Nelle ultime settimane il Messico ha subito gli ennesimi, gravi episodi di violenza provocati da una guerra, quella al narcotraffico, che il Paese centroamericano si trova a fronteggiare ormai da diversi anni. Una situazione di emergenza nazionale che spinge alcuni analisti a definire il Messico vicino alla condizione di Stato fallito. Una lotta che appare persa, a causa soprattutto delle abnormi dimensioni economiche del fenomeno.
L’uccisione di tre persone collegate al Consolato statunitense di Ciudad di Juarez, città di confine tra USA e Messico, avvenuta il 14 marzo ed imputata ai narcotrafficanti, è l’episodio più recente che ha riportato l’attenzione dei media internazionali sulla guerra dichiarata dal Messico al narcotraffico. Il Presidente statunitense Obama si è detto “indignato” per l’episodio. Purtroppo, non si tratta di un fatto eccezionale ma di ordinaria quotidianità: tredici morti ad Acapulco pochi giorni dopo; oltre cento morti nel fine settimana successivo; decine di poliziotti trovati cadaveri da Tijuana a Città del Messico a Merida; studenti universitari freddati perché scambiati per narcotrafficanti. Secondo il quotidiano messicano El Universal, dall’inizio del 2010 le vittime della guerra alla droga sono oltre 2.700; 19.000 morti dal 2006 ad oggi. 50.000 soldati e 20.000 poliziotti federali mobilitati dal Presidente Calderon negli ultimi quattro anni non sembrano sufficienti ad arginare il fenomeno, che anzi va aumentando: se nel 2007 le vittime furono 2.700, l’anno scorso sono state 7.700.
La situazione appare così grave che alcuni analisti hanno cominciato a connotare il Messico in termini di Stato fallito, cioè a dire uno Stato nel quale il Governo centrale risulta incapace di esercitare il potere d’imperio in vaste zone del territorio, venendo così a perdere il monopolio dell’uso legittimo della forza. Già nel 2008 il Pentagono, attraverso un rapporto stilato dal United States Joint Forces Command, ipotizzava il rischio ed ammetteva che “il governo, la classe politica ed il sistema giudiziario sono tutti sottoposti a pressione continue da parte di gang criminali e dei cartelli della droga”. Il Presidente Calderon, in una intervista successivamente affermò: “Dire che il Messico è uno Stato fallito è dire il falso […] Io non ho perduto una singola parte del territorio messicano”.
Di certo il Messico ha già perso, almeno per ora, la battaglia contro il narcotraffico. La ragione principale appare una: il giro d’affari generato dalla droga è talmente imponente che il narcotraffico si trasforma da perdita in beneficio sociale per una parte non trascurabile della popolazione messicana. Basti un dato per inquadrare il fenomeno: si stima che i proventi generati dal traffico di droga vadano da 35 a 40 miliardi di dollari, valore equivalente a circa il 4% del Pil messicano. Un bottino immenso che contribuisce al mantenimento di una fetta consistente dell’economia nazionale, sia illegale che legale. Secondo George Friedman, ceo del centro d’intelligence Stratfor, “il Messico è uno Stato fallito solo se si accetta l’idea che il suo obiettivo sia quello di eliminare il narcotraffico. Nel caso in cui si accettasse l’ipotesi che tutta la società messicana tragga dei benefici dall’afflusso di miliardi dollari (malgrado un prezzo da pagare), allora il Messico non può essere considerato uno Stato fallito – seguirebbe una strategia razionale che prevede la trasformazione di un problema nazionale in beneficio nazionale”.
La storia recente del Messico è stata ben descritta da Moises Naim: “Fino a pochi anni fa il Messico era il simbolo del successo dell’America Latina, mentre il Brasile ne rappresentava il fallimento. Oggi accade il contrario”.
di Emanuele Schibotto (fonte: loccidentale.it)