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Discussione: novità giurisprudenziali

  1. #21
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    La Terza Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza 20 febbraio 2013, pubblicata l'8 luglio (rv. 28919/13) sofferma, una volta di più, la propria attenzione sulla tematica della detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti, esaminando, non solo quei requisiti che militano per la formulazione del giudizio di non punibilità della condotta in esame, ma anche e, soprattutto, il rapporto che intercorre fra la condotta detentiva e quella di trasporto.
    Nel caso specifico, il PM si doleva della circostanza che il GIP, prima, ed il Tribunale del Riesame, poi, avevano ritenuto che la condotta dell'indagato – nei cui confronti si chiedeva l'adozione di una misura cautelare – si concretasse, nella sostanza, in una forma di detenzione “dinamica”.
    L'attività di trasporto della sostanza (rinvenuta all'interno di un autoveicolo condotto dall'indagato stesso) doveva, infatti, venire assorbita – e, dunque, ricondotta – ad una fattispecie di possesso espressamente finalizzata all'uso personale.
    Il PM ricorrente – anche ammettendo in ipotesi la prova della destinazione ad uso personale dello stupefacente rinvenuto – sosteneva, invece, l'autonomia , di fatto ed in diritto, della condotta di trasporto, rispetto a quella di detenzione, anche sul presupposto che si poteva ravvisare nella fattispecie il concorso tra una norma incriminatrice (l'art. 73 che esplica effetti penali in relazione alla condotta di trasporto) ed una di natura amministrativa (l'art. 75 che governa le ipotesi di condotte non penalmente rilevanti).
    La Corte, per rispondere al quesito così proposto, ha ripercorso la struttura sia dell'art. 73, che dell'art. 75 dpr 309/90 nella loro formulazione post novella del 2006.
    E', così, emersa palese una tripartizione di situazioni giuridicamente rilevanti, all'interno della quali, peraltro, è apparso evidente e particolarmente significativa l'osservazione che la detenzione costituisce, nel disegno complessivo del legislatore, che ha introdotto con il comma 1 bis dell'art. 73 una causa di giustificazione concernente “importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione” (tutte ad uso personale), una condotta ontologicamente indipendente e differente dal trasporto.
    Quest'ultima condotta, proprio per la sua oggettiva-astratta pericolosità ed offensività – che la Corte riconnette, in sentenza, condivisibilmente “alla potenzionale diffusività della droga rispetto alla condotta di detenzione o acquisto, importazione etc....” - non viene menzionata in alcun modo né nel citato comma 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90 e tanto meno nel successivo art. 75.
    Posto, quindi,
    1. che la disposizione di cui all'art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, nel suo carattere spiccatamente esimente, trae il proprio fondamento giuridico nel diretto collegamento fra la condotta materiale (tra una di quelle indicate expressis verbis) e la prova della destinazione al consumo personale dell'agente,
    2. che la norma di cui al successivo art. 75 si pone indubbiamente in correlazione – al di là di un'infelicissima struttura lessicale – con l'art. 73 comma 1 bis, laddove quest'ultima norma (anche essa concepita in spregio alle più elementari regole grammaticali da un legislatore che ha usato violenza alla nostra lingua madre) deve essere interpretata come disposizione di deroga al regime sanzionatorio penale, in presenza effettiva di indicatori esemplificativamente dalla stessa esposti,
    è possibile ragionevolmente affermare che qualsiasi condotta, non riportata nel combinato disposto dei due articoli citati, mantenga una sua assoluta autonomia ed indipendenza rispetto ad altre indicate nel comma 1 dell'art. 73.
    Tale principio di ordine generale va, peraltro, coniugato con la reale natura dell'art. 73 che ad avviso della Corte “costituisce norma a più fattispecie tra loro alternative, con la conseguenza, da un lato, della configurabilità del reato, allorchè il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste e, dall'altro, dell'esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative...”.
    In buona sostanza, porre in essere anche una sola tra le condotte previste nell'ampia gamma dei commi 1 ed 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90 integra certamente gli estremi di reato prevista da questa norma, va però, osservato che ove, in un unitario contesto temporale, sia ravvisabile la sussistenza di una pluralità di condotte illecite alternative (che rientrino nel novero di quelle ricordate) appare indiscutibile l'effetto di assorbenza delle ipotesi di reato di minore gravità da parte di quelle di maggiore gravità.
    La fattispecie in oggetto, dunque, appare pertinente al ragionamento della S.C. perchè:
    a) l'agente trasportava e deteneva al contempo sostanze stupefacenti;
    b) non vi è stata una scansione distintiva temporale fra le due citate condotte, le quali, invece, si sono verificate contemporaneamente e si sono poste – tra loro – in una condizione di sovrapponibilità.
    La conclusione cui, quindi, naturalmente la Corte di Cassazione perviene è obbligata.
    Essa consiste nel superamento della dicotomia esistente fra le condotte, sin qui esaminate, giacchè risulterebbe del tutto illogico che un comportamento, (quale quello di trasportare da un luogo ad un altro un quantitativo di stupefacente, peraltro, posseduto dall’agente per un dimostrato fine di consumo personale), venisse considerato come ultroneo e disancorato rispetto a quello scopo finale che, invece, colora e priva di illiceità la condizione detentiva, costituendo una vera e propria causa di giustificazione.
    Appare, dunque, fondamentale – ad avviso dei supremi giudici - il ricorso ad una interpretazione individualizzata, la quale si dimostri, pertanto, informata a principi sia giuridici, che logici.
    Una corretta esegesi della fattispecie in questione, dimostra, infatti, che risulterebbe incomprensibile la duplicazione di una condotta, la quale, invece, si palesa senza dubbio come unitaria.
    La scelta di sdoppiare le autonome azioni di trasporto e detenzione (prendendo ognuna in senso autonomo rispetto all’altra) provocherebbe, inoltre, l’inammissibile ed irrazionale conseguenza di comportare l’assoggettamento dell’agente/indagato a due sanzioni, ciascuna riferita ad uno distinto comportamento, per un unico comportamento che non viola più norme di legge.
    Sarebbe questa un’impostazione ed una soluzione che – come si legge testualmente in sentenza – “non è autorizzata nemmeno dal testo normativo”.
    La tesi dell’assorbimento dell’un comportamento nell’altro, risponde, invece,
    1. sia al carattere di funzionalità e strumentalità che una delle sue condotte (trasporto) assume verso l’altra (detenzione),
    2. sia a quel profilo di generalità, proprio del concetto di detenzione e, quindi, idoneo a ricomprendere anche aspetti di carattere specifico, quali possono essere quelli delle modalità di esecuzione della detenzione stessa.
    Non a caso una di queste modalità va ravvisata nell’azione di trasporto, che si risolve in una forma di detenzione in movimento (“dinamica”).
    Da ultimo, si deve osservare come rilevante, ai fini del giudizio sulla contingente coincidenza concettuale fra detenzione e trasporto, appaia la circostanza che i giudici di merito abbiamo ritenuto debitamente provata la sussistenza dell’esimente della destinazione ad uso personale dello stupefacente detenuto.
    Tale dimostrata finalizzazione condiziona, pertanto, in senso favorevole all’indagato la qualificazione giuridica del fatto attribuito, escludendo che – nel caso che ci occupa – si possa ravvisare una prevalenza della condotta illecita di trasporto rispetto a quella scriminata di detenzione.
    Il concetto di trasporto, infatti, esprime la sua autonoma importanza di rilievo penale, solo se in grado di evocare il metus di “una futura attività di cessione o di illecita detenzione a tali fini” (n.d.a. di spaccio).
    Il trasporto per uso personale – che si risolve in una forma di detenzione qualificata – appare incompatibile con tale situazione, connotata dalla potenziale diffusività della condotta.
    Le risultanze fattuali della fattispecie – ad opinione sia dei giudici di merito, che di quelli di legittimità – (nonostante la droga fosse stata rinvenuta addosso all’indagato, mentre nel vano portaoggetti dell’auto vi era un coltellino con tracce di stupefacenti) non erano, infatti, tali da potere contraddire efficacemente la tesi difensiva della destinazione ad un uso esclusivamente personale.
    In tal modo trasporto e detenzione si vengono a fondere in un situazione di unicità e costituiscono, quindi, un illecito amministrativo.

  2. #22
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    Quarta Sezione Corte di Cassazione, sent. 31274/13 – ud. 4 aprile 2013/22 luglio 2013 -.


    La circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dal comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90 appare incompatibile con l’aggravante contenuta nell’art. 80 comma 1 lett. B) – cessione a minore -.
    Il giudizio di effettiva e specifica sussistenza di quest’ultima circostanza determina la sua prevalenza, anche in presenza di episodi di cessione di quantitativi assolutamente modici di sostanze stupefacenti, i quali potrebbero, di per sé, legittimare l’applicazione dell’attenuante.
    E’ questo il principio statuito dalla Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza 31274/13 – ud. 4 aprile 2013 – pubblicata lo scorso 22 luglio.
    Si tratta di un indirizzo che sembrerebbe, prima facie, disattendere e riformare, in senso fortemente restrittivo, la posizione a suo tempo assunta dalle SS.UU., le quali con la sentenza 24 giugno 2010, n. 35737, (P.M. in www.leggiditalia.it e Giur. It., 2011, 6, 1372 nota di PAVESI) avevano stabilito che “L'aggravante della cessione di sostanza stupefacente a persona minore di età non è incompatibile con l'attenuante del fatto di lieve entità, con cui è oggetto di bilanciamento nell'ambito di un giudizio di globale valutazione della fattispecie” .
    Un’attenta valutazione della sentenza pare, però, smentire questa tesi.
    I giudici di legittimità – pur rifacendosi ad un orientamento contrario, già palesato [cfr. ex plurimis Cass. pen. Sez. VI Sent., 29 gennaio 2008, n. 20663 (rv. 240057), C.S.] , – hanno, infatti, incentrato la propria attenzione sul paradigma dell’effettiva offensività oggettiva della condotta tenuta.
    Tale carattere, non a caso, costituisce il fondamento (direi l’archetipo) strutturale della circostanza attenuante ad effetto speciale della “lieve entità”.
    L’istituto in parola , infatti, presuppone che la valutazione finale e complessiva del comportamento illecito, debba e possa essere ricondotta a termini di minimale offensività, cioè ad un pericolo – che seppure non può essere trascurabile – risulti, però, indubbiamente privo di profili di rilievo.
    I parametri contenuti nel comma 5° - intesi sia attraverso una visione parcellizzata, che considerati tramite una visione globale – devono, quindi, esprimere una pericolosità (e suscitare un allarme) sociale che possa essere collocata al livello più basso possibile.
    Se dunque – come recentemente riaffermato dalla Corte di Appello di Lecce, (sentenza 12 marzo 2013, Pa.Gi. e altri in www.leggiditalia.it ) – “…la concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità impone l'accertamento in ordine alla trascurabile offensività della fattispecie, sia in relazione all'oggetto materiale del reato, ovvero alle caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia in relazione all'azione, quanto a mezzi, modalità e circostanze della stessa…”, appare altrettanto evidente che nell’ipotesi in cui anche uno solo tra gli indici previsti dalla norma risulti negativamente connotato, esorbitando – all’esito dell’esame del giudicante - i limiti di offensività previsti, esso risulta assorbente ed ogni altra considerazione resta priva di incidenza.
    E’, peraltro, necessario, che il giudice operi una comparazione preliminare, fra gli opposti elementi di fatto e di diritto, che involga anche la circostanza attenuante in esame.
    Nella fattispecie, la cessione – peraltro ripetuta nel tempo – di quantitativi obbiettivamente modesti, [valutati sia nella loro individualità, che nella complessività che deriva dalla loro somma (un totale di gr. 30 di hashish)], non ha potuto assumere carattere di positivo rilievo.
    La contestuale violazione del precetto contenuto nell’art. 80 comma 1 lett. b) (cessione minore) ha costituito, a propria volta, ad avviso della Quarta Sezione, circostanza assolutamente decisiva di segno opposto.
    E’ evidente, quindi, ad avviso di chi scrive, che l’orientamento della sentenza in commento, ad un approfondito esame, non pare, affatto, dissonante dall’insegnamento delle SS.UU., in quanto nella citata pronunzia 24 giugno 2010, n. 35737, si afferma la compatibilità dell'aggravante della cessione di sostanze stupefacenti a soggetto minore di età con l'attenuante del fatto di lieve entità, ma solo a livello potenziale di astrattezza giuridica e fattuale.
    Tale concessione, determina la conseguenza ovvia e necessitata che il giudice deve valutarne la compatibilità caso per caso, tenendo conto di tutte le specifiche e concrete circostanze nelle quali la cessione a minore si realizza .
    Come sottolineato, il caso che ci occupa evidenzia un vaglio negativo che si rivolge ad uno dei parametri di riferimento (modalità dell’azione), che presenta un connotato di decisività assolutamente pari a quella di tutti gli altri.
    Esso, come anticipato, consiste di un duplice aspetto.
    La cessione di quantitativi modici di stupefacenti (che di per sé non pare ostativa alla configurazione dell’attenuante) è, però, avvenuta nei confronti di un destinatario minore di età e per il tramite di un’azione che è stata reiterata nel tempo.
    Da ciò un allarme sociale che eccede il confine della minima offensività e che risulta incompatibile con un giudizio di lievità dell’entità del fatto.
    Una simile situazione, comporta, dunque, ineluttabilmente la non configurabilità dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990.

  3. #23
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    Avv.to, una domanda che magari evidenzia la mia incompatibilità con il linguaggio del diritto ma credo molti utenti mi ringrazieranno...

    Chiedevo, se possibile, una traduzione in linguaggio Enjoint perche tutti possano gradire di queste novità, in quanto, lette un paio cosi a caso cio ho capito 0
    solo nell ultima credo di aver capito che se dai anche 0,2 a un minore ti becchi spaccio... no?
    Να είναι καλύτερο άτομο από τον πατέρα σου
    Lett: Na éinai caliùtero àtomo apò ton patéra sù
    Trad: Sii un uomo migliore di tuo padre

    Ogni riferimento a fatti, persone o persone fatte é puramente voluto

    C: Non mi funziona il filtro a carboni attivi...
    Richard: In che senso non ti funziona?
    C: nel senso che ho collegato i cavi, inserisco la presa e non va...
    Richard: cioé, te hai collegato i cavi elettrici al filtro a carboni attivi?
    C: Sí, e non va.

  4. #24
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    Citazione Originariamente Scritto da ugoxtutti Visualizza Messaggio
    Avv.to, una domanda che magari evidenzia la mia incompatibilità con il linguaggio del diritto ma credo molti utenti mi ringrazieranno...

    Chiedevo, se possibile, una traduzione in linguaggio Enjoint perche tutti possano gradire di queste novità, in quanto, lette un paio cosi a caso cio ho capito 0
    solo nell ultima credo di aver capito che se dai anche 0,2 a un minore ti becchi spaccio... no?
    Caro Ugo
    lei ha ragione, purtroppo, però, ci sono dei passaggi delle sentenze che sono impossibili a spiegare in termini diversi da quelli legali.
    In ogni caso la sintesi del problema è questa.
    Qualunque dose di droga venga ceduta ad un minore, ove tale azione venga ripetuta nel tempo, può configurare il reato di spaccio aggravato (ai sensi dell'art. 80 comma 1) e fare si che venga esclusa l'attenuante dell'ipotesi lieve (quella prevista dall'art. 73 comma 5).
    Ciò in quanto il giudice può ritenere che il fatto di cedere ad un minore costituisca una condotta di elevata gravità.
    Si tratta di una sintesi molto grossolana....

  5. #25
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    Terza Sezione Corte di Cassazione sent. n. 25806/13 ud. 27 marzo 2013, dep. il 12 giugno 2013.

    La sentenza richiamata merita attenzione sotto due principali profili.
    Il primo riguarda la circostanza che la presenza di elementi usualmente ritenuti dalla giurisprudenza, quali indicatori sintomatici di una possibile destinazione, della sostanza stupefacente detenuta, ad una attività di spaccio, quali sono ad esempio bilancino di precisione e ripartizione in dosi della droga,è stata considerata, dal giudice di primo grado, efficacemente contrastata dal fatto che il quantitativo di stupefacente sequestrato, fosse ricoverato in casa dell'imputato e che difettassero, nella fattispecie altri dati che potessero essere rivelatori di una condotta illecita.
    Tale opinione si è venuta proficuamente a formare, nel caso che ci occupa, nonostante il quantitativo non fosse collocabile a livelli di modicità assoluta, in quanto si trattava di complessivi gr. 42,7 di hashish.
    La Suprema Corte, cui la difesa dell'imputato si era rivolta, dopo che la Corte di Appello - su impugnazione del PM - aveva, a propria volta, riformato l'originario giudizio di assoluzione, condannando, quindi, l'imputato, ha, invece, confermato la validità e la plausibilità dell'impostazione seguita dal giudice di prime cure.
    E' di tutta evidenza, quindi, che i giudici di legittimità hanno fedelmente applicato quel consolidato principio che esclude che si possa operare una presunzione di destinazione allo spaccio della sostanza detenuta, sopperendo, così all'assenza di precisi e puntuali elementi di prova a carico dell'imputato.
    Dunque, per l'ennesima volta, viene autorevolmente disatteso quell'orientamento giurisprudenziale -, peraltro, coriacemente riproposto da molti PM - che vorrebbe interpretare, discutibilmente, il disposto dell'art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, come espressione di una presunzione contro l'imputato, determinando, così, già in origine un'inammissibile inversione dell'onere delle prova.
    Secondo questa tesi non sarebbe, dunque, la pubblica accusa a dovere provare la colpevolezza, bensì l'imputato la propria estraneità al fatto illecito addebitatogli.
    Va, inoltre, rilevato che l'inquisito, nella fattispecie, non era rimasto processualmente inerte perché egli aveva adempiuto al principio del difendersi provando, azionando la facoltà di dimostrare, a confutazione delle tesi di accusa, certificando la propria capacità economica, attraverso il deposito del CUD.
    In tal modo egli aveva dimostrato inequivocabilmente la propria titolarità di redditi leciti da lavoro, elemento di natura storica, che sempre appare idoneo ad orientare favorevolmente il giudizio, potendo escludere sul piano logico la necessità di una successiva attività di spaccio, per fronteggiare il fabbisogno della persona.
    In secondo luogo, si sottolinea che la Corte di Cassazione ha precisato che la sentenza di appello che concluda il relativo giudizio con una pronunzia di riforma in pejus (condanna) dell'originaria assoluzione, senza che emerga che (da parte della Corte di Appello) siano stati obbiettivamente valutati o valorizzati elementi di prova nuovi od inediti rispetto a quelli considerati nel corso del processo di primo grado (e che avevano portato alla assoluzione dell'imputato) deve fornire una motivazione particolarmente approfondita, la quale confuti, in maniera convincente, l'indirizzo espresso dal giudice di prime cure.
    Si legge testualmente, nella sentenza della Terza Sezione che, l'evenienza di una riforma così radicale del decisum "....impone al giudice di argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o di inadeguatezze probatorie...".
    Viene così ribadito dalla S.C., ed in modo assai convincente, il dovere attribuito al giudice, che ritenga di dovere disattendere l'esito del giudizio di primo grado - risoltosi favorevolmente per l'imputato - di dare, però, corso e corpo ad una motivazione, che non si limiti ad assolvere ad una funzione esplicativa di carattere per cosiddire usuale, normale o di maniera, dunque, "notarile", bensì di fornire una profonda e persuasiva contezza della propria decisione, proprio per il profilo di radicale modifica che connota la stessa.
    La spiegazione dell'iter ideativo, quindi, deve dimostrare - al di là di ogni ragionevole dubbio - che la soluzione adottata, non costituisca una mera e possibile interpretazione alternativa, ma si ponga, invece, come effettivamente unica ipotesi logico-giuridica perseguibile.

  6. #26
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    Desidero informarvi che pubblicherò commenti relativi a tematiche di guida in stato di ebbrezza, perché tale questione e' del tutto assimilabile alla guida sotto l'effetto di stupefacenti e cercherò di informarvi sulle regole di comportamento relative.

  7. #27
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    Quarta Sezione Corte di Cassazione sent. 37743/13 del 28.5.2013

    IN MATERIA DI GUIDA IN STATO DI EBBREZZA O DI INTOSSICAZIONE DA STUPEFACENTI

    Una delle novità più salienti introdotte con le recenti modifiche apportate all'art. 186 CdS, si rinviene nel testo del comma 2-bis.
    Esso prevede, infatti, una circostanza che aggrava la pena base prevista per la guida in stato di ebbrezza e che recita testualmente : "Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell'articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all'illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222."
    Tale norma trova puntuale ed omologa previsione nel testo del successivo articolo 187 1-bis : "Se il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 1 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dal settimo e dall'ottavo periodo del comma 1, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222..
    Or bene, la ulteriore condizione oggettiva che viene necessariamente richiesta in abbinamento a quella basilare soggettiva, o della ebbrezza alcolica o dell'alterazione da stupefacenti, per ritenere operative le circostanze aggravanti in oggetto, consiste nella condotta di avere provocato un incidente stradale, vale a dire di essere il soggetto attivo e diretto nella causazione dell'evento dannoso.
    La verificazione dell'incidente stradale (ed ogni sua conseguenza dannosa), quindi, deve essere imputabile, sul piano esclusivo, al soggetto imputato (o della violazione dell'art. 186 , oppure di quella dell'art. 187 CdS).
    Il caso di specie, invece, proponeva alla valutazione dei Supremi giudici una digressione rispetto all'originaria previsione fattuale, posto che all'imputato-ricorrente veniva contestato il "coinvolgimento" nell'incidente stradale.
    Vale a dire che la descrizione del comportamento in base al quale è stata formulata l'ipotesi di reato attribuita al ricorrente ha prestato il fianco ad una evidente censura del Collegio di legittimità.
    In primo luogo, la critica ha trovato ragion d’essere perché, esaminando l’imputazione sul piano puramente lessicale, si deve rilevare la presenza di un'assoluta improprietà (l'uso dell'espressione "essere coinvolto" in luogo di quella "avere provocato" - la quale riverbera indubbi effetti anche in punto di diritto -.
    E’, infatti, del tutto pacifico che la previsione normativa di aggravamento sanzionatorio della pena base (in entrambi i reati) debba rimanere circoscritta alla condotta di chi cagiona, per propria responsabilità e colpa un sinistro.
    L’atto di cagionare, dunque, inteso come gesto di natura indubbiamente colposa.
    Esso, però, trova il suo fondamento, sia fattuale che giuridico, in un comportamento attivo dell'individuo, che si ponga come violazione di uno tra i plurimi precetti normativi del CdS e ne sia diretta conseguenza.
    In secondo luogo - ed in stretto legame logico con il principio sopra affermato - la Corte di legittimità precisa, inoltre, che, comunque, la situazione di chi è coinvolto in un incidente stradale non può (e non deve) formare oggetto di confusione con quella di chi lo provoca.
    Dopo avere risolto, infatti, agevolmente il dato puramente formale e tassativo dell’individuazione della condotta oggetto della previsione contenuta dall’aggravante, la Corte di Cassazione affronta, quindi, anche il tema concernente l'evidente impossibilità di conferire analogo significato alle due distinte condotte.
    Sotto questo ultimo specifico profilo, il Collegio afferma – in maniera tanto lapidaria, quanto convincente - che ove si ritenesse di operare un’eventuale equiparazione fra soggetto che provoca e soggetto che viene (incolpevolmente e suo malgrado) coinvolto in un sinistro, ci troverebbe dinanzi ad “un’inammissibile ipotesi di analogia in malam partem”.
    Tale divieto, deducibile dall’art. 25 comma 2° Cost., trova fondamento nel fatto che tale forma di analogia contrasta in tutta evidenza con le esigenze garantistiche del principio di legalità e, soprattutto, quello di tassatività.
    Vale a dire, quindi, che sarebbe inaccettabile tanto nel nostro ordinamento giuridico, che nel nostro sistema legislativo, riconoscere la possibilità di estendere gli effetti punitivi di una norma incriminatrice di natura penale, rivolta, quindi, a sanzionare specifiche condotte, anche nei confronti di altri comportamenti o (situazioni), che seppure simili, non siano espressamente previsti ex lege.
    Ulteriore conferma dell’assunto, si ricava, inoltre, esemplificativamente dal testo degli artt. 1 e 199 c.p., che sanciscono il principio per cui nessuno può essere sottoposto a pena o a misura di sicurezza se non sulla base di una norma di legge e dall'art. 25 della Cost. secondo cui: "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".
    Tornando conclusivamente alla sentenza in commento, appare, quindi, del tutto incontroversa e pacifica l’esaltazione dell’infungibilità e dell’inconfondibilità interpretativa del verbo “provocare” (l’incidente), il quale, pertanto, configura l’unica condotta in capo alla quale viene riconnesso il trattamento sanzionatorio aggravato in relazione agli artt. 186 comma 2-bis e 187 comma 1-bis Cds.
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 17-09-13 alle 21:47

  8. #28
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    Quindi se non ho capito male,se uno passa con il rosso e si pianta in macchina mia,non è più colpa mia anche se positivo al thc?
    Chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da Dantep Visualizza Messaggio
    Quindi se non ho capito male,se uno passa con il rosso e si pianta in macchina mia,non è più colpa mia anche se positivo al thc?
    Caro Dantep voglio essere preciso.
    La sentenza è importante perché permette di differenziare fra colui (o coloro) che provoca un sinistro e colui (o coloro) che è coinvolto.
    La prima ipotesi comporta un importante aggravamento di pena, il secondo sino ad oggi assimilato al primo, ora non più, perché è cosa differente provocare e subire.
    Sia chiaro che se lei risulta positivo al thc e guida, non può sfuggire alla contestazione del reato di cui all'art. 187 ma non subirà il pesante aggravamento di pena, se l'incidente non è avvenuto per sua colpa o responsabilità.
    Spero di essermi spiegato, diversamente fatemelo sapere

  10. #30
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    Citazione Originariamente Scritto da Avv. Zaina Visualizza Messaggio
    Caro Dantep voglio essere preciso.
    La sentenza è importante perché permette di differenziare fra colui (o coloro) che provoca un sinistro e colui (o coloro) che è coinvolto.
    La prima ipotesi comporta un importante aggravamento di pena, il secondo sino ad oggi assimilato al primo, ora non più, perché è cosa differente provocare e subire.
    Sia chiaro che se lei risulta positivo al thc e guida, non può sfuggire alla contestazione del reato di cui all'art. 187 ma non subirà il pesante aggravamento di pena, se l'incidente non è avvenuto per sua colpa o responsabilità.
    Spero di essermi spiegato, diversamente fatemelo sapere
    Si si,indubbiamente il reato di colpevole alla guida sicuro,ma è già un passo avanti non avere colpe a prescindere se non si è CAUSA,ma VITTIMA di incidente
    Chi ha paura muore ogni giorno,chi non ha paura muore una volta sola

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