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Discussione: Pronto Soccorso Legale

  1. #1
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    Ottima iniziativa dell'Ascia che realizza questo vademecum in collaborazione con uno studio legale.

    Il Pronto Soccorso Legale è il nuovo vademecum per i reati in tema di stupefacente, redatto dallo studio legale dell’avv. Simonetti in collaborazione con ASCIA (Associazione Sensibilizzazione Canapa Autoprodotta).
    Il documento, suddiviso in 32 quesiti per rendere più comoda la consultazione, è stato realizzato per dare maggiore consapevolezza al cittadino sui suoi diritti e doveri in caso di perquisizione ed ispezione.
    QUI il vademecum online.
    QUI il vademecum in formato pdf.


  2. #2
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    No ai patteggiamenti: l’opinione dell’avvocato



    Concordando pienamente con l’avv. Simonetti, sull’importanza di difendere fin da subito il carattere domestico e personale delle modeste coltivazioni, passate invece come prova di un “presunto spaccio”, riceviamo e pubblichiamo il suo punto di vista sulla:
    NECESSITA’ DI UNA VALIDA DIFESA PENALE PER AFFRONTARE IL REATO DI COLTIVAZIONE DI CANNABIS AI SENSI DELL’ART. 73 D.P.R. 309/90
    Vorrei aprire questa riflessione con un monito lasciatoci da Bertold Brecht in tempi che sembrano ormai lontani, ma che purtroppo sono ancora attuali a causa dei drammi provocati dall’indifferenza:
    Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano.

    Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
    
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

    Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

    Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
    (Bertold Brecht, Berlino, 1932)
    La difesa penale in materia di stupefacenti può assumere vesti e funzioni eterogenee. Stante la normativa attuale in tema di coltivazione, e la correlata giurisprudenza, l’avvocato penalista si trova di fronte ad una scelta spesso obbligata: consigliare al proprio assistito il c.d. patteggiamento (l’accordo della difesa e del pubblico ministero sulla pena comminata).
    In particolare, avverso la sentenza di patteggiamento si può ricorrere in Cassazione solo per vizio di legge (ricorsi molto spesso dichiarati inammissibili) ma comunque la pena, in caso di accoglimento del ricorso in Cassazione, è solo rideterminata.
    Il patteggiamento in tema di coltivazione, è evidente, rappresenta a) una resa dinanzi all’accusa e b) una chance sprecata di impugnazione.
    Sul punto che a noi interessa, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 28605/2008 ha statuito che chiunque coltivi sostanza stupefacente, a prescindere che si tratti di coltivazione “agraria” ovvero coltivazione “domestica”, è punito con la pena della reclusione da 6 a 20 anni.
    E quasi tutti i giudici di primo e secondo grado continuano a richiamare in modo meccanico l’assioma della Cassazione e a condannare “solo perché si coltiva”.
    Il pronunciamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, invero, non è un dictum sacerdotale, ed il motivo per il quale i giudici italiani, dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 2008, continuano a pronunciarsi in maniera standard sul tema della coltivazione di cannabis è il seguente: gli avvocati si sentono inerti dinanzi alla monolitica sentenza della Corte di Cassazione e, pertanto, il più delle volte preferiscono optare per il patteggiamento suggerendo al proprio assistito “tanto non c’è niente da fare per quello che hai fatto”.
    Così non va: e non deve andare!
    Troppo spesso la persona che coltiva è davvero un consumatore di sostanza e, invece, viene presuntivamente valutato come un potenziale spacciatore.

    Così non va: e non deve andare!
    I giudici penali continuano a giudicare in maniera standard, secondo la formula “coltivazione = presunzione di spaccio”, proprio perché non sono più sollecitati dagli avvocati a leggere la norma sulla coltivazione in maniera differente: ma la sollecitazione, ovviamente, deve essere supportata da un’adeguata preparazione tecnica e specialistica idonea a criticare la sentenza della Corte di Cassazione del 2008.
    Differentemente, la dimostrazione dell’intenzionalità di “coltivare per consumare”, elemento fondamentale dell’azione finalistica, deve diventare predominante nella presentazione ed interpretazione del reato contestato.
    E’ il diritto naturale, quindi, che deve prevalere sulle esigenze repressive dello Stato per mezzo del processo di “eticizzazione” del diritto idoneo a stabilire il predominio (o quanto meno la compresenza) dei valori morali su quelli strettamente giuridici.
    Tutto ciò considerato:
    E’ necessario credere in una nuova idea giuridica di coltivazione.
    E’ necessario, a questo punto, che tutti coloro che siano indagati/imputati di coltivazione seguano una stessa linea difensiva: tutti i casi di imputazione per coltivazione ex art. 73 co. 1 D.P.R. 309/1990 dovrebbero affrontare il giudizio penale uniti sul fronte comune di mettere in dubbio il predetto rapporto di immediatezza tra coltivazione/spaccio: ciò valga anche per chi sia stato già condannato in primo grado e desideri impugnare la relativa sentenza.

    E’ necessario che tutti gli indagati e gli imputati per coltivazione siano “uniti giuridicamente” a contrastare l’interpretazione presuntiva ed in malam partem dei Tribunali.

    E’ necessario sollevare nuovi dubbi ai giudici.

    E’ necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale che abbia del novus rispetto alle medesime questioni già affrontate e risolte lapidariamente dalle sentenze della stessa Corte Costituzionale.
    Si noti, a titolo di curiosità, che per la difesa è possibile sollevare la questione di legittimità costituzionale in ogni fase e grado del giudizio penale anche se non sollevata nei gradi precedenti (praticamente parlando: se un avvocato non ha presentato la questione di legittimità costituzionale in primo grado, è possibile presentarla per la prima volta anche in appello o in Cassazione).
    A questo punto, mi sia permessa una metafora: quando ci si ferisce ed esce del sangue, se le piastrine non formassero una linea comune, come sarebbe possibile la coagulazione della ferita?
    E’ necessario, quindi, con la stessa comunanza di intenti delle piastrine in fase di coagulazione del sangue, che la difesa penale in materia di coltivazione di sostanza ritenuta stupefacente sia unita sul punto: contrastare (senza patteggiare) nelle aule giudiziarie italiane la presunzione di colpevolezza coltivazione/spaccio affinché i giudici intendano come vi sia una tesi difensiva ferma sul punto che va dal Trentino Alto Adige sino in Sicilia passando per la Sardegna.

    E se necessario, dopo il ricorso per Cassazione, si arriverà alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per discutere dell’equivalenza, espressione del diritto del libero individuo, “coltivazione = consumo personale”.


    Avv. Lorenzo SIMONETTI
    Via della Giuliana n. 91 – Roma
    Tel. e fax: 06.99929659
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  3. #3
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    Molto utile questo vademecum! Grazie infinite.
    Sarebbe interessante una versione aggiornata ad oggi, visto che questo è di quasi 10 anni fa. Non me ne intendo di giurisprudenza, può essere che ad oggi siano cambiate alcune leggi e di conseguenza ci siano anche nuove strategie di difesa?
    L'atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l'inizio della ragione.

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