Il principio attivo nelle piantine di cannabis era troppo basso e non era sufficiente per provocare effetti euforici nell’assuntore. Per questo motivo un giovane di Falcade, finito sotto inchiesta per 13 piantine coltivate nel balcone di casa, è stato prosciolto dal giudice Giorgio Cozzarini, prima che si andasse a processo. Protagonista del caso giudiziario P.R.L., 20 anni (difeso dall’avvocato Luca Dalle Mule).
La vicenda risale al 29 agosto 2011 quando i carabinieri della stazione del paese, durante una perquisizione mirata, sequestrarono tredici piantine di marijuana coltivate in vasi nel balcone di casa dell’indagato. Il giovane fu così denunciato a piede libero per la piccola «coltivazione» casalinga di cannabis.
I carabinieri si mossero sulla scorta di alcune voci raccolte in paese, che riferivano di un possibile uso di sostanze “proibite” da parte del ragazzo. I militari sequestrarono la piccola coltivazione e anche materiale pronto all’uso (qualche foglia essicata già staccata e alcune già sminuzzate, raccolte in un contenitore, evidentemente per farne uso).
Il ventenne non si oppose ai controlli e collaborò coi militari al momento della perquisizione senza accampare scuse quando l’Arma gli contestò la presenza di quelle piantine in casa: per lui scattò la contestazione dell’articolo 73 della legge 309/90, la coltivazione di sostanze stupefacenti, con conseguente denuncia penale a piede libero.
I carabinieri requisirono tutto ciò che trovarono e successivamente, su disposizione della procura, vennero effettuate le analisi necessarie per stabilire la percentuale di principio attivo. Le piantine erano in casa, su un balcone. A quanto pare i familiari non si erano accorti di quella presenza «scomoda».
Il colpo di scena, nelle indagini, fu l’esito delle analisi sulle piantine. Il principio attivo di sostanza stupefacente nelle piantine sequestrate era ininfluente ai fini dello “sballo”. Per questo motivo il suo difensore, l’avvocato Luca Dalle Mule, ha depositato in aula una sentenza della Cassazione in base alla quale, pur sostenendo che la coltivazione di cannabis è un reato, se però “l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante” è irrilevante allora cade la contestazione. “Spetta al giudice – si legge -verificare in concreto l’offensività della condotta”.
di Marco Filippi
Fonte: Corrierealpi.gelocal.it