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Discussione: novità giurisprudenziali

  1. #91
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    Segnalo una recentissima novità in materia di coltivazione.
    La Terza Sezione Penale della Cassazione ha rigettato il ricorso del Pm presso il Tribunale di Ancona, avverso il proscioglimento pronunziato dal GIP ex art. 425 cpp.
    L'importanza della pronunzia deriva dal fatto che appare rilevante la circostanza che non sia stato calcolato e periziato il thc estraibile dalle due piante.
    Ciò significa che, in questa caso, la Corte non ha ritenuto che la coltivazione - quale illecito penale - si perfezioni già con la messa a dimora del seme, bensì sia necessario comprendere se la pianta (o le piante) sia in grado di produrre effettivamente sostanza drogante.
    La circostanza che tale accertamento non sia stato possibile, preclude qualsiasi altra valutazione, però, credo che si tratti di un passo avanti sul cammino di una valutazione giurisprudenziale che si incentri sulla effettiva offensività della condotta e non già su di una offensività teorica.
    In questo senso si potrebbe arrivare - se non mutasse la legge - a valutare l'importanza e la liceità della coltivazione ad uso personale, proprio perché non destinata a produrre effetti al di fuori della sfera privata del coltivatore-assuntore.
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Nome: sentenza Terza Sezione 19 dic. 2013 coltivazione due piante.pdf‎ 
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  2. #92
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    Pulisco la discussione, evitiamo di andare fuori tema in un 3d cosi importante
    "Non penso solo che la marijuana dovrebbe essere legalizzata: penso che dovrebbe essere obbligatoria" Bill Hicks

  3. #93
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    Ho trovato questa interessante notizia fresca fresca di sentenza di assoluzione:

    http://www.ilgiorno.it/como/cronaca/...ana-vaso.shtml

    Marijuana coltivata sul balcone di casa, il giudice: se cresce nel vaso non è reato
    Luisago, mini piantagione a uso strettamente personale: assolto un 35enne
    di Paola Pioppi
    Luisago (Como), 28 gennaio 2014 - Coltivava marijuana sul balcone della sua abitazione, ed era finito a processo per produzione di sostanze stupefacenti. Ma il gup di Como, in applicazione di una serie di recentissimi indirizzi della Corte di Cassazione, lo ha assolto. Nicolò Marino, 35 anni di Luisago, nel luglio 2012 era stato trovato dai carabinieri di Fino Mornasco in possesso di sei piantine di cannabis, il cui principio attivo, così come rilevato dalle consulenze disposte dal Tribunale, variava dall’uno per cento fino a quasi l’otto per cento. Un riscontro positivo, anche se non elevatissimo, a cui si aggiungevano circa cinquanta grammi di foglie già essiccate trovate in un cassetto di un mobile in casa. Di fatto, la coltivazione di sostanze stupefacenti, è sempre stata ritenuta dalla legge “penalmente rilevante”, a prescindere dalla destinazione personale o per terzi, e dal quantitativo che poteva anche essere non eccessivo. Di fatto, la produzione attraverso coltivazione è sempre stata ritenuta più grave della semplice detenzione o spaccio.

    Tuttavia il difensore di Marino, Davide Brambilla, ha depositato una memoria difensiva nella quale argomentava dettagliatamente sul concetto di “coltivazione”, partendo innanzi tutto dal presupposto che «l’assimilazione tout court della coltivazione industriale o semi-industriale della coltivazione della marijuana alla coltivazione domestica» è stata giudicata discutibile in più occasioni. Inoltre, quando si parla di «coltivazione», si intende abitualmente un’attività agricola in larga scala, destinata poi all’utilizzo a favore di terze persone. Non certo a «modesti quantitativi di piante messe a dimora in modo rudimentale in vasetti sul terrazzo di casa». Già il Tribunale di Milano aveva precisato, in una precedente sentenza, che «coltivare non significa allestire vasi e vasetti, ma governare un ciclo di preparazione del terreno, semina, sviluppo delle piante e raccolta del prodotto».

    Inoltre, una ulteriore sentenza, aveva stabilito che «la condotta di coltivazione non può ritenersi in concreto offensiva allorché essa, esclusa la volontà di cedere a terzi le foglie una volta tagliate dalle piante, non metta a repentaglio la salute pubblica». In altre parole, una destinazione d’uso rivolta la consumo personale, come in questo caso, dove i carabinieri non avevano trovato nulla che potesse essere utilizzato per il confezionamento di dosi destinate a terze persone. Accogliendo le istanze della difesa, il gup Maria Luisa Lo Gatto ha stabilito che la non rilevanza penale può essere riconosciuta non solo quando le piante sono prive di principio drogante, ma anche quando non ci siano le condizioni per creare un danno alla salute pubblica, o quando la coltivazione non ha caratteristiche tali da incrementare il mercato. Marino è così stato assolto perché il fatto, così configurato, non costituiva reato.

    di Paola Pioppi

  4. #94
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    La stessa notizia riportata dal Corriere di Como:

    http://www.corrierecomo.it/index.php...4:prima-pagina


    MARTEDÌ 28 GENNAIO 2014
    La piaga della droga
    Si è conclusa la vicenda giudiziaria di un 35enne di Luisago

    «La coltivazione di piante di marijuana (che per la precisione erano sei, ndr) era talmente modesta che, a prescindere dal fatto che fosse o meno di mero uso personale, la condotta difetta di una apprezzabile potenzialità offensiva».
    Il fatto è dunque «penalmente irrilevante» e l’imputato per questo motivo «deve essere assolto».
    Quella appena riportata è la sintesi della motivazione della sentenza che ha portato il giudice delle indagini preliminari di Como a dar ragione alla difesa in merito a una vicenda che risale al luglio del 2012, quando in un blitz nella casa di un 35enne di Luisago, le forze dell’ordine trovarono in balcone sei piante di marijuana e in più, in un cassetto del mobile dell’abitazione stessa, altri 48 grammi e mezzo della stessa sostanza stupefacente.
    Motivo per cui era stato aperto in quell’occasione un procedimento penale a carico dell’imputato accusato sia della detenzione dello stupefacente sia della coltivazione della marijuana.
    La procura, dopo la scelta del rito Abbreviato da parte della difesa - avvocato Davide Brambilla - aveva invocato la pena di due anni di carcere più 6 mila euro di multa, oltre naturalmente alla confisca della marijuana.
    Ma alla fine, il giudice ha optato per l’assoluzione dell’uomo in quanto, pur essendo verificato che nei vasi sul balcone tenesse piante di marijuana, queste ultime non potevano avere - vista la loro esiguità - una «apprezzabile potenzialità offensiva».
    In pratica, l’estensione ridotta della piantagione («che non può nemmeno essere definita come tale in senso tecnico», ma al massimo «una messa a dimora in vasi») e la sua struttura organizzata erano tali che non era «potenzialmente idonea a incrementare il mercato».
    E questo nonostante sia stata appurata «la presenza di un effetto stupefacente della sostanza coltivata». La tesi conclusiva è dunque perentoria, anche se ancora discussa a livello di giurisprudenza: «Le piante di marijuana erano in assenza di altra strumentazione idonea all’innaffiamento, al riscaldamento, all’illuminazione, o comunque finalizzata a favorire la crescita e lo sviluppo della coltivazione».
    E soprattutto «il numero modesto delle piante e il principio attivo ricavabile sono tutte circostanze che, a prescindere dal fatto che fosse destinata al meso uso personale, consentono di escludere che la condotta nel suo complesso abbia avuto una apprezzabile potenzialità offensiva».
    Da qui, dunque, l’assoluzione dell’imputato. Accogliendo, tra l’altro, la tesi difensiva che l’avvocato Davide Brambilla aveva sostenuto nella propria memoria presentata al giudice.

    M.Pv.

  5. #95
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    I giornalisti sono una categoria fantastica, soprattutto, quando non capendo nulla scrivono quello che pare loro.
    Il secondo articolo e' un condensato di contraddizioni rispetto al primo che viene da domandarsi che processo hanno visto i due giornalisti e chi effettivamente abbia visto il vero processo.

  6. #96
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    Mi permetto di segnalarvi una sentenza n. 2881/14 della Terza Sezione della Corte di Cassazione in data 19/11/2013 - 22/1/2014 in tema di criteri che permettono di affermare la detenzione ad uso personale.
    Per vero, si tratta di una complessa vicenda che attiene a stupefacenti del tipo cocaina, ma credo che risulti a chiunque evidente che i principi di diritto che il Collegio di legittimità afferma - in materia di detenzione a fine di consumo personale - presentino il carattere della comunanza e dell'applicabilità a qualsiasi tipo di sostanza.
    La Corte di Cassazione, infatti, ha escluso che detenere circa gr. 50 di sostanza - cioè il dato strettamente ponderale - non sia di per sè condotta significativa dell'attività di spaccio, quando si versi in presenza di indizi di segno avverso, quali ad esempio l'assenza di materiale da taglio o confezionamento, di intercettazioni telefoniche, di chiamate in reità di terzi, di avvistamenti o risultanze dalle quali desumere che il detentore sia inserito in un contesto di cessioni a terzi.
    Parimenti una minima capacità economica dell'imputato determinata da introiti leciti, la dimostrazione di un'abitudine del detentore ad assumere sostanze anche se non necessariamente con cadenze regolari, costituisca dati che permettono al giudice di ritenere che sia effettivamente provata la destinazione all'uso personale, anche quando il quantitativo ecceda limiti di modicità.
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Nome: sentenza Terza Sezione 19 nov. 2013 detenzione.pdf‎ 
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    Ultima modifica di Avv. Zaina; 31-01-14 alle 17:42

  7. #97
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    Un solo spinello (accertato) non blocca l’accesso al pubblico impiego


    Il mero ammonimento della prefettura per il consumo occasionale di cannabis non determina l’esclusione dal concorso, anche nelle forze dell’ordine, per mancanza del requisito di moralità

    di VANESSA RANUCCI



    Un unico episodio di assunzione di marijuana non configura l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego: l’uso di sostanze stupefacenti non accompagnato dallo spaccio non esclude il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro. Lo ha sancito il tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con la sentenza 675/2014, ha accolto il ricorso di un aspirante finanziere che era stato escluso dalla procedura concorsuale in quanto non in possesso del requisito di moralità e di condotta di cui all’articolo 2 comma 1 lett. b) della determinazione 44636/13 (bando di concorso): tale esclusione era basata sul fatto che l’uomo è stato trovato in possesso di un grammo di sostanza stupefacente di tipo marijuana.

    Uno sguardo al passato
    L’unico episodio imputato al ricorrente di possesso di sostanze stupefacenti fu considerato da parte dell’autorità di governo di Napoli di natura “tenue” della violazione concludendo il procedimento ex art. 75 Dpr 309/90 con il mero ammonimento a non far più uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
    Per il Tribunale laziale tale il provvedimento impugnato dall’amministrazione non può costituire motivo per escludere il candidato dalla possibilità di conseguire una posizione di lavoro: si legge al riguardo che «per l’accesso al lavoro in generale, può essere positivamente valutata anche per l’accesso alle forze di polizia, nonostante la particolare posizione che vengono a rivestire i soggetti a esse appartenenti, sotto il profilo della peculiarità delle funzioni loro affidate. E invero la “ratio” che fa assumere valenza preclusiva all’uso di sostanze stupefacenti è la presenza non di un comportamento saltuario (e peraltro abbastanza lontano nel tempo) ma di un comportamento ripetuto nel tempo e con continuità tale da permettere la formulazione una prognosi sfavorevole di una possibile sua ripetizione, ma nella posizione di appartenente al corpo reclutante che il concorrente aspira ad assumere».

    Insomma, l’addebitato possesso di sostanze stupefacenti è complessivamente insufficiente a giustificare l’esclusione dal concorso: la semplice assunzione di sostanze stupefacenti non accompagnata dallo spaccio non può, in mancanza di ulteriori elementi negativi, determinare l’assenza del requisito della moralità ai fini dell’ammissione a un pubblico impiego. E ancora, la detenzione e anche il modico uso personale di sostanze stupefacenti, poiché non integra un’ipotesi di condotta illecita, non può legittimare un giudizio di insussistenza del requisito morale. Pertanto, il provvedimento impugnato è stato annullato.

    Vanessa Ranucci

    (Cassazione.net Riproduzione riservata)

  8. #98
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    Prime pronunzie che si riferiscono alla nuova formulazione del comma 5 dell'art. 73 – così come derivata dalla novella di cui all'art. 2 del D.L. 21 dicembre 2013 n. 146.
    La nuova espressa qualificazione dell'istituto come reato autonomo, in luogo della precedente accezione – circostanza attenuante ad effetto speciale – introduce una serie di elementi di maggiore favore nei confronti dell'imputato, che possono essere valutati ai sensi dell'art. 2 comma 4° c.p. .
    La sentenza 7363/14 della Quarta Sezione Penale del Supremo Collegio (9 gennaio 2014) si sofferma sul profilo della prescrizione, che muta sostanzialmente i suoi termini di decorrenza.
    In virtù della autonomia di cui, ora, è munita la nozione di lieve entità, punita con la reclusione da 1 a 5 anni, il nuovo termine di base – a mente dell'art. 157 comma 1 c.p. - è pari a 6 anni.
    Ove vada applicato il comma 2° dell'art. 161 c.p., il quale regola il regime delle interruzioni, il termine massimo (per imputati nei confronti dei quali non vada contestata la recidiva) è di 7 anni e 6 mesi, derivato dall'aumento di ¼ del tempo necessario a prescrivere.
    Si tratta, pertanto, di una conseguenza che non era ritenuta possibile, quando la lieve entità era qualificata come circostanza attenuatrice del reato.
    Non è però solo questo aspetto che richiama l'attenzione sulla norma in questione, perchè vi sono ulteriori aspetti che meritano approfondimento.
    In primo luogo la nuova configurazione permette di evitare che l'istituto della lieve entità venga posto in bilanciamento – come invece prima avveniva – con eventuali circostanze aggravanti che vengano contestate all'imputato, con il rischio che un possibile giudizio di prevalenza di queste ultime, privasse di qualsiasi valore la citata qualificazione giuridica del fatto, (che è sinonimo di modesta gravità del fatto) e determinasse l'applicazione di sanzioni penali del tutto sproporzionate all'azione.
    In secondo luogo, però, l’applicazione tout court del testo di legge antecedente alle norme dichiarate incostituzionali1, incontra un limite che attiene proprio al comma 5° dell’art. 73 e che deriva dalla contemporanea esistenza anche delle disposizioni introdotte dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 art. 2.2
    Ciò premesso, si crea una problema di individuazione della norma che debba formare oggetto di applicazione nel caso concreto.
    Va, infatti, osservato in parallelo, che :
    il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, depurato dalle modifiche introdotte dalla L. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale :
    A)prevede una trattamento sanzionatorio differenziato (pena ad hoc) per le condotte illecite riguardanti le droghe previste dalle tabelle II e IV dell’art. 14 ,
    B)tale pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329,
    C)la lieve entità continua a costituire una circostanza attenuante ad effetto speciale, da sottoporre al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti eventualmente contestate,
    il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, così come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 :
    A) prevede un trattamento sanzionatorio unitario e comune a tutte le tipologie di sostanze stupefacenti
    B) tale pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000,
    C) l’unicità della pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, che però non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale, ma prima della pronunzia relativa, se non di per sé incostituzionale, comunque in palese contrasto con il testo del comma 5° tornato vigente,
    D) come già evidenziato la lieve entità diviene reato autonomo e, come tale, sottratto, quindi, a qualsiasi giudizio di valenza o bilanciamento con circostanze aggravanti,
    E) come già osservato, il termine prescrizionale dello specifico reato è più breve di quello riguardante il reato di cui all'art. 73 nella previsione ordinaria (comma 1 e 4), in quanto esso è di sei anni – se breve – e di sette anni e sei mesi – se lungo - .

    ** ** **

    Consegue dalle considerazioni che precedono, la necessità di individuare quale debba essere, tra le due ipotesi afferenti al comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90, la norma che effettivamente vada concretamente applicata allo stato attuale.
    Seguendo, sotto il profilo metodologico, i principi generali di natura costituzionale, si dovrebbe tenere conto del cd. criterio cronologico, in quanto entrambe le norme in questione provengono, infatti, da fonti ordinarie del medesimo tipo (l’una un DPR , l’altra un D.L.).
    Il criterio in questione, al fine di eliminare tutte le eventuali antinomie, farebbe si che non si debba applicare (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, bensì quella successiva (lex posterior derogat legi priori).
    Si deve, però, osservare che, nella fattispecie, ove – accedendo al principio generale suesposto - si dovesse ritenere prevalente la dizione dell’art. 73 comma 5°, così come formulata dal D.L. 146/2013, ci troveremmo a dovere ictu oculi rilevare – per le ragioni già esposte – la sospetta incostituzionalità del dettato normativo, per l’illegittima equiparazione sanzionatoria delle varie e differenti sostanze stupefacenti – allo stato – ripartite in quattro tabelle portate dall’art. 14.
    Ma questo non sarebbe (o non è) l’unico ostacolo a che la norma successiva prevalga, nonostante alcune sue indubbie peculiarità di grande favore per l'imputato.
    In pari tempo, si deve, infatti, osservare che nessuna delle due norme si pone in un rapporto di genus ad speciem rispetto all’altra.
    Vale a dire, che né la norma precedente – quella ora vigente – né quella successiva presentano un carattere speciale o eccezionale rispetto all’altra.
    Nello specifico caso si verifica, pertanto, una situazione di assoluta incompatibilità strutturale della disciplina pregressa rispetto a quella nuova.
    Quest’ultima, proprio perché concepita e promulgata intempestivamente dal Governo, non ha potuto tenere (nè tiene) conto della sopravvenuta riviviscenza sia del testo dell’art. 14 (ante riforma del 2006), con la scissione delle tabelle e la loro suddivisione, sia della bipartizione generale ad effetti sanzionatori.
    Ritiene, inoltre, chi scrive – a complemento delle precedenti osservazioni - che, in una simile opera identificativa, si debba tenere in debita considerazione, sul piano metodologico, anche dell’applicabilità del principio del favor rei.
    Su tale abbrivio, si deve, pertanto, osservare che
    1)la nuova (o precedente) formulazione dell’art. 73 comma 5°, certamente ed intuitivamente, si fa preferire quoad poenam, (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329), ma, al contempo, essa continua a subire il genetico condizionamento, determinato dalla propria natura di circostanza attenuante, suscettibile di dovere essere posta in situazione di bilanciamento con eventuali aggravanti;
    2)il testo dell’art. 73 comma 5° ricavato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, a propria volta, pur meno favorevole in punto di pena e pur sospettabile di incostituzionalità, per l’omogeneo trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e droghe leggere (oltre che in irreversibile contrasto con la struttura della norma allo stato vigente, che prevede due tipologie di pena), modifica la natura dell’istituto in parola in quella di reato autonomo, determinando una sua configurazione giuridica di maggior favore per l’indagato/imputato, a tacere delle rilevante circostanza del nuovo computo prescrizionale che riduce i relativi termini.
    Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.
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  9. #99
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    Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.
    A me tutta 'stà farsa di leggi PARE disorientante.....poi speriamo che la giurisprudenza abbia fatto orienteering........che bel sport!!!!!


    http://www.carlogiovanardi.it/sito/m...ticle&sid=2643

    Ansa dal sito di Giovanardi.

    Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.

    Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).

  10. #100
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    http://www.carlogiovanardi.it/sito/m...ticle&sid=2643

    Ansa dal sito di Giovanardi.

    Ritorna l'equiparazione tra le sostanze.

    Droga: Giovanardi (Ncd), Parlamento conferma Fini-Giovanardi(ANSA) - ROMA, 19 FEB - ''Il Senato, convertendo in legge il cosiddetto decreto 'Svuota carceri' del Governo Letta, ha confermato l'impianto della Fini-Giovanardi, che non differenziava tra le cosiddette droghe leggere e droghe pesanti. Nella legge votata oggi si distingue infatti soltanto fra il reato di spaccio di lieve entità (e ogni tipo di sostanza) da quello non lieve (di ogni tipo di sostanza)''. Lo dice il senatore di Ncd Carlo Giovanardi che ricorda come ''la Corte Costituzionale la scorsa settimana non è affatto entrata nel merito della questione della presunta distinzione tra droghe leggere e pesanti ma si è limitata a teorizzare che otto anni fa non ci fossero le condizioni di necessità e urgenza per innovare per decreto la normativa in tema di tossicodipendenza, che il Senato oggi ha confermato''.(ANSA).


    Intervengo solamente perché si tratta di un commento al mio thread in materia di giurisprudenza, in CORNER AVVOCATO, non avendo io più intenzione intervenire in altre discussione concernenti i progetti di legge, in quanto non desidero essere più coinvolto in stucchevoli, quanto inutili polemiche che altri ad arte sollevano sistematicamente
    .


    Leggendo un'affermazione del genere, francamente io non so se l'on. Giovanardi manifesti maggiormente una condizione di ignoranza (nell'ovvio senso di non conoscenza e non comprensione) di elementari questioni diritto o se egli versi in stato di malafede.
    Se penso che egli sarebbe stato - in un passato remoto - anche avvocato mi domando se egli abbia mai esercitato la professione e, in caso positivo, come abbia fatto a superare l'esame di Stato se mostra di non tenere in debito conto norme con l'art. 2 codice penale che sono essenziali.
    Sostenere, infatti, che l'approvazione del D.L. 146 (con conversione in Legge) e nello specifico dell'art. 2, il quale modifica l'art. 73 comma 5 in materia di lieve entità, equivale a confermare la bontà della FINI-GIOVANARDI, significa sostenere una clamorosa sciocchezza giuridica, una vera "falsità", che se fosse sostenuta da uno studente ad un esame di giurisprudenza, comporterebbe la sua immediata bocciatura, con invito a tornare a ripetere la prova non prima di sei mesi.
    Temo che l'on. GIOVANARDI ormai sia prigioniero delle proprie convinzioni al punto da non rendersi conto di ciò che afferma.
    Egli dovrebbe prendere atto che la Consulta
    1) deve ancora depositare le motivazioni e dunque una parte della sentenza potrebbe anche riguardare il merito della legge,
    2) ha annullato una legge (la 49/2006), affermando che le modalità con le quali essa è stata promulgata sono gravemente illegittime, perché non esistevano ragioni di urgenza ed indifferibilità.
    La Corte Costituzionale, quindi, censura pesantemente l'operato politico legislativo dell'on. GIOVANARDI, che ha violato la sacralità del PARLAMENTO, impedendo all'assemblea (a colpi di voto di fiducia) un contraddittorio minimo ed ha imposto surrettiziamente norme che non avrebbe potuto imporre.
    Simile critica appare di una gravità enorme ed inedita, al punto che ritengo che ben raramente il giudice costituzionale si sia spinto a tanto.
    L'on GIOVANARDI ne dovrebbe trarre come politico e come cittadino le conseguenze più ovvie.
    L'on. GIOVANARDI tenta, invece, astutamente, di spostare l'attenzione su prospettive, che allo stato neppure lui conosce, perché sa bene di essere uno dei due propugnatori di una legge annullata in toto come raramente (e credo forse mai prima d'ora) pare sia avvenuto nella storia dell'Italia repubblicana.
    Allo stato attuale, alla luce della decisione della Consulta deve essere applicata la JERVOLINO-VASSALLI; esiste, in realtà un contrasto di norme - in relazione al comma 5° - (ma l'on. GIOVANARDI non se ne è accorto o finge di non accorgersi) che si può risolvere solamente a sfavore della tesi che lui sostiene.
    Il Parlamento - troppo preso da personaggi narcisi - non si è posto colpevolmente il preventivo problema di questo contrasto e, senza comprendere la portata giuridica di quanto si stava decidendo, ha votato per la conferma del D.L., dimostrando una gravissima impreparazione giuridica di fondo, ancora più grave in capo a chi - una volta fuori dalla Camera o dal Senato - dovrebbe tornare a fare l'avvocato (magari anche penalista).
    Grave è stato anche che tutti i sapienti aspiranti legislatori non si siano accorti di questa rilevantissima contraddizione, che inficia la norma appena approvata.
    Non mi risulta che nessuno tra gli esponenti dell'opposizione - così solerti a formulare progetti di legge palesemente incostituzionali - si sia alzato per formulare osservazioni a confutazione.
    Complimenti anche a loro.
    Sarebbe, quindi, opportuno che in questa occasione l'on. GIOVANARDI fosse zittito, ma temo che i tanti esperti, abili solo ad insultare, non siano realmente capaci - invece - di sfidarlo sul piano dialettico e tecnico, per fargli fare una vera e storica figuraccia.
    Certo anche i novelli giureconsulti facessero un poco di autocritica, perché talora il silenzio - dinanzi a norme palesemente errata - è prova di ignoranza assoluta in materia.
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 20-02-14 alle 17:48

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