“Se non fosse stato percosso non sarebbe morto”: queste le parole che i medici legali della famiglia Cucchi hanno deposto in tribunale nel corso del processo che dovrebbe l’arduo compito di far luce sulla clamorosa vicenda di Stefano Cucchi, il giovane morto (ammazzato?) dopo un arresto per droga.
Secondo la sorella Ilaria “finalmente alla Corte è arrivata la verità”: sarebbe lapidario, definitivo, il parere dei medici legali incaricati dalla famiglia del giovane; Stefano non cadde dalle scale ma venne pestato a morte: la frattura alla terza vertebra lombare, che nel suo complicarsi ha portato, il 22 ottobre 2009, alla morte di Stefano Cucchi, non è la conseguenza della caduta che lo stesso aveva riferito ai medici dopo l’udienza di convalida dell’arresto.
Paura di ritorsioni, paura di essere nuovamente pestato, paura e basta? Omertà? Sono tanti i motivi che potrebbero aver spinto Cucchi a non rivelare nulla, salvo le poche parole trovate postume, ma la Procura di Roma li respinge al mittente: secondo i periti dell’accusa la frattura alla vertebra sarebbe antecedente l’arresto, nonostante le lesioni e le escoriazioni sugli arti superiori: “colluttazione e indice di difesa” affermano i medici di parte civile.
Insomma, secondo la famiglia “non è possibile che un soggetto così giovane possa aver avuto quello che abbiamo visto dopo una caduta” ed si aggiunge, rincarando la dose, che “l’abbandono” (i nove medici del Pertini, dove venne ricoverato a seguito del “pestaggio”, sono accusati di abbandono di incapace) ha definitivamente compromesso il quadro clinico di Stefano Cucchi.
Fabio Anselmo, avvocato dei Cucchi (ma anche della famiglia Aldrovandi e degli Uva), parla chiaramente di “botte, calci, pugni: insomma un pestaggio” riferendosi alle parole dei medici legali, tuonando: “devono rispondere di omicidio preterintenzionale”.
A.S.B.
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