Il termine “enteogeno” è un neologismo che deriva dal greco antico: entheos, che significa letteralmente “Dio (theos) dentro”, e genesthe, ovvero “generare”. Così enteogeno è “ciò che genera Dio (o l’ispirazione divina) all’interno di una persona”.
Da un punto di vista storico la questione del rapporto tra sostanze enteogene e buddhismo non si era mai posta fino ai nostri tempi. L’ultima delle cinque regole di condotta morale, che sono a fondamento del codice di comportamento sia monastico che laico del theravada, una delle forme di buddhismo più vicine agli insegnamenti delle origini, vieta infatti espressamente l’uso di alcol e droghe in quanto elementi offuscanti per la mente.
Si può però cavillare sul significato di termini come “droga” o “offuscante” e sostenere la capacità di certe sostanze, come quelle enteogene appunto, di acuire, anziché oscurare, la chiarezza della mente.
L’uso di enteogeni nella tradizione buddista Vajrayana è stato infatti documentato da molti studiosi, le cui ricerche hanno stabilito che diverse piante psicoattive sono state sicuramente utilizzate entro contesti limitati nel Vajrayana, e in modo più ampio nelle tradizioni saivita e sciamanica.
Le indagini si sono concentrate principalmente sull’uso degli enteogeni nell’Anuttarayogatantra e specialmente (ma non esclusivamente) nello Yogini-tantra.
I dati che sono più immediatamente evidenti sono i numerosi riferimenti alle droghe-siddhi e ai rasayana elixirs, che contengono datura o cannabis.
Per esempio la pianta di Datura era reputata sacra in Cina, dove le persone credevano che quando Buddha predicava, il paradiso spruzzasse la pianta con la rugiada. E alcune leggende insegnano che Buddha mangiò solamente un seme di canapa per tre anni durante il suo periodo di ascetismo, e che abbia scelto di suicidarsi mangiando un fungo.
Ronald M. Davidson ha osservato che la datura è stata “impiegata come un unguento stupefacente nella cerimonia del fuoco, poiché può essere facilmente assorbita attraverso la pelle o i polmoni”. I semi di questo potente stupefacente, definiti “semi della passione” (candabija), sono potenti enteogeni che contengono alcaloidi della ioscina, iosciamina, atropina nelle forme che sopravvivono al fuoco o al calore. Perfino in dosi moderate la datura può rendere una persona praticamente immobile, in preda
alle allucinazioni.
I rituali homa che si avvalgono della datura sono abbastanza comuni, e sono state trovate informazioni dettagliate su questa droga capace di indurre esperienze visionarie come un metodo per ottenere una conoscenza approfondita della natura del reale.
In linea generale, i riferimenti che sono stati rinvenuti nelle fonti originarie, possono essere suddivisi in tre categorie:
– letteratura primaria (numerosi tantra primari e secondari, commentari originali indiani, e storie e canzoni legate al mahasiddhas tantrico indiano)
– letteratura secondaria (testi rituali di origine tibetana o Newar, vari gter-ma o “testi segreti”, così come commentari della letteratura tibetana)
– moderna ricerca etnologica (studi da parte di ricercatori come antropologi ed etnologi, che documentano l’uso di enteogeni all’interno delle tradizioni Vajrayana tra nepalesi, tibetani, bhutanesi ecc).
Quando queste fonti sono prese insieme, il loro peso lascia poco spazio a dubbi che il Vajrayana abbia avuto una ben documentata tradizione di uso di piante enteogene (soprattutto datura e cannabis), per scopi magico-religiosi e psicospirituali. Nonostante l’uso non sia mai stato particolarmente diffuso, ciò è comunque certamente significativo.
Alan Watts, originale interprete delle filosofie orientali, in particolar modo del Buddhismo Zen, e punto di riferimento della controcultura degli anni ’60, riassume l’effetto prodotto dalle sostanze psicotrope sulla propria coscienza in quattro fondamentali caratteristiche:
1) Concentrazione sul presente (l’abituale attenzione compulsiva per il futuro diminuisce e si diventa consapevoli di quanto sta accadendo nel presente);
2) Consapevolezza della polarità (la vivida comprensione che stati, cose ed eventi che abitualmente riteniamo opposti sono in realtà interdipendenti, come i poli di un magnete);
3) Consapevolezza della relatività (comprensione di essere legati a un’infinita gerarchia di processi e di esseri, dalle molecole agli esseri umani, nella quale ogni livello è soggetto alle medesime infinite relazioni);
4) Consapevolezza dell’en ergia eterna (il sentimento di unità con l’immensa energia, definibile anche come divinità, che permea e costituisce nella sua essenza e nelle sue manifestazioni l’intero universo).
Chi abbia anche solo un po’ di dimestichezza col pensiero buddhista ritroverà in questa visione della realtà fatta di eventi non permanenti ed interdipendenti alcuni dei suoi più noti capisaldi dottrinari, tanto che a Watts sorse il legittimo dubbio che la sostanza chimica non producesse in lui altro che una vivida percezione della sua concezione della realtà. Questo dubbio può essere smentito non solo dal fatto che queste esperienze suggerirono talvolta a Watts qualche cambiamento del suo pensiero precedente, ma anche dal fatto che esse rientrano a pieno titolo nella normale tipologia degli effetti provocati dalle sostanze enteogene.
SD&M
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Pubblicato su Dolce Vita n°20 Gennaio/Febbraio 2009