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Discussione: novità giurisprudenziali

  1. #171
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    Tutte ottime notizie.
    La sentenza di Pisa non mi stupisce perchè il dott. BUFARDECI aveva già avuto modo di assolvere un mio assistito - lo scorso 2 aprile - dal reato di detenzione e coltivazione.
    Sicchè mi ero reso conto che una certa linea processuale da me proposta era stata accolta.
    Quanto alle altre decisioni, speriamo che siano battistrada per un orientamento nuovo, ma che si vada a costruire definitivamente.

  2. #172
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    Segnalo un'interessante pronunzia che concerne l'effetto estensivo dell'annullamento della sentenza di patteggiamento pronunziata sotto l'imperio della L. 49/2006.
    Si tratta di un procedimento che aveva ad oggetto condotte di cessione e detenzione di hashish, gli imputati avevano definito la rispettive posizioni attraverso la applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. .
    Solo alcuni, però avevamo, poi, interposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento.
    Il Collegio di legittimità ha ritenuto, in primo luogo, che l'impugnazione proposta - alla luce del diverso e più favorevole regime sanzionatorio formatosi in relazione alle droghe cd. leggere, a seguito della sentenza n. 32 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il DL 272/2005 - permettesse, comunque, un intervento di annullamento della sentenza di patteggiamento, con la conseguenza che le parti vengono rimesse davanti al Tribunale per l'ulteriore corso del procedimento e per la rideterminazione della pena.
    In secondo luogo, ed è questo il profilo di ulteriore interesse specifico, la Corte ha ritenuto che gli effetti di annullamento - provocati dall'accoglimento dei ricorsi presentati - si estendano anche nei confronti degli imputati non ricorrenti.
    In buona sostanza è stato ritenuto - dalla Corte - che non sarebbe stato possibile intervenire solamente su alcuni patteggiamenti e non su tutti, in quanto la cd. "illegalità della pena" (conseguente alla incostituzionalità della Legge FINI-GIOVANARDI) costituiva carattere comune a tutti.
    Sicchè nella fattispecie è apparso corretto applicare l'art. 587 comma 1° c.p.p., attesa la ricordata comunanza della ragione in base alla quale l'annullamento della sentenza è intervenuto, condizione che giova anche agli altri imputati.

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    REPUBBLICA ITALI AN A
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


    TERZA SEZIONE PENALE

    UDIENZA PUBBLICA DEL 27/03/2014
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
    Dott. ALDO FIALE - Presidente - SENTENZA
    Dott. RENATO GRILLO - Consigliere - N. 870/2014
    Dott. SILVIO AMORESANO - Consigliere -
    Dott. SANTI GAZZARA - Rel. Consigliere -
    Dott. ALDO ACETO - Consigliere - REGISTRO GENERALE
    N. 41262/2013


    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    sul ricorso proposto da :
    CC N. I L (...)
    A C N. I L (...)
    avverso la sentenza n. 968/2012 Giudice udienza preliminare di SCIACCA, del 29/03/2013
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso
    udita in pubblica udienza del 27/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANTI GAZZARA
    Udito il Procuratore Generale i:n persona del Dott. FULVIA BALDI che ha concluso per la inammissibilità del ricorso
    Udito, per la parte civile, l'Avv.
    Udito il difensore Avv.

    RITENUTO IN FATTO

    Il Gip presso il Tribunale di Sciacca, con sentenza del 29/03/2013, su concorde richiesta delle parti, ha applicate, concesse le attenuanti generiche, a CC c e A C, imputati del reato ex art. 73, d.P.R.. 309/.90, per detenzione illecita di stupefacente tipo haschish,. a pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 14.000100 di multa al primo; anni 3, mesi 4 di reclusione e di euro 14.000,00 di multa alla seconda.
    Con la medesima pronuncia veni vano applicate nei confronti dei correi GM e RM anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 14.0.00,00 di multa ciascuno.
    Propongono autonomi ricorsi per cassazione la difesa del CC e, personalmente la A C eccependo travisamento della prova, per inadeguata valutazione da parte del decidente delle emergenze istruttori e a carico dei prevenuti, che se corretta mente lette avrebbero permesso di pervenire ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. .

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Va rilevato che i motivi di annullamento, formulati nell'interesse dei prevenuti nei rispettivi atti di ricorso, sono manifesta mente infondati.
    Osservasi però, che occorre prendere atto della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale, n. 32/2014, con la quale e stata dichiarata la non conformità costituzionale del d.l. 272/05, convertito in L. 49/06, con cui era stata eliminata, ai fini del condannato, la distinzione tra droghe leggere e pesanti.
    Nel caso di specie, il decidente ha ratificato il negozio processuale pattizio partendo da un parametro sanzionatorio di gran lunga superiore a l massimo ex lege previsto anni 6 di reclusione, (per A C, G M e R M anni 8 e mesi 3 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa; per la A C anni 7, mesi 6 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa ), cosi che le pene applicate risultano illegali.
    Orbene la pronuncia di incostituzionalità, ut supra richiamata determina conseguentemente l'applicazione al caso in esame delle fattispecie incriminatrici così come previste e regolate dalla precedente normativa ex d.P.R. 309/90, con particolare riguardo al trattamento sanzionatorio relativo ai reati concernenti le sostanze incluse nelle tabelle H e IV, allegate alla legge.
    Appare, quindi del tutto evidente che il trattamento sanzionatorio,applicate ai prevenuti è stato dal giudice valutato congruo avendo come punto di riferimento i parametri edittali della pena, in vigore al momento della decisione e non quelli minori, risultanti a seguito della richiamata pronuncia della Consulta.
    Quanto osservato incide in nuce sulla validità del negozio pattizio processuale, proposto dalle parti ratificato dal giudice di merito, e impone l'annullamento della sentenza senza rinvio, in dipendenza del la illegalità della pena applicata, anche nei confronti degli altri coimputati ex art. 587 cod. proc. pen., con restituzione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso, così rimettendo le parti nelle condizioni di determinarsi: alla luce della vigente normativa.
    P. Q. M .
    La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di CC e AC e per l’effetto estensivo anche nei confronti di G M; dispone restituirsi gli atti al Tribunale di Sciacca per l’ulteriore corso
    Così deciso in Roma li, 27/3/2014 .

  3. #173
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    Pubblico la sentenza del GUP di Cuneo di cui avevo già fatto menzione in precedenza, e che concerne la tematica della detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti.

    R.G. N. 100571/ 13 G.I.P.
    R.G. N. 101063/ 13 SENTENZA
    N. 179/2014 del 4/04/ 2014

    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    TRIBUNALE ORDINARIO DI CUNEO


    IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE
    Dott. Alberto BOETTI
    ha pronunciato la seguente
    S E N T E N Z A
    nel procedimento pena le nei confronti di

    F.M. nato a S. (CN) il ............ dichiaratamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. in S.A. (CN) via M. n. .......
    presente
    Assistito e dlfeso di fiducia dall'avvocato Carlo Alberto ZAINA del foro di Rimini, con studio in Rimini in via Flaminia n. 171/B

    I M P U T A T O

    del reato p. e p. dall'art. 73, commi 1 e 1 bis, D.P.R. n. 309/1990, perchè senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, deteneva illecitamente nella propria abitazione sita in S.A. in via M. n. 3
    N. 1 vaso in vetro con chiusura sotto vuoto con all'interno sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 7,860) pari a gr. 0,135 di principio attivo;
    N. 1 busta in nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 5,736) pari a gr. 0,363 di principio attivo;
    N. 1 vaso in vetro con chiusura sotto vuoto con all'interno, confezionate, due buste iii nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (grammi 14,625 e grammi 14,689) pari a gr. 2,874 di principio attivo;
    N. 1 busta di nylon con sostanza stupefacente del tipo marijuana (gramml 3,041) pari a gr. 0,022 di principio attivo;
    N. 1 frammento di sostanza stupefacente del tipo hashish (grammi 0,792) pari a gr. 0,078 di principio attivo;
    N. 32 semi di canapa indiana, privi di principio attivo;
    N. 1 contenitore per la deframmentazione della sostanza stupefacente in metallo marca BABA con tracce di sostanza stupefacente.
    Per complessivi grammi 45,952 di sostanza stupefacente del tipo marijuana pari a gr. 3,472 di principio attivo. Sostanza stupefacente che. per quantità, qualità, e circostanze del rinvenimento, appariva destinata ad uso non esclusivamente personale.
    Reato commesso in S.A.S. in data 08/07/13.

    Con l'intervento del Pubblico Ministero Dr. Bolla e dell'avv. C. A. Zaina del foro di Rimini

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    All'udienza preliminare, l'imputato avanzava richiesta di rito abbreviato:
    L.a richiesta veniva accolta e, terminata la discussione, il Giudice pronunciava sentenza, dando lettura immediata del dispositivo.

    MOTIVI DELLA DECISIONE
    1. II padre di P. allertava i CC sapendo che il figlio aveva una serra di cannabis.
    l CC si recavano a casa del giovane e trovavano questa serra.
    P. diceva di aver acquistato l'attrezzatura su internet.
    Durante la perquisizione veniva trovata la ricevuta della consegna della serra.
    La ricevuta indicava come destinatario F.M. ed il luogo di consegna coincideva con l'indirizzo di quest'ultimo in S.A., Via M..
    A casa di F. venivano trovate 4 buste di cannabis ed un tranciatore di stupefacente.
    2. In materia di stupefacenti, il mero data quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l'onere della prova a carico dell'imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sin pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione. (Cass.12146/09).
    Nel caso di specie, appare plausibile la tesi della precostituzione di una scorta per uso personale da parte dell'imputato, assuntore abituale di droghe "leggere", tenuto conto della modica quantità e del reddito documentato.
    E' pur vero che l'attrezzatura per la coltivazione era stata spedita a lui ma egli non ne ha trattenuto neppure un pezzo, sicchè è credibile che egli abbia voluto fare un piacere al suo fornitore abituale P..
    3. La sostanza stupefacente sequestrata va sottoposta a confisca, ex art. 85 comma 3 D.P.R. 309/90, ed avviata alla distruzione come prevede il successivo art. 87 comma 4.
    Ai sensi dell'art. 240 c.p.p., apparendo strumentale alla preparazione cli spinelli, si ritiene di dover confiscare tutto il materiale sequestrato.
    P.Q.M.
    Visti gli artt. 442, 530 c.p.p., assolve l'imputato perchè il fatto non costituisce reato.
    Visti gli artt. 85 co 3 e 87 comma 4 - D.P.R. 309/90, confisca la sostanza in sequestro e ne ordina la distruzione.
    CUNEO, 4 aprile 2014
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 11-05-14 alle 09:48

  4. #174
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    Quotidianamente constato che la vera e sostanziale "innovazione", introdotta dalla recente dichiarazione di incostituzionalità del DL 272/2005, riposa nel ripristino della corretta differenziazione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere. Questa riviviscenza appare oltremodo ragionevole perché permette di mitigare quelle conseguenze in punto di pena, (in tema ad es. di marijuana ed hashish) che il regime normativo abrogato e precedente, che puniva indiscriminatamente con la medesima sanzione (la reclusione da 6 a 20 anni, oltre alla multa), rendeva pesantemente sproporzionate in relazione all'oggettività della condotta ed alla soggettività della personale. L'esperienza forense quotidiana, infatti, mi permette di rilevare che la differenza tipologica che intercorre fra il consumatore di cannabis e quello di cocaina (od eroina), riverbera evidenti effetti sul piano criminologico, perché ne caratterizza decisivamente la condotta e permette di distinguere ulteriormente il diverso spessore di pericolosità.
    Si potrebbe quindi, affermare - evocando un parametro criminologico assai in uso nel passato - che ogni sostanza supponga concretamente uno specifico"tipo di consumatore" così come di sosteneva che specifici reati presupponevano particolari "tipi di autore".
    Una distinzione di pericolosità che si palesa sia oggettivamente (quanto ai differenti effetti psicoattivi delle varie sostanze sulle persone) che soggettivamente (proprio per quelle differenze personali sopraccennate).
    Dunque, il potere ottenere interinalmente un sensibile ridimensionamento del trattamento sanzionatorio (pur non tralasciando affatto la concreta prospettiva di ambire ad una sentenza di proscioglimento per uso pedonale, in relazione a condotte coltivative o detentive) costituisce, quanto meno, un passaggio che mette l'imputato al riparo da nefaste e tutt'altro che astratte future conseguenze carcerarie,
    Ad esempio oggi la Corte di Appello di Trento, sezione di Bolzano, in un processo per la coltivazione di 6 piante e la detenzione di circa kg1,224 di marijuana e gr. 10 di hashish, ha ridotto la pena inflitta in primo grado, da 2 anni ed 8 mesi ad 1 anno (con la sospensione condizionale)ad entrambi i miei due assistiti.
    Per vero devo confessare che non sono pienamente soddisfatto del risultato, perché ritengo che la fattispecie si prestasse anche ad una assoluzione sia per la detenzione, che per la coltivazione, che avrebbero potuto entrambe fruire dell'esimente dell'uso personale.
    E' evidente che il processo presenta lacune investigative, di ordine metodologico, in relazione agli accertamenti peritali di natura chimico-tossicologica , che, però, non sono riuscito a fare cogliere appieno alla Corte (accertamenti effettuati solo sotto il profilo qualitativo e non quantitativo per le piante, assimilazione di tutti i reperti sequestrati che, invece, devono essere esaminati individualmente, senza effettuare la somma aritmetica del peso lordo e del Thc e la media percentuale del principio attivo).
    Certo è che questo tipo di verifica ed eccezione dovrebbe venire prospettato già in coro di consulenza od immediatamente dopo, ma troppo spesso noi avvocati siamo troppo distratti, poco attenti ed ammettiamolo poco o reparti o superficialmente preparati.

  5. #175
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    Citazione Originariamente Scritto da Avv. Zaina Visualizza Messaggio
    Quotidianamente constato che la vera e sostanziale "innovazione", introdotta dalla recente dichiarazione di incostituzionalità del DL 272/2005, riposa nel ripristino della corretta differenziazione sanzionatoria fra droghe pesanti e droghe leggere. Questa riviviscenza appare oltremodo ragionevole perché permette di mitigare quelle conseguenze in punto di pena, (in tema ad es. di marijuana ed hashish) che il regime normativo abrogato e precedente, che puniva indiscriminatamente con la medesima sanzione (la reclusione da 6 a 20 anni, oltre alla multa), rendeva pesantemente sproporzionate in relazione all'oggettività della condotta ed alla soggettività della personale. L'esperienza forense quotidiana, infatti, mi permette di rilevare che la differenza tipologica che intercorre fra il consumatore di cannabis e quello di cocaina (od eroina), riverbera evidenti effetti sul piano criminologico, perché ne caratterizza decisivamente la condotta e permette di distinguere ulteriormente il diverso spessore di pericolosità.
    Si potrebbe quindi, affermare - evocando un parametro criminologico assai in uso nel passato - che ogni sostanza supponga concretamente uno specifico"tipo di consumatore" così come di sosteneva che specifici reati presupponevano particolari "tipi di autore".
    Una distinzione di pericolosità che si palesa sia oggettivamente (quanto ai differenti effetti psicoattivi delle varie sostanze sulle persone) che soggettivamente (proprio per quelle differenze personali sopraccennate).
    Dunque, il potere ottenere interinalmente un sensibile ridimensionamento del trattamento sanzionatorio (pur non tralasciando affatto la concreta prospettiva di ambire ad una sentenza di proscioglimento per uso pedonale, in relazione a condotte coltivative o detentive) costituisce, quanto meno, un passaggio che mette l'imputato al riparo da nefaste e tutt'altro che astratte future conseguenze carcerarie,
    Ad esempio oggi la Corte di Appello di Trento, sezione di Bolzano, in un processo per la coltivazione di 6 piante e la detenzione di circa kg1,224 di marijuana e gr. 10 di hashish, ha ridotto la pena inflitta in primo grado, da 2 anni ed 8 mesi ad 1 anno (con la sospensione condizionale)ad entrambi i miei due assistiti.
    Per vero devo confessare che non sono pienamente soddisfatto del risultato, perché ritengo che la fattispecie si prestasse anche ad una assoluzione sia per la detenzione, che per la coltivazione, che avrebbero potuto entrambe fruire dell'esimente dell'uso personale.
    E' evidente che il processo presenta lacune investigative, di ordine metodologico, in relazione agli accertamenti peritali di natura chimico-tossicologica , che, però, non sono riuscito a fare cogliere appieno alla Corte (accertamenti effettuati solo sotto il profilo qualitativo e non quantitativo per le piante, assimilazione di tutti i reperti sequestrati che, invece, devono essere esaminati individualmente, senza effettuare la somma aritmetica del peso lordo e del Thc e la media percentuale del principio attivo).
    Certo è che questo tipo di verifica ed eccezione dovrebbe venire prospettato già in coro di consulenza od immediatamente dopo, ma troppo spesso noi avvocati siamo troppo distratti, poco attenti ed ammettiamolo poco o reparti o superficialmente preparati.
    E questo punto, miei cari enjointers, mi preme sottolinearlo, per rimarcare l'importanza della presenza, qui tra noi, del dottor Zaina:
    prima di conoscere enjoint e lei avvocato, avevo molte più paranoie (anche se, devo ammettere, con la mia invalidità, la stomia, mi sento più sicuro, un po' egoisticamente, da sbandierare alle autorità il "sono malato, ciò certificato"). Ora invece, almeno so come muovermi, almeno so di avere qualche ora di tempo per far arrivare un legale o un testimone, so che i fusti e le foglie, li devono separare dai fiori, eccetera.

    Quindi, ringrazio Enjoint e ringrazio il dottor Zaina.

    Sperando un giorno, di vedere i balconi fioriti, come succede da decenni, nella vicina Spagna.

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    "Rammentiamoci sempre che ogni qualvolta lasciamo scritto qualcosa,si lascia solo delle parole messe li,ognuno poi le interpreta come vuole,non é la stessa conversazione fatta faccia a faccia .." cit. Dantep

  6. #176
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    Caro Yomi lei è' troppo gentile e la ringrazio davvero. Io cerco di fare quel che posso nel limite delle mie capacità e della disponibilità dei giudici a rapportarsi ai problemi che poniamo.

  7. #177
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    prima di conoscere enjoint e lei avvocato, avevo molte più paranoie (anche se, devo ammettere, con la mia invalidità, la stomia, mi sento più sicuro, un po' egoisticamente, da sbandierare alle autorità il "sono malato, ciò certificato"). Ora invece, almeno so come muovermi, almeno so di avere qualche ora di tempo per far arrivare un legale o un testimone, so che i fusti e le foglie, li devono separare dai fiori, eccetera.
    giustissimo...conoscere bene la legge fa si che sia molto più semplice farsi riconoscere i propri diritti

  8. #178
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    COMMENTO AL DL 36/2014.

    I commi 24 ter e 24 quater dell’art. 1 del DL 20 marzo 2014 n. 36 (in G.U. n. 67 del 21 marzo 2014) incidono sulla struttura del combinato disposto dagli artt. 73 e 75 del DPR 309/90, in quanto mirano (in special modo la nuova edizione dell’art. 75) a definire e tratteggiare i confini entro i quali vada ravvisata l’operatività del concetto di uso esclusivamente personale, nonché le modalità attraverso le quali tale scriminante possa effettivamente produrre effetti in relazioni a casi di detenzione che può essere generica oppure qualificata (importazione od esportazione, acquisto o, comunque, ricezione).
    Anche l’intervento ulteriormente modificativo che si rivolge all’art. 73 comma 5° merita attenzione, anche se, pare di poter affermare, si tratta di un’occasione perduta.

    1. PRIME CONSIDERAZIONI DI NATURA METODOLOGICA E NOVITA’ SEMANTICHE.
    1.1 LA RIABILITAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE E LA SUA NUOVA FORMULAZIONE DI TESTO.

    Un primo elemento caratterizzante il DL 36/14 è dato dal definitivo collocamento del concetto di “uso esclusivamente personale” (che viene espressamente recuperato, dopo l’abrogazione del comma 1 bis dell’art. 73, da parte della sentenza 32 della Corte Costituzionale) nel corpo dell’art. 75.
    Si è dato corso, quindi, ad una duplice scelta normativa, che suscita perplessità.
    Da un lato, viene ribadita la formula “uso esclusivamente personale”, la quale contiene anche l’avverbio “esclusivamente”, che già ha formato oggetto di critiche per la usa assoluta superfluità.
    Dall’altro, viene dato luogo allo spostamento del concetto scriminante, dalla sua sede naturale – la norma incriminatrice per eccellenza, l’art. 73 (dove era collocato al comma 1 bis) – al testo dell’art. 75, che, invece, disciplina il sistema della sanzioni amministrative.
    In relazione all’istituto in esame si deve, inoltre, osservare che il DL 36/14, all’art. 1 comma 24 quater, reintroduce e riproduce una serie di paradigmi (già presenti nella dizione del comma 1 bis dell’art. 73) che il giudice può discrezionalmente utilizzare per pervenire alla decisione concernente la destinazione dell’uso personale dello stupefacente .
    Rimane il fatto che, allo stato, manca ancora una precisa definizione dei cd. “limiti massimi” di sostanza stupefacente (la QUANTITA’ MASSIMA DETENIBILE), introdotti a suo tempo con il DM 11 aprile 2006.
    Per colmare detto lacuna (che riverbera pesanti effetti anche in relazione al concetto di ingente quantità, così come modellato nel 2012 dalle SSU) il legislatore ha dovuto prevedere l'emanazione, da parte del Ministro della salute di concerto con il Ministro della giustizia, dei relativi decreti che, come detto, erano già previsti dall'art. 73 co. 1-bis lett. a), abrogato con la sentenza n. 32/2014.
    Or bene, al di là della sostanziale riabilitazione di canoni ermeneutici, la cui codificazione era, peraltro, naturale conseguenza della esperienza quotidiana forense, deve essere rilevato il nuovo e radicale mutamento di impostazione che connota la normativa.
    Si opera, infatti, una vera rivoluzione di lessico e di indirizzo.
    Il legislatore muove, infatti, (abbandonandola), da una pregressa concezione, in base alla quale l’“uso esclusivamente personale” poteva essere ravvisato, solo in via residuale, dopo la formulazione di un giudizio negativo, cioè di esclusione – in capo all’agente – delle attività penalmente punibili , e perviene, così, all’enunciazione di un principio che, pur identico nel fine e nella sostanza, all’opposto, ribalta, però, i termini di valutazione e giudizio.
    Ciò avviene, tramite l’esclusione preliminare di ogni tipo di riferimento sanzionatorio e l’adozione di una struttura lessicale che indica espressamente i paradigmi interpretativi che il giudice possa usare – nell’ambito dell’esercizio della propria discrezionalità -.
    I canoni valutativi vengono, così, proposti quale metro strumentale e positivo di decisione in ordine alla eventuale sussistenza dell’esimente.
    E’ questa, dunque, l’unica innovazione che possa rimanere immune da critiche, perché essa introduce una definizione in luogo di una non-definizione qual’era l’uso esclusivamente personale nella L. 49/2006.


    1.2 LA COLLOCAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE NEL TESTO DELL’ART. 75; PERPLESSITA’. LE CONDOTTE SCRIMINATE.

    Il legislatore, pur ribadendo – senza particolare convinzione (e forse obtorto collo) – la sola depenalizzazione del consumo personale di sostanze stupefacenti, opta, poi, per una scelta che eleva il comma 1 dell’art. 75 a paradigma centrale ed a volano interpretativo del giudizio di applicabilità della scriminante dell’uso personale rispetto ai casi specifici.
    Questa nuova impostazione strutturale e sistematica non pare, però, convincente.
    Risulta, infatti, assai singolare che l’eventuale riconoscimento della liceità penale di una serie di condotte tassativamente individuate (ed altrimenti sanzionate), condizione che dipende dalla loro effettiva correlazione al fine del consumo personale e giudizio che investe la struttura precettiva della norma incriminatrice (l’art. 73), debba, invece, venire desunto per relationem et aliunde.
    La unità strutturale del sistema governato dal DPR 309/90, il quale individua la condotte ritenute penalmente illecite e, in pari tempo, esclude, tassativamente, da tale novero alcune altre (detenzione, importazione, esportazione, acquisto e ricezione) viene, così, illogicamente ripartita su più norme tra loro autonome, venendosi a provocare una vera frammentazione.
    La ricordata traslazione del concetto di “uso esclusivamente personale” dall’art. 73 all’art. 75, appare un segno evidente di rafforzamento della logica che ispira la previsione del sistema delle sanzioni amministrative.
    Certamente più razionale e più utile, sul piano esegetico, sarebbe stata la scelta di costruire una unica norma, (con la rimeditazione della trama dell’art. 73), scegliendo di ricomprendere in tale ambito – allo stesso tempo - sia il riferimento sanzionatorio, che quello esimente e riservando all’art. 75 un ruolo di testo collegato naturalmente consequenziale, la cui applicazione apparisse di natura residuale e sussidiaria rispetto al giudizio che il giudice formuli riguardo alla effettiva sussistenza, nel caso concreto, dell’uso personale.
    L’indirizzo ideologicamente proibizionista, che sostiene il complesso normativo del DL 36/14 è ravvisabile anche in virtù dell’uso dell’avverbio “illecitamente” abbinato alle successive condotte indicate, il quale non lascia dubbio alcuno in ordine alla circostanza che, pur rimanendo estranee al contesto penalistico, le varie ipotesi comportamentali, regolate dall’art. 75, sono sempre oggetto di un giudizio di disvalore, che le qualifica come illecito amministrativo (assoggettandole alle relative sanzioni ed escludendo qualsiasi timida idea di depenalizzazione).
    Si deve , inoltre, rilevare che la norma introdotta con il comma 1 bis dell’art. 75 non muta il numero e le tipologie di condotte che vengono scriminate dalla destinazione all’ uso esclusivamente personale, rispetto al regime precedentemente vigente.
    Nessuna sorpresa, dunque, sul mancato inserimento in tale contesto della coltivazione, giacchè esso sarebbe stato un atto di troppo grande rottura ed evoluzione, rispetto alla imperante e ridotta visione proibizionista, quello di considerare l’opportunità di cogliere l’assist fornito dalla giurisprudenza più illuminata (Cfr. Cass. Sezione Sesta n. 12612/13 18 marzo 2013) che ha posto l’accento sul tema dell’offensività globale e concreta in relazione alla condotta coltivativa.
    Dunque, la questione coltivazione rimane impregiudicata e sarà ancora oggetto dei vibrati contrasti che l’hanno connotata negli ultimi anni.
    Semmai, si deve osservare che la riproposizione della locuzione “riceve a qualsiasi titolo”, quale norma di chiusura e sintesi rispetto alle altre precedenti e più specifiche condotte, ripresenta i dubbi di genericità, peraltro, già evidenziati all’atto della promulgazione della L. 49/2006.
    Si può solo ritenere che con l’espressione in oggetto, il legislatore ha inteso elaborare una disposizione che copra situazioni nelle quali la dazione materiale della sostanza avvenga con modalità e causali differenti da quelle tipiche dell’acquisto.
    Vale a dire che la perifrasi è concepita per abbracciare tutte quelle ipotesi di passaggio dello stupefacente da un soggetto ad un altro, che si perfezionino gratuitamente o per liberalità.

  9. #179
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    2. IL REATO PREVISTO DAL COMMA 5° DELL’ART. 73 CONTINUA IL MUTAMENTO.

    Il DL 36/2014 ci offre, inoltre, l’ennesima performance modificativa del comma 5° dell’art. 73 del DPR 309/90, norma sottoposta nell’ultimo arco d’anno ad una stressante serie di interventi di restiling, che, talora, come nel caso di quello in esame, paiono del tutto stravaganti ed incomprensibili per l’assenza di un profilo di strategia logico-giuridica.
    L’esito partorito appare, infatti, un vero pateracchio compromissorio di basso livello logico-giuridico.
    Immediatamente, infatti, si può affermare che non è affatto vera la categorica affermazione che la rimodulazione della pena nel massimo edittale, fissando il relativo limite a quattro anni, impedirà che l’indagato venga arrestato.
    Si continua, quindi, nonostante le assicurazioni, a perpetuare nocivi effetti in tema di libertà personale l’art. 381 comma 1 cpp (che regola l’arresto facoltativo in flagranza e legittima il processo per direttissima); certo, non potrà essere applicata dal giudice la misura della custodia in carcere, ma questa appare una conseguenza del tutto minima e residuale, alla luce della esperienza quotidiana forense.
    Un piccolo vantaggio deriva dal fatto che il condannato potrà godere del diritto alla sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., venendo meno la circostanza ostativa della costanza di stato di custodia cautelare di cui al co. 9 lett. b) del medesimo art. 656 .
    E’ ben vero, inoltre, che il limite massimo di pena di quattro anni, permetterà l’accesso dell’imputato/indagato alla possibilità di richiedere l’applicazione della messa alla prova di cui al nuovo art. 168 bis c.p. (introdotto con L. 67 del 28 aprile 2014), ma questa è, comunque, un’opzione che – almeno per quanto attiene coloro che fossero stati denunziati per fatti commessi sino al 23 dicembre 2013 (data di entrata in vigore della L. 146/2013) in relazione alla cannabis - era già possibile.
    E’, comunque, del tutto inconcepibile – sul piano razionale - che il legislatore, il quale si accredita (e si vanta) come portatore di un disegno che mira a sanzionare tutti i comportamenti riguardanti le droghe (non dimentichiamo che le condotte non propriamente reato del comma 1 bis dell’art. 75, sono pur sempre contemplate come illeciti sanzionati amministrativamente) proceda, poi, ingiustificatamente alla diminuzione del trattamento sanzionatorio comune a tutti i fatti di lieve entità (abbassandoli ai livelli di pena che la il dpr 309/90, nella versione originaria JERVOLINO-VASSALLI prevedeva solo per le droghe leggere) pur di non ammettere una ovvia, quanto razionale, distinzione sanzionatoria fra sostanze psicoattive di differente pericolosità.
    Il paradosso è, dunque, solare.
    Invece di incentivare il contrasto alla diffusione delle droghe pesanti (di per sé, all’evidenza, assai pericolose e letali), il legislatore (o, comunque, una precisa fascia parlamentare) ossessionato esclusivamente ed irragionevolmente dal tema cannabis, giunge inspiegabilmente, addirittura, a diminuire le pene riguardanti le violazioni del comma 5°, con una sorprendente, quanto contraddittoria – rispetto ai proclami - scelta al ribasso.
    La rimodulazione della pena nei termini appena indicati, non è, però, l’unica schizofrenia ideologico-politica, che sia ravvisabile nel testo del DL 36/2014.
    Emerge e sconcerta, infatti, la immotivata pervicacia che la quale il governo (a taluno che lo sostiene) ha insistito affinchè venisse ribadito il concetto dell’unicità del trattamento sanzionatorio, qualunque fosse la tipologia della sostanza.
    L’argomento principe utilizzato – a vaga giustificazione - è quello che la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale ha abrogato il DL 272/2005 e la conversione nella L. 49/2006, solo per motivi di natura formale, non essendo stato formulato un vero e proprio giudizio di costituzionalità della norme in esso contenute.
    L’osservazione è all’apparenza – ma solo all’apparenza – parzialmente veridica.
    In realtà, chiunque si approcci alla decisione del giudice delle leggi in buona fede, legge nella decisione della Consulta – che abbraccia per implicito anche il merito della legge – una pesante censura senza appello sul disinvolto modo di legiferare dei padri del DL 272/2005, che risulta caratterizzato dalla mistificata evocazione della infondata sussistenza di motivi di urgenza ed indifferibilità, che ha legittimato la scelta di dare corso ad un decretazione di urgenza (violazione dell’art. 77 Cost.).
    Dunque la sentenza della Corte Costituzionale costituisce un vero tsunami che mette a nudo la assenza di correttezza della procedura legislativa, che ha ecceduto la delega normativa, il difetto dei presupposti evocati e, al contempo, la necessità che materie come quella in oggetto siano caratterizzate da un dibattito parlamentare ampio e profondo.
    Ciò posto, si deve rilevare che la riformulazione del comma 5° dell’art. 73 (pur nella conferma di tale opinabile assimilazione sanzionatoria già fatta propria dal DL. 23 dicembre 2013 n. 136 conv. in L. 21 febbraio 2014 n. 14) trasuda molteplici profili di incostituzionalità.
    Al di là delle considerazioni generali, si ripresentano i dubbi di compatibilità con l’art. 77 comma 2° Cost. per il ricorso alla decretazione di urgenza in una materia come quella dell’ipotesi di lieve entità, modificata dall’art. 1 comma 24 ter DL 36/2014, atteso che non si comprende quali siano le effettive ragioni di impellenza ed indifferibilità che abbiano consigliato l’adozione l’inserimento di tale disposizione in un contesto variegato e di maggiore ampiezza .
    Non si dimentichi che l’intervento modificativo, prescindendo dal palese sospetto di incostituzionalità di merito, appare insipiente, se non – addirittura – inutile perchè si limita a ridurre i minimi e di massimi edittali di una pena.
    Né si può seriamente sostenere che la diminuzione del massimo edittale da 5 a 4 anni, pur determinando la non più assoggettabilità alla applicazione di misura cautelari, ma comunque, la permanenza della possibilità di arresto della fattispecie, costituisse una modifica da attuarsi con un urgenza assoluta e solo con il mezzo del decreto legge .
    Ulteriore profilo di contrasto della norma – sotto il profilo dalla logica e della ragionevolezza- involge l’art. 3 Cost. .
    A) L’ipotesi lieve governa una situazione di fatto, la quale differisce dall’ipotesi ordinaria solamente in funzione di un giudizio soggettivo di minima offensività della condotta, che si esprime attraverso parametri tipicizzati.
    B) L’incipit “Salvo che il fatto costituisca più grave reato” [che è stato introdotto quale elemento qualificante la natura di reato autonomo in luogo di circostanza aggravante, (cfr. Cass. Sez. Terza sent. 16029 17 aprile 2014 e Sesta sent. 14288 26 marzo 2014)] appare sintomatico indice della strettissima ed intima sintonia ed analogia sia fattuale che giuridica che intercorre fra le fattispecie contemplate ai commi 1, 4 e 5 dell’art. 73.
    C) Di particolare rilievo, se non risolutiva, nel senso della fondatezza della tesi di incostituzionalità che si prospetta, appare, poi, la formulazione del precetto “Chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo…”, posto che tale perifrasi dimostra che non vi è alcuna differenza materiale in ordine alle condotte ritenute penalmente rilevanti dal comma 5, rispetto a quelle previste dai commi 1 e 4.

    Se, dunque, non è ravvisabile alcuna significativa differenza tra il reato concernente le condotte di lieve entità e quello contenuto nel testo riguardante l’ipotesi ordinaria di base dell’art. 73, non pare affatto accettabile, nè condivisibile la scelta di adottare un parametro sanzionatorio ad hoc per l’ipotesi di lieve entità.
    Ad avviso di chi scrive, risulta illogico e contrario a principi di giustizia sostanziale che l’impostazione fondamentale, che individua – in relazione al reato base - una duplicazione di sanzioni, stabilendo una pena ad hoc per le sostanze inserite in specifiche tabelle riguardo al caso concreto, subisca una deroga in dipendenza di un giudizio successivo, che involge il livello puramente soggettivo di gravità del fatto stesso.
    Ci troviamo di innanzi ad una norma (l’art. 73) che, esaminata nella sua complessività, si manifesta, quindi, come tutt’altro che coerente sul piano della metodica sanzionatoria.
    Il discrimine riguardante l’offensività di sostanze tra loro differenti (che si traduce in concreto in trattamento sanzionatori diversi) deve costituire un principio di natura permanente e costante, che non può patire eccezioni di sorta, soprattutto se le eccezioni discendono da elementi accidentali del reato, i quali non inficiano la struttura sostanziale della fattispecie.
    Il comma 5° è un reato minor, ma è pur sempre (sia materialmente, che formalmente) il medesimo reato descritto nei comma 1 e 4 dell’art. 73, perché medesime sono le condotte materiali.
    Altro argomento che, reputo, merita essere considerato a sostegno della critica che si avanza, si desume dal ripristino di una pluralità di tabelle, all’interno della quale collocare – separatamente – le singole sostanze.
    La circostanza che la cannabis sia stata inserita nella tabella II, conferma, infatti, la differenza e di tale sostanza da quelle inserite nella tabella I (per definizione droghe pesanti).
    La distinzione, così, operata, non risponde (né può rispondere) ad un mero canone di carattere formale, bensì esso è elemento di base e costitutivo delle previsioni sanzionatorie contenute nell’art. 73 co. 1 e co. 4, posto che ciascuna di tali disposizioni opera un preciso ed in equivoco riferimento tabellare , l’una alla tabella I, l’altra alla tabella II.
    Il doppio binario venutosi, così, a creare per la scelta legislativa in commento, non appare, quindi, affatto fondato e giustificato.

    3. IL RECUPERO DEL COMMA 5 BIS .

    Un effetto deleterio, indiretto, della decisione della Corte Costituzionale era consistito nella abrogazione dell’art. 73 comma 5 bis , norma che introduceva misure alternative al carcere, in relazione a condanne che fossero state pronunziate, in relazione a vicende rientranti nel contesto della lieve entità, che avessero visto come imputate persone tossicodipendenti o assuntrici di sostanze psicoattive.
    Nella più generale ed ampia visione ed impostazione che mira ad introdurre nel nostro sistema penale forme alternative al carcere sia di natura preventiva (ad esempio la messa alla prova di cui all’art. 168 bis e segg. c.p., prevista dalla L. 67 del 28 aprile 2014 , che si palesa come metodo di definizione del giudizio in sostituzione delle altre ipotesi di celebrazione dello stesso), che successive al vero e proprio giudizio penale (ad esempio il comma 9 bis dell’art. 186 o il comma 8 bis dell’art. 187 CdS), il recupero di questo istituto – che rientra indubbiamente nella categoria dei rimedi successivi determinando la conversione di una pena inflitta – appare una scelta condivisibile.
    Per vero, si deve rilevare che la previsione del comma 5 bis, non aveva avuto una capillare applicazione in questi anni, ottenendo un apprezzamento indubbiamente inferiore alle attese createsi.
    Il nuovo tentativo di prevedere, in ipotesi di impossibilità di riconoscere all’imputato la sospensione condizionale della pena che gli venga inflitta, una soluzione che precluda l’accesso al carcere, pare meritevole, comunque, di sostegno.
    Circoscrivere tale opzione ai soli fatti di lieve entità, pare – ad avviso dello scrivente – un’opzione corretta, in quanto marca in modo preciso il valore del reato di cui al comma 5°, che spesso, è assunto come discutibile formula definitoria di carattere compromissorio di situazioni borderline, vale a dire episodi posti sullo spartiacque tra liceità ed illiceità.

  10. #180
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    Desidero segnalare una sentenza che giudico già ad una prima sommaria lettura (con riserva di meglio approfondirla) stranamente contraddittoria.
    Da un lato la S.C. riconosce che il giudice debba verificare in concreto l'offensività della condotta la quale pero non può essere esclusa se i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, bensì solo quando risultino inidonei a produrre alterazioni psicotrope ed un effetto drogante.
    E sin qui, purtroppo nulla di nuovo.
    Dall'altro, però, si afferma che nel compiere la verifica relativa all'offensività, il giudice si deve soffermare sul quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, sul loro grado di maturazione, su ulteriori circostanze, quali l'estensione e la struttura organizzata del la piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.
    (Sez. 3, Sentenza n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174, De Vita).
    E qui, invece, si verificherebbe una interessante apertura a criteri di valutazione spesso reietti nelle sentenza di legittimità e di merito.
    Ci si deve allora domandare quale sia l'effettivo principio sancito dalla Corte Suprema, perchè delle due l'una.
    Se dovesse avere valore tranciante il primo paradigma, e cioè quello dell'efficacia minimamente drogante del THC contenuto) ci si deve, infatti, porre il quesito di quale utilità avrebbe, quindi, tutta la attività di ricognizione di quegli elementi elencati nel secondo.
    D'altronde in prosieguo la sentenza della Corte rileva un ulteriore indizio che potrebbe fare propendere per una cauta apertura e cioè il rilievo che nella fattispecie si sarebbe verificata "la sussistenza di una coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e, dall'altro, la idoneità delle piante sequestrate a produrre effetto stupefacente. Gli effetti de! narcotest devono, infatti, essere letti unitamente all'ingente quantitativo di piante sequestrate (95 di cui alcune in pieno sviluppo e alte due metri)".
    Considerazioni, quindi, che non rendono peregrina la tesi del riaffacciarsi della distinzione fra coltivazione imprenditoriale e coltivazione domestica, quale ennesimo canone per decidere sulla rilevanza penale della coltivazione.

    REPUBBLICA ITALIANA
    In nome del Popolo Italiano
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    Sezione Sesta penale


    composta dai signori: dott. Antonio Agro Presidente
    dott. Vincenzo Rotundo Consigliere
    dott. Emanuele Di Salvo Consigliere
    dott. Orlando Villoni Consigliere
    dott. Guglielmo Leo Consigliere

    ha pronunciato la seguente
    SENTENZA

    sul ricorso proposto nell'interesse di PS, nato a X ii 31-3-84, avverso la
    sentenza in data 15-4-13 della Corte d'Appello di Milano, sez. V penale.
    Visti gli atti, la sentenza impugnata ed ii ricorso.
    Udita la relazione fatta dal Consigliere, dott. Vincenzo Rotundo.
    Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen., dott.ssa Fodaroni, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul trattamento sanzionatorio e per ii rigetto del ricorso nel resto.
    Udita l 'avv.ssa Alessandra Stefano, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, associandosi in via subordinata alle richieste del P.G.

    FATTO E DIRITTO
    1 .-. II difensore di PS ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Milano in data 15- 4-13 ha confermato la condanna pronunciata nei confronti del predetto in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato e previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro dodicimila di multa per ii reato di cui all'art. 73 DPR 309/90 per avere coltivato marijuana (accertato in Borgo Priolo I' 1 1-7-12).
    II ricorrente deduce in primo luogo violazione di legge e vizio d i motivazione in punto di affermazione della sua responsabilità, sostenendo che non sarebbe stata dimostrata la reale offensività della condotta posta in essere, non essendo stato disposto alcun accertamento tossicologico ex art. 360 c.p.p. sulle sostanze sequestrate .
    In secondo luogo eccepisce la illegittimità costituzionale dell'art . 73 DPR 309/90, come modificato dall 'art. 4 bis della Legge n. 49 del 2006, per contrasto con gli artt. 77, secondo comma, 3 e 1 17, primo comma, Cost.
    2 .-. II primo motivo di ricorso e infondato.
    E' pur vero che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. (Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008, Rv. 239921, Di Salvia; e da ultimo sez. 6, Sentenza n. 12612 del 10/12/2012, Rv. 254891, Floriano). Nel compiere tale verifica, il Giudice deve avere riguardo non soltanto al quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, ma anche ad u lteriori circostanze, quali l'estensione e la struttura organizzata del la piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Sez. 3, Sentenza n. 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174, De Vita). In particolare, in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, ii dato ponderale può assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull'offensività della condotta, la quale pero non puo essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla "dose media singola", determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall'art. 14 del d.P.R. n. 309 de! 1990 (Sez. 4, Sentenza n. 43184 del 20/09/2013, Rv. 258095, Carioti).
    Come correttamente rilevato dalla Corte di Appello, nel caso in esame le risultanze probatorie hanno permesso di accertare da un lato la sussistenza di una coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e, dall'altro, la idoneità delle piante sequestrate a produrre effetto stupefacente. Gli effetti de! narcotest devono, infatti , essere letti unitamente all'ingente quantitativo di piante sequestrate (95 di cui alcune in pieno sviluppo e alte due metri), dalle quali era stata ricavata la sostanza pronta all'uso (pure sequestrata), nonchè alle significative dichiarazioni dello stesso imputato, che ha parlato di una attività che andava avanti da circa un anno con raccolta ed essiccamento delle infiorescenze ogni due o tre mesi.
    Ne deriva che, date le caratteristiche della piantagione , la Corte di merito, nel ritenere nella fattispecie configurabile ii reato, ha ineccepibilmente applicato i principi ed i criteri enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sopra sinteticamente riportati.

    3 .-. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che ii Giudice delle Leggi con la sentenza n. 32 de! 2014 ha, nel frattempo, già dichiarato incostituzionali le disposizioni della Legge n. 49 del 2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, cosi ripristinando ii previgente regime precettivo e sanzionatorio. A seguito di questa decisione, la pena inflitta al prevenuto, essendo stata determinata in base a parametri oggi costituzionalmente illegittimi , necessita di una rivalutazione, cui dovrà procedere ii Giudice di merito in base alla forbice edittale di attuale riferimento.

    4 .-. Per le considerazioni sopra svolte si impone l'annullamento della sentenza impugnata in parte qua, e cioè Iimitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano e con rigetto nel resto de! ricorso.

    P.Q.M.
    Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezi
    one della Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto ii ricorso.
    Cosi deciso in data 4-4-2014.

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