Poche annotazioni – quasi istantanee – in ordine alle motivazioni della storica sentenza della Corte Costituzionale dello scorso 12 febbraio, fatta, comunque, salva la riserva di ritornare in maniera più doverosamente approfondita e ponderata sull’argomento.
Appare evidente che il ragionamento che sottende alla decisione e che ha comportato la declaratoria di incostituzionalità della L. 49/2006, conferma un giudizio di pesante bocciatura delle procedure con le quali il governo dell’epoca ha disinvoltamente ritenuto di potere innovare una materia complessa e delicata come quella degli stupefacenti, bypassando sfacciatamente il Parlamento, sotto due profili.
Il primo di questi due profili concerne la scelta di ampliare indebitamente – in sede di legge di conversione - il contenuto dell’art. 4 del Decreto Legge 272/2005, inserendo, così, tutta una serie di disposizioni che, concepite ex novo (non costituendo esse alcun tipo di emendamenti) non presentavano alcun collegamento di omogeneità e di interrelazione funzionale con quelle originarie norme contenute nel decreto legge e, in pari tempo, introducevano inammissibilmente tutta una serie di modifiche allo stato inedite.
Il secondo profilo attiene, invece, al sistematico ricorso al voto di fiducia, definito felicemente in sentenza come procedimento di voto bloccato, che ha frustrato qualsiasi tentativo di un confronto dialettico, maggioranza ed opposizione, sia sulla procedura, che sul merito.
Con il voto di fiducia, si impediva, inoltre, qualsiasi forma di voto frazionato, cioè di suffragio su parti del decreto legge.
Sotto il paravento della necessità di finanziare le Olimpiadi di Torino è stato creato un meccanismo perverso, in base al quale il mancato voto a parti del decreto (ad esempio quelle sugli stupefacenti) avrebbe determinato la caducazione completa del provvedimento, con danni irreparabili perché i giochi olimpici avrebbero potuto non essere disputati.
Conseguenza naturale, quindi, alle eccezioni mosse, è apparsa quella di ritenere costituzionalmente illegittima sia la norma che modificava totalmente l’art. 73 (art. 4 bis), sia quella che introduceva – attraverso qualche decina di commi – modifiche di varie portata, tra cui l’unificazione delle originarie quattro tabelle di cui all’art. 14 (art. 4 vicies ter).
Dinanzi a questi vizi genetici e strutturali della L. 49/2006, appare evidente che la eccezione riguardante in maniera specifica e dettagliata la unificazione delle sanzioni per tutte le sostanze (a seguito dell’unificazione delle tabelle) è rimasta ovviamente assorbita nella più ampia questione procedurale.
Ciò, però – molto diversamente da quanto tentato di sostenere in ambienti proibizionisti e, da uno dei fautori della legge caducata, l’on. Giovanardi – non significa affatto che la Corte abbia dato un implicito giudizio di favore e di accettazione all’indirizzo repressivo-giustizialista trasfuso nella riforma degli artt. 14 e 73, da parte della L. 49/2006, tutt’altro, anzi.
Il Giudice delle Leggi ha, invece, pesantemente stigmatizzato la assenza di un approfondimento e di una verifica referente necessaria e richiesta dall’art. 72 comma 1° Cost., dibattito che – si dice espressamente – una materia così importante avrebbe dovuto richiedere.
E’, dunque, lecito interpretare il pensiero dei giudici costituzionali, nel senso di ritenere le modifiche apportate con la L. 49/2006 del tutto frettolose, approssimative e non adeguatamente ponderate, in relazione al tipo di correzioni che venivano apportate alla L. JERVOLINO-VASSALLI.
Vale a dire che una rivoluzione epocale, quale quella che modificava strutturalmente e radicalmente il regime sanzionatorio e le metodiche penali, che si basavano sulla rigida distinzione tabellare delle sostanze, non avrebbe mai potuto essere compiuta sulla base di un vero e proprio “sotterfugio” normativo.
Apparentemente sarebbe, rimasto, dunque, irrisolto il dubbio in ordine alla costituzionalità dell’accorpamento sotto un’unica sanzione delle condotte relative a tutte le sostanze (pesanti o leggere).
Reputa, però, chi scrive che – leggendo tra le righe – si debba cogliere l’impostazione fondamentale della Corte, che – come detto – può legittimare l’idea di ulteriore errore de legislatore.
Essa risulta, infatti, ispirata ad un profondo rispetto ed ad una adesione alle linee guida dettate dalla legislazione comunitaria, (ed in particolare per la decisione quadro dell’Unione Europea 757/GAI/2004) la quale viene evocata (pg.6) quale, direttiva, che “fissa norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati ed alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, richiedendo che in tutti gli Stati membri siano punite alcune condotte intenzionali, allorchè non autorizzate, fatto salvo il consumo personale, quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali”.
Se queste sono, quindi, le fondamenta del ragionamento della Corte, allora non si può dimenticare che il punto 5) della Premessa della direttiva 757/GAI/2004 afferma che “…Gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, comprendenti pene privative della libertà (concetto ripreso anche all’art. 4 n.d.a) . Per stabilire l'entità della pena, si dovrebbe tener conto degli elementi di fatto quali i quantitativi e la natura degli stupefacenti oggetto di traffico e l'eventuale commissione del reato nell'ambito di un'organizzazione criminale….”
Non è, quindi, casuale che la UE subordini la quantificazione della pena – tra l’altro – espressamente proprio alla natura degli stupefacenti oggetto di traffico.
La locuzione usata dimostra, pertanto, come sia avvertita la necessità di operare distinzioni fra le varie sostanze, in base alla loro diversa offensività.
Le droghe leggere sono diverse da quelle pesanti e questa distinzione, che deve – quindi – produrre anche effetti di diritto sostanziale costituisce un elemento assolutamente incontrovertibile.
La condotta relativa alla cannabis non può, quindi, venire sanzionata come quella connessa con la cocaina o l’eroina.
E’, forse questo, un concetto che i proibizionisti vorranno stravolgere?