazione.. ma il 3D ..tutto sommato.. resta un 3D interessante.. ma xkè sono i partecipanti a renderlo tale.

  10. #10
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    vero teppa, a questa cosa del forum non c'avevo pensato.

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