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Discussione: Voyager - Il mistero delle piante intelligenti.

  1. #21
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    Citazione Originariamente Scritto da mad man Visualizza Messaggio
    Il dolore esiste solo nella coscienza centrale di alcuni organismi come meccanismo di sopravvivenza.
    Senza una coscienza centrale o una capacità motoria diventa un meccanismo inutile, per questo credo che gli organismi vegetali non siano in grado di elaborare il dolore.
    Grazie Mad,
    i tuoi interventi sono sempre precisi e chiarificatori!!!
    Avevo intuito anche io questo aspetto ma non sapendo nulla al riguardo non ho chiare molte idee che pian piano si stanno invece "ordinando" nei giusti scaffali!
    Un abbraccione!!!
    “Il problema delle citazioni in Internet è che non puoi verificare la loro autenticità.” Abraham Lincoln

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  2. #22
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    se volete info di prima mano leggetevi La vita segreta delle piante Di Peter Tompkins,Christopher Bird anno 1973 ed è triste che da allora si siano fatti davvero pochi passi in avanti.

    Le piante hanno una vita insospettata. Reagiscono alla musica, ai campi elettromagnetici, alle emozioni della gente. Penserete si tratti di congetture da casalinga che parla alle piante di casa. Non è così. Da tempo si svolgono esperimenti in tal senso alcuni dei quali molto sorprendenti. Alcuni scienziati hanno collegato apparecchiature solitamente usate per registrare le reazioni umane alle piante registrando fatti che non si sarebbero aspettati. Attraverso la macchina della verità le piante hanno rivelato di possedere emozioni e perfino memoria e di poter percepire sensazioni anche a notevole distanza dalla fonte.

    Queste ed altre teorie sono contenute nel libro “La vita segreta delle piante” che, a ragione, è ritenuto un must da chiunque abbia una visione della natura non del tutto materialistica. Il libro è un po’ datato (uscì nel 1973) ma resta comunque attuale. Nei suoi numerosi capitoli tratta diversi argomenti sintetizzando oltre duecento anni di esperimenti e teorie. Ci si rivela un mondo incredibile, dove quelle creature che da sempre sono considerate poco più che oggetti vengono rivalutate e messe al posto d’onore che spetta loro.

    In particolare ho trovato interessanti alcuni punti. Molto ben fatto è il capitolo sulla percezione della musica da parte dei vegetali. Le piante amano la musica classica e odiano il rock. Messe in ambiente dove veniva diffusa della musica hanno reagito crescendo in maniera diversa rispetto agli esemplari di controllo che vivevano nelle stesse condizioni ma senza musica. Quelle che sentivano la musica classica sono cresciute più del normale mentre quelle che ascoltavano rock sono cresciute in un primo tempo per poi soffrire e morire. L’analisi si spinge oltre divagando sull’effetto delle diverse melodie in base alla loro struttura armonica e alla struttura della pianta stessa. Come reagirebbe una pianta dicotiledone, che cresce con un modello matematico di base cinque, se sottoposta a una musica basata su intervalli di terza? E viceversa una monocotiledone che cresce con modello in base tre?

    Altrettanto interessante è il discorso sulla connessione tra salute e crescita delle piante e degli organismi viventi in generale e le radiazioni.

    C’è, da quel che risulta, tutto un mondo di radiazioni dietro alla vita. molti esperimenti dimostrano come radiazioni di vario tipo possano sanare o uccidere un essere vivente fino ad evitare l’uso di pesticidi sulle colture. Gli autori, Peter Tompkins e Christopher Bird, parlano anche di analoghi esperimenti fatti su esseri umani e animali con risultati notevoli.

    Al di là però dei fatti raccontati e degli esperimenti, ciò che risulta rivoluzionario nel libro è l’aspetto filosofico. Molti degli esperimenti fatti denunciano delle differenze a seconda dell’operatore. Una simile soggettività lede la ripetibilità del fenomeno così come concepita dalla scienza ufficiale. Per questo l’accademia si rifiuta di prendere in considerazione alcuni risultati benché evidenti. Già nel 1973 si denuncia quello che sempre più fisici sostengono: non si può continuare a considerare la natura solo dal punto di vista oggettivo, in una visione materialistica che vorrebbe ridurre l’universo a un semplice ammasso di fenomeni fisici o chimici.

    Le reazioni del mondo accademico, spesso incapace di andare oltre i propri pregiudizi è stato spesso, come dicono gli autori, forte e feroce, combattuto non con tesi scientifiche ma con la diffamazione degli autori degli esperimenti. Purtroppo molti scienziati attuali non differiscono da quegli astronomi che si rifiutarono di verificare le tesi di Galileo. Altrettanto accanita è stata la guerra sferrata contro queste novità dalle autorità spesso spinte dalle grosse ditte produttrici di prodotti chimici e farmaceutici. Un apparecchio basato su onde elettromagnetiche usato per curare il cancro dimostrò risultati incoraggianti. Nonostante questo fu bandito e messo illegale.

    Anche da un punto di vista ecologico il libro ha diversi risvolti. Si parla lungamente della coltivazione biologica e biodinamica e dei suoi effetti. I prodotti così coltivati sono più sani e portano a una vita migliore anche chi se ne nutre.

    Particolare risalto viene dato alla teoria biodinamica di Rudolf Steiner che fonde la coltivazione biologica con concetti astrologici e fasi lunari che influenzerebbero positivamente le piante.

    Leggiamo:

    “Forse si avvicina il tempo in cui gli arbitri della politica nutritiva e agricola, che hanno costretto tutta la vita naturale, dai più piccoli microrganismi agli esseri umani, ad accettare una valanga di prodotti chimici al punto che l’unica risorsa contro i prodotti alimentari adulterati sta nel coltivarsi il proprio orticello in condizioni naturali, dovranno ascoltare i profeti che hanno lanciato un allarme contro l’avvelenamento chimico del suolo fino dall’inizio del secolo.”

    Era il 1973 quando gli autori dicevano questo. ora la situazione è cambiata. In peggio.

    Da quel che ho detto fin qui potrebbe sembrare che “La vita segreta delle piante” sia un libro disordinato, un accozzaglia caotica di informazioni e temi diversi. In realtà è un testo armonico, di facile e piacevole lettura, dal quale traspare una visione olistica del mondo, della natura e dell’uomo, visione che forse dovremmo abbracciare per salvarci da una catastrofe ecologica sempre più vicina e sempre più inevitabile. Il libro è permeato di un ottimismo tipico dell’epoca, di una fiducia nell’umanità che purtroppo gli anni seguenti dovevano smentire. Gli autori sembrano essere certi che la società degli anni settanta stava cominciando a prendere coscienza delle problematiche ecologiche e si stava avviando verso un mondo migliore e più pulito. Sappiamo benissimo come è andata a finire. Il fatto che questo libro rimanga attuale nella descrizione di certi problemi dimostra tanto la validità del testo quanto la stupidità dell’uomo.

    Concludendo ne consiglio a tutti la lettura. Non è un libro per giardinieri o amanti delle piante. È un libro davvero per tutti, un libro che sa far riflettere.

  3. #23
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    Citazione Originariamente Scritto da Richard Visualizza Messaggio
    Avevo intuito anche io questo aspetto ma non sapendo nulla al riguardo non ho chiare molte idee che pian piano si stanno invece "ordinando" nei giusti scaffali!
    In realtà nemmeno io sono esperto di botanica. Mi ero però interessato ai meccanismi fisici e psichici del dolore negli esseri umani e la sua funzione evolutiva.

    Quando il corpo riceve uno stimolo, la mente elabora il dolore. Il corpo, in assenza di mente, non elabora il dolore ma la risposta allo stimolo.
    Per questo penso (ma potrei anche sbagliarmi) che gli organismi che non possiedono un centro localizzato di elaborazione degli stimoli non possano provare dolore, come invece fanno gli organismi più complessi.

    Questo non significa che le piante non reagiscano ad alcune frequenze o alcuni stimoli ormonali, ma che le categorie del dolore e del piacere non sono proprie dei vegetali.
    Altrimenti dovrei pensare che ogni volta che una scimmia strappa e mangia un frutto, la pianta provi dolore; eppure quello è il meccenismo elaborato dalla pianta stessa, durante milioni di anni di evoluzione, per diffondere i suoi semi (caricando di pigmenti accesi e zuccheri i frutti).
    "Cercando le parole si trovano i pensieri"
    Joseph Joubert, Pensieri, 1838

  4. #24
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    Per questo penso (ma potrei anche sbagliarmi) che gli organismi che non possiedono un centro localizzato di elaborazione degli stimoli non possano provare dolore, come invece fanno gli organismi più complessi.
    il fatto che NON sia stato trovato un "sistema nervoso" delle piante non significa che non lo possiedono....

    qui in italia a damanhur impiegano lo stesso sistema del buon Peter Tompkins per far "suonare" le piante.

    ma che le categorie del dolore e del piacere non sono proprie dei vegetali.
    Non sono dello stesso avviso............perchè? perchè dopo aver letto il libro in questione ci si rende conto di quanto poco ne sappiamo della natura...........e questo sarebbe il primo passo che ogni studioso amante di questa fantastica "creazione" che è la natura e l'universo dovrebbe acettare!

    qui sotto uno degli ultimi studi che sembra convalidare quello che diceva Tomkins e Brid nel '73

    http://www.bbc.co.uk/news/10598926

    un estratto

    Plants, scientists say, transmit information about light intensity and quality from leaf to leaf in a very similar way to our own nervous systems.
    e poi credo che gli stessi botanici occupati a classificare piante morte non ne capiscono molto di piante...e spero che nessun botanico qui dentro si senta offeso........

    Raoul Franc, un vero amante delle piante, descrisse gli sforzi di Linneo con queste parole: " Dovunque andava moriva l'allegro ruscello, appassiva lo splendore dei fiori, la grazia e la gioia dei prati si trasformavano in cadaveri avvizziti i cui corpi frantumati e scoloriti venivano descritti in mille precisi termini latini. I campi in fiore ed i boschi leggendari si dissolvevano durante una lezione di botanica, in un arido erbaio, in un catalogo monotono di termini latini e greci. Fu il periodo delle esercitazioni di noiosa dialettica, piene di discussioni sul numero delgi stami, la forma delle foglie, tutte cose che imparavamo solo per dimenticare. Quando lo studio era finito noi restavamo disillusi ed estranei alla natura." da La vita segreta delle piante pp 111 Di Peter Tompkins,Christopher Bird
    e ancora

    Sapete che anche quando guardate un albero e dite, "quella è una quercia", oppure "quello è un fico del Bengala", il nome dell'albero, che è una nozione botanica, ha talmente condizionato la vostra mente che la parola si frappone tra voi e la reale visione dell'albero? Per venire in contatto con l'albero dovete posarci sopra la vostra mano e la parola non vi aiuterà a toccarlo.
    (Krishnamurti)
    Ultima modifica di StRaM; 05-10-12 alle 16:54

  5. #25
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    Citazione Originariamente Scritto da StRaM Visualizza Messaggio
    Plants, scientists say, transmit information about light intensity and quality from leaf to leaf in a very similar way to our own nervous systems.
    Qui dice semplicemente che le piante trasmetto informazioni su intensità e qualità luminosa da foglia a foglia in modo molto simile a come funziona il nostro sistema nervoso.
    Non parla ne di dolore, ne di piacere, e soprattutto non dice che ha un sistema nervoso, ma che ci sono meccaniche simili nel trasporto di queste informazioni (non sensazioni!)
    Coltivare erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data allora vuoi dire che anche Dio non è legale?
    (Bob Marley)

  6. #26
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    Infatti se leggi bene dico solo che questo studio riportato dalla BBC conferma le vecchie ma nuove teorie di Tompkins e Bird....

    non sono qui a convincere nessuno.......son qui solo per parlare........

    peace love and unity

  7. #27
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    Citazione Originariamente Scritto da StRaM Visualizza Messaggio
    il fatto che NON sia stato trovato un "sistema nervoso" delle piante non significa che non lo possiedono....

    qui in italia a damanhur impiegano lo stesso sistema del buon Peter Tompkins per far "suonare" le piante.



    Non sono dello stesso avviso............perchè? perchè dopo aver letto il libro in questione ci si rende conto di quanto poco ne sappiamo della natura...........e questo sarebbe il primo passo che ogni studioso amante di questa fantastica "creazione" che è la natura e l'universo dovrebbe acettare!

    qui sotto uno degli ultimi studi che sembra convalidare quello che diceva Tomkins e Brid nel '73

    http://www.bbc.co.uk/news/10598926

    un estratto



    e poi credo che gli stessi botanici occupati a classificare piante morte non ne capiscono molto di piante...e spero che nessun botanico qui dentro si senta offeso........



    e ancora


    WOW amo le piante

  8. #28
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    raga mi avete incuriosito...ma accidenti non me lo apre.... sono l'unico che non riesce a aprirlo??

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da OmNavaShivaja Visualizza Messaggio
    Qui dice semplicemente che le piante trasmetto informazioni su intensità e qualità luminosa da foglia a foglia in modo molto simile a come funziona il nostro sistema nervoso.
    Non parla ne di dolore, ne di piacere, e soprattutto non dice che ha un sistema nervoso, ma che ci sono meccaniche simili nel trasporto di queste informazioni (non sensazioni!)
    Questo aspetto lo reputo fondamentale sebbene delicato.
    Credo sia importante analizzare che c'è una differenza abissale tra:

    - Avere un sistema nervoso
    - Avere qualcosa che funziona come un sistema nervoso

    Sarebbe come dire che, visto che Silvio respira e parla, allora è un essere umano... E no!!! Quello è una merxa!!!
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  10. #30
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    Dopo la massima di Richard vorrei tornare in tema con quest'articolo di uno studioso italiano che porta avanti la neurobiologia vegetale.....

    http://magazine.linxedizioni.it/2011...cuso-racconta/

    Stefano Mancuso racconta

    26 Apr. 2011 | categoria N.09 - Aprile 2011, biologia | Leggi tutto | Nessun commento

    Le piante sono sessili, ma non immobili e insensibili. Anzi, presentano sofisticate modalità di interazione con l’ambiente e di comunicazione intra e interspecifica ed è proprio questo il campo di indagine di un’insolita disciplina: la neurobiologia vegetale.

    di Valentina Murelli

    Partiamo con un quiz: qual è l’organismo più grande del pianeta? Molti probabilmente risponderanno «la balena». E invece sbaglieranno, perché il più grande è la sequoia gigante. Una pianta. Del resto, è facile dimenticarsi delle piante, o addirittura considerarle organismi di serie B, con la giustificazione che non si muovono e non si fanno sentire. Anche questi però sono errori, e piuttosto grossolani. Le piante si muovono eccome, solo che i loro movimenti, a differenza di quelli degli animali, sono “sul posto” (pensiamo alle giovani piante che orientano la crescita in base alla direzione della luce solare) e sono in genere molto lenti. Con qualche eccezione, come quella della Mimosa pudica, che al minimo contatto chiude le foglie molto velocemente. O come gli scatti rapidissimi delle piante carnivore. Quanto al fatto che “non si fanno sentire”, be’, molto dipende dalla nostra capacità di “ascoltare”. Le piante, infatti, hanno un ricchissimo sistema di comunicazione, costituito da una grande varietà di molecole (amminoacidi, zuccheri, metaboliti secondari, sostanze volatili) con cui “dialogano” con le proprie vicine o con gli animali. E sempre sul fronte comunicazione, è degli ultimi anni la scoperta di un sistema interno di trasmissione delle informazioni a livello delle radici che può essere considerato in qualche modo analogo al sistema nervoso degli animali. Tra gli artefici di questa scoperta c’è Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze e uno dei fondatori della nuova disciplina della neurobiologia vegetale.

    Professor Mancuso: ma allora anche le piante hanno un sistema nervoso?

    Facciamo subito chiarezza: nelle piante non c’è un analogo “fisico” del tessuto nervoso, quel tessuto costituito da neuroni e altre cellule nervose e specializzato nella trasmissione di segnali elettrici. Eppure possiamo parlare di neurobiologia vegetale perché c’è un’analogia funzionale. In altre parole le piante non hanno neuroni, ma alcune cellule vegetali – in particolare le cellule dell’apice radicale, cioè la punta della radice – sono in grado di produrre segnali elettrici sotto forma di potenziali d’azione (variazioni della differenza di potenziale tra interno ed esterno della membrana plasmatica, NdR) e di trasmetterli alle cellule vicine. Ricordiamo che già Charles Darwin riteneva che gli apici radicali rappresentassero una sorta di “cervello diffuso” delle piante, in grado di percepire segnali dall’ambiente e di “prendere decisioni” sulle strategie da seguire. Oggi sappiamo che le radici possiedono anche meccanismi per l’elaborazione e la trasmissione di questi segnali.

    Negli animali uno degli elementi chiave della trasmissione nervosa è rappresentato dai neurotrasmettitori, le molecole che trasportano l’informazione da un neurone all’altro a livello delle sinapsi. C’è qualcosa di simile anche tra i vegetali?

    Sì: molti neurotrasmettitori presenti nel nostro cervello (glutammato, serotonina, dopamina, acetilcolina ecc.) sono presenti anche nelle piante. In questo caso non li chiamiamo neurotrasmettitori, perché non stanno in un cervello e perché non sempre la loro funzione è nota, però ci sono. E per alcuni è stato mostrato un ruolo fondamentale in meccanismi di trasmissione delle informazioni. Per esempio: una radice ha la costante necessità di sapere con estrema precisione che cosa accade nell’ambiente circostante. Questa “conoscenza” le deriva dall’attività degli apici radicali, ciascuno dei quali è in grado di “sentire”, cioè percepire e valutare, almeno 15 parametri chimici e fisici differenti (temperatura, grado di salinità, grado di umidità e così via), che devono essere integrati ed elaborati per individuare la direzione di crescita ottimale. È stato scoperto che il glutammato è fondamentale per questa elaborazione: se manca oppure è presente in eccesso, la radice si comporta come se avesse perso il senso dell’orientamento e cresce in modo anomalo.

    In che modo lei e il suo gruppo di ricerca siete arrivati a capire che gli apici radicali possiedono la capacità di integrazione, elaborazione e trasmissione di informazioni?

    Il punto di svolta è stato la scoperta che una particolare zona degli apici radicali – la zona di transizione – consuma molto più ossigeno delle zone vicine, una condizione che è indizio di forte richiesta energetica e, dunque, della presenza di qualche intensa attività. Eppure, all’inizio la zona di transizione non sembrava partecipare ad attività a forte dispendio energetico, come può essere la moltiplicazione cellulare. E allora: perché la zona di transizione consuma tanto ossigeno se – in apparenza – non fa nulla di speciale? La nostra ipotesi era che possedesse un’attività analoga a quella dei neuroni e in effetti con il tempo abbiamo mostrato che le cellule di questa zona sono in grado di generare e trasmettere potenziali d’azione.

    Con quali approcci e strumenti affrontate in laboratorio questi argomenti? E con quali organismi modello lavorate?


    Usiamo metodi e strumenti di differenti discipline. Dalla biologia cellulare abbiamo “preso” i microscopi, sia ottici (compreso il microscopio confocale a fluorescenza, che permette di visualizzare nel campione differenti molecole opportunamente marcate), sia elettronici. Dall’elettrofisiologia abbiamo mutuato l’uso di microelettrodi (dotati di punte con dimensioni inferiori al millesimo di millimetro), gli strumenti che servono a misurare i potenziali d’azione nei neuroni. Noi li utilizziamo per studiare la produzione di segnali elettrici in singole cellule vegetali, oppure i flussi ionici, cioè i movimenti degli ioni verso l’interno e l’esterno delle cellule. Infine, dalla biologia molecolare abbiamo imparato ad analizzare e manipolare DNA e RNA. Lavoriamo molto con Arabidopsis thaliana, una piccola pianta versatile e di cui si conoscono molti dettagli. Però lavoriamo anche con altri modelli: tabacco, mais e pomodoro come piante erbacee e olivo e vite come piante arboree.

    Gli apici radicali possono dunque essere considerati, in metafora, il “cervello” della pianta. Ma perché proprio gli apici? E quali sono, allora, le “attività cognitive” vegetali?

    Una delle ragioni più ovvie per spiegare perché le piante hanno sviluppato un’attività simil neurale a livello degli apici sta nel fatto che questi risiedono sottoterra: il suolo, infatti, è un ambiente più stabile rispetto all’atmosfera per temperatura e umidità, e per di più protetto dalla predazione animale e dalla radiazione ultravioletta solare. Quanto alle attività “cognitive”, alcune le abbiamo già accennate: per esempio, la capacità di raccogliere informazioni ambientali, integrarle e reagire di conseguenza. Le piante, poi, mostrano grandi capacità di comunicazione intra e interspecifica, ma anche di apprendimento (e dunque di memoria) e di calcolo di costi-benefici.

    Mi sta dicendo che le piante ricordano?


    Non nel senso comune che diamo alla parola ricordare, naturalmente: le piante non ricordano volti o emozioni, ma possono ricordare particolari condizioni ambientali che hanno incontrato in passato e la risposta fisiologica adeguata per quelle condizioni. Per capire meglio che cosa intendo dire partiamo dagli animali. Per “misurare” la capacità di apprendimento di un animale, in genere gli si sottopone un problema più volte e si valuta se la sua capacità di risolverlo migliora nel tempo. Se questo accade, diciamo che l’animale ha imparato a riconoscere il problema – quindi lo ricorda – e a reagire di conseguenza. Ecco: lo stesso si può fare con le piante.

    Quali problemi si possono sottoporre a una pianta?

    Si tratta di problemi intesi come condizioni ambientali, per esempio una condizione di difficoltà, di stress, come la presenza di un’eccessiva salinità nel suolo. La prima volta che una pianta incontra questa condizione mette in atto una serie di risposte metaboliche necessarie a permetterle di sopravvivere; se la condizione torna alla normalità (la salinità si abbassa), anche il metabolismo della pianta lo fa. Ma supponiamo ora che torni a verificarsi una situazione di alta salinità: se la pianta reagirà più in fretta, mettendo in atto più velocemente le risposte metaboliche necessarie a sopravvivere, significa che avrà ricordato il caso e avrà imparato come reagire al meglio. Ebbene: è stato verificato che questo è esattamente quello che accade.

    Diceva che le piante possono effettuare calcoli di rapporti costi-benefici. Può fare un esempio?

    Supponiamo di osservare una pianta che cresce accanto a un’altra. Le due competono per un bene essenziale per la vita vegetale: la luce solare, fonte primaria di energia. Supponiamo che la “nostra” pianta sia più bassa dell’altra e che quindi riceva meno luce. Questa è una tipica situazione in cui la pianta deve prendere una decisione: restare com’è, accontentandosi della poca luce che le arriva, oppure investire risorse nella crescita, nel tentativo di superare l’altezza della sua competitrice? Per il mio modo di vedere, scegliere questa seconda strada significa tentare una previsione del futuro: “immaginare” che i sacrifici richiesti per allungarsi saranno ricompensati dalla maggior disponibilità di luce.

    Ma come si fa a sapere che l’allungamento della pianta è frutto di un calcolo e non di un meccanismo automatico, geneticamente determinato?

    Certo, il dubbio può venire. Però proviamo a pensare a che cosa accade se, invece che un solo fattore – la luce solare – ne prendiamo in considerazione contemporaneamente altri, proprio come deve fare la pianta: salinità, umidità, concentrazione di azoto, presenza di parassiti e così via. Di fronte a un quadro così complesso, la “decisione” sulla direzione in cui crescere (puntare di più sullo sviluppo fogliare? Sull’allungamento del fusto? Sullo sviluppo delle radici? Sulle difese contro i patogeni?) non può essere una risposta automatica, ma deve dipendere dall’integrazione ed elaborazione delle informazioni, fino a stabilire quale necessità, di volta in volta, è più stringente.

    Ci può dire qualcosa anche sulla comunicazione tra piante?

    Comunicazione è sicuramente una delle parole chiave della neurobiologia vegetale. Abbiamo visto che le cellule di un’unica pianta comunicano tra di loro, in modi analoghi a quelli che finora si ritenevano esclusivi degli animali. Le piante, però, sono abilissime anche nel comunicare con altri organismi della stessa specie o di altre. Le radici, per esempio, secernono nel suolo una gran quantità di sostanze che costituiscono veri e propri messaggi di segnalazione, e lo stesso fanno le foglie e i fiori, con molecole volatili. In alcuni casi si tratta di “armi chimiche”, dirette contro le piante circostanti con l’obiettivo di ostacolarne crescita e sviluppo, o contro predatori, per allontanarli. Altri segnali, invece, sono “amichevoli”, e servono per attirare impollinatori o per avvertire altre piante della propria comunità della presenza di pericoli: numerosi studi hanno mostrato che le piante attaccate da insetti erbivori o da patogeni emettono sostanze volatili in grado di segnalare il pericolo alle piante vicine, dando loro il tempo di prepararsi per affrontarlo, con modifiche della propria fisiologia che le rendano più resistenti.

    Ma non converrebbe a una pianta sottoposta all’attacco da parte di un patogeno concentrarsi sulla sua risposta, senza perdere tempo e risorse per avvisare gli altri? Non le converrebbe essere egoista piuttosto che altruista?

    Consideriamo il problema in ambito evolutivo e immaginiamo di avere una pianta infestata “egoista”, cioè concentrata solo a difendere sé stessa. Poiché non ha avvertito le piante vicine, è molto probabile che anche queste finiranno con l’essere attaccate dal patogeno che, di conseguenza, rimarrà “in zona” e potrà tornare a infestare più volte la pianta egoista. Non solo: in seguito all’infestazione, le vicine possono morire, e allora la nostra pianta egoista, anche se rimasta in vita, non avrà nessuno nei dintorni con cui riprodursi. Insomma, proprio come nel mondo animale, anche in quello vegetale ci sono situazioni in cui conviene, evolutivamente parlando, essere altruisti.

    Le piante non comunicano solo all’interno del loro mondo, ma anche con gli animali…

    È proprio così, basti pensare ai segnali visivi (i colori) e olfattivi che emettono i fiori per attirare gli insetti e indurli in questo modo a effettuare il servizio di impollinazione. E ancora: molte piante attaccate da predatori o da patogeni producono sostanze repulsive nei confronti del nemico, oppure in grado di attirare predatori del nemico stesso (secondo la nota logica “il nemico del mio nemico è mio amico”). Tra le più comuni, lo fanno per esempio il tabacco, il pomodoro, le melanzane. Questa proprietà e quella di avvertimento alle piante vicine possono essere sfruttate in ambito agrario: se inondiamo una coltura con un “messaggio di avvertimento”, la prepariamo all’attacco, rispetto al quale sarà più resistente.

    Senta professore, dopo tutte queste informazioni una domanda viene spontanea: le piante sentono dolore?

    Esiste una specie di convenzione scientifica secondo la quale questa è una domanda che non ci si deve proprio porre. Io però ritengo davvero improbabile che organismi così complessi siano privi di un sistema in grado di distinguere il “bene” dal “male” (inteso come qualcosa di pericoloso per la sopravvivenza), che è proprio la funzione fondamentale del dolore. Seguendo questo ragionamento, mi sembra dunque probabile che le piante possano soffrire anche se, allo stato attuale delle conoscenze, non possiamo dire “come”, né sappiamo in che modo affrontare il problema: è possibile che abbiano meccanismi di percezione di ciò che è bene o male per la loro vita molto differenti dai nostri.

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