CSOA Forte Prenestino - 15 Dicembre 2013 ore 11:00 - Roma

Decennali rivendicazioni di politiche giuste ed efficaci sulle droghe
non hanno, di fatto, modificato il quadro complessivo, che insiste su
fallimentari ideologie repressive volutamente impotenti di fronte al
dilagare dei consumi e al consolidarsi di solidi cartelli di narcomafie
sempre più invischiati negli affari di potere.

Per ciò che concerne la cannabis, la questione sembra essere ancora più
complessa, non solo perché è la sostanza più diffusa e meno occultabile,
quindi, secondo la normativa corrente, maggiormente soggetta a controlli
orientati a limitare le libertà personali di chi ne fa uso, ma anche
perché in Italia alcuni suoi principi attivi sono riconosciuti come
terapeutici seppur, non vige una giusta e chiara regolamentazione
dell’accesso alla sostanza da parte di chi ne ha bisogno. Una negazione
del diritto alla cura, poiché l’apertura di alcune regioni all’uso
medico della marijuana non ha cambiato che di poco le cose, in alcuni
casi ha addirittura peggiorato la possibilità di accedere al farmaco, in
aggiunta, i medici disposti a prescriverlo continuano a essere un’esigua
minoranza configurando un quadro culturale povero e proibizionista ben
accetto a precise lobby economiche.

L’attuale sistema politico si preoccupa di criminalizzare e perseguire i
consumatori senza al contempo investire su prevenzione e riduzione del
danno, pilastri fondamentali delle politiche sulle droghe in grado di
promuovere educazione e limitare i rischi. Se tutto ciò avviene in
assenza di forme di regolamentazione su produzione, distribuzione e
consumo, il risultato corrisponde alla situazione in cui ci troviamo
oggi: le piazze gestite dalle mafie offrono sostanze di qualità incerta,
l’accesso è garantito a chiunque, e l’unico controllo è operato dalle
Forze dell’Ordine attraverso la segnalazione e le pene inflitte a
consumatori e piccoli spacciatori. Un libero mercato in piena regola che
serve solo alle mafie per fare soldi, di certo non affidabile per chi
usa sostanze e ancora meno per un malato che con la cannabis si cura!

Il proibizionismo è però una scelta politica, anche se per la nostra
cultura sembra quasi che sia dato per universale, in altre parole come
unica via possibile…alternative ne esistono quindi, ma difficili da
praticare per il sistema delle convenzioni internazionali dell’ONU che
imbriglia gli Stati membri, imponendo sanzioni a chi adotta legislazioni
non proibizioniste su produzione e distribuzione di sostanze proibite:
quella italiana equipara ad esempio la coltivazione anche se ad uso
personale al reato di narcotraffico, elevando pene molto alte!

Il modello dei Cannabis Social Club, come proposto nel corso dell’ultima
assemblea di Encod a Bermeo, parte da due presupposti: garantire una
serie di diritti alla cura che oggi seppur riconosciuti sono, di fatto,
negati, e promuovere un controllo di tipo relazionale su chi consuma,
limitando e contenendo forme dannose per la salute. Se nell’attuale
paradigma – col rischio dell’incarcerazione - ognuno è libero di
consumare nel modo che vuole la sostanza che il mercato ha deciso di
vendere, nel modello dei CSC anche il malato potrebbe usare il principio
attivo di cui ha effettivamente bisogno, controllato e monitorato da
persone competenti.

La CANNABIS è una specie botanica con infinite varietà, è un
fitocomplesso con principi attivi che lavorano in sinergia tra loro,
ogni varietà ha la sua formulazione, non esiste una cannabis ma migliaia
di qualità e non tutte sono adatte a chiunque ma chiunque può trovare la
varietà più adatta alla sua patologia solo con la sperimentazione
empirica scollegata dal mercato delle lobby farmaceutiche e realizzabile
in un gruppo di auto/mutuo/aiuto. Tra i fini di un CSC vi è dunque
quello di disciplinare anche l’uso di cannabis a fini terapeutici,
sostenendo l’uso sano per fini non psicoattivi ma curativi e diventando
perciò uno strumento di promozione della salute.

Diversi Paesi europei hanno adottato questo modello e i CSC
rappresentano esperienze già consolidate e funzionanti, altri lottano
per il riconoscimento, altri ancora come noi stanno muovendo i primi
passi. Se a livello istituzionale e di confronto politico si susseguono
raccolte di firme per referendum e proposte di legge, alcuni gruppi di
pazienti con il sostegno di ENCOD stanno decidendo di muoversi dal basso
anche in Italia come nel resto dell’Europa, costituendosi in piccole
associazioni locali il cui fine è coltivare cannabis per il proprio
fabbisogno medico.

Consapevoli del rischio legato alla legislazione in materia, abbiamo
definito due statuti in accordo con un gruppo di legali che sostengono
l’intero percorso, uno per malati che si curano con la cannabis, e
l’altro che permette a coloro i quali non sono malati di ricoprire
cariche del consiglio direttivo, consci del fatto che in una fase
iniziale non beneficerebbero di alcuna parte della produzione.

Ricevendo negli ultimi mesi numerose richieste di contatto da parte di
persone interessate al modello CSC, abbiamo pensato di incontrarci,
conoscerci e condividere i nostri percorsi, ma anche obiettivi, fini e
progettualità future, nell’ottica di mettere a disposizione di chi abbia
voglia di rivendicare i propri diritti gli strumenti e le pratiche che
l’esperienza e il confronto ci hanno permesso e tuttora consentono di
costruire.

ASSEMBLEA NAZIONALE “VERSO I CANNABIS CLUB ITALIA”
Roma CSOA Forte Prenestino - 15 Dicembre 2013 ore 11.00

RETE NAZIONALE “FINE DEL MONDO PROIBIZIONISTA”