Poichè vi è molta attenzione sul tema della coltivazione di piante di cannabis da cui derivare sostanze stupefacenti o psicotrope, mi permetto di svolgere alcune osservazioni di pura natura processuale.
Desidero fornirvi informazioni giuridiche per difendersi correttamente e senza sotterfugi.
Fatta la premessa che, allo stato, nonostante qualche sentenza di segno favorevole, l'attività coltivativa rimane tassativamente una condotta sanzionata penalmente dall'art. 73 comma 1 dpr 309/90, credo che chi incappi nelle maglie della giustizia debba avere qualche indicazione di carattere difensivo.
Per vero, quello che sto per dire dovrebbe maggiormente interessare gli operatori del diritto, in senso stretto (avvocati o magistrati), ma ritengo che un patrimonio di informazione, anche se tecnica, non debba rimanere circoscritto a pochi.
Ritengo che la prima cosa che si debba fare quando la persona subisce una perquisizione sia quella di chiedere immediatamente (e prima che inizino le operazioni) di avvalersi di un difensore, di modo che vi sia un controllo sulla conformità della perquisizione ai dettami di legge.
Soprattutto, credo che in questa fase sia opportuno controllare cosa i verbalizzanti effettivamente sequestrino.
Sovente, infatti, succede che non venga sequestrata la parte di pianta rilevante ai fini del procedimento (foglie od infiorescenze), ma che oltre al fusto, addirittura vengano prelevate le radici con annesse - talvolta- zolle di terra.
Il tutto viene pesato e il peso lordo così (impropriamente) ricavato viene altrettanto impropriamente addebitato all'indagato nel capo di accusa, si da giustificare l'adozione di una misura cautelare e dell'arresto.
Se, quindi, gli agenti pesano quanto sequestrato in vostra presenza pretendete che a verbale venga inserita una vostra dichiarazione dove contestate il peso delle piante ed il tipo di parti della piante che si sequestrano.
E' molto importante fare ciò (che è un vostro diritto) perchè sin dall'inizio si deve cercare di stabilire il rispetto della correttezza delle regole del gioco.
Altro aspetto che reputo di significativa importanza consiste nel verificare che la descrizione della piante sia effettuata in modo rigorosamente aderente alla realtà.
Quindi, vi deve essere indicazione esatta dell'altezza, esatto stato di germinazione, corretta descrizione del luogo e delle modalità di rinvenimento della pianta (o piante), tipo modo di invasamento, luogo esatto etc. .
si deve poi richiedere subito che venga disposta una consulenza tecnica tesa a verificare la percentuale di THC contenuta nelle piante.
Mi rendo conto che può trattarsi di una strategia processuale che potrebbe in qualche maniera portare ad assumere una prova a sfavore, ove il THC si rivelasse - all'esito della perizia - di livello elevato rispetto alla normalità.
Osservo, però, che
1. la consulenza nel 95% dei casi viene disposta d'ufficio dal PM ai sensi dell'art. 359 cpp (senza contraddittorio con l'indagato)
2. è necessario partecipare materialmente e processualmente alla consulenza per potere verificare le modalità con cui la stessa viene svolta e contraddire se del caso.
E qui subentra l'ultimo consiglio che, per ora mi permetto di dare.
Sappiate che le metodiche peritale usate allo stato non sono sempre corrette.
Ciò non avviene per malafede, ma soprattutto per ignoranza.
Or bene se vengono sequestrate più piante l'analisi, purtroppo,comunemente, si sofferma sull'eventuale THC che globamente può essere ricavato dall'insieme delle piante.
Questo è un metodo sbagliato!!!!!
Va contestato.
La perizia in materia di coltivazione deve essere svolta allo scopo di verificare l'idoneità di ogni singola pianta a produrre THC!
L'esame si deve incentrare su ogni pianta, perchè non tutte possono avere la stessa capacità ed attitudine a produrre THC e, dunque, può succedere che talune di esse non debbano essere tenute in considerazione ai fini dell'imputazione.
Non si può operare la somma aritmetica dei singoli THC!
La Cassazione, infatti, ha escluso la rilevanza penale della coltivazione quando le piante rinvenute contengano un THC di basso livello, che risulti insufficiente a produrre effetti droganti concreti (percentuale fino a 0,3%).
Capita spesso che nel contesto di coltivazione di una pluralità di piante, una parte significativa non raggiunga quel limite minimo.
Secondo aspetto che riguarda la perizia.
L'eventuale THC presente nelle piante non va calcolato in funzione delle dosi medie giornaliere ricavabili (mg. 25), quanto piuttosto in funzione della quantità massima detenibile (mg. 500).
E' di tutta evidenza la circostanza che la d.m.g. serve solo in presenza di situazioni di spaccio.
La coltivazione, invece, va assimilata alla detenzione e, dunque, il parametro deve essere diverso.
La q.m.d. è canone di valutazione introdotto proprio con la L. 49/2006 (una delle pochissime cose buone di questa legge) per permettere di creare un coefficiente di individuazione del quantitativo massimo di principio attivo astrattamente detenibile.
Chiunque può capire, inoltre, che utilizzare un criterio pari a 500 mg appare certamente più favorevole di quello impostato su mg. 25.
Spero di essere stato chiaro, ma se non lo fossi stato parliamone e ditemelo.