La deriva del Movimento 5 Stelle
Ciao ragazzi, ho trovato questa, trovo, lucida analisi: cosa ne pensate? Siamo davvero nella merda, comunque vada?
Siamo intervenuti più volte in passato, per discutere pregi e limiti del Movimento 5 Stelle. Abbiamo sempre detto che la mancanza di democrazia interna del Movimento ci sembrava un grave problema, che avrebbe potuto pregiudicarne le grandi potenzialità. Le ultime vicende, con l'espulsione dei “dissidenti” decisa da Grillo e il pedissequo allineamento su tali scelte di alcuni importanti esponenti del Movimento, ci sembra segnino un punto di non ritorno, sia nella sostanza sia nella forma. Della sostanza parleremo fra poco. Per quanto è della forma, fa sorridere sentire Grillo dire “abbiamo una battaglia, abbiamo una guerra” per giustificare l'espulsione dei dissidenti: è esattamente lo stesso argomento usato da tutti i gruppi di potere per giustificare il rifiuto della discussione, dai fascisti che intimavano “taci, il nemico ti ascolta!” ai comunisti che si rifiutavano di discutere dei crimini di Stalin “per non fare il gioco dei capitalisti”. Allo stesso modo, colpisce vedere gli esponenti del Movimento, nelle due interviste citate, rispondere alle accuse di scarsa democrazia interna affermando che anche gli altri partiti non sono granché democratici: ed è facile ribattere “ma voi non dovevate essere migliori degli altri? Non siete nati appunto per sostituire il sistema dei vecchi partiti con qualcosa di meglio?”
Ma veniamo adesso alle questioni di sostanza. Proviamo a spiegare nella maniera più chiara possibile perché siamo convinti che, su queste basi, il Movimento 5 Stelle non potrà realizzare gli ideali che sostiene, e anzi rappresenterà un ulteriore elemento di delusione e allontanamento dalla politica. Dovremo essere un po' “didattici”. Diremo in sostanza cose piuttosto banali, per chi abbia qualche notizia sugli ultimi tre secoli di storia della politica e del pensiero politico.
Per un movimento di opposizione ai ceti dominanti, per un movimento che voglia farsi carico dei bisogni e delle istanze dei ceti subalterni, la richiesta di democrazia interna non è una richiesta fra tante altre, magari da considerare con un po’ di sufficienza rispetto a problemi come la crisi economica o la disoccupazione. No, la richiesta di democrazia è essenziale per evitare che il nuovo movimento o partito venga rapidamente inglobato nel sistema di potere preesistente. E’ ben noto, a chi riflette su questi problemi, che i dirigenti e i militanti di un partito (useremo qui la parola “partito” intendendo una qualsiasi aggregazione politica, che sia partito o movimento o gruppo o associazione) arrivano prima o poi a considerare il partito stesso non come un mezzo per raggiungere determinati fini (la giustizia, il rinnovamento del Paese), ma come fine in sé. Si tratta di un meccanismo ferreo: da parte dei militanti, costruire e mantenere in vita un partito di opposizione è un lavoro durissimo che costa fatica, sforzi, sacrifici. Chi è passato attraverso un tale lavoro non può accettare di vedere il frutto del proprio impegno distrutto da un momento all’altro, e farà di tutto per preservarlo e difenderlo. E’ inoltre noto, da quando esiste la politica in senso moderno, che in ogni partito si forma un gruppo dirigente professionale, che riceve la sua ragion d’essere e i suoi mezzi materiali di sussistenza dall’esistenza del partito stesso. La risultante di queste dinamiche è appunto che il partito da mezzo diventa fine in sé. Ma un partito che si voglia in radicale opposizione all’intero sistema di potere dato farà ovviamente molta fatica a preservarsi: verrà attaccato, si vedrà negato in tutti i modi l’accesso a fonti di potere e di finanziamento, correrà anche il rischio di vere e proprie persecuzioni. L’istinto di autoconservazione dei ceti dirigenti del partito li spingerà quindi a trovare un accomodamento con i ceti dominanti, e quindi ad allontanarsi dai propri valori dichiarati. Ora, la democrazia interna è l’unico modo per prevenire queste degenerazioni. Solo coloro che hanno molto da perdere e niente da guadagnare da questa degenerazione possono impedirla. Si tratta naturalmente dei ceti subalterni, che il partito pretende di difendere, e che appunto in presenza della degenerazione oligarchica perderebbero lo strumento politico di difesa dei propri interessi. Ma i ceti subalterni possono fare da argine alla degenerazione solo se essi sono rappresentati, se hanno voce e potere dentro ai meccanismi del partito: ecco dunque che la democrazia interna appare, come abbiamo detto, l’unico baluardo di difesa di un partito antisistemico dalle degenerazioni oligarchiche.
Ma la questione non si esaurisce qui. Si potrebbe infatti ribattere che è inutile combattere la degenerazione oligarchica, proprio perché inevitabile. La considerazione cruciale sarebbe piuttosto la seguente: prima della degenerazione, il nuovo partito o movimento può comunque ottenere dei risultati positivi per i ceti subalterni? L’esempio storico del Partito Comunista Italiano nell’Italia del dopoguerra sembrerebbe sostenere questo approccio. E’ certo che il PCI è sempre stato un partito oligarchico e per nulla democratico (e la degenerazione attuale della sinistra ha probabilmente qui le sue radici). Questo però non ha impedito al PCI di rappresentare, nel periodo fra la Resistenza e i primi anni Settanta, un elemento di effettivo progresso e di effettiva tutela dei ceti subalterni. Non potrebbe allora il Movimento 5 Stelle avere una funzione simile? Purtroppo ci sembra di dover rispondere negativamente: riteniamo cioè che, nelle condizioni attuali, il Movimento 5 Stelle non riuscirà a produrre effetti positivi. Per argomentare questa opinione dobbiamo però abbandonare le analisi generali svolte sopra e guardare alla situazione concreta. Salvo grosse sorprese, il M5S si troverà, nella prossima legislatura, con un nutrito gruppo di deputati e senatori. Cosa faranno? Come voteranno? Si tratta di persone che non si conoscono e che non hanno mai discusso seriamente e approfonditamente fra di loro. I tentativi di Tavolazzi, consigliere comunale a Ferrara, di organizzare incontri nazionali vennero bloccati immediatamente. Certo, tutti i grillini condividono alcuni valori e alcuni principi generali (e in buona parte li condividiamo anche noi). Ma chiunque abbia una minima esperienza politica sa che questo non basta per un’azione politica comune. A maggior ragione se si è in Parlamento. Perché se nel programma ci sono un certo numero di punti fondamentali, quando si fa politica sul serio si scopre che la realtà non ci permette di realizzarli tutti assieme e ci impone di fare delle scelte, di dire che certe cose sono prioritarie e certe altre è necessario rimandarle: ed è su questi punti che ci si divide e ci si scontra, anche fra persone che condividono valori e obiettivi generali. A maggior ragione le divisioni e gli scontri sono probabili rispetto a temi sui quali Grillo e il M5S si sono espressi pochissimo, come la politica internazionale.
Tutto questo può essere evitato solo se c’è stato in precedenza un lungo lavoro di discussione, di chiarificazione, di conoscenza reciproca, di costruzione di un comune sentire. Ma, a quanto sembra, questo è esattamente ciò che Grillo e Casaleggio non vogliono (e bisognerebbe chiedersi perché). In mancanza di un tale lavoro, è facile prevedere che il gruppo parlamentare si scoprirà diviso al proprio interno, e che gli scontri che ne conseguiranno porteranno abbastanza rapidamente alla dissoluzione del M5S.
Ma tutto questo porterà ulteriore sfiducia e scoramento nelle tante persone oneste che voteranno M5S con la speranza di salvare l’Italia dal destino di regresso sociale al quale la condannano le oligarchie internazionali e i loro servi locali. In questo senso, ci sembra che, con le sue ultime scelte, Grillo e il M5S siano diventati un ulteriore ostacolo alla salvezza del nostro Paese.
Pubblicato da Marino Badiale su Mainstream