Ennesimo suicidio dovuto all’arresto per possesso di marijuana. Muore un ragazzo normale, con un diploma di geometra in tasca e una vita tutta ancora da vivere. Sette vasetti di marijuana coltivata in casa e una legge che accomuna consumatori a trafficanti lo hanno ucciso. Non è il primo caso del genere: abbiamo voluto raccogliere tutte le storie simili a questa per non dimenticare, e per sottolineare ora più che mai, quanto questo proibizionismo sia dannoso.
Troviamo scandaloso che a notizie come questa, non vega data la minima rilevanza. Probabilmente perchè siamo in periodo di elezioni (e notizie del genere nuocerebbero alquanto ad alcuni) o perchè il nuovo decreto sulle droghe è in via di approvazione. Vi riportiamo di seguito, l’articolo pubblicato da Il Manifesto riguardo l’ultimo episodio e una raccolta di articoli degli anni precedenti. Vi chiediamo di leggerli ma soprattutto di farli leggere, perchè la gente deve sapere!
Pantelleria – 24 marzo 2005
I carabinieri gli piombano in casa, trovano alcuni vasetti con la marijuana appena germogliata e fanno scattare subito le manette. Il giorno dopo Giuseppe A. legge il suo nome sui giornali, assieme a quelli di altri ragazzi arrestati per qualche pasticca di ecstasy e di altri ancora che abitano in un’altra città al di là del Canale di Sicilia, che con lui hanno in comune solo l’età. L’impatto è micidiale. I genitori, anziani coltivatori, sono sconvolti. Il figlio è un “drogato”. A Giuseppe crolla il mondo addosso. Prende una corda, la lega forte al soffitto e si lascia andare. Così muore un giovane di 23 anni. Così muore un ragazzo normale, con un diploma di geometra in tasca e una vita tutta ancora da vivere. Sette vasetti di marijuana coltivati in casa e una legge che crea tossicodipendenti e accomuna consumatori a trafficanti lo hanno ucciso. Giuseppe non ha retto all’onta, si è impiccato, soffocato dalla morale proibizionista che trasforma ragazzi normali in “mostri”, che li sbatte sui giornali, accanto a mafiosi e criminali. Il corpo di Giuseppe è stato trovato domenica dal fratello, un ragazzino di appena 18 anni che probabilmente non si libererà facilmente di quell’immagine di morte. Agli anziani genitori rimarrà il rimorso di un figlio perso. Pantelleria è sotto choc. I suoi amici lo hanno pianto ai funerali che si sono svolti lunedì pomeriggio nella chiesa di Scauri, la contrada dove si trova la casa della famiglia di Giuseppe. “Era un ragazzo per bene, tranquillo (ricorda Walter Pane). Ho avuto modo di conoscerlo quando ha fatto alcuni lavoretti a casa mia. Era geometra, ma per guadagnare un pò di soldi a volte faceva il manovale. E’ assurdo che un ragazzo arrivi a questo punto per una legge sbagliata che demonizza tutti senza alcuna distinzione”. Giuseppe lavorava in uno studio e si dava da fare per aiutare la famiglia e soprattutto il padre, rimasto senza una gamba a causa di un potente diabete. Negli occhi dei suoi genitori ha visto la delusione, dettata dall’ignoranza e da una cultura sbagliata alimentata anche da leggi che determinano false morali.
Chiuso in casa, dov’era agli arresti domiciliari, è stato stritolato da un macigno di infamità e quando i carabinieri gli hanno comunicato che il giorno dopo sarebbe stato condotto a Trapani per il processo per direttissima, ha pensato di farla finita. Chissà cosa gli sarà passato per la testa. E’ uscito di casa, al bar ha incontrato alcuni amici, un modo per dare l’ultimo saluto, e rientrato in tempo per pranzare con gli anziani genitori. Poi nel silenzio e nella solitudine il gesto estremo. “Non si può morire a 23 anni per alcune piantine di marijuana – dice ancora un suo amico – Pantelleria è un’isola contadina, non è quella del turista che viene solo d’estate. Bisogna creare un movimento ampio di riflessione attorno a questi fenomeni. Da mesi sull’isola è in atto una caccia alle streghe”. Nel 2004 come si legge nei bollettini dei carabinieri sono state arrestate 30 persone e 80 sono state segnalate alla prefettura come consumatori di droga. “Purtroppo quello di Giuseppe non è il primo caso – spiega Francesco Piobicchi, responsabile nazionale del Prc sulla questione delle droghe – La sua vicenda è frutto di una morale proibizionista creata dal centrodestra e contro cui il centrosinistra deve schierarsi con argomenti seri e non in maniera altrettanto morale come fanno coloro che parlano di consumo zero”. E il problema non è fermare la legge Fini che inasprisce le pene, sostiene Rifondazione, ma contrastare “una cultura sbagliata alimentata anche dall’attuale legge”.
Alfredo Pecoraro (fonte: Il Manifesto)
CASI SIMILI
Giugno 2004 – Morire per uno spinello
Cristian Brazzo aveva 21 anni, faceva l’operaio e viveva a Vigodarzere, un comune alle porte di Padova. Una sera d’estate come tante altre, gli amici, la macchina e tre grammi di hashish. Poi qualcosa va storto, un controllo di routine dei carabinieri, il sequestro del “fumo”, l’accompagnamento in caserma. Nulla di grave, nulla di irreparabile, ma la vergogna monta inesorabile e il timore di essere considerato un “drogato” da familiari e compagni di lavoro è un peso troppo grande per un ragazzo “normale” come lui. Per questo quella sera, il 24 giugno scorso, Cristian non torna a casa, nonostante telefoni alla mamma per avvertirla del ritardo con cui sarebbe rincasato. E’ l’ultima volta in cui qualcuno sente la sua voce. Poi il ritrovamento della macchina, quella stessa notte, nei pressi del fiume Brenta e il sospetto che qualcosa di irrimediabile sia accaduto comincia a farsi strada, inesorabile. La conferma meno di una settimana dopo, quando il fiume Brenta restituisce il suo giovane corpo privo di vita.
E’ morto per tre grammi di hashish, poco più di uno spinello, una quantità che non uccide nessuno, ma la vergogna in una società perbenista può essere più letale di qualunque sostanza tossica. E così è stato. E pensare che Cristian, per la legislazione attuale, aveva commesso insieme ai suoi amici solo un’infrazione amministrativa. Mi chiedo cosa succederà quando detenere poco più di una canna diventerà – grazie alle proposta di legge Fini – un reato penale che prevede dai 6 ai 20 anni di carcere. Una follia! Immaginate cosa potrà accadere a migliaia di ragazze e di ragazzi, potenzialmente a milioni di cittadini italiani (visto il numero di consumatori abituali o saltuari di droghe leggere), quando e se entrerà in vigore una legge assurda, ideologica, insensata. Invece di colpire i grandi trafficanti di stupefacenti la destra vuole perdere tempo, forze, intelligence di polizia per inseguire e perseguitare ragazzi, spesso giovanissimi, che non compiono alcun reato e ciò che fumano è sicuramente meno pericoloso e dannoso (secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) dell’uso di droghe legali quali l’alcool e gli psicofarmaci.
Così, in un Paese in cui si possono rubare milioni di euro ai risparmiatori falsando i bilanci senza temere nulla, vista la depenalizzazione di questo gravissimo reato, rischia di iniziare una caccia alle streghe dalle conseguenze inimmaginabili. In tutto il mondo civile gli addetti ai lavori, spesso gli stessi rappresentanti delle forze dell’ordine, hanno compreso – lavorando sul campo – che la repressione verso i consumatori non porta nessun risultato nella lotta contro la droga. Solo la prevenzione, l’educazione nelle scuole, la promozione di stili di vita sani, interventi sociali in grado di sanare situazioni familiari difficili, spesso disperate, possono allontanare giovani e meno giovani dall’abuso di sostanze stupefacenti. Il tutto accompagnato ad una politica di riduzione del danno, in grado di eliminare per i tossicodipendenti i rischi legati all’overdose, all’Aids e ad altre mortali malattie. Nulla di tutto questo interessa la destra, che ritiene sbagliata qualsiasi politica di prevenzione e si avvicina al problema solo con una logica punitiva, che fa sempre danni gravi, a volte irreparabili, come nel caso del giovane ragazzo di Vigodarzere.
La criminalizzazione, il proibizionismo sono buoni solo a portare qualche voto in più, ma non risolvono nessun problema. Lo dimostra la storia, basti pensare al proibizionismo americano contro l’uso dell’alcool. Mi domando poi come mai, in questo Paese, si dovrebbe finire in galera per una canna, mentre nelle tv berlusconiane e in quelle Rai vanno in onda decine di spot pubblicitari che invitano a consumare bevande superalcoliche, che fanno morire – per abuso – decine di migliaia di persone ogni anno, senza contare le morti causate dagli incidenti stradali.
Ho sperato fino alla fine, con tutto il cuore, che quel ragazzo “scomparso” si fosse limitato a fare una lunga passeggiata per trovare le parole giuste, in grado di spiegare ai suoi genitori che non c’era nessun motivo per vergognarsi di lui. Non è uno spinello che fa la differenza tra un bravo ragazzo e un poco di buono. Ma la generosità, le amicizie, la coerenza, la disponibilità ad aiutare gli altri sono l’unico metro in grado di misurare lo spessore di una persona. Purtroppo Cristian non se l’è sentita di spiegare questa semplice verità ai genitori, non ha trovato la forza per mandare a quel paese i bacchettoni, pronti a criminalizzarti per uno spinello. Ha scelto di morire pur di non sopportare l’etichetta che i ben pensanti sono sempre pronti ad attaccarti addosso, come fossi un vestito esposto in vetrina. Non trovo più parole per rendere giustizia a questo ragazzo. Non trovo più parole per invitare tutti a riflettere su temi troppo delicati per consentire a chiunque il ricorso a ricette facili e banali. (fonte: L’Unità)
Agosto 2003 – Accusato di spaccio si impicca a 26 anni
Tragica conclusione di una vicenda giudiziaria: il corpo scoperto dalla madre
Alla vergogna dell’arresto per droga non ha retto. E così ha scelto un pomeriggio livido di settembre e il campo di calcio di Isolabella, il paese dove viveva, dove tutti lo conoscevano per morire. Ha preso la cintura dei suoi jeans, l’ha legata alla recinzione e si è impiccato. Marco Pettinato, 26 anni, abitava in via Valfenera 7 a Isolabella, un minuscolo Comune di 350 anime ad una manciata di chilometri da Poirino. A trovarlo è stata la madre che lo cercava disperata da ore, dopo che non si era fatto vedere a pranzo. Uno strazio, un dolore insostenibile. E’ stata lei a dare l’allarme al 118. Le squadre della Croce rossa di Poirino sono arrivate subito a sirene spiegate, ma il suo cuore aveva già smesso di battere e non c’era più nulla da fare. Sono intervenuti anche i vigili del fuoco di Chieri e i carabinieri, ma Marco era già morto. Senza vita, sotto la pioggia, lo ha trovato il padre che è corso subito al campo di calcio dopo che lo avevano cercato sul lavoro all’Embraco di Riva di Chieri. Marco Pettinato, tre mesi fa era stato arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, il tribunale lo aveva condannato a quattro mesi, ma in carcere era rimasto solo qualche giorno poi era tornato a casa con i genitori. In paese tutti lo conoscevano come un bravo ragazzo, lavorava al Prosciuttificio Rosa, ed era presidente della Pro Loco. «Il suo arresto ha sorpreso tutti – racconta una vicina -. Io non sapevo niente della droga, non voglio dire nulla. Penso solo al dolore della mamma e del papà: era il loro unico figlio».
Ai carabinieri era stato segnalato uno strano via vai di ragazzi nei locali della Pro Loco e durante una perquisizione erano saltate fuori delle bustine di hashish nascoste in un ripostiglio del salone, sotto gli uffici del Municipio, dove si ritrovano i ragazzi di Isolabella. Alcuni grammi di marijuana Marco li aveva con se nel giubbotto e sono scattate le manette.
In un paese minuscolo dove non ci sono nemmeno i bar, quel salone è l’unico posto dove i giovani ascoltano un po’ di musica, scherzano, si incontrano. Marco era il loro leader: organizzava lui le feste del paese, aveva inventato anche l’«Autan Party», il Comune gli aveva affidato le chiavi della Pro Loco e del campo di calcio che ieri sera ha scelto per farla finita. Non riusciva a superare la vergogna: tutti sapevano dell’arresto, troppo piccola Isolabella per farsi dimenticare, per evitare i pettegolezzi, le occhiate cariche di insinuazioni, le battute di cattivo gusto. Aveva tentato di riprendere la sua vita di sempre, ma non era facile. Era tornato al lavoro, aveva organizzato la festa del paese il 20 agosto, però la depressione lo tormentava. Da tre giorni non si faceva vedere al lavoro, era silenzioso, chiuso in sè stesso anche a casa. Poi ieri pomeriggio ha camminato chissà quanto prima di arrivare al campetto da calcio, si è fermato davanti al muro di recinzione e ha deciso di fare silenzio dentro di sé. (fonte: La Stampa)
2003 – Suicidio di un venticinquenne
Alessandro Maciocia, un giovane ragazzo che si è suicidato con i gas di scarico della propria automobile.
Il giovane si è tolto la vita dopo essere stato implicato in una vicenda giudiziaria per concorso in spaccio di droga: in una lettera trovata sul cruscotto prima di morire ha scritto «Non c’entro niente». Il giovane era stato fermato dalle forze dell’ordine con in tasca 2,5 grammi di hashish. Insieme a lui c’era anche un altra persona, minorenne, trovata in possesso di 250 grammi di hashish. (…) (fonte: Antiproibizionisti.it)
2003 – Bruno Bardazzi di 21 anni si è tolto la vita dopo essere stato fermato e denunciato perche’ trovato in possesso di pochi grammi di hashish. (fonte: ADUC.it)