È di ieri la sentenza che molti attendevano: secondo la Cassazione [1] non è reato vendere su Internet semi di cannabis, quando ciò non sia accompagnato dalle “istruzioni” per ricavare, dal prodotto naturale, la sostanza stupefacente.
Nel caso deciso dalla Suprema Corte, due trentacinquenni vendevano, dal proprio sito web, varie tipologie di semi di cannabis, con tanto di spiegazioni, suggerimenti, consigli, finalizzati però a fornire spiegazioni sulla semplice coltivazione della pianta.
I giovani infatti non spiegavano anche le modalità per ricavare dai semi il “principio attivo” stupefacente. Solo tale ultima condotta avrebbe portato all’incriminazione dei venditori. La mera detenzione e vendita di semi di cannabis, infatti, se non rivolta a ricavarne sostanze stupefacenti, non è illecito penale.
Perché ricorra il reato, invece, è necessario che il detentore/venditore sia consapevole della destinazione del seme.
In linea generale, infatti, il codice penale sanziona il “tentativo” del reato di coltivazioni e produzioni vietate [2] solo quando gli atti “preparatori” (come la vendita) siano idonei e diretti, in modo non equivoco, alla realizzazione dell’illecito. In altre parole, deve risultare certa l’intenzione del venditore di commettere il reato. Tale consapevolezza si può estrinsecare nell’impartire istruzioni all’acquirente sulle modalità per ricavare dal seme la corrispondente droga.
Al contrario, la semplice detenzione di cocaina, eroina, oppio e tutte le altre sostanze indicate negli elenchi predisposti dalla legge è considerata di per sé stessa reato, in quanto si tratta di elementi che sono già “prodotto finito”, ossia sostanze stupefacenti.
[1] Cass. sent. n.6972 del 22.02.2012.
[2] Artt. 26 e 28 L. 685/75; art. 73 DPR 309/90.
di Angelo Graco
fonte: avvangelogreco.it

