L’esperienza della vendemmia in una delle patrie storiche del vino
La Borgogna (Bourgogne) è un’ampia zona ricca di colline e campagne che si trova nel centro/est della Francia, verso la svizzera e la costa azzurra per intenderci, particolarmente nota per l’ottima qualità dei suoi numerosi vigneti e quindi dei suoi vini, esportati in tutto il mondo. E’ lì che io, Luca, Ilaria e un pò di amici abbiamo deciso di andare per provare l’esperienza della vendemmia; partiti da Padova in autostop, zaino in spalla, stavolta senza chitarra (scelta della quale inizieremo a pentirci già a metà del viaggio!!) ma con una giacca in più rivelatasi preziosa per la fredda notte passata nell’autogrill francese. Sono dolci e morbidi pendii che ci accompagnano da Lione fino a Beaune, e laghi, campi di ortaggi, fiumi, minuscoli boschetti sparsi qua e là, un paesaggio grandioso che ci sentiamo di dominare completamente dalla cabina di un camion!
Il sole è tiepido, la luce diffusa getta un ombra di immensità su ogni pietra; la sosta al duecentesco convento di Beaune, dopo circa una decina di ore di viaggio ci riporta alla meditativa vita dei monaci medioevali, qui scopriamo che il paese è magnifico e che le numerose cantine secolari non possono più ospitare come una volta le botti di vino perchè, così ci dicono, le microvibrazioni del traffico stradale moderno ne rovinerebbero l’invecchiamento. La Borgogna si riconferma ai nostri occhi come una delle patrie storiche del vino (letteralmente il perno di quasi ogni attività, dai piccoli negozi ai grandi alberghi…) e le sue piccole conche tra le colline sono ricoperte di monocoltura a vite, alternate a piccoli boschi di noci, querce, pini selvatici e qualche castagno insieme a verdi pascoli per bovini da latte e carne.
Le viti a differenza dell’Italia sono piccole, alte poco più di un metro, e l’uva cresce a pochi centimetri dal suolo, per raccoglierla bisogna dunque chinarsi, particolare questo che non avevamo considerato alla partenza e che presto ci porterà a fare i conti con vari dolori alla schiena e alle gambe. Tra i filari passano i tipici trattori sgangherati che da trent’anni a questa parte aiutano i lavori del contadino e l’esperienza si rivela ricca di soddisfazione: svegliarsi presto,essere nel campo alle otto e veder sorgere il sole con l’aria fredda sulle guance ci dà un senso di vera felicità, la fatica passa in secondo piano, anche grazie alle numerose pause durante le quali ci viene regolarmente servito vino a volontà, tanto che una delle cose più belle sarà proprio l’aspetto del bere e mangiare…un’abbondanza e una qualità alle quali non ci abbandonevamo da tempo! Le mattinata di lavoro si conclude a mezzogiorno per un veloce ma colossale pranzo chez Jean Marc (il boss…) per poi riprendere nel primo pomeriggio e chiudersi definitivamente col calare del sole. La cosa che più ci ha colpito è il genuino clima di festa che è indissolubilmente stretto al lavoro della vendemmia, come una volta la raccolta dell’uva è prima di tutto una festa, si viene a creare un clima di semplice intesa e collaborazione tra le persone chine nei filari, un clima fatto di scherzi, di risate, di incazzature, insomma di UMANITA’, quella cosa che dentro un ufficio in città è tanto difficile trovare ancora.
Passeggiando per i villaggi locali nel tempo libero che ci rimane veniamo colpiti subito al primo sguardo dai tetti spioventi fatti di tegole quadrate in legno dipinte di nero, giallo, verde, rosso, dorato, e incastrate tra loro a formare motivi geometriciregolari: quadrati, rombi, contorni zigzagati; e si continua restando affascinati dalle piccole viuzze che scompaiono dietro la lunga e dolce curvatura irregolare degli edifici. La città principale e capoluogo è Digione, Dijon in francese, che dopo chilometri di colline verdi ti accoglie con eleganti, curati e lussuosi boulevard alberati; qui è dove si produce la famosa senape, che in francia però viene chiamata mostarda, la esportano in tutto il mondo ma questo non li ha arricchiti troppo se non nell’apparenza, ostentatamente lussuosa, tale da valergli l’appelativo di falsi ricchi, come li chiamano i loro vicini della provincia.
La Borgogna resta, tutto sommato, una regione che in questi anni di globalizzazione e confusione ha conservato le sue caratteristiche, la sua socialità, i suoi paesaggi. E ancora oggi, vedendo il sole tramontare tra le nubi rosa e illuminare di squarcio le pareti in pietra calcarea ricoperte di edera rosso scuro o osservando le sterminate dolci colline verdi ricoperte di manto boschivo e minuscoli appezzamenti regolari di vite dove il giallo terra sfuma in arancione spento e rosso bordeaux, si capisce che non è poi cambiato molto, che i vecchi borghignoli sono sempre dei simpatici rudi e maldestri contadini con naso e guance rosse sempre pronti a versare un bicchiere di vino per sè e per gli altri; che a quel rosso si accompagna sempre bene un formaggio cremoso e filante o una salsiccia di Manteau, che questa regione graziata per la ricchezza di acqua e natura continua senza troppi sbalzi o urti, nella placida attesa della maturazione di quei grappoli bruno dorati.
SAMUEL BREGOLIN
Pubblicato su Dolce Vita n°19 Novembre/Dicembre 2008